ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 10 settembre 2018

La banca del seme

Dinanzi ad una Chiesa visibile affetta da una decadenza dottrinale e morale irreversibile, è necessario aprire quanto prima la banca del seme

In questo momento dovremmo far tesoro delle parole del Cardinale Charles Journet [1891-1975] che nella sua opera Eglise du Verbe Incarné  spiega: 
«L’assioma “dov’è il Papa lì è la Chiesa”, vale quando il Papa si comporta come Papa e Capo della Chiesa; in caso contrario, né la Chiesa è in lui, né lui è nella Chiesa» .

Rembrandt, Cristo con gli Apostoli sulla barca in tempesta

Dato che il problema è disastroso, partiamo stemperando l’aria con un po’ di umorismo …
… rispondendo a un Cardinale che voleva rincuorarlo ricordandogli che secondo la promessa di Gesù Cristo la barca di Pietro non sarebbe stata preda della tempesta e che alla fine sarebbe giunta in porto, il Beato Pontefice Pio IX rispose: «È vero, ma il Signore ha parlato e dato garanzia per quanto riguarda la barca, non per quanto riguarda l’equipaggio» [cf. G. Cionchi, Il Pio IX nascosto, Ed. Shalom, 2000QUI]. E con questa battuta del Beato Pontefice Pio IX, che in privato era dotato di uno spirito di umorismo a tratti esilarante, passiamo all’aspetto sia mistagogico che tragico. È sì vero che Cristo stesso ha promesso che la Chiesa sopravvivrà sino al suo ritorno alla fine dei tempi, ma il Verbo di Dio ci lascia anche un chiaro quesito su cui riflettere:
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Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? [cf. Lc 18, 8]

Con estrema chiarezza il Beato Apostolo Paolo scrive agli abitanti di Tessalonica facendo uso di linguaggi e immagini drammatiche:
Vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e della nostra comunione con lui di non lasciarvi così facilmente confondere nel pensiero e turbare né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente, affinché nessuno v’inganni in qualche modo. Prima infatti dovrà venire l’apostata e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo, il figlio della rovina, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto fino a sedere nel tempio di Dio, ostentandosi come Dio. Non ricordate che, mentre ero ancora tra voi, venivano dette queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione affinché avvenga a suo tempo. Il mistero dell’iniquità è già in atto. Frattanto chi ora lo trattiene lo trattenga, finché esca di mezzo e allora sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con la luce della sua venuta, perché la presenza dell’empio avverrà nella potenza di Satana con ogni specie di portenti, di segni e prodigi di menzogna e con ogni sorta d’empio inganno per quelli che si perdono, perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. Perciò Dio invierà loro una giustificazione dell’errore affinché credano alla menzogna e così siano giudicati tutti coloro che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità  [2Ts 2,1-3.13-17]
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Rivolgendosi poi al discepolo Timoteo, il Beato Apostolo seguita a scrivere:
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Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero [II Tm 4,1-8].
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Quando il Beato Apostolo Giovanni scrisse il testo dell’Apocalisse nell’Isola di Patmos, nel versetto in cui egli narra …
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«È caduta, è caduta Babilonia la grande, quella che ha abbeverato tutte le genti col vino del furore della sua fornicazione» [Ap 13, 8].
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… facendo uso di un’immagine vetero testamentaria si rivolge all’Impero Romano, quindi a Roma celata dietro «Babilonia la grande», il tutto per motivi che chiunque può capire. Motivi legati in parte alla sicurezza e in parte alla diffusione del testo, onde evitare la loro distruzione da parte dei romani che all’epoca nutrivano forti sospetti verso il movimento gesuano e la relativa diffusione del suo messaggio.
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Trascorsi ormai duemila anni, viene da affermare che mai come oggi quel riferimento all’antica Roma celata dietro l’immagine di Babilonia sia attuale, posto che da tempo Roma «ha abbeverato tutte le genti col vino del furore della sua fornicazione» [rimandiamo agli ultimi articoli: QUIQUIQUIQUIQUI].
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Non intendo neppure sfiorare il mondo delle rivelazioni private, quelle riconosciute dalla Chiesa, nelle quali si parla da diversi secoli della grande apostasia. Con tutto il rispetto per le rivelazioni private riconosciute dalla Chiesa, ricordo che queste non sono racchiuse nel deposito della fides catholica, dove invece sono racchiusi i Santi Vangeli, le Lettere Apostoliche ed il Libro dell’Apocalisse che ci parlano del Principe di questo mondo [cf. Gv Giovanni 12, 31; 14, 30; 16, 11], dell’anticristo [I Gv 2, 18; 2, 22; 4,3; Ap 1, 13-18] e della grande apostasia [cf. II Ts 2, 1-12]. Già nell’Antico Testamento il Profeta Zaccaria preannuncia la venuta del pastore stolto:
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«Io susciterò nel paese un pastore che non si curerà delle pecore che periscono, non cercherà le disperse, non guarirà le ferite, non nutrirà quelle che stanno in piedi, ma mangerà la carne delle grasse e strapperà loro persino le unghie» [Zc 11,16].      
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Ma soprattutto è il Verbo di Dio stesso a porci il tragico quesito: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? [cf. Lc 18, 8]». Questo il motivo per il quale da anni, sebbene inutilmente, vado ripetendo che il giorno del proprio ritorno: «Quanto tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti», Cristo potrebbe anche trovare il guscio di una Chiesa completamente svuotata del Divino Verbo e riempita di altro. E questo processo di svuotamento e riempimento è in atto da oltre mezzo secolo ed oggi si trova in fase ormai avanzata, ma soprattutto irreversibile.
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I CUGINI DI CAMPAGNA
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il quartetto pop de I Cugini di Campagna

Provo tenero affetto per tutti i teologi ed i laici che erigendosi a difesa della purezza della dottrina dinanzi a questo immane sfacelo, seguitano a battagliare inutilmente contro il Modernismo e la teologia di Karl Rahner, quasi come se facendolo ormai da quarant’anni fossero rimasti fossilizzati su questo, senza rendersi conto che l’uno, il Modernismo, l’altro, il cosiddetto rahnerismo, oggi non sono più il problema. A volte mi sembra d’aver a che fare col complesso pop de I Cugini di Campagna, che seppure invecchiati, ma sempre vestiti con gli stessi abiti di moda a inizi degli anni Settanta del Novecento e con le zeppe da venti centimetri ai piedi, seguitano a cantare: «Anima mia, torna a casa tua, ti aspetterò dovessi odiare queste mura» [cf. QUIQUI]. Sono certo che infine la canteranno per l’ultima volta dentro un reparto di geriatria e poi dentro un centro oncologico per malati terminali, perché per tutta la vita hanno cantato quel motivo e fino alla fine della vita seguiteranno a cantarlo vestendo abiti della moda di fine anni Settanta e con le zeppe da venti centimetri ai piedi; abiti coi quali saranno infine deposti dentro la bara, mentre fuori da essa i membri del loro fans club canteranno in coro: «Anima mia, torna a casa tua, ti aspetterò dovessi odiare queste mura».
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Forse, i Cugini di Campagna di certa nostra teologia, pensano che se un giorno un Sommo Pontefice ordinasse alla Congregazione per la Dottrina della Fede di sconfessare di nuovo il Modernismo e di dichiarare eterodossa la teologia di Karl Rahner, il problema sarebbe davvero risolto? Pensare o sperare in questo vuol dire essere non solo al di là della ragione, ma proprio oltre i confini della realtà. E chi non riesce a percepire la realtà perché impegnato a vivere fossilizzato nelle realtà che si è creato, non dico faccia del male alla Chiesa, ma certo non concorre a risolvere i suoi problemi ed a farle del bene.
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Con buona pace di chi seguita a perdere tempo sia con i Modernisti sia con la teologia di Karl Rahner — perché questo hanno fatto tutta la vita e questo devono seguitare a fare —, ciò di cui bisogna invece prendere atto è che i primi ed i secondi erano anzitutto dei credenti. Proprio così: i Modernisti e Karl Rahner erano dei credenti come lo erano i grandi eresiarchi della storia Ario e Pelagio. Sappiamo bene quanto la loro fede fosse corrotta dall’errore, ma nessuno di loro ha mai agito per recare del male alla Chiesa, tutt’altro: erano convinti di fare il bene della Chiesa e soprattutto di essere nel giusto e quindi sentivano il dovere di coscienza di salvarla. O risulta a qualcuno che il Concilio di Nicea verso Ario, in seguito Sant’Agostino dibattendo contro Pelagio, abbiano rivolto loro accuse di essere persone senza fede? Basti poi citare il caso di Gioacchino da Fiore il cui pensiero eretico fu condannato nel 1215 dal IV Concilio Lateranense, che però non mise mai in dubbio né la sua fede né la sua personale santità di vita. Gioacchino da Fiore, che pure era uomo di profonda pietà e santità di vita, non fu mai beatificato perché speculando sul mistero trinitario era caduto — in modo sicuramente involontario —, in una precisa forma di eresia che prenderà poi nome digioachimismo millenarismo. Ma si trattava di altri tempi, oggi che infatti i tempi sono cambiati, ci si sta invece accingendo a beatificare il vescovo pugliese Tonino Bello, le cui eroiche virtù sono costituite dal fatto che era un grande impegnato nel sociale, senza tenere in alcun conto che questo suo impegno era costruito sulla demagogia, sul populismo ed il pauperismo, oltre che su di un pacifismo acritico e sentimentale totalmente scisso dalla morale e dalla dottrina cattolica. In verità il Bello è un autentico ricettacolo di eresie per la gran parte scritte, pubblicate, filmate e registrate, ossia documentate; nonché diffusore di una cristologia che parte da Cristo per giungere all’uomo e incentrarsi sull’uomo, di una ecclesiologia che in modo eufemistico potremmo definire ardìta e di una mariologia da lui confusa con la romantica poesie. Però parlava di poveri e di povertà ed era un grande impegnato nel sociale; e ciò fa forse di lui un autentico beato? E Gioacchino da Fiore, allora, quando lo beatifichiamo?
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Volendo c’è di più e di peggio: se per la prima volta nel corso della sua storia la Chiesa procedesse alla beatificazione e poi alla successiva canonizzazione del primo vescovo eterodosso, i grandi soloni della logica aristotelica e della metafisica, a quali ingegnosi artifici interpretativi pensano di ricorrere, considerando che una canonizzazione, diversamente da una beatificazione, implica un pronunciamento del magistero infallibile? Perché queste, purtroppo, sono le domande alle quali per la prima volta nella storia della Chiesa siamo oggi costretti a rispondere; e trovare certe risposte non è facile e  per nulla agevole da un punto di vista strettamente teologico e dogmatico. Eppure, prima o poi, si dovrà rispondere a questo come ad altri quesiti, sebbene io mi aspetti che qualcuno non esiterà ad affermare, in nome di quella logica capace a spingersi al di là di ogni logica, che se subentra un pronunciamento del magistero infallibile — mi riferisco alla ipotetica canonizzazione di Tonino Bello —, questo pronunciamento annullerà e cancellerà in modo retroattivo ogni eresia palese e manifesta del canonizzato, perché chi si sarà pronunciato non può errare, è infallibile, quindi gode di una assistenza del tutto speciale dello Spirito Santo … forse sino ad essere al di sopra dell’ordine stabilito da Dio e quindi di Dio stesso?
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La domanda è pertanto a dir poco logica: dinanzi a una realtà del genere, a che cosa servirebbe fare battaglia contro gli errori di Gioacchino da Fiore, nato e vissuto tra il XII e il XIII secolo? Servirebbe esattamente tanto e quanto oggi può servire far battaglia contro i Modernisti e Karl Rahner. Perché per certi teologi e pensatori, il problema di fondo non è quanto Karl Rahner avesse torto da un punto di vista dottrinale. Il problema, ma soprattutto il traguardo da raggiungere, è altro: io ho ragione e sono nel giusto a dire da una vita che Karl Rahner è nell’errore ed ha torto. Insomma: ho ragione io che ormai da quarantaquattro anni seguito a cantare in tutte le salse: «Anima mia, torna a casa tua, ti aspetterò dovessi odiare queste mura».
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Detto questo proseguo dicendo: gli anziani teologi sono liberi di seguitare a tuonare contro i Modernisti e contro Karl Rahner. E siccome, di certi soggetti, io conosco sia la testardaggine sia la misura in cui hanno finito con l’innamorarsi sia delle loro buone battaglie sia della loro idea di verità, evito di perdere tempo inutile a spiegar loro che il problema odierno della Chiesa non sono né le eresie dei Modernisti né le pericolose eterodossie di Karl Rahner, perché ben altro è il problema che loro non vogliono individuare e vedere.
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Oggi, all’interno della Chiesa viviamo la tragedia auto-distruttiva di una disgregazione del deposito della fede e del dogma derivanti dal pullulare di un numero molto elevato di vescovi e di presbiteri che sono di fatto dei perfetti atei, dei non credenti. Dinanzi al dato oggettivo e incontrovertibile di questo ateismo, non sarò certo io a perdere il mio tempo prezioso dimenandomi tra modernismo e rahnerismo, paralizzato in dispute che oggi non servono a niente, considerando che la vita Dio me l’ha data per impiegarla e non per sprecarla in modo acritico e testardo sino alla fine. Certo, i diretti interessati potrebbero dire che a questo siamo giunti anche grazie al modernismo ed al rahnerismo. Bene, ma seguitare a ripetere questo, a quale realistica e logica soluzione oggettiva può portare, se non a … «Anima mia, torna a casa tua, ti aspetterò dovessi odiare queste mura» ?
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IL SUPERAMENTO DEL PUNTO DI NON RITORNO GENERA LA IRREVERSIBILITÀ
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nelle grandi decadenze c’è sempre una soglia che delimita il punto di non ritorno

Questi lottatoricontro il Modernismo e Karl Rahner che cosa vogliono: la sconfessione di quel Modernismo già sconfessato dal Santo Pontefice Pio X e dai suoi due Successori, quindi la sconfessione di Karl Rahner, o più semplicemente che sia riconosciuta la giustezza delle loro posizioni teologiche in contrapposizione critica a quelle di Karl Rahner? Possibile che certi soloni della logica e della metafisica, persi nel loro mondo onirico e convinti di vivere in esso la massima aderenza con il reale umano ed ecclesiale, non riescano a capire che cosa comporti una situazione incancrenita e irreversibile come quella che stiamo vivendo? Possibile non giungano a capire che quando la decadenza che investe periodicamente le società civili e religiose ha superato il cosiddetto limite di guardia, indietro non si torna, perché a quel punto il processo irreversibile e inarrestabile procede a prescindere dalla volontà più o meno buona delle persone stesse o del poco che di buono resta all’interno di una Chiesa ridotta a struttura di peccato, che produce al proprio interno il peccato e che poi lo diffonde all’esterno? Qualcuno si è mai posto il problema di quanto oggi la Chiesa visibile possa avere perduta la grazia santificante a causa di un meccanismo di diabolico rifiuto sviluppato al suo interno? E non mi si venga a narrare in modo improprio che la Chiesa è il Corpo Mistico di Cristo, di cui egli è capo e noi membra vive [cf. Col 1, 18], perché lo so. E siccome lo so, colgo l’occasione per ricordare che  Il Corpo Mistico è l’unione di fedeli, costituita sulla pietra angolare che è il Verbo di Dio, guidata attraverso i secoli dal Romano Pontefice, che è bene ricordare trattasi del successore del Beato Apostolo Pietro, non del successore di Cristo, di cui è Vicario sulla terra, non successore sulla terra. Il Corpo Mistico non è solo una unione morale costituita dal comune proposito, come in una società terrena potrebbe esserlo quella che in linguaggio giuridico è indicata come “persona giuridica”, ma è un insieme di anime, unite da un vincolo vivo e vitale che è la vita di Dio, partecipata a ciascuna di esse per mezzo dei Sacramenti. Non si tratta quindi di unione acefala, oppure guidata dalla gerarchia, che sono i vescovi uniti al Romano Pontefice, bensì di una realtà che sovrasta ogni nostra aspettativa umana, di cui Gesù Cristo stesso è Capo di questo Corpo, mentre i fedeli uniti a Lui nel vincolo della divina grazia, sono le membra. È così un corpo reale, spirituale, che ha la sua base in Gesù Cristo e nella grazia santificante, le cui membra o sono già unite nella gloria della Gerusalemme celeste oppure lo sono nella certezza di fede del Paradiso. Se però dal capo di questo corpo visibile è escluso Cristo e se dal corpo visibile viene meno la grazia santificante, qualcuno intende per caso chiedersi che cosa ne sarà di questo corpo visibile? E vi prego, non venitemi a dire che la Chiesa visibile non può perdere la grazia santificante perché è di Cristo ed è assistita dallo Spirito Santo, perché con tutto rispetto mi troverei costretto a rispondere che io sono un presbìtero ed un teologo e che come tale e in quanto tale non posso ragionare con la illogicità dei maghi che leggono i fondi delle tazzine di caffè. O non è forse per caso già accaduto che Adamo ed Eva abbiano alterata dopo la creazione la perfetta armonia dell’intero creato, dopo avere negata e rifiutata l’azione di grazia santificante di Dio su di loro? [cf. Gen 3, 15]. Detto questo, qualcuno pensa per davvero, in nome della propria dogmatica surreale, che la Chiesa visibile non possa rigettare ed escludere la grazia santificante perché essendo la Chiesa di Cristo ed essendo governata dallo Spirito Santo, Dio Padre non lo permetterebbe mai? Pensare, rassicurarsi e rassicurare il Popolo di Dio trasmettendo cose del genere è veramente aberrante, nel senso etimologico del termineaberratio. Come si può solo ipotizzare che la Chiesa visibile non sarebbe mai lasciata libera da Dio di rifiutare la sua grazia santificante, se Adamo ed Eva furono lasciati liberi di ribellarsi al Creatore? E se neghiamo questo, allora possiamo tranquillamente passare per davvero dalla teologia dogmatica alla magica lettura dei fondi delle tazzine di caffè!
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E ADESSO CHE SIA DATA RISPOSTA AL MIO PARADIGMA DEL PARACADUTISTA
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se ci si lancia senza paracadute è fisicamente impossibile arrestarsi, risalire sull’aereo, indossare il paracadute e lanciarsi di nuovo …

Certi soggetti non esiterebbero a rivoluzionare le leggi della fisica in nome della loro soggettiva verità e della loro altrettanto soggettiva logica, ma il quesito che costoro dovrebbero porsi è in fondo molto pratico e anche molto semplice: per uno spaventoso errore al quale possono avere anche concorso sia i modernisti sia i rahneriani, oppure per una negligenza a dir poco assurda, è accaduto che un paracadutista si sia lanciato dall’aereo senza avere indossato il paracadute. E questa è la situazione attuale della Chiesa: un lancio dall’aereo senza paracadute. Ebbene, i grandi maestri della logica aristotelica, della scolastica e della metafisica, a questo punto dovrebbero portare le migliori argomentazioni per spiegare che questo paracadutista, precipitando verso il suolo da duemila metri di altezza, può comunque arrestarsi, risalire, provvedere a indossare il paracaduto e lanciarsi di nuovo. Se poi questi soloni della metafisica risponderanno che egli si è lanciato senza paracadute per colpa dei Modernisti e di Karl Rahner, io replicherò che ciò, fosse anche vero, ormai è cosa del tutto irrilevante, perché la causa andava individuata e annientata prima che costui si lanciasse. Se poi, peggio ancora, dinanzi al paracadutista che precipita senza paracadute, coloro che non possono mai essere privi di una risposta “logica” per tutto, si attaccassero a dire che c’è lo Spirito Santo, a quel punto io replicherò che lo Spirito Santo non è Mago Merlino, quindi li inviterò a spiegare in che modo la Terza Persona della Santissima Trinità, dinanzi ad un libero atto singolo o collettivo della volontà dell’uomo che comporta delle precise conseguenze, annullerà la sua libertà ed il suo libero arbitrio per riportarlo sull’aereo, fargli indossare il paracadute e poi lasciarlo di nuovo lanciare, dopo avere nel mentre sconfessato i modernisti ed i rahneriani, per causa dei quali egli si è lanciato senza paracadute. O detta in altri termini: sarebbe come se Dio Padre avesse annullato in Adamo ed Eva la libertà e il libero arbitrio per impedire loro di ribellarsi al Creatore e commettere così il peccato originale. Perché Dio non l’ha fatto? Tutto sommato avrebbe evitato che costoro trasmettessero poi a tutto il genere umano una natura corrotta a causa di un peccato che i loro discendenti non hanno commesso, ma che a causa loro hanno però contratto. Cosa sarebbe costato a Dio intervenire, sospendere per pochi minuti la loro libertà ed il loro libero arbitrio? Ebbene, domandiamoci perché Dio non l’ha fatto, se davvero vogliamo essere uomini di fede e di logica, anziché uomini di fideismo e di illogicità ammantati dietro le più alte speculazioni della scolastica e della metafisica. 
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Se da una parte conosciamo bene i problemi generati dal Modernismo e da Karl Rahner, al di là dei quali siamo oramai andati da tempo, conosciamo però anche bene la miopia di certe persone che presumono di avere sempre pronta una risposta logica per tutto, sino ad annegare dentro al bicchiere d’acqua della illogicità, costasse pure attaccarsi a veri e propri colpi di magia dello Spirito Santo, quindi ignorando i due fondamenti che stanno a supporto del mistero stesso della creazione dell’uomo: la libertà ed il libero arbitrio.
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LA SIFILIDE E L’AIDS SONO DUE MALATTIE DISTINTE: L’UNA NON È AFFATTO LA CONSEGUENZA DELL’ALTRA
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tra la sifilide e l’AIDS non c’è alcuna connessione, sono due malattie separate e distinte l’una dall’altra

Andiamoci poi cauti, benché io stesso lo abbia in parte fatto, nell’affermare che il Modernismo e Karl Rahner sono la conseguenza del lancio del paracadutista senza paracadute, perché la cosa non è per niente logico-consequenziale. O per dirla con un altro esempio: poniamo che negli Stati Uniti d’America scoppi una vera e propria epidemia di AIDS. In tal caso, mentre le persone infette moriranno senza possibilità di cure e di vaccini efficaci contro questo morbo, a che cosa gioverebbe ostinarsi a parlare delle prostitute spagnole che nel XVI secolo hanno infettato con la sifilide i marinai di Cristoforo Colombo, che poi la diffusero nelle Nuove Americhe tra popolazioni che non ebbero mai a conoscere certe malattie prima del loro arrivo? Eppure posso garantire che a nulla serve spiegare a questi soggetti che il problema oggettivo della modernità non è la sifilide ma l’AIDS. Ancora meno servirà spiegar loro che tra la sifilide e l’AIDSnon c’è alcun legame clinico scientifico, non c’è alcuna connessione, perché quest’ultima malattia non nasce come conseguenza degenerativa della precedente, ma si sviluppa in modo del tutto autonomo. Tempo perso! Costoro seguiteranno imperterriti a citare i casi dei marinai di Cristoforo Colombo che nel XVI secolo diffusero la sifilide nelle Nuove Americhe, perché quello hanno studiato, scritto e spiegato per tutta la vita, quindi questo intendono seguitare imperterriti a scrivere e spiegare: la Sifilide. O se meglio preferiamo: «Anima mia, torna a casa tua, ti aspetterò dovessi odiare queste mura». E se proprio devono prendere atto che oggi, il problema vero e serio, non è la sifilide ma le persone che muoiono di AIDS, a quel punto, senza curarsi di cadere nella illogicità scientifica, pur di seguitare a parlare delle loro amate e irrinunciabili teorie sulla sifilide, affermeranno senza pena di ridicolo che l’AIDS è la logica conseguenza della sifilide. Se poi qualcuno, dinanzi a certe espressioni illogiche gli riderà dietro, loro si sentiranno confermati più che mai nelle loro idee e per tutta risposta replicheranno: per forza costui ride, perché è un pericoloso sifilitico e come tale si è sentito scoperto e punto nel vivo.
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RIPARTIRE OGGI DALLA LOGICA ARISTOTELICA, DALLA SCOLASTICA E DA SAN TOMMASO D’AQUINO? PENSARLO È IRRAZIONALITÀ ALLO STATO PURO
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benvenuti nel mondo dell’irrazionale …

In una Chiesa visibile nella quale l’umorale e l’emotivo hanno preso il posto dell’oggettivo e del razionale, dove la legge è disprezzata con conseguenti accuse di “legalismo farisaico” rivolte a quanti invocano la applicazione delle norme canoniche, dove si ride dichiarandosi affetti da orticaria dinanzi ai rigori della “vecchia dottrina”, dove persino vescovi e presbiteri hanno preso il vezzo di usare le parole “dogma” e “dogmatico” in accezione negativa per indicare con questi lemmi persone chiuse ed ottuse, io faccio i miei migliori auguri a tutti coloro che oggi, dinanzi ad una Chiesa visibile nella quale l’arroganza è stata eletta a legge in un clima di anarchia totale, presumono di poter applicare la logica aristotelica ed i criteri della vecchia e gloriosa scolastica. Credo che queste persone meritino i migliori complimenti, come li meriterebbe chiunque presuma con certezza e seria convinzione di poter leggere i testi originali in ebraico del Libro della Genesi ed  testi dei Santi Vangeli nell’originale greco ad un arrogante analfabeta posto in un ruolo di governo, che lungi dall’essere consapevole del proprio analfabetismo si sente al contrario persona di alta cultura e come tale autorizzato a disprezzare la conoscenza altrui, esercitando al peggio della coercizione tutta l’autorità di cui è rivestito. Ma come si può pensare solo per scherzo di ripartire da Aristotele, dalla scolastica e dall’Aquinate, quando ad imporre il loro studio dovrebbero essere degli sprezzanti ed arroganti analfabeti che non conoscono il Catechismo della Chiesa Cattolica e che oggi occupano tutti i massimi ruoli-chiave del potere ecclesiale ed ecclesiastico?
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Perdendo quindi deliberato e inutile tempo, certi teologi si ostinano a spiegare che bisogna ripartire dalla logica aristotelica e da San Tommaso d’Aquino, come hanno raccomandato taluni Sommi Pontefici e taluni documenti del magistero, ignorando che le raccomandazioni di quei Sommi Pontefici sono cadute nel vuoto e che quei documenti di magistero sono stati completamente accantonati. E di perdere tempo inutilmente io non me la sento, specie considerando che dell’impiego della vita che mi è stata data dovrò risponderne a Dio, che non mi risulta ami particolarmente le inutili perdite di tempo o lo spreco dei talenti da Lui elargiti [cf. Mt 25, 14-30; Lc 19, 12-27]. Così lascio di buon grado questi soggetti onirici dibattere ad una platea di arroganti analfabeti sotto le rovine della casa che cade a pezzi affermando con assoluta certezza che bisogna ripartire dalla logica aristotelica, dalla scolastica e da San Tommaso d’Aquino, come diversi Pontefici vissuti decenni e decenni fa hanno raccomandato attraverso vari documenti del loro magistero. E qui domando: questi sapienti scolastici e tomisti, non si sono forse accorti che per meglio accantonare e distruggere questi documenti di magistero, si è escogitato persino l’insolito e originaleescamotage di beatificare e canonizzare i Sommi Pontefici loro autori, distruggendo però al tempo stesso il loro magistero? E se non è diabolico questo, sinceramente non so proprio che cosa lo sia. A chi poi nutrisse dubbi a tal proposito, basterebbe chiedere di riflettere su che cosa oggi rimane della Enciclica Fides et Ratio o della Esortazione Apostolica Familiaris Consortio del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, che veniva canonizzato proprio mentre dall’altra parte si facevano letteralmente in pezzi questi documenti a lui particolarmente cari. Per seguire con l’imminente Santo Pontefice Paolo VI, che da una parte sarà canonizzato e dall’altra sarà data a breve nuova lettura e interpretazione della sua EnciclicaHumanae Vitae, il tutto avvalendosi di gente come S.E. Mons. Vincenzo Paglia …
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… comunque, in questo clima di irreversibile sfacelo basterà ripartire dalla logica aristotelica, dalla scolastica e da San Tommaso d’Aquino, aggiungendo al tutto la Santa Messa celebrata col Messale di San Pio V, affinché la caduta libera senza paracadute sia finalmente interrotta, il paracadutista che sta precipitando verso il suolo possa essere arrestato nell’aria, riportato sull’aereo dallo Spirito Santo calato nel ruolo di Mago Merlino, quindi indossare il paracadute e poi lanciarsi di nuovo recitando: « introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat juventutem meam ». Quando poi dopo questa operazione sarà infine giunto sano e salvo a terra, prima gli offriremo un caffè, poi, dopo che avrà bevuto, potremo anche passare ad una lettura metafisica del fondo della tazzina.
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QUEL SUPER CONCILIO VATICANO II NATO CON LA SINDROME DI PROGERIE SUL QUALE PERÒ NON SI PUÒ DISCUTERE, IN UNA CHIESA NELLA QUALE SI DISCUTE DA TEMPO PERSINO SUI DOGMI DELLA FEDE
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nella foto l’adolescente americano Samuel Berns, affetto dalla sindrome di Progerie [malattia dei “nati vecchi”], in una foto scattata all’età di 17 anni, poco prima che morisse [tratta da Il Corriere della SeraQUI]

Dopo un processo di incubazioneche prende avvio a partire da fine Ottocento inizi Novecento, sul finire degli anni Cinquanta del Novecento ha preso vita una mutazione radicale della Chiesa, nascosta inizialmente sotto pretesti di riforma e di aggiornamento. E qui sorge un altro problema: la incapacità da parte di diversi studiosi cattolici di distingue il Concilio Vaticano II dal post-concilio, senza con ciò voler negare che certi documenti di impianto molto ottimistico, espressi per di più con un linguaggio del tutto nuovo che risente molto dello stile del romanticismo tedesco decadente, abbiano poi favorita la confusione che si è sviluppata nel post-concilio [vedere mio precedente articolo, QUI]. Se poi vogliamo guardare a quelli che sono certi limiti oggettivi del Concilio Vaticano II, possiamo limitarci a dire che i suoi documenti sono nati affetti dalla sindrome di Progerie, la cosiddetta malattia dei “nati vecchi”. E tali sono perché non parlano al futuro, ma all’uomo di un presente che stava già morendo. Del tutto diverso fu invece il Concilio di Trento, scritto nel XVI secolo, fautore di riforme e non di rivoluzioni, che ha avuto la capacità di parlare un linguaggio chiaro agli uomini dei successivi cinque secoli di storia della Chiesa. E chi questo pensa di poterlo negare, che lo neghi pure, ma lo faccia a rigore logico, non a rigore soggettivo-emotivo-ideologico, in questa miseranda e devastata Chiesa visibile nella quale il termine tridentino — riferito al Concilio di Trento — è ormai comunemente usato da vescovi, presbìteri e teologi in accezione altamente negativa, principalmente per indicare persone retrograde e ottuse.
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Anche quest’ultimo discorso è del tutto inutile al presente, perché da tempo siamo ormai parecchio al di là degli stessi problemi del post-concilio, come da tempo siamo ormai parecchio al di là di gran parte dei documenti stessi del Concilio Vaticano II, che essendo stati ammantati di ideologia spacciata per ecclesiologia, rendono impossibile a chicchessia l’apertura di sereni dibattiti scientifici mirati a dimostrare e chiarire quanto ormai certi documenti, scritti per un uomo di cinquant’anni fa che già stava morendo all’epoca in cui essi venivano redatti, oggi sono null’altro che dei testi vecchi, privi di attualità e scarsamente efficaci per parlare all’uomo del terzo millennio. E dopo questo concilio dei concili la Chiesa è stata infine imbalsamata nelle ideologie soggettive basate sull’idea di un super concilio che scuole teologiche, gruppi di persone o singoli, si sono infine ritagliati secondo i propri interessi e piaceri, dando vita ciascuno al proprio personale concilio egomenico.
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Per caso, c’è stato qualche cosa che non ha funzionato? Sicuramente. E il tutto proprio a partire dallo stile del linguaggio adottato dal Concilio Vaticano II, i documenti del quale, a partire dalla Sacrosanctum Concilium, danno direttive ma non indicazioni precise, indicando semmai anche le pene per i trasgressori, quindi aprono le porte alle postume interpretazioni per la attuazione delle riforme. E quantunque per molti tutto vada bene e tutto sia andato bene, se noi prendiamo invece la prima delle riforme, che fu quella liturgica, alla prova dei fatti la realtà odierna è questa: se oggi entriamo in una delle nostre chiese, al presente sempre più vuote, troveremo dieci preti che celebrano il Sacrificio Eucaristico in dieci modi diversi. A questo si aggiungano anche i movimenti laicali che si sono creati delle liturgie proprie che sono un brulicare di abusi liturgici di ogni genere. Se poi nel 2004, a  quarant’anni di distanza dalla grande riforma liturgica, la Chiesta ha emanata la IstruzioneRedemptionis Sacramentum [cf. QUI] nella quale si ricordano i fondamenti della Santissima Eucaristia, è evidente che qualche cosa, o forse molte cose, non sono andate poi così bene per il verso giusto.
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Questo qualche cosa che non ha funzionato bene e per il verso giusto, tra i vari nomi ne ha uno in particolare che racchiude in sé il grave e devastante problema: ermeneutica della discontinuità o della rottura, di cui come sappiamo sono potenti fautori i teologi della Scuola di Bologna, oggi grandi piazzatori di vescovi e di cardinali sotto questo Augusto Pontificato, dall’Europa sino alle Filippine. E quali sono le conseguenze di questadiscontinuità rottura? Molto semplice: tra pochi giorni un eretico conclamato, tale Enzo Bianchi, predicherà un ritiro spirituale mondiale al clero presso il Santuario di Ars, dove sono conservate le spoglie del Santo Patrono dei Sacerdoti, presente al grande evento anche il Prefetto della Congregazione per il Clero. E quando dei sacerdoti assieme al Prefetto della Congregazione per il Clero accorrono ad udire le perle di saggezza di un soggetto che semina da cinque decenni clamorose eresie, ben poco c’è da aggiungere, se non che presto risuoni la frase: «Tutto è compiuto» [Gv 19, 30].
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NOI CATTOLICI SUPERBI CHE NON ABBIAMO VOLUTO IMPARARE DALLE LEZIONI DELLA STORIA
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quei segni che ormai non siamo più capaci a leggere e interpretare: nel giorno in cui il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha fatto atto di rinuncia al sacro soglio, tre fulmini hanno colpito in successione la croce posta sulla palla della cupola dell’Arcibasilica di San Pietro, il terzo dei quali è stato fotografato e ripreso in video [cliccare sull’immagine per aprire il video]

Il problema reale è che da una struttura piramidale qualcuno ha smosso le pietre della base, causando il progressivo crollo della piramide dalle base sino alla punta. E mentre questo crollo è in atto, qualcuno sta seriamente dibattendo sulla urgente necessità di dichiarare quanto sia falsa la divinità di Anubi i cui affreschi realizzati in onore del suo culto si trovano in una delle sale interne della piramide. Insomma: sconfessiamo i Modernisti e Karl Rahner mentre tutta la piramide sta crollando, perché poi, con la loro condanna, a quel punto la piramide si rimonterà da se stessa dalla base sino alla punta estrema, perché la piramide è di Cristo ed è retta dallo Spirito Santo, quindi il Figlio e lo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio, provvederanno a quest’opera. E, come capite, dinanzi a chi la pensa a questo modo e dinanzi a chi ha degli approcci simili con la pneumatologia, siamo davvero alla metafisica trasformata in magia.
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Con una superbia che alla fine sarebbe stata inevitabilmente punita, noi cattolici ci siamo rifiutati di imparare dalle solenni lezioni della storia. Tutte le grandi civiltà antiche, dai sumeri agli assiro-babilonesi, dagli egizi ai greci sino alla caduta del grande impero romano, hanno innescato a un certo punto dei processi di decadenza irreversibili. E come ho spiegato col paradigma del paracadute, la decadenza è irreversibile quando supera il punto di non ritorno, quando ci si lancia dall’aereo senza paracadute; un fatto nato da un atto di più o meno libera scelta dinanzi al quale nessuno, neppure lo Spirito Santo, può intervenire sovvertendo tutte le leggi della fisica in soccorso dell’uomo libero e dotato di libero arbitrio.
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Tra non molto tempo, entro un ventennio al massimo, la Chiesa Cattolica come noi l’abbiamo conosciuta non esisterà più. Esisteranno piccoli nuclei sparsi per il mondo che avranno salvato i fondamenti del deposito della fede. Le grandi strutture ecclesiastiche saranno convertite in stabili destinati a tutt’altri usi, le gloriose e antiche chiese monumentali saranno musei, sale da concerto, centri di esposizione d’arte, o adibite a vari generi di attività profane. Se al Pontefice Regnante ne succedessero altri due o tre di simile o peggiore impostazione, presso la attuale Santa Sede troverà infine naturale dimora l’Unione Spirituale delle Chiese Socio Cristiane, scopo delle quali sarà di portare avanti attività mondane sociali, benefiche e filantropiche, il tutto con la benedizione della Società delle Nazioni Unite. I bambini delle scuole riceveranno qualche scarna notizia su un certo Gesù Cristo come oggi ricevono notizie sui faraoni egizi o sui primi re di Roma, con il discorso interamente incentrato sulla sua umanità e non sulla sua divinità. Ma soprattutto, di quella che fu la Chiesa Cattolica, sarà tramandato ai posteri il meglio del peggio delle leggende nere che la renderanno simile ad una delle più grandi associazioni di criminali esistite nel corso degli ultimi duemila anni di storia, fintanto che ella non si purificò da tutte le sue antiche brutture uniformandosi al mondo e seguendo le regole del mondo, divenendo la Chiesa dell’uomo per l’uomo che ha messo finalmente l’uomo al proprio centro.
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Qualcuno potrebbe dire che oggi occorrerebbe un nuove Gregorio o un nuovo Leone Magno. Chi però pensa questo, per usare l’immagine del cosiddettotransfert freudiano, trasferisce l’immagine di Mago Merlino al quale è stato ridotto spesso lo Spirito Santo, con l’immagine di un Sommo Pontefice che sia egli stesso un Mago Merlino. Infatti, in una situazione di totale e inarrestabile decadenza ecclesiale, morale, spirituale e dottrinale, che cosa mai potrebbe fare un Gregorio o un Leone Magno redivivo? Forse potrebbe governare la Chiesa con gli squallidi e immorali personaggi che brulicano numerosi tra i presbìteri, tra i vescovi e tra i cardinali? O forse potrebbe governarla e purificarla con un esercito di vescovi e presbiteri che per alto e inquietante numero sono omosessuali praticanti, come dimostrano inconfutabilmente i fatti, non certo le malevole supposizioni? È presto detto: nell’ipotesi migliore, un potenziale Gregorio o Leone Magno farebbero in breve la fine del Sommo Pontefice Celestino V.
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Ma per la santa carità: ci vogliamo rendere conto che tutta l’intera struttura ecclesiastica e gerarchia è ormai totalmente infetta dalla coda sino al capo?
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Bisogna quindi dare ragione a tutti coloro che sulla scia del nuovo corso urlano eccitati «indietro non si torna!». Hanno ragione, purtroppo. Io stesso debbo essere d’accordo con loro: «Indietro non si torna». Ma se però un coraggioso Sommo Pontefice che non so proprio dal cilindro di quale prestigiatore potrebbe essere tirato fuori, condannasse il Modernismo e Karl Rahner, ripristinasse gli studi della buona scolastica, della metafisica e del tomismo, tutto si risolverebbe per magico incanto. Sempre per tornare al paradigma del paracadute …
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LA BANCA DEL SEME
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quei segni che nessuno legge e interpreta più: Angelus il Piazza San Pietro, il Sommo Pontefice fa lanciare da due bimbi due colombe, che pochi istanti dopo vengono attaccate ed uccise da un corvo e da un gabbiano, mentre il Santo Padre congedava la folla augurando «buon pranzo» anziché congedarci con un «Sia lodato Gesù Cristo» [cliccare sull’immagine per aprire il video]

Mentre questo si sta realizzando,mentre dinanzi alla concretizzazione del disastro c’è chi non trova di meglio da fare che invocare condanne dei Modernisti e di Karl Rahner, in attesa che lo Spirito Santo, non più sotto forma di colomba o di lingue di fuoco ma appunto sotto forma di Mago Merlino, sistemi tutto con un colpo di magia, io penso sempre di più all’isola della Norvegia dove si trova l’istituto che conserva 84.000 campioni appartenenti a più di 60 generi e 600 specie di piante coltivate e specie selvatiche minacciate da “erosione genetica” o estinzione.
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Questo è il nostro compito: salvare i semi del Vangelo di Gesù Cristo Verbo di Dio incarnato, morto, risorto e asceso al cielo. Se infatti lo stabile di una chiesa prendesse a fuoco, il presbìtero che cosa deve fare immediatamente? Togliere il Santissimo Sacramento dal tabernacolo e mettersi in salvo col tesoro più prezioso. E se in una biblioteca di testi sacri scoppiasse un incendio e quei testi fossero destinati ad andare perduti per sempre, qual è il primo testo che si corre a salvare: il Santo Vangelo, oppure l’Etica nicomachea di Aristotele e la Summa Teologica di San Tommaso d’Aquino? Che cosa ce ne facciamo di Aristotele e di San Tommaso d’Aquino senza il Santo Vangelo?
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La Chiesa, anche se ridotta ai minimi termini e ad una sparuta minoranza di persone silenziose disseminate per il mondo, torni a germogliare in tutta la sua purezza, chissà mai tra quanti secoli. E forse sarà allora, che Cristo tornerà nella gloria per giudicare i vivi ed i morti: al momento della rinascita. Invece, se Cristo tornasse nella gloria per giudicare i vivi e i morti in questo momento di totale e decadente disgregazione, il suo giudizio sarebbe veramente terribile, proprio come Egli stesso ci ha detto:
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«In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città» [Mt 10, 15]. «Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli compiuti tra voi, già da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e coprendosi di cenere. Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? No, fino agli inferi sarai precipitata!» [Lc 10, 13-15].
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La misericordia di Dio si manifesta a questo modo,ed è una misericordia diversa dalla misericordia dei giorni nostri, svuotata di Dio e riempita dei peggiori capricci mondani dell’uomo. Proprio come il Vangelo, al quale facciamo dire di tutto, pur di nascondere ciò che dice, grazie ad una Chiesa visibile che ormai mostra al mondo di vergognarsi dei veri contenuti del Santo Vangelo, implorando perdono al mondo per i contenuti chiari, precisi e severi racchiusi nel Santo Vangelo e nelle Lettere Apostoliche. Bisogna pertanto puntare alla banca del seme, per la Chiesa che poi un giorno verrà, forse poco prima del ritorno di Cristo Signore alla fine dei tempi. E se noi salveremo i semi del Santo Vangelo, allora un giorno, forse tra alcuni secoli, rifiorirà anche la grande letteratura dei Santi Padri e Dottori della Chiesa.
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PUÒ UN ROMANO PONTEFICE LEGITTIMAMENTE ELETTO E SUCCESSORE LEGITTIMO DEL BEATO APOSTOLO PIETRO ESSERE PRIVO DELLA GRAZIA DI STATO ?
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In questo momento dovremmo far tesorodelle parole del Cardinale Charles Journet [1891-1975] che nella sua opera Eglise du Verbe Incarné  spiega: «L’assioma “dov’è il Papa lì è la Chiesa”, vale quando il Papa si comporta come Papa e Capo della Chiesa; in caso contrario, né La Chiesa è in lui, né lui è nella Chiesa» .
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Anche in questo caso sono stanco di dibattere inutilmente con coloro che in modo deciso e assoluto negano di prendere solo in vaga considerazione l’ipotesi che un Sommo Pontefice possa essere chiuso alle azioni di grazia dello Spirito Santo, su di lui riversate con indubbia abbondanza, ma che in lui ed attraverso di lui possono operare solo se egli accetta i doni di grazia e li mette a frutto. Ecco allora che questi soggetti si arrampicano sugli specchi del loro totale rifiuto, ed a questo problema reagiscono confermando e sostenendo come dei juke box a gettone la cantilena … «Si, però il Sommo Pontefice non può mai errare quando si pronuncia in materia di dottrina e di fede, è dogma, dogma, dogma!».
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Domanda rivolta ai grandi soloni della metafisica e della dogmatica: ma è la grazia di Dio che parla e agisce attraverso di lui, od è invece lui che agisce a prescindere dalla grazia, giacché essendo magicamente non defettibile in materia di dottrina e di fede, può esprimersi infallibilmente anche se chiuso alla grazia e fuori dalla grazia santificante di Dio? Perché in tal caso non siamo né dinanzi alla metafisica né dinanzi alla dogmatica, ma dinanzi alla magia. È infatti la magia che in sé e di per sé è totalmente irrazionale, mentre la dogmatica ed il dogma non sono affatto irrazionali, si edificano su principi razionali, per quant’è vero che il Verbo s’è fatto carne, non s’è fatto pensiero vaporoso.
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Dinanzi a queste forme di chiusura al ragionamento che sono la conseguenza della fuga dalla realtà da parte di tutti coloro che presumono di avere sempre una decisa risposta logica per tutto, salvo rinchiudersi in quattro formule protettive quando di risposte da dare al momento non ve ne sono, torno a ripetere che non siamo nell’ambito né della metafisica né in quello della dogmatica, ma nell’ambito della magia, se non peggio dello gnosticismo. Come può infatti lo Spirito Santo, attraverso le sue azioni di grazia, annullare la volontà o la non volontà dell’uomo, vale a dire la sua libertà ed il suo libero arbitrio, per sdoppiarlo a proprio piacimento e renderlo così all’occorrenza totalmente indefettibile, qualora la sua natura non fosse liberamente aperta alla grazia di Dio? Perché se ciò avvenisse, in tal caso Dio entrerebbe in contraddizione con il mistero della creazione e quindi con sé stesso per opera dello Spirito Santo, ed in tal caso il nostro Dio sarebbe un dio magico, un dio gnostico. Il tutto sempre per tornare alle grandi menti speculative che di fronte a problemi sino a pochi anni prima inimmaginabili, ma purtroppo oggi reali, anziché speculare veramente si rinchiudono dentro la gabbia delle loro quattro formule dogmatiche ribadendo decisi e inamovibili dinanzi alla tragica evidenza dei fatti: «… è indefettibile, non può errare, è dogma, dogma, dogma!». E qui merita ricordare che i dogmi non sono gabbie per uomini che rivendicano a un certo punto il diritto a non ragionare, ma sono il cuore più profondamente ragionato del mistero della fede, perlomeno stando ad un grande maestro della scolastica, Sant’Anselmo d’Aosta, che afferma in che misura «la fede richieda l’intelletto e l’intelletto la fede» [Fides quaerens intellectum. In Prosl., Proemio], ed ancora: «Credo per comprendere, comprendo per credere» [credo ut intelligam, intelligo ut credam]. E questi due sono i fondamenti portanti della filosofia scolastica, la quale mai, a proprio fondamento, ha posta la magia.
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Ebbene vi confesso che di questa gente sono stanco. Sono stanco di coloro che dinanzi ad un incendio in una biblioteca di testi sacri destinati ad andare perduti per sempre, si precipiterebbero a salvare il testo Iota Unum di Romano Amerio mentre il Santo Vangelo brucia. Come del resto sono un po’ stanco in generale, tanto da chiedermi con una certa frequenza: merita seguitare a speculare, analizzare e scrivere, oppure sarebbe più opportuno rinchiudersi per tutta la vita che mi resta in una certosa con voto di assoluto silenzio, dedicandomi alla preghiera e alla penitenza sino alla morte? Nel mese di agosto, pochi giorni dopo il compimento del mio 55° compleanno, mentre il tempo scorre mi sono proposto più che mai di lavorare ad impiegare bene tutto il tempo di questa vita che mi separa dalla morte, né intendo sprecarlo per difendere l’indifendibile o per salvare l’insalvabile, meno che mai per esporre la mia dignità umana e sacerdotale al pubblico ridicolo pur di cercare nei documenti del Sommo Pontefice Francesco I ciò che egli non ha mai detto e scritto, tirando fuori a tutti i costi da essi il buono che proprio non c’è, attraverso artifici interpretativi che hanno invero del patetico, perché non gli si può mettere sulla bocca quel che di buono non ha detto dopo avere fatto il processo alle sue più profonde intenzioni. Dinanzi all’indifendibile le soluzioni sono tre: i rimproveri e le denunce di San Giovanni Battista, il quale come sappiamo perse la testa; la analisi speculativa della situazione per ciò che è, non invece per ciò che vorremmo che fosse; il completo ritiro dal mondo e il voto di totale silenzio per tutta la vita. Sono tre modi diversi ma tutti efficaci per operare al meglio in questa situazione disastrosa e irreversibile. Per adesso io ho scelto la prima soluzione, il modello Giovanni Battista, ma potrei anche decidere di scegliere la terza, con efficacia forse persino maggiore.
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Il problema, non è infatti lieve: come possiamo, noi, interpretare colui che dovrebbe essere il custode e l’autentico interprete della fede? O duole proprio molto a certe menti dover accettare ed ammettere che il custode della “magica infallibilità”, da cinque anni a questa parte ha dimostrato con le sue deliberate e per nulla involontarie ambiguità, di aver fatto esplodere nella Chiesa il relativismo teologico e morale, assieme allo sconcerto e alla divisione, come mai prima s’era visto nella Chiesa visibile? Possibile che tra i soloni della grande teologia, non ce ne sia uno solo che si ponga un quesito, semmai destinato a rimanere senza risposta, vale a dire questo: potrebbe verificarsi un caso nel quale un Sommo Pontefice, chiuso alle azioni della grazia santificante dello Spirito Santo, finisca col risultare privo della grazia di stato che è propria del suo alto ufficio, semmai con tutte le conseguenze che oggi abbiamo sotto gli occhi, il tutto a prescindere dalla sua legittima elezione e dal ruolo da egli altrettanto legittimamente occupato?
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E con questo è presto detto, cari e numerosi Lettori, che su questo quesito si potrebbe giocare anche la sopravvivenza stessa de L’Isola di Patmos, posto che io non vi prenderò mai in giro, perché «Dio vi ha affidati a me», ed un padre non può né mai deve prendere in giro i figli che domandano conforto, aiuto e sostegno nella prova, pur di non affrontare gli spettri dei Dèmoni che ci volteggiano attorno e che ci spaventano moltissimo in questa notte buia.
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In questo momento la nostra salvezza è racchiusa nella virtù teologale della speranza, sulla quale scrissi abbondantemente nel 2014 [vedere QUI]. La speranza è la grande virtù mediana che lega assieme fede e carità. E siccome io sono stato istituito a servizio del Popolo di Dio ed immesso col sacerdozio nella paternità universale, a questo Santo Popolo intendo offrire la via della speranza, mai però la via dell’illusione, proprio perché sono un sacerdote di Cristo, non uno spacciatore di acidi allucinogeni, ma soprattutto perché considero quello di Dio un Popolo Santo, non un popolo bue al quale dare una carezza e un’aspirina mentre un cancro in fase terminale corrode da tempo il nostro corpo ecclesiale ed ecclesiastico, mentre la Chiesa visibile è già nell’anticamera di un obitorio ridotto per l’occasione ad un circo equestre di pagliacci, nani e ballerine.

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo


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dal’Isola di Patmos, 9 settembre 2018

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