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Martedì scorso, 11 settembre, alla Camera dei Deputati, è stato presentato il libro di Rod Dreher L’Opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano. Ospite d’eccezione, monsignor Georg Gänswein, che nel suo intervento, in prima battuta, ha paragonato la crisi degli abusi sessuali da parte di membri del clero all’attentato alle Torri Gemelle, avvenuto diciassette anni fa. Tralasciamo l’imbarazzante accreditamento dell’indifendibile versione ufficiale dell’attentato di matrice islamica, ampiamente smentita da tutta una serie di considerazioni (fra le più ovvie, l’impossibilità che un aeroplano penetri una struttura d’acciaio e che quest’ultima, anziché inclinarsi, imploda su se stessa, a meno che non ne siano state minate le fondamenta). Ma ci sono ben altri aspetti del suo discorso che lasciano quanto meno perplessi, se non sbalorditi.
Tanto per cominciare, il brillante prelato fa esplicito riferimento all’inchiesta della magistratura della Pennsylvania, ma neanche una vaga allusione all’esplosiva denuncia di monsignor Viganò, come se nulla fosse accaduto. Tuttavia egli afferma che è «scoccata l’ora dei laici forti e decisi, soprattutto dei nuovi mezzi di comunicazione cattolici indipendenti»: proprio quelli che, negli Stati Uniti, stanno dando enorme risalto a detta denuncia. Un diplomatico assist all’ex-nunzio? o un implicito invito a preti e vescovi a non immischiarsi nella questione, visto che se ne occupano i fedeli? Tenendo conto del delicato ruolo dell’oratore a fianco del Pontefice infelicemente regnante e delle immancabili incensate che gli indirizza nella medesima relazione, è difficile ammettere la prima ipotesi, salvo che non sia davvero un messaggio in codice.
Il personaggio in questione, per la verità, non ci rassicura affatto. Non è certo la prima volta che, presentando un libro, le spari grosse. Due anni fa, alla presentazione di una biografia di Benedetto XVI all’Università Gregoriana, lanciò la bizzarra idea del papato allargato, interpretando l’anomala compresenza di due papi come una sorta di spartizione dell’esercizio attivo del primato petrino e del suo aspetto spirituale, indicando altresì in papa Ratzinger l’artefice di una presunta mutazione del papato. Qualunque teologo o canonista che si rispetti sa bene che nessun successore di Pietro ha il potere di modificare nella sostanza un ruolo di istituzione divina, neanche il proprio; ma ad essere totalmente inaccettabile è soprattutto l’idea che dal supremo pontificato si possa scorporare l’uno o l’altro elemento. Il munus petrinum è, per essenza, la suprema giurisdizione su tutta la Chiesa: non è quindi un fatto spirituale o sacramentale, bensì una realtà prettamente giuridica, cui è connessa una speciale assistenza dello Spirito Santo in ragione dell’ufficio.
Il suo esercizio, se non è attivo, non è affatto. È fuor di dubbio che esso esiga uno spirito umile e obbediente a Cristo per una fedele conservazione e trasmissione del deposito da Lui ricevuto (di cui il papa è ministro e non padrone); ma, qualora un pontefice abdichi, perde completamente il suo ruolo e rimane semplice vescovo. Se Benedetto XVI ha realmente inteso rinunciare a un aspetto soltanto del suo ministero, il suo atto è invalido per errore sostanziale circa l’oggetto della rinuncia e, di conseguenza, è invalida anche l’elezione del successore. Si rende dunque conto monsignor Gänswein, dottore in diritto canonico, dell’enormità che ha affermato? Oppure, anche in quell’occasione, ha voluto lanciare un messaggio in codice secondo cui Ratzinger sarebbe ancora papa, pur avendo in qualche modo delegato a Bergoglio l’esercizio del potere? Il meno che vien da pensare è che la Chiesa non ha mai avuto amministratori delegati e che, se fosse questa l’evocata mutazione del papato, non vediamo proprio come fondarla sul piano teologico, almeno noi comuni mortali…
Un altro aspetto inquietante dell’intraprendente prelato è il suo ruolo nel primo Vatileaks. Si fa molta fatica a credere che Paolo Gabriele, miracolosamente innalzato da addetto alle pulizie nella Basilica di San Pietro ad aiutante di camera di Sua Santità, sia riuscito a fotocopiare migliaia di documenti riservati, prelevati direttamente dalla scrivania del Pontefice, senza che il segretario particolare si sia mai accorto di niente, selezionando oltretutto i più delicati e dirompenti con un fiuto degno soltanto di un navigato officiale della Segreteria di Stato. La versione sostenuta da Gabriele – e incredibilmente ammessa dai giudici – è di aver agito da solo per il bene della Chiesa. Dopo il processo e la grazia da parte del mite Benedetto, tuttavia, il tenore di vita del povero Paolo ha conosciuto un balzo repentino che gli ha consentito di iscrivere tutti e quattro i figli a costosissimi licei e università private… Una storia davvero intessuta di miracoli!
Ora, quale può essere stato l’intento del bel Georg, avvezzo a rilasciare interviste di una disarmante superficialità? Posto che le intenzioni le conosce solo Dio, non possiamo comunque fare a meno di tentare delle ipotesi. Vedendo da vicino la cancrena che ha invaso la Curia, ha forse cercato di aiutare Benedetto facendo venire alla luce scandali e situazioni che l’anziano pontefice non era più in grado di gestire? Moralmente parlando, sarebbe stato un metodo quanto meno discutibile; ma il fatto è che uno dei primi documenti resi pubblici è proprio la lettera con cui monsignor Viganò, prima di esser spedito negli Stati Uniti, metteva in guardia il Papa dal cardinal Bertone. Viste però le relazioni eccellenti che Gänswein intrattiene con elementi di spicco della politica e della finanza, possiamo realisticamente immaginare che abbia agito per puro amor di Dio o piuttosto per conto di un gruppo che mirava a sbarazzarsi dell’ingombrante Segretario di Stato, un megalomane che di fatto governava al posto di Ratzinger?
Come che sia, alla fine il megalomane è saltato, ma, prima di lui, anche il Papa… Il primo, di fatto, rimane intoccabile nel suo sconfinato attico vaticano, segno che continua ad avere la sua influenza tramite gli uomini che ha piazzato dappertutto, nonostante Bergoglio gli abbia ficcato una spina nel fianco con un Galantino catapultato in un vitale ganglio finanziario, l’amministrazione dell’immenso patrimonio della Sede Apostolica. Alla fin fine, l’impressione è che si tratti di una grande partita a scacchi tra partiti rivali che, cercando comunque di tenerlo sotto controllo, appoggiano o detestano l’argentino per interessi contrapposti. Ciò che sempre rimane in ombra, in tutto questo discorso, è l’intreccio di sesso, denaro e potere che ha trasformato il cuore della Chiesa Cattolica in un covo di affaristi e pervertiti senza scrupoli. Che posto vi occupi il Prefetto della Casa Pontificia, non ci è dato saperlo; ma, visto il contesto, il fatto che egli liquidi la crisi della Chiesa come una crisi del clero è così semplicistico da risultare offensivo.
Ancora una volta, tutto il peso è riversato indistintamente sui preti – e proprio da un chierico, non dalla stampa di sinistra. Ciò non fa altro che accrescere lo smarrimento e la confusione dei fedeli, che si sentono sempre più traditi e abbandonati, nonché l’amarezza e lo scoraggiamento di tanti sacerdoti che si spendono e consumano giorno per giorno al servizio del loro gregge vedendosi ricompensati con la pubblica gogna, che di tutti fa un unico fascio di infami violentatori di efebi. Non siamo certo così ingenui da non avvederci che il clero cattolico – e non da oggi – sia in grave difficoltà; ma la vera ragione della crisi attuale (comprese le sue ripugnanti manifestazioni estreme) è una crisi della fede, dovuta a sua volta allo scardinamento della dottrina provocato da false teologie e allo snaturamento della liturgia, svilita, parodiata e vilipesa. Gänswein insiste sì sull’oscuramento di Dio nell’odierna società occidentale, ma senza individuarne le cause né trarne le dovute conseguenze in rapporto alla vita morale e agli scandali ecclesiastici.
Negli ultimi cinquant’anni è l’identità sacerdotale stessa che è stata deliberatamente demolita; ma certi interventi, anziché difenderla, non fanno altro che continuare nella medesima direzione di uno smantellamento del sacerdozio, rendendo la condizione dei buoni ministri sul campo sempre più insostenibile, mentre la casta curiale rimane salda in sella senza esser punto scossa da scandali immani. Qualcuno si è posto il problema, là tra le mura leonine? o è proprio questo che vogliono? Nel secondo caso – e sia detto senza acredine, bensì con l’odio perfetto di cui discorrevamo l’ultima volta – che il Signore li giudichi e che faccia presto: non per gli interessi di una categoria nella Chiesa, ma per il bene dei fedeli che non sanno più da che parte sbattere la testa.
Venga dunque la Sua sentenza su di loro; è del tutto lecito chiederlo, rendendo questa domanda irresistibile con l’offerta della propria sofferenza, purché non lo si faccia per rabbia. Chi parla o agisce in modo scomposto, fra i difensori della Tradizione, tradisce in realtà un rifiuto di portare pazientemente la croce che il Signore, nei Suoi disegni di imperscrutabile sapienza, ha posto sulle spalle della nostra generazione. Non ammettendo che la Provvidenza ritardi l’esaudimento dei loro desideri, per quanto legittimi, costoro si agitano e protestano nell’illusione di poter così accelerare i tempi; ma l’impazienza li rende sterili sul piano soprannaturale. Invece chi accetta umilmente di stare sotto il peso per tutto il tempo che Dio vorrà, paradossalmente, può alzare la testa con la giusta fierezza di chi, pur con tutte le sue debolezze, vuol sinceramente appartenere a Cristo e servirlo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze.
Pubblicato da Elia
http://lascuredielia.blogspot.com/2018/09/crisi-del-clero-o-crisidella-fede.html
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