seconda parte
Proponiamo, con il presente intervento, una seconda escursione su quanto nel titolo, estratta dalla seconda raccolta di “Luoghi comuni, falsi e bufale” di prossima pubblicazione.
Al termine del Padre Nostro, il celebrante, rivolto ai fedeli, porge loro l’invito a scambiarsi ‘un segno di pace’. Sùbito dopo si scatena la caccia alla mano da stringere. Eh sì, perché nonostante l’esortazione parli di un segno – vale a dire uno, tra i tanti, non ben identificato – quello della stretta di mano è diventato il segno unico ed esclusivo. Per il quale va ricordato il ruolo che, nella riforma – o ‘deforma’ - della Santa Messa ebbe il sopra citato massone, mons. Annibale Bugnini (BUAN – matricola di loggia 1365/75 ), il quale, in forza del suo incarico di presidente di commissione, inserì questo gesto non senza una sottile intenzione di inquinare il significato della vera pace di Cristo. Un elemento totalmente dissacratorio che ci apprestiamo a spiegare.
Alla più parte dei fedeli sfugge che la ‘stretta di mano’ è uno dei segni di riconoscimento che i ‘fratelli 3 puntini’ – i massoni – includono nel loro ermetico cerimoniale. Chi possiede, sia pur superficiali, nozioni circa la massoneria e il suo rituale, sa che la stretta di mano, col pollice di una che preme, due o più volte, sull’altra nella concavità molle, sita tra pollice/indice e contigua alla sì detta “tabacchiera anatomica”, è un espediente di per sé nulla significante per chi, massone non essendo, non ne avverte il messaggio cifrato, diversamente da altro che, massone ‘coperto’, lo riceve, pronto a ricambiarlo.
Sfugge, abbiam detto, alla totalità dei fedeli dacché la stretta di mano è sempre stata, e lo è, segno di amicizia, di concordia, apertura a nuovi rapporti umani, sigillo a un patto e, pertanto, intrinsecamente positivo. Con questa apparente connotazione di affermata cordialità, che fa velo all’occulta ma reale significanza, buon gioco ha avuto lo scaltro massone mons. Bugnini ad inserire, così, un perverso simbolo nel rituale della Santa Messa.
Ma è da sottolineare che, al di là della sottigliezza massonica, la stretta di mano resta un gesto laico che niente ha da spartire col segno di pace che caratterizza la dimensione cristiana definita nel complesso del sacro rito della Messa intesa quale ripetizione incruenta del sacrifico della Croce.
Noi, per siffatta ragione, rifiutiamo di stringer la mano che qualche fedele protende verso di noi e ciò desta sorpresa – spesso irritazione – nell’altro che, a fine rito, ci chiede spiegazione. E noi, allora, volentieri illustriamo l’arcano, così, come in appresso.
Narra Eusebio di Cesarea (263-339 d. C.) che, la vigilia della battaglia a Ponte Milvio – 28 ottobre 312 – l’imperatore Costantino, ebbe in sogno una visione in cui gli appariva una Croce con la scritta greca “En touto nike” – con questo la vittoria – tradotta in latino “in hoc signo vinces” – in questo segno vincerai.
Dopo di che dette ordine di affiggerlo su scudi e labari.
È il segno che consacrò i crociati nella difesa della Terra Santa, che protesse i Franchi nella battaglia vittoriosa di Poitiers (732), che accompagnò la flotta cristiana a Lepanto (1571), che fu baluardo contro i Turchi nell’assedio di Vienna (1683); è il segno con cui si rappresenta e si adora Dio Trinità; che splende e lampeggia nel cielo dei martiri, così come lo vide e descrisse Dante nella sua Divina Commedia (Par. XIV, 94/105); che adorna il logo di tutti gli Ordini religiosi; che apre e chiude l’amministrazione di ogni sacramento; che apre la vita del cristiano nel battesimo e la chiude nell’estrema unzione; che apre l’ufficio delle ore, da mattutino a compieta; che apre e chiude il rito sacrificale della Santa Messa; che apre e chiude la recita del santo Rosario; che apre e chiude la giornata del buon cristiano; che dà conforto nei momenti di pericolo; che pende dalla catenina quale testimone di fede e di difesa; che spicca sui campanili, irradia pace nei cimiteri e consolazione negli ospedali.
Ciò vuol dire che l’unico e il solo segno che distingue e rende riconoscibile il cristiano è quello della santa Croce, riassuntivo dell’intera storia della salvezza, delle virtù teologali – Fede, Speranza, Carità. Ma soprattutto esclusivo segno di pace, sì, perché soltanto sulla/nella/con la Croce s’è ristabilita l’armonìa, l’amicizia fra cielo e terra, fra l’uomo e Dio, e segno della potenza di Cristo secondo quanto è scritto: “Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria” (Mt. 24, 3).
La Croce, pertanto, si rappresenta segno con il quale chiediamo e auguriamo la pace e, nello stesso tempo, proclamiamo la potenza e la gloria del Figlio di Dio fattosi uomo.
Ma, nonostante siffatta alta significanza, si cerca e si dà la pace con una banale stretta di mano la cui scenografìa rappresenta quanto di più avvilente, penoso e deplorevole si possa immaginare: mani sudaticce, molli, sfuggenti, pendule, flosce che si offrono a mani callose, forti, ossute, asciutte, grasse, tatuate, unghiute, mani che hanno, un momento prima, esplorato le narici attardandosi, poi, a prolungate e vibranti oscillazioni o sbrigandosi in un sol breve contatto delle dita.
Una ridda di braccia che roteano, si incrociano, un viavai rumoroso di fedeli che attraversano l’intera navata per stabilire il primato di mani agguantate. Una vergognosa e dissacrante messinscena con cui il santissimo, trinitario segno della Croce viene cancellato a favore di un gesto massonico, di marca luciferina abilmente occultato dal suo ideatore, mons. Bugnini, sotto l’apparente patina della cordialità e dell’amicizia.
E vi pare un’ottima scelta?
BUONA DOMENICA A TUTTI
A fine Messa, il celebrante impartisce ai fedeli presenti la benedizione con la seguente formula: “Vi benedica Dio onnipotente: Padre, Figlio e Spirito Santo. La Messa è finita, andate in pace”, a cui l’assemblea risponde: “Rendiamo grazie a Dio”. Dovrebbe, quindi, a questo punto, aver compimento il santo rito. Ma non è così, perché da qualche anno sta andando di moda assai un’appendice che, a dirla schietta, sotto la velatura salottiera e cortese di bonario galateo, smentisce e depotenzia la citata benedizione trinitaria mettendone in forte dubbio, sottilmente e tuttavìa realmente, l’infinita e sicura efficacia.
Il sacerdote, infatti, alla risposta dei fedeli appone, confidenzialmente sorridendo, un laico beneaugurante “buona giornata a tutti” quale rinforzino di cui l’onnipotente Santissima Trinità - non si sa mai – potrebbe aver bisogno. Un puntello umano in soccorso alla precarietà del divino.
Luogo comune, inopportuno per la sacralità del luogo senz’altro, ma, per il significato sotteso, sconveniente e sacrilego, addirittura, che trova sponda in quel mondano, estraneo e orrendo “buona sera” con cui il neoeletto Papa, Francesco I Bergoglio – 13 marzo 2013 – salutò l’ecumene cattolica radunata in Piazza San Pietro, omettendo, volutamente, di porgere l’unico, solo ed esclusivo “Sia lodato Gesù Cristo” noto essendo che il Papa della Chiesa Cattolica è Vicario del suo Padrone, Successore di San Pietro e Vescovo di Roma, comportandosi, invece, come il presidente di una delle tante associazioni cultural-sportive o come il condomino contiguo di pianerottolo.
Dello stesso registro casareccio, è quel banale e fuori luogo “buon pranzo” che amministra, o ammannisce, a fine di ogni udienza pubblica, congedando i fedeli che, raccolti in Piazza San Pietro per ascoltare la Parola di Dio sono scambiati per turisti in bivacco a Piazza di Spagna. Come dire: Cristo non abita in Vaticano.
di L. P.
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DATEVI UN SEGNO DI PACE
Alla più parte dei fedeli sfugge che la ‘stretta di mano’ è uno dei segni di riconoscimento che i ‘fratelli 3 puntini’ – i massoni – includono nel loro ermetico cerimoniale. Chi possiede, sia pur superficiali, nozioni circa la massoneria e il suo rituale, sa che la stretta di mano, col pollice di una che preme, due o più volte, sull’altra nella concavità molle, sita tra pollice/indice e contigua alla sì detta “tabacchiera anatomica”, è un espediente di per sé nulla significante per chi, massone non essendo, non ne avverte il messaggio cifrato, diversamente da altro che, massone ‘coperto’, lo riceve, pronto a ricambiarlo.
Sfugge, abbiam detto, alla totalità dei fedeli dacché la stretta di mano è sempre stata, e lo è, segno di amicizia, di concordia, apertura a nuovi rapporti umani, sigillo a un patto e, pertanto, intrinsecamente positivo. Con questa apparente connotazione di affermata cordialità, che fa velo all’occulta ma reale significanza, buon gioco ha avuto lo scaltro massone mons. Bugnini ad inserire, così, un perverso simbolo nel rituale della Santa Messa.
Ma è da sottolineare che, al di là della sottigliezza massonica, la stretta di mano resta un gesto laico che niente ha da spartire col segno di pace che caratterizza la dimensione cristiana definita nel complesso del sacro rito della Messa intesa quale ripetizione incruenta del sacrifico della Croce.
Noi, per siffatta ragione, rifiutiamo di stringer la mano che qualche fedele protende verso di noi e ciò desta sorpresa – spesso irritazione – nell’altro che, a fine rito, ci chiede spiegazione. E noi, allora, volentieri illustriamo l’arcano, così, come in appresso.
Narra Eusebio di Cesarea (263-339 d. C.) che, la vigilia della battaglia a Ponte Milvio – 28 ottobre 312 – l’imperatore Costantino, ebbe in sogno una visione in cui gli appariva una Croce con la scritta greca “En touto nike” – con questo la vittoria – tradotta in latino “in hoc signo vinces” – in questo segno vincerai.
Dopo di che dette ordine di affiggerlo su scudi e labari.
È il segno che consacrò i crociati nella difesa della Terra Santa, che protesse i Franchi nella battaglia vittoriosa di Poitiers (732), che accompagnò la flotta cristiana a Lepanto (1571), che fu baluardo contro i Turchi nell’assedio di Vienna (1683); è il segno con cui si rappresenta e si adora Dio Trinità; che splende e lampeggia nel cielo dei martiri, così come lo vide e descrisse Dante nella sua Divina Commedia (Par. XIV, 94/105); che adorna il logo di tutti gli Ordini religiosi; che apre e chiude l’amministrazione di ogni sacramento; che apre la vita del cristiano nel battesimo e la chiude nell’estrema unzione; che apre l’ufficio delle ore, da mattutino a compieta; che apre e chiude il rito sacrificale della Santa Messa; che apre e chiude la recita del santo Rosario; che apre e chiude la giornata del buon cristiano; che dà conforto nei momenti di pericolo; che pende dalla catenina quale testimone di fede e di difesa; che spicca sui campanili, irradia pace nei cimiteri e consolazione negli ospedali.
Ciò vuol dire che l’unico e il solo segno che distingue e rende riconoscibile il cristiano è quello della santa Croce, riassuntivo dell’intera storia della salvezza, delle virtù teologali – Fede, Speranza, Carità. Ma soprattutto esclusivo segno di pace, sì, perché soltanto sulla/nella/con la Croce s’è ristabilita l’armonìa, l’amicizia fra cielo e terra, fra l’uomo e Dio, e segno della potenza di Cristo secondo quanto è scritto: “Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria” (Mt. 24, 3).
La Croce, pertanto, si rappresenta segno con il quale chiediamo e auguriamo la pace e, nello stesso tempo, proclamiamo la potenza e la gloria del Figlio di Dio fattosi uomo.
Ma, nonostante siffatta alta significanza, si cerca e si dà la pace con una banale stretta di mano la cui scenografìa rappresenta quanto di più avvilente, penoso e deplorevole si possa immaginare: mani sudaticce, molli, sfuggenti, pendule, flosce che si offrono a mani callose, forti, ossute, asciutte, grasse, tatuate, unghiute, mani che hanno, un momento prima, esplorato le narici attardandosi, poi, a prolungate e vibranti oscillazioni o sbrigandosi in un sol breve contatto delle dita.
Una ridda di braccia che roteano, si incrociano, un viavai rumoroso di fedeli che attraversano l’intera navata per stabilire il primato di mani agguantate. Una vergognosa e dissacrante messinscena con cui il santissimo, trinitario segno della Croce viene cancellato a favore di un gesto massonico, di marca luciferina abilmente occultato dal suo ideatore, mons. Bugnini, sotto l’apparente patina della cordialità e dell’amicizia.
E vi pare un’ottima scelta?
BUONA DOMENICA A TUTTI
A fine Messa, il celebrante impartisce ai fedeli presenti la benedizione con la seguente formula: “Vi benedica Dio onnipotente: Padre, Figlio e Spirito Santo. La Messa è finita, andate in pace”, a cui l’assemblea risponde: “Rendiamo grazie a Dio”. Dovrebbe, quindi, a questo punto, aver compimento il santo rito. Ma non è così, perché da qualche anno sta andando di moda assai un’appendice che, a dirla schietta, sotto la velatura salottiera e cortese di bonario galateo, smentisce e depotenzia la citata benedizione trinitaria mettendone in forte dubbio, sottilmente e tuttavìa realmente, l’infinita e sicura efficacia.
Il sacerdote, infatti, alla risposta dei fedeli appone, confidenzialmente sorridendo, un laico beneaugurante “buona giornata a tutti” quale rinforzino di cui l’onnipotente Santissima Trinità - non si sa mai – potrebbe aver bisogno. Un puntello umano in soccorso alla precarietà del divino.
Luogo comune, inopportuno per la sacralità del luogo senz’altro, ma, per il significato sotteso, sconveniente e sacrilego, addirittura, che trova sponda in quel mondano, estraneo e orrendo “buona sera” con cui il neoeletto Papa, Francesco I Bergoglio – 13 marzo 2013 – salutò l’ecumene cattolica radunata in Piazza San Pietro, omettendo, volutamente, di porgere l’unico, solo ed esclusivo “Sia lodato Gesù Cristo” noto essendo che il Papa della Chiesa Cattolica è Vicario del suo Padrone, Successore di San Pietro e Vescovo di Roma, comportandosi, invece, come il presidente di una delle tante associazioni cultural-sportive o come il condomino contiguo di pianerottolo.
Dello stesso registro casareccio, è quel banale e fuori luogo “buon pranzo” che amministra, o ammannisce, a fine di ogni udienza pubblica, congedando i fedeli che, raccolti in Piazza San Pietro per ascoltare la Parola di Dio sono scambiati per turisti in bivacco a Piazza di Spagna. Come dire: Cristo non abita in Vaticano.
di L. P.
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RIFLESSIONI SUL SINODO
Liturgia gioiosa? Prima di tutto deve essere santa
Il Sinodo chiede dice che i giovani chiedono una liturgia fresca, autentica e gioiosa. Ma la liturgia è il Sacrificio di Cristo che precede la Risurrezione. Questa idea che si debba essere sempre allegri e giulivi nella liturgia non è solo fuorviante, ma anche teologicamente falsa. Piuttosto dovrebbe essere una liturgia santa, fervente, di adorazione.
In questi ultimi tempi penso molto al Beato Antonio Rosmini. Lo sto leggendo con grande interesse. Nel suo “Delle cinque piaghe della Santa Chiesa” ho letto questa frase: “Solo i grandi uomini, lo ripeto, valgono a formare uomini grandi; e per giudicare qual differenza v'abbia fra' discepoli, basta paragonare insieme i maestri”. Certo, solo esempi grandi, modelli luminosi, insegnanti capaci possono formare grandi personalità. Pensavo a questo quando riflettevo sul recente Sinodo dei Giovani e sul suo documento finale. E ci pensavo mentre leggevo il documento con un interesse speciale, lo capirete, per quanto dice riguardo la musica e la liturgia.
Al punto 47, dove si parla di musica, arte e sport, così si afferma: “Il Sinodo riconosce e apprezza l’importanza che i giovani danno all’espressione artistica in tutte le sue forme: sono molti i giovani che usano in questo campo i talenti ricevuti, promovendo la bellezza, la verità e la bontà, crescendo in umanità e nel rapporto con Dio. Per molti l’espressione artistica è anche un’autentica vocazione professionale. Non possiamo dimenticare che per secoli la “via della bellezza” è stata una delle modalità privilegiate di espressione della fede e di evangelizzazione.
Del tutto peculiare è l’importanza della musica, che rappresenta un vero e proprio ambiente in cui i giovani sono costantemente immersi, come pure una cultura e un linguaggio capaci di suscitare emozioni e di plasmare l’identità. Il linguaggio musicale rappresenta anche una risorsa pastorale, che interpella in particolare la liturgia e il suo rinnovamento. L’omologazione dei gusti in chiave commerciale rischia talvolta di compromettere il legame con le forme tradizionali di espressione musicale e anche liturgica”.
Non possiamo dimenticare che la via della bellezza è stata una via privilegiata? Io avrei detto, “non dobbiamo dimenticare”, ma comunque quello è il concetto.
Poi non ho capito cosa significa che il linguaggio musicale interpella la liturgia e il suo rinnovamento. Ma viene anche detto, senza troppo andare nel dettaglio, che l’omologazione sul gusto commerciale compromette il legame con le forme tradizionali di musica e liturgia. Qui non si capisce bene il fatto che ciò che intendiamo quando ce la prendiamo con la mediocrità del canto liturgico attuale non è difendere “forme tradizionali”, ma forme liturgiche, tradizionali e non. Cioè, non stiamo rinchiudendo ciò che è giusto nel passato, ma in quello che è adeguato e certamente la musica commerciale non lo è. Quindi non capisco l’uso disinvolto di quel “talvolta”: se parliamo di musica commerciale essa non è mai adatta all’uso liturgico.
Ma al punto 51 si chiariscono anche alcuni dei miei dubbi precedenti: “In diversi contesti i giovani cattolici chiedono proposte di preghiera e momenti sacramentali capaci di intercettare la loro vita quotidiana, in una liturgia fresca, autentica e gioiosa. In tante parti del mondo l’esperienza liturgica è la risorsa principale per l’identità cristiana e conosce una partecipazione ampia e convinta. I giovani vi riconoscono un momento privilegiato di esperienza di Dio e della comunità ecclesiale, e un punto di partenza per la missione. Altrove invece si assiste a un certo allontanamento dai sacramenti e dall’Eucaristia domenicale, percepita più come precetto morale che come felice incontro con il Signore Risorto e con la comunità. In generale si constata che anche dove si offre la catechesi sui sacramenti, è debole l’accompagnamento educativo a vivere la celebrazione in profondità, a entrare nella ricchezza misterica dei suoi simboli e dei suoi riti” (enfasi mia).
Una liturgia fresca, autentica e gioiosa? Ma la liturgia è il Sacrificio di Cristo che precede la Risurrezione. Questa idea che si debba essere sempre allegri e giulivi nella liturgia non è solo fuorviante, ma anche teologicamente falsa. Mi sarebbe piaciuto leggere che i giovani chiedevano una liturgia santa, fervente, di adorazione. Cosa si deve fare di più, cosa si deve distruggere ancora della forma ordinaria del rito romano per avere questa liturgia fresca, autentica, gioiosa? Oramai si è fatto di tutto, cosa altro dobbiamo inventarci? La liturgia non la facciamo autentica quando ci arrabbattiamo con le nostre fregole mondane, quando pretendiamo di “intercettare la vita quotidiana” , ma la facciamo autentica quando vogliamo penetrare nel rito stesso e nelle sue dinamiche ed esigenze, vogliamo “vivere la celebrazione in profondità”. Ma come dice il documento, debole se non nullo è l’accompagnamento educativo per apprezzare quello che la liturgia è, non quello che vorremmo che fosse.
Certo, finché si continuerà a ripetere “quanto abbiamo imparato dai giovani” invece di meditare su quanto sarebbe stato nostro dovere insegnargli, ci saranno poche speranze che i futuri sacerdoti e vescovi, giovani di oggi, possano sviluppare un fresco, autentico e gioioso amore per la musica liturgica e la liturgia.
Aurelio Porfiri
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