ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 29 ottobre 2018

Almeno..

Il Summorum Pontificum gode di ottima salute


Si è concluso ieri, domenica 28 ottobre, il pellegrinaggio del Coetus Internationalis Summorum Pontificum, che ha portato ancora una volta, in grande stile, il popolo delle Messa di San Pio V in San Pietro. 
Anche quest’anno la presenza numerica è stata notevole. Da segnalare l’aumento percentuale dei (cosiddetti) ragazzi. Facendo un conto spannometrico, un terzo dei presenti era composto da persone con meno di trent’anni, percentuale che si alza a circa metà se consideriamo giovani (secondo l’uso moderno) anche i quarant’enni. 

Il pellegrinaggio è indice non tanto della crescita del numero di fedeli che si riconoscono nella liturgia antica (che c’è ed è costante), ma di un vero e proprio radicamento nella Chiesa a livello internazionale. Per dirla in termini post conciliari, sembra che sia nato un settore della Catholica con il carisma della liturgia. Un popolo poliglotta che però a Messa parla una lingua sola, multiculturale e multietnico (con una rappresentanza importante dall’Africa di lingua francese).
Per dare una misura numerica dello stato della Messa in latino in Italia e dell’applicazione del Motu Proprio, rimandiamo alla relazione di Marco Sgroi, Presidente del Coetus italiano. Testo tratto da MessaInLatino.it. Abbiamo indicato in grassetto alcuni punti che riteniamo particolarmente significativi.

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Eminenza Reverendissima, Eccellenze, Reverendi Monsignori, Reverendi Padri, cari Amici,
insieme ai Revv. Can. Joseph Luzuy – Provinciale d’Italia dell’ICRSS – e Don Raffaele Roffino – Parroco di Rivarolo in Diocesi di Ivrea – mi è stato assegnato il compito di tratteggiare lo stato di attuazione, e gli spazi di ulteriore sviluppo, del Motu Proprio Summorum Pontificum in Italia. Cercherò di farlo dando il quadro della situazione sia dal punto di vista quantitativo, sia, per così dire, qualitativo. 

1. Incominciamo dai numeri.
In questi anni il CNSP ha censito le Ss. Messe VO che si celebrano regolarmente in Italia: cioè che si tengono a cadenza fissa e certa (ogni domenica, ogni primo venerdì del mese, ogni sabato o ogni vigilia, e così via). Non sono state censite le celebrazioni occasionali, né quelle con cadenze variabili (per es. qualche volta il martedì, altre volte il sabato, talora la domenica).
Non si tratta di un elenco esaustivo: non solo perché è possibile che talune celebrazioni ci siano sfuggite, ma anche perché ve ne sono ancora alcune cui i promotori desiderano che non venga data pubblicità. Inoltre, non sono contemplate le SS. Messe rigorosamente private che alcuni Sacerdoti celebrano anche quotidianamente, anche se i fedeli potrebbero assistervi (per esempio, dato che siamo a Roma, è noto che vi sono alcuni Sacerdoti che celebrano quotidianamente in S. Pietro).
Al CNSP risulta che le  Ss. Messe regolari celebrate in Italia siano oggi 123. Di queste, 73 sono messe settimanali domenicali e festive (tutte le domeniche e i giorni di precetto, salvo eventuali pause estive); le altre 50 non sono domenicali o, se domenicali, non sono settimanali.
Vi sono poi 15 Ss. Messe celebrate, con varie cadenze, dalla FSSPX.Non abbiamo considerato le (pochissime) Ss. Messe celebrate dai gruppi sedevacantisti.
Non sappiamo con esattezza quante di queste celebrazioni siano state avviate in virtù del Motu Proprio, poiché alcune (ad es. Torino, Gesù e Maria a Roma e altre) risalgono al periodo indultista o a prima ancora, e non disponiamo di un censimento della situazione anteriore al 14 settembre 2007. Tuttavia, secondo una stima che trovo attendibile, le “nuove” celebrazioni dovrebbero essere tra 90 e 100, forse anche qualcuna in più: dunque un incremento di almeno il 270% in dieci anni.
Dal punto di vista geografico, purtroppo, l’Italia è spaccata in due. Delle 123 Ss. Messe regolari, 96 vengono celebrate a Nord di Roma, 27 da Roma inclusa in giù, isole comprese. Cioè il 78% delle Ss. Messe è collocato al centro-nord, solo il 22% al sud/isole.
Circa il 15% delle celebrazioni è assicurato da Sacerdoti degli Istituti ED, il restante 85% da clero diocesano o da religiosi.

2. E veniamo agli aspetti “qualitativi”.
Si dice talora che l’applicazione del Motu Proprio avviene in termini eccessivamente episodici, senza che ne scaturisca un assetto stabile e una vera vita spirituale tradizionale. La diffusione della liturgia tradizionale dopo l’entrata in vigore del Motu Proprio, dunque, non avrebbe ancora raggiunto un livello qualitativo soddisfacente.
Pur essendo indubbio che la diffusione della liturgia tradizionale in Italia abbia ancora molta strada da percorrere, tale giudizio è oggi eccessivamente negativo, e vi sono elementi significativi per una valutazione meno pessimistica. Vorrei metterne in evidenza tre.
In primo luogo, iniziano a farsi pian piano più frequenti, benché siano ancora rare, le celebrazioni di prime Comunioni, il conferimento della Cresima, la celebrazione dei matrimoni[1] nelle comunità che praticano abitualmente la liturgia tradizionale. 
Ciò significa che almeno presso alcuni Coetus Fidelium si è sviluppata anche la preparazione ai sacramenti, cioè una qualche forma di catechismo. In queste realtà,in progressivo aumento, la liturgia tradizionale ha attecchito, per dir così, ben oltre l’ambito occasionale di celebrazioni estemporanee. Mi è capitato di sentire qualche amico vagheggiare la trasformazione del proprio “centro di Messa” in parrocchia personale. Oggi come oggi si tratta ancora di un desiderio quasi sempre irrealizzabile, ma indicativo, secondo me, del fatto che l’applicazione del Motu Proprio sta facendo un salto di qualità, specie ove alla S. Messa venga assegnata una chiesa dedicata, anche non in via esclusiva, con clero residenziale (es.: Roma, Firenze, ecc.).
Abbiamo poi più di un sentore di un incoraggiante risveglio vocazionale. Anche qui, si tratta di un fenomeno – per quanto riguarda l’Italia – ancora allo stato iniziale[2]. Ma anche qui la tendenza mi sembra netta, e rilevante sul piano della qualità dell’applicazione del Motu Proprio.
Infine, vorrei rilevare come uno dei canali – e non il meno importante – attraverso i quali circola la riflessione critica su Amoris Laetitia e su altri temi sensibili dell’attualità ecclesiale è stata ed è proprio la rete dei Coetus Fidelium, molti dei quali hanno dato vita ad iniziative concrete a supporto del dibattito. Abbiamo visto, così comunità divenute, in virtù della liturgia tradizionale celebrata in base al Motu Proprio, particolarmente consapevoli della propria fede e fortemente determinate a difenderne l’integrità. Anche sotto questo profilo, mi pare che l’applicazione del Motu Proprio sia felicemente andata oltre l’episodicità e l’occasionalità.
Infine, cito solo en passant un dato che considero ormai noto: la rilevante presenza, tra i nostri fedeli, di giovani e la crescente presenza di famiglie, spesso con bambini.

3. Gli attori dello sviluppo del MP
A chi si deve questo sviluppo? Ovviamente, alla Provvidenza: cerchiamo di non dimenticare che siamo servi inutili.
Quanto ai laici, non è errato affermare che il radicamento del Motu Proprio in Italia è dovuto principalmente a loro: quantomeno nel senso che sono stati loro i motori del moltiplicarsi delle celebrazioni a partire dal 2007. Potrei dire che i laici stanno all’applicazione del Motu Proprio come il motorino di avviamento sta ad un’automobile: senza il motorino, la vettura non parte o, se si arresta, non si rimette in moto; però poi ci vuole il carburatore del sacerdote celebrante. Rasenta la banalità osservare che un sacerdote motivato e convinto è indispensabile perché la celebrazione della liturgia tradizionale sia il seme di comunità di fedeli in grado di fare apostolato, liturgico e non. Sul laicato Summorum Pontificum mi riservo di dire ancora qualche parola in conclusione.
Del ruolo clero diocesano parlerà fra poco Don Raffaele. Io mi limito a sottolineare che il clero “addetto” ai nostri coetus si divide in due macrocategorie: coloro che celebrano per convinzione e coloro che lo fanno per obbedienza. È intuitivo, come dicevo, che i risultati spirituali, nei due casi, sono molto diversi. Nell’ottica dei laici, è indispensabile fornire ai sacerdoti, specie a coloro che celebrano per convinzione – e spesso con gravosi sacrifici personali – un supporto che in molti casi dobbiamo migliorare. In questa prospettiva desidero sottolineare anche l’importanza di realtà come la Fraternità Sacerdotale Summorum Pontificum, che svolge un lavoro preziosissimo per i sacerdoti diocesani.
Per la diffusione del Motu Proprio sono importantissimi anche i religiosi: vorrei ricordare realtà assai rilevanti come i monaci benedettini di Villatalla e, soprattutto, il monastero di Norcia. Esse dispongono di una ricchezza spirituale alla quale i laici – ma anche i sacerdoti – possono abbeverarsi, per confermare le ragioni profonde dell’impegno per la liturgia tradizionale. Questo per ribadire che il mondo del Motu Proprio in Italia sta raggiungendo un’articolazione e un consolidamento che travalica l’ambito dei “centri di Messa” e che ci permette di andare oltre l’occasionalità o l’episodicità. Nell’ottica dell’importanza dei religiosi per lo sviluppo del Motu Proprio, però, non  posso non menzionare, ahimè, la grave ferita inferta al Populus Summorum Pontificum dalla dolorosissima vicenda dei FI.
Degli Istituti ED, che, come ripeto, assicurano circa il 15% delle celebrazioni, parlerà il Can. Luzuy, Provinciale dell’ICRSS, l’Istituto sicuramente più presente in Italia. Gli Istituti rivestono un ruolo fondamentale non tanto sotto il profilo quantitativo, ma qualitativo. Sono i custodi della tradizione liturgica, fanno apostolato liturgico come loro core business. Gestiscono gran parte dei “centri di Messa” più stabili, cui assicurano clero dedicato in via esclusiva, e a mio parere rappresentano un supporto spesso indispensabile per realizzare, anche da parte del clero diocesano (per il quale costituiscono talora un punto di riferimento), quel salto qualitativo dall’episodicità alla stabilità ed all’apostolato cui ho fatto spesso riferimento.

4. Le prospettive
Lo sviluppo applicativo del Motu Proprio in Italia sta rendendo sempre più pressante l’esigenza di completare la celebrazione della liturgia tradizionale con la cura pastorale dei fedeli che la praticano. In proposito, peraltro, non siamo all’anno zero, e possiamo e dobbiamo vedere il bicchiere come già un po’ pieno. Per continuare a riempirlo, ci si possano porre dei primi obiettivi raggiungibili: per esempio, la collocazione delle celebrazioni, specie di quelle domenicali, in orari family friendly; è un passo molto più importante di quanto possa sembrare. Poi sarebbe opportuno che i coetus sapessero abbinare all’attività liturgica un’attività di promozione culturale, che può essere gestita anche direttamente dai laici; e che realizzassero qualche iniziativa caritativa, valorizzando, per esempio, i fedeli che già svolgono attività di volontariato. Tutto ciò anche per sviluppare un consapevole spirito missionario liturgico, ed evitare la tentazione dell’autoghettizzazione “pizzomerlettara”, che costituisce il rischio professionale tipico dei coetus fidelium. Da questo punto di vista, penso che dovremmo sforzarci di migliorare il nostro atteggiamento verso chi non conosce ancora la liturgia tradizionale, o la conosce solo attraverso falsi stereotipi negativi, perché talora tendiamo a dimenticare che il cattolico praticante medio – forse anche il sacerdote medio... – è stato deprivato di larga parte degli strumenti culturali e, soprattutto, spirituali necessari per approcciarla.
Detto questo, vorrei tornare brevemente, come avevo anticipato, sul ruolo dei laici che compongono i nostri coetus, per dire che essi stanno progressivamente acquisendo la consapevolezza di essere parti vive di una viva rete di fedeli accomunati da un idem sentire, e di costituire quello che con felice espressione è stato chiamato il Populus Summorum Pontificum: tutto ciò in termini inimmaginabili anche solo pochi anni fa. Si è così sviluppata l’attività di organismi come il Coordinamento Toscano Benedetto XVI o il Coordinamento Nazionale Summorum Pontificum, che si propongono, appunto, di mettere in contatto e di favorire la collaborazione di un crescente numero di coetus fidelium,pur nella molteplicità delle identità e dei diversi talenti di ciascuno. A tutto ciò si accompagna, anche in Italia, la maggior disponibilità dei fedeli che seguono la liturgia tradizionale ad avere una concreta visibilità nelle parrocchie e nelle Diocesi,per proporre concretamente la Tradizione quale risposta efficace alle difficoltà dell’ora presente. Queste tendenze, oggi emergenti ancora a macchia di leopardo, sono destinate, a mio parere,  a estendersi e a dare molto frutto, specie in questi tempi di innegabile confusione, anche e proprio in virtù della vis attractiva che – lo sperimentiamo sempre più spesso – la liturgia tradizionale esercita provvidenzialmente suitanti fedeli che cercano rimedio al disorientamento sempre più diffuso. Da questo punto di vista, un terreno molto fecondo per l’incremento della liturgia tradizionale è rappresentato dalla collaborazione con coloro che operano sul piano della difesa della vita nascente e morente, e sul piano della battaglia antropologica.
Un altro ambito in cui il Motu Proprio è suscettibile di trovare convinta accoglienza è quello delle confraternite, che custodiscono le tradizioni della devozione popolare. In proposito, abbiamo segnali interessanti ed incoraggianti, dei quali il tempo mi impedisce di parlare più diffusamente.
Infine, vorrei fare un rapidissimo accenno al fenomeno in forte espansione delle scuole parentali, anch’esso spesso favorito dalla presenza dei coetus fidelium e dalla pratica della liturgia tradizionale. Confesso che dispongo di pochi dati a riguardo, ma sono convinto che un approfondimento del tema riserverebbe non poche sorprese positive.
Tutto ciò senza negare che esistono ancora pregiudizi da scardinare, problemi da risolvere, e ostilità, talora pertinaci, da superare. Non vorrei dare l’impressione di eccedere in ottimismo, o di aver presentato un visione esageratamente rosea dello stato delle cose. Purtroppo, benché la gran parte delle situazioni “spinose” che si sono presentate negli anni scorsi si sia progressivamente risolta, vi sono ancora gruppi di fedeli che attendono anche da anni risposta positiva alla richiesta di applicazione del Motu Proprio, e qualche Diocesi nella quale ci si comporta come se esso proprio non esistesse. 
Da questo punto di vista, la maggior difficoltà sembra risiedere nel riemergere della cosiddetta mentalità indultista: l’idea che, nonostante il Motu Proprio, la celebrazione della S. Messa tradizionale richieda tuttora una speciale concessione del Vescovo, e che essa debba essere se non impedita, quantomeno circoscritta ad ambiti ristretti, preferibilmente non parrocchiali. Ho già rilevato che sopravvivono casi in cui gli stessi promotori preferiscono non dare pubblicità addirittura a celebrazioni regolari della S. Messa. Le principali vittime di questa mentalità, dobbiamo dirlo, sono i sacerdoti. Che sia ancora diffusa la tendenza a rinchiudere i fedeli del Motu Proprio in qualche riserva indiana è un dato che va riconosciuto; ma va anche riconosciuto che sta scomparendo, grazie al Cielo, la corrispondente tendenza di alcuni fedeli ad accettare la cosa come ineluttabile, e ad adattarsi alle seducenti comodità che talora essa sembra garantire.

Come ci dicono i dati, l’applicazione del Motu Proprio appare più lenta nel Sud Italia; ma è proprio da questa realtà che stanno pervenendo, negli ultimi tempi, segnali incoraggianti, ancorché timidi. 


[1]Dato che la percentuale dei fedeli Summorum Pontificum compresi nella fascia d’età 25-35 è piuttosto alta, e mediamente tra i 25 e i 35 anni ci si sposa, ne segue la crescente frequenza di matrimoni VO.
[2]Quest’anno 2018-2019 ha registrato l’ingresso in seminari ED di almeno tre giovani italiani; nel 2018 è stato anche ordinato un sacerdote italiano. Se consideriamo che i “centri di Messa” stabili sono 123, mi sembra una percentuale interessante.

Arciv. Chaput: la Chiesa non ha bisogno di creare dubbi o ambiguità sulla sessualità, ha già un insegnamento chiaro.

Ve le propongo nella mia traduzione.
Foto: Archivescovo di Philadelphia Charles Chaput (Reuters/Tony Gentile)
Foto: Archivescovo di Philadelphia Charles Chaput (Reuters/Tony Gentile)
 I Sinodi sono eventi importanti nella vita della Chiesa, ma quasi quattro settimane di discussioni su qualsiasi argomento possono diventare stancanti. È bello essere a casa, e sono grato a tutti coloro che hanno offerto le loro preghiere e il loro sostegno per il successo dell’incontro. Come in passato, il voto dei vescovi sul documento finale si è svolto paragrafo per paragrafo, e come la maggior parte dei delegati, ho votato “sì” sulla maggior parte dei paragrafi.

Il Sinodo ha avuto i suoi problemi: in particolare un’ambiguità di regole e procedure, e la mancanza delle necessarie traduzioni. Ma il documento finale, pur non privo di difetti, è un miglioramento rispetto al testo originario Instrumentum Laboris. I delegati hanno anche eletto alcuni buoni uomini al Consiglio permanente del Sinodo. Questo ha implicazioni di speranza per il futuro.

Prima di passare alle questioni più urgenti come Chiesa locale, però, vorrei citare alcune cose per semplice onestà. Il 27 ottobre, in un’intervista a Frank Rocca del Wall Street Journal, ho detto quanto segue, e voglio ripeterlo qui.

Sul tema dell’abuso sessuale sui minori:
C’è stata una buona discussione (da parte dei padri sinodali) sull’argomento, anche se non abbastanza, e il documento sinodale finale è francamente inadeguato e deludente sulla questione degli abusi. I responsabili della Chiesa al di fuori degli Stati Uniti e di alcuni altri Paesi che si occupano del problema chiaramente non ne comprendono la portata e la gravità. C’è ben poco senso di scuse fatte con il cuore nel testo. E il clericalismo, per esempio, è parte del problema degli abusi, ma non è affatto la questione centrale per molti laici, specialmente per i genitori.

Per quanto riguarda l’insegnamento della Chiesa sulla sessualità:

La chiave di tutti i dibattiti sulla sessualità è antropologica. Uno degli acuti e preoccupanti problemi nel testo sinodale in varie fasi (è stato) il suo riferimento alla necessità di “approfondire” o “sviluppare” la nostra comprensione delle questioni antropologiche.    Ovviamente possiamo e dobbiamo sempre portare più preghiera e riflessione su questioni umane complesse. Ma la Chiesa ha già un’antropologia cristiana chiara, ricca e articolata. È inutile creare dubbi o ambiguità su questioni di identità umana, scopi e sessualità, a meno che non si pongano le basi per cambiare ciò che la Chiesa crede e insegna su tutte e tre le questioni, a partire dalla sessualità.

Nel valutare l’esperienza sinodale del 2018 nel suo complesso:

Molti dei vescovi sono rimasti frustrati dalla mancanza di previe traduzioni per questioni importanti su cui dovevano votare. Come ha sostenuto uno dei padri sinodali, in realtà è immorale votare “sì” su questioni significative se non si riesce nemmeno a leggere e riflettere su ciò che dice il testo. Molti delegati sono rimasti anche sorpresi e scontenti per l’introduzione della sinodalità come tema importante di un incontro per i giovani. Non è un accoppiamento naturale. La sinodalità ha implicazioni serie. Merita una seria riflessione teologica e discussione tra i vescovi. Questo non è accaduto, il che non sembra coerente con un incontro tra Papa e vescovi in uno spirito di collegialità.

Nei mesi a venire, spero che tutti noi della comunità cattolica americana di preghi soprattutto per il Santo Padre, e anche per la missione della Chiesa nel suo cammino verso il futuro.

Fonte: First Thing

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