Porro filii Heli, filii Belial, nescientes Dominum neque officium sacerdotum ad populum […] retrahebant homines a sacrificio Domini. Erat ergo peccatum eorum grande nimis coram Domino (cf. 1 Sam 2, 12-13.17).
La citazione non è letterale, ma un po’ ad sensum. Pur narrando una vicenda dell’antica storia di Israele avvenuta nell’XI secolo a.C., essa si attaglia però perfettamente al nostro tempo. A Silo, che all’epoca dei Giudici ospitava l’arca dell’alleanza e fungeva quindi da santuario nazionale del popolo eletto, l’anziano sacerdote Eli, per ignavia o debolezza, si asteneva dal correggere gli odiosi abusi con cui i due figli Cofni e Pincas, anch’essi ministri di Dio, violavano sistematicamente la legge divina e angariavano i fedeli. L’autore sacro non esita a chiamarli, per la colpevole ignoranza riguardo al Signore e al loro compito sacerdotale a favore del popolo, figli del diavolo. Ma davanti a Dio il più grave peccato da essi commesso era quello di scoraggiare i fedeli, con la loro condotta, dall’offrire sacrifici a scopo di adorazione, espiazione, impetrazione e ringraziamento.
Quanti cattolici, oggi, sono allontanati dal Sacrificio del Signore da chierici che lo deturpano e profanano con le loro ridicole invenzioni, sacrileghe irriverenze, diseducativi atteggiamenti da turpi commedianti… Oltre a offendere Dio in modo gravissimo, essi privano i fedeli di un bene immenso a cui hanno – se sono in stato di grazia e nelle dovute disposizioni – un sacrosanto diritto. Non basta che la Messa sia valida, se tutto il contesto ne offusca o smentisce il significato e il valore. Per agire così quei ministri, evidentemente, non conoscono né il Signore né la natura del loro stato e della loro missione. Questa ipotesi è spesso confermata dai contenuti aberranti della loro predicazione, che sembra ignorare finanche gli elementi basilari della dottrina cristiana e sposare in modo del tutto acritico qualsiasi assurdità del pensiero dominante.
Questi sono i frutti di una formazione determinata più dall’arbitrio dei superiori che da studi seri e accurati, spesso fatti oggetto di disprezzo in nome di una pastoralità a dir poco schizofrenica. Dopo che per decenni i sedicenti “teologi della liberazione”, palesemente eretici, hanno impunemente sparso i loro esiziali errori distruggendo la fede in milioni di cattolici, l’anno scorso un presule latinoamericano – tanto per fare un esempio – ha inaspettatamente ripescato quel canone del Codice che condanna i delitti di eresia, apostasia e scisma. Nei confronti di chi? Di un attardato epigono dei libertadores? Ma neanche per sogno! In quelli di un sacerdote che, nell’esercizio del suo ministero, si è semplicemente attenuto alla dottrina cattolica concernente i sacramenti del Matrimonio e dell’Eucaristia e ha difeso la propria posizione dinanzi al vescovo e al suo sinedrio.
La principale motivazione addotta nel decreto di sospensione a divinis è il fatto di aver contestato, in pubblico e in privato, «l’insegnamento dottrinale e pastorale del Santo Padre Francesco». Questo è semmai un titolo di merito, dato che è quest’ultimo, in realtà, a dover giustificare ciò che ha detto e scritto in materia, in quanto contraddice espressamente la verità rivelata. Il medesimo, oltretutto, si è finora rifiutato di fornire i chiarimenti richiesti, provocando così nella Chiesa una situazione di scisma di fatto. Chiunque abbia una fede pura e una retta coscienza non può sentirsi in comunione con lui, finché non ritratti i suoi innegabili errori; chi d’altronde è obbligato a nominarlo ex officio può farlo sotto condizione o con riserva mentale. Per inciso: l’essere in comunione con un eretico, fosse pure conclamato, non invalida assolutamente la Messa; qualcuno ha mai letto qualcosa del genere nel Magistero o in un trattato di teologia?
Chi professa opinioni contrarie alla fede cattolica e si rifiuta di correggersi decade automaticamente dall’ufficio, sia egli semplice sacerdote, vescovo o papa; finché ciò non sia dichiarato dall’autorità competente, tuttavia, ne mantiene l’esercizio, altrimenti si cadrebbe nel caos più completo. Nel caso del papa, dovrebbero essere i cardinali a farlo, almeno quelli presenti a Roma; ma finché ciò non avvenga, rifiutare pubblicamente l’obbedienza al Romano Pontefice (a prescindere dal suo effettivo stato agli occhi di Dio) sul piano dell’ordinamento ecclesiastico equivale a rendersi rei del delitto di scisma e quindi a porsi formalmente fuori della Chiesa visibile, indipendentemente dalle proprie convinzioni di coscienza. Se qualcuno ne ha voglia, si accomodi: perché non provare l’ebbrezza di una nuova emozione?
È questa situazione anomala che consente ai fedifraghi di tenere il coltello dalla parte del manico, giacché conservano per ora un potere apparente con cui possono colpire chiunque osi dissentire. Ma dinanzi al trono divino la sentenza di quegli impostori è già fissata, qualora non si ravvedano: le fiamme dell’Inferno già lambiscono i loro panni, pronte a inghiottirli come i leviti ribelli dell’esodo (cf. Nm 16, 25-35). Del resto le bande di checche e pederasti che, sotto lo sguardo incurante del gran “riformatore”, spadroneggiano in Vaticano – e che, essendo tutti ricattabili, si scannano in selvagge faide di gelosia, denaro e potere, anche servendosi di giornalisti prezzolati che dicono di voler aiutare il papa con un presunto quarto potere – finiranno col divorarsi a vicenda. Guardateli con timore e compassione, evitando finanche di contaminarvi con il loro contatto (cf. Gd 23). Ma ci sarà pure un (o una) giornalista indipendente che informi di certi fatti scabrosi il loro capo (il quale, a colazione, non legge affatto La Repubblica, ma Il Messaggero)…
La capacità di discernere chi va seguito e chi no, ad ogni modo, è una grazia inestimabile. Perfino tanti bravi sacerdoti di sani princìpi e orientamento conservatore, infatti, sono talmente imbevuti di politicamente corretto e di acquiescenza incondizionata ai superiori che anche una semplice, franca esternazione di buon senso su controversi temi di attualità li paralizza, come se si fosse varcato un limite invalicabile e affermato qualcosa di inammissibile. Ma fino a pochissimi anni fa nessuno di loro avrebbe manifestato il minimo disagio, per esempio, rispetto a pontefici che – come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – ribadivano con tutta naturalezza il diritto di rimanere nella propria terra. È forse normale che, cambiato il papa, questo sia di colpo diventato un orribile pregiudizio razzista che non va nemmeno evocato? Dov’è finita la ragione? Forse confiscata dalla CEI e dal suo laido quotidiano, ai quali bisogna definitivamente togliere ogni appoggio economico. Ci sono mille modi per adempiere il precetto di sovvenire alle necessità della Chiesa; una firma sulla dichiarazione dei redditi non è certo l’unico.
L’ufficio sacerdotale non è una maschera da Commedia dell’arte. Anche senza essere teologi della liberazione o improvvisatori liturgici di professione, non si può girare la frittata a seconda dei gusti di chi comanda. Chi realmente conosce il Signore sa che la Sua parola non cambia e che da essa è giudicato l’operato dei Pastori, non il contrario. Invece i cattivi studi biblici hanno inculcato nei candidati al ministero l’idea assurda e sacrilega che solo la cultura attuale, del tutto irreligiosa, ci ha permesso di capire veramente la Sacra Scrittura e di interpretarla correttamente – cioè in modo da farle dire il contrario di quanto afferma… Un gran bel progresso davvero! I testi che non possono proprio esser piegati alle tesi progressiste sono semplicemente ignorati o espunti (ma in nome della fedeltà alla Parola). Chi si appella alla sacra pagina, ormai, ottiene in risposta un silenzio glaciale di scandalizzata esecrazione: l’eretico è colui che riconosce l’autorità della Rivelazione.
Questo è l’effetto della mentalità marxista che ha contagiato vescovi e superiori di seminario, i quali hanno poi influenzato i loro alunni: nell’evoluzione storica di una società tutto può cambiare, in funzione di idee e programmi che non rispecchiano la realtà oggettiva, ma devono plasmarla. Negli anni Settanta (quando si son formati loro) il sistema sovietico era ormai in piena crisi e non faceva più presa sui giovani; è stato invece il modello maoista ad attirarli con la sua rivoluzione culturale, apparentemente analoga agli “ideali” sessantottini, ma lontana quanto basta per non consentirne alcuna esperienza diretta e favorirne una fantasiosa idealizzazione. È lo spettro di Mao Tse-tung che ancora aleggia nell’episcopato, nei seminari e nei conventi, rievocato – proprio quando sembrava definitivamente dissolto – da un papa sudamericano e dai suoi quattro “postulati” incomprensibili… almeno a chi ragiona e non rinuncia a farlo per ossequio al capo del partito.
Questa forma mentis prettamente marxista si è innestata, venendone esponenzialmente potenziata, su quell’atteggiamento tipicamente clericale (che rasenta il delirio di onnipotenza) di chi crede di poter fare e disfare qualsiasi cosa. Al tempo stesso la funzione papale si è secolarizzata nel senso di una leadership mondana, inducendo nelle masse un culto della personalità che ricorda da vicino i regimi comunisti e non ha nulla a che vedere con la genuina tradizione cattolica: esso muta colore, infatti, ad ogni cambio della guardia, piuttosto che dimostrarsi segno di attaccamento all’immutabile deposito trasmesso. La tragica conclusione dell’antica storia di Cofni e Pincas deve pur insegnarci qualcosa: al momento stabilito, i profanatori sono spazzati via, ma pure il popolo infedele che li ha tollerati è coinvolto nella catastrofe (cf. 1 Sam 4, 1-11). Con umiltà e fermezza, quindi, nella forma consentita alla posizione di ognuno nel Corpo mistico, continuiamo a rivendicare ed esigere la sana dottrina e una corretta liturgia, così da trovarci, quel giorno, al riparo dall’accusa di una colpevole e comoda acquiescenza, ma non laceriamo ulteriormente la tunica di Cristo.
Pubblicato da Elia
http://lascuredielia.blogspot.com/2018/07/dentro-lovilenonostante-tutto-porro.html
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.