ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 23 luglio 2018

Liberarsi dalle paure infantili

DIVENTARE UOMO


Le 10 tappe verso "lo stato di Grazia". Quando vi si giunge è Dio che fa tutto, perché trova in noi solo della tenera cera, che si lascia docilmente modellare. Il nostro essere a quel punto è pervaso da una luce soprannaturale 
di Francesco Lamendola  

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Mi chiedi, caro amico, che ti indichi una strada, che ti suggerisca un percorso per uscire dal vicolo cieco nel quale ti senti intrappolato. Dietro le apparenze della disinvoltura mondana, quasi del cinismo, hai un temperamento caldo, generoso; in fondo, sei un entusiasta: ogni volta ti sembra di aver raggiunto la meta, e ogni volta incontri un’amara delusione. Sei stanco, dici, d’insuccessi; stanco di soffrire. Non hai più tempo da perdere, ne hai perso anche troppo; desideri fare esperienza delle cose, ma desideri che questa esperienza si trasformi in saggezza, che ti offra dei punti fermi, come sassi sul greto di un fiume, per la traversata verso l’altra sponda.
Non so che dire. Quando mi vengono fatte richieste di questo genere, sono sempre molto perplesso.


Primo, perché non sono sicuro di avere io stesso abbastanza saggezza da indicare la via agli altri. Secondo, perché non so se l’altro abbia davvero la sincera intenzione di mettersi in cammino, o non  preferisca, dopotutto, sedersi sul bordo della strada e consolarsi coi propri lamenti. Terzo, perché non sono sicuro che la saggezza della vita sia un’esperienza comunicabile o che, pur avendola trovata, la si possa dare, o ricevere: al massimo la si può suggerire, così come la si può intravedere, purché si sia nella giusta disposizione di spirito. Ma ci vuole anche molta forza di volontà: forse, più di quanta tu non ne abbia. Non è una strada per tutti, come non era da tutti traversare l’Atlantico a bordo di una caravella, oltretutto senza sapere con sicurezza quanto fosse ampio quell’oceano (e infatti i calcoli di Colombo erano sbagliati). Chi non ha abbastanza forza, abbastanza coraggio e abbastanza disponibilità al sacrificio, è meglio che se ne resti a casa, in pantofole. Dopotutto, non tutti sono chiamati a scoprire dei nuovi continenti. D’altra parte, i continenti inesplorati sono dentro di noi, e se non impariamo a conoscerli, non diverremo mai uomini e non capiremo mai niente della vita. Continueremo a ripetere gli stessi errori, a coltivare le stesse illusioni, senza imparare mai nulla, inutili a noi stessi e agli altri; e col passare degli anni, sempre più patetici, forse anche sempre più brutti. Perciò, alla fine, navigare bisogna: almeno se si vuol tentare di divenire uomini. L’alternativa è di restare degli eterni bambocci: lo fanno in tanti; lo fanno i più. Questo non dipendere dal fatto che la maggior parte delle persone conosca i propri limiti e sappia fare una giusta stima di se stessa, ma semplicemente dalla loro pigrizia e dalla loro viltà. Ma tu, caro amico, so che sei un coraggioso, questa dote te la riconosco; perciò, forse, hai ragione a voler tentare l’avventura, a voler levare gli ormeggi. Ti aiuterò, per quello che posso, dicendoti quello che ho imparato io, quello che è stato utile a me; se lo possa essere anche a te, questo è un altro paio di maniche. In fondo, le cose davvero importanti le possiamo impararle solamente da noi stessi, e da nessun altro. Da nessun altro uomo, si capisce.

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Da soli? non si è mai soli; perchè si scopre la presenza di Dio.

La prima cosa che devi fare è imparare il silenzio. Allontanati da tutto ciò che fa rumore, perché i rumori sono inutili; servono solo a coprire la voce delle cose. Quasi tutti, nella civiltà moderna, hanno adottato uno stile di vita rumoroso, però danno la colpa del rumore a delle cause esterne. La verità è che cercano il rumore per stordirsi, per farsene un alibi: non sento, così nessuno può dire che ho finto di non udire. Miseri espedienti da bambocci. Silenzio, dunque: il che vuol dire non aver paura della solitudine. Bisogna liberarsi dalle paure infantili: sono la catena che ci tiene legati e c’impedisce di volare alto. Non devi aver paura di star solo: facile dirlo, difficile metterlo in pratica. Te l’ho detto che forse queste mie parole saranno inutili; certe cose si capiscono e si accettano solo quando è giunta l’ora, cioè quando si è diventati pronti ad accoglierle, seguendo la propria strada. Comunque, se hai paura, non andrai lontano; perciò, fatti forza. La solitudine non deve far paura se non a chi non sa o non vuole camminare con le sue gambe; agli altri, è necessaria quanto l’aria che si respira. Perché ti svelerò il segreto: da soli, non si è mai soli; si scopre la presenza di Dio. Ma questo avviene solo quando è giunto il tempo; quando l’ultimo velo è caduto e si è rimasti nudi.  Finché si coltivano le umane illusioni, si cerca il rumore e si teme di restar soli.

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Alla fine del percorso cadono le ultime imperfezioni e noi siamo come Dio ci vuole: come ci ha pensati e desiderati ancor prima di crearci...

LA PRIMA TAPPA, dunque, è vincere la paura della solitudine; imparare a vivere la solitudine come una ricchezza, come un dono, come un’apertura sull’Assoluto. Finché si ha paura di restare soli, si è prigionieri della paura, e questo vale per ogni altra variante della paura. Aver paura significa essere legati come cani alla catena: la catena dell’io, che sempre brama e spera e teme qualcosa e non sa mai stare quieto. LA SECONDA TAPPA consiste nel fare pulizia: strappare le erbacce, buttar via le immondizie, estromettere i parassiti che hanno invaso il giardino della nostra anima. Si tratta di bonificare la palude, dentro e fuori. La palude interiore è quella dei nostri istinti più bassi e meschini, del nostro egoismo più becero e brutale; la palude in cui siamo immersi è quella del materialismo, del consumismo, della stupidità, della volgarità e dell’ignoranza, dell’arrivismo, del carrierismo, dell’utilitarismo sfacciato, dell’amoralismo eretto a sistema, della feroce lotta della giungla, mors tua vita mea. Entrambe le paludi vanno bonificate; e non basta operare sull’una, se, contemporaneamente, non si lavora sull’altra. Di fatto, vi è un continuo travaso di sporcizia dall’una all’altra, per cui non basta prosciugare la palude esterna, se non si fa lo stesso con quella interna, e viceversa. In pratica, ciò significa cambiare radicalmente stile di vita: basta con le sciocchezze, con le turpitudini, con tutto ciò che ci abbassa, degrada, abbrutisce. Via i superalcolici, il fumo (se eccessivo), la dieta a base di carne (se possibile); basta con la pigrizia, la sedentarietà, la poltroneria; basta con le cattive compagnie, le cattive abitudini, la promiscuità sessuale; dare un taglio ai cattivi film, ai cattivi romanzi, ai cattivi programmi televisivi (in pratica, alla televisione in quanto tale, o quasi); e attenzione ai cattivi libri, specie quelli di filosofia e teologia, o di scienza, che s’impancano a trattato antireligiosi e antimetafisici. È solo porcheria e robaccia: non si può pretendere di razzolarvi dentro e godere di buona salute, sia fisica che spirituale. Per vivere bene, bisogna acquisire buone abitudini; bisogna purificare la mente e il cuore. Si è quel che si fa, quel che si pensa, quel che si sente. Se il nostro io insegue sempre i suoi bassi istinti e i più turpi desideri, si finisce per diventare più bestie che uomini. Uomini si diventa, appunto; ma c’è anche qualcuno, o più di qualcuno, che non vi è mai riuscito, o magari non ci ha neanche provato; ci sono quelli che non son mai diventati uomini. Lo scopo di questa grande opera di pulizia è ritrovare la purezza, l’innocenza, l’ingenuità, nel senso cristiano del termine: omnia munda mundis. Per vedere le cose sotto una luce buona, bisogna purificare se stessi: se non si fa questo, anche la visione sarà oscurata, e le cose ci appariranno simili a quel che noi siamo: grigie, sporche, contaminate.
LA TERZA TAPPA è imparare ad ascoltare, nel silenzio, la voce della chiamata: della chiamata che viene dall’Alto. Non ci possiamo chiamar da soli; e chi dice di inseguire il proprio sogno, o mente o s’illude. Noi, da soli, non sappiamo fare niente: nemmeno sognare. Se sognamo qualcosa di buono, è la chiamata di Dio che si è fatta strada fra i densi strati della nostra inconsapevolezza; e a volte è necessaria quasi una vita intera per riuscire a disperdere quegli strati d’ignoranza, di paura, di resistenza. Bisogna anche saper riconoscer la vera chiamata dalle false chiamate; non è impossibile, anzi, non è nemmeno difficile. Le false chiamate vengono dal basso, dal nostro piccolo io, e non portano in alto: portano in basso o ci lasciano fermi, più o meno dove già ci troviamo; quella vera ci porta in alto, ma non ci nasconde che la via è ardua e faticosa. Non saremo tuttavia soli; Qualcuno ci aiuterà, guiderà i nostri passi, conforterà il nostro animo. La scoperta più entusiasmante è che la chiamata non contraddice il nostro vero io, non reprime e non sacrifica la nostra parte migliora, ma la disciplina, la valorizza, la espande. In pratica, per essere davvero se stessi, bisogna liberarsi della zavorra e lasciarsi guida re da Dio.
LA QUARTA TAPPA consiste nel realizzare che tutto quel che si credeva di sapere, prima di essersi posti in ascolto della chiamata, è falso, illusorio e ingannevole. Si tratta di capire che ci siamo costruiti un falso sapere, indirizzato verso un falso conoscere; che abbiamo ricoperto di dotte parole e nascosto dietro dotti concetti la nostra abissale e presuntuosa ignoranza. Tutto il sapere umano è meno di niente, se non vi è la consapevolezza che è solo un preludio, una preambolo, una preparazione al vero sapere. Il vero sapere viene dall’Alto, non ce lo possiamo dare da soli. Nessuno conquista il sapere, esso è un dono che viene dato a chi lo merita. Non è una distribuzione “democratica”, perché Dio è il Re dell’universo, non è uno dei tanti leader democratici, i quali promettono tutti a tutti, sulla base del principio: un uomo, un voto. Lo ha detto e ripetuto più volte, ad esempio quella volta che ha detto agli Apostoli (Mc 4, 11-12): A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, perché: “guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano, perché non si convertano e venga loro perdonato”. Solo quando si è compreso che siamo terribilmente ignoranti, che non sappiamo nulla, che non abbiamo capito nulla, possiamo cominciare a guardarci intorno, osservare, riflettere. Siamo condizionati, e lo siamo doppiamente: dalla nostra pigrizia e dai meccanismo intenzionali della civiltà moderna, che è stata creata apposta per manipolare e sottomettere l’uomo (mentre la civiltà cristiana è fatta per rendere l’uomo libero). Ma non saremo mai liberi finché non avremo capito di essere schiavi.
LA QUINTA TAPPA consiste nel passare a revisione la nostra conoscenza, cominciando dal linguaggio. Noi pensiamo secondo la parole che adoperiamo; eppure, senza rendercene conto, usiamo parole che altri hanno deciso cosa significhino. Può sembrare, questo, un problema puramente filologico, un problema da specialisti, invece riguarda ciascuno di noi. Prendiamo una parola qualsiasi:povero, per esempio, oggi molto usata. Ma chi è il povero? La risposta più immediata può essere anche la più banale; e si deve fare attenzione, perché una parola che esprime una mezza verità è, per ciò stesso, una parola menzognera. Se, per esempio, si pensa sic et simpliciter a chi non ha denaro, né mezzi d’altro genere, ma non si considera neppure la povertà spirituale, morale, intellettuale, si è già fuori strada. Dunque: ripartire dal linguaggio; passare in rassegna le parole che adoperiamo, e i concetti che sottintendono; poi ricostruire la nostra immagine del mondo, la nostra mappa concettuale, dopo aver passato in rassegna ogni singolo vocabolo, come si passa in rassegna ogni singola moneta per sapere se ci hanno rifilato della moneta falsa. Per pensare correttamente, bisogna adoperare le parole giuste. Ciò vale anche per i verbi e gli aggettivi. Migrare, per esempio: che significa? Le rondini migrano; i salmoni migrano; gli uomini no, i popoli ancor meno. Perciò, se la si adopera per descrivere il travaso di popolazione che oggi si verifica dal Sud del mondo verso il Nord, ci si serve d’una parola sbagliata e ingannevole, che genera idee false.

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Bisogna liberarsi dalle paure infantili: sono la catena che ci tiene legati e c’impedisce di volare alto.

  
Diventare uomo

di Francesco Lamendola

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