di Annarosa Rossetto
Come saprà chi segue questo blog, si è da poco concluso il Sinodo dei vescovi sui giovani che ha avuto molta risonanza nei media soprattutto per gli aspetti riguardanti il tema della omosessualità e la polemica sulla sigla “LGBT” presente nello strumento di lavoro in cui in modo surrettizio è finita senza che si sia capito bene per mano di chi. Sul perché, invece, si sono fatte molte ipotesi maliziose.
“Sessualità: una parola chiara, libera, autentica” questo il titolo, nel Documento Finale del Sinodo, dei paragrafi dedicati alla sessualità, i nr 149 e 150 del capitolo III “UN RINNOVATO SLANCIO MISSIONARIO”. Diversi i richiami alla Dottrina e al Magistero (anche senza nessuno diretto al Catechismo) mettono in chiaro gli ambiti della pastorale per le persone con attrazione per lo stesso sesso. Tutto bene, quindi?
Ci sono molti modi di valutare il valore ed il significato di qualcosa. Talvolta anche le reazioni che suscita possono dare una chiave di lettura per capire, quanto meno, l’impatto che ha magari al di là delle reali sue ragioni d’essere o intenzioni.
A me questo metodo piace molto perché la modalità di comunicare è spesso essa stessa portatrice di significato e il “come” viene recepita vale quanto, se non di più, di quanto “avrebbe voluto” comunicare.
Per capire “cosa passa” di un messaggio, quindi, è molto interessante andare a vedere le reazioni di chi ha un qualche interesse nel volerne vedere aspetti a lui convenienti o di intralcio: questo aiuta a misurare l’effettivo valore del messaggio stesso ai fini pratici.
Mi sono presa la briga, quindi, di vedere come gli ambienti vicini alla cosiddetta “pastorale LGBT” tanto cara al consultore della S.Sede per la comunicazione, p. James Martin sj (per gli errori di questo approccio vi rinvio all’articolo scritto da D. Mattson e tradotto su questo
blog e a
questo post su Facebook).
Ecco un piccolo florilegio di opinioni di chi sul tema “omosessualità” è critico sull’approccio attuale della Chiesa Cattolica.
Il vaticanista di Reuters apprezza la chiamata finale ad un maggior coinvolgimento delle donne nella Chiesa come “dovere di giustizia” ma afferma che il Sinodo ha annacquato il linguaggio che avrebbe reso la Chiesa più accogliente per i gay.
Nell’
articolo, poi, dà ai vescovi “conservatori”, Africani in particolare ma ricordando anche
le nette parole di Chaput, la responsabilità di aver eliminato l’acronimo LGBT presente nell
’Instrumentum Laboris presentato a maggio. In fondo all’articolo, probabilmente per una correlazione non voluta ma significativa con il tema omosessualità, parla del paragrafo sugli abusi sessuali in cui si accenna a “forti misure preventive per prevenire ogni ripetizione”.
Vediamo poi in questo tweet come il campione della “pastorale LGBT” padre James Martin s.j. commenti in modo un po’ risentito alcuni aspetti del testo presentando un articolo sulle conclusioni sinodali:
“Il Sinodo fa retromarcia sul tema della pastorale della chiesa verso i gay, “sia astenendosi dal ripetere il primo uso fatto dal Vaticano dell’acronimo LGBT sia sostituendo l’espressione presente nella prima bozza di condanna della ‘violenza basata su orientamento sessuale’ con quella ‘della violenza ‘su base sessuale’”
In un suo
post su Facebook , invece, analizza 4 “aspetti positivi” del Documento Finale del Sinodo.
Possiamo, per inciso, notare la sua insistenza nell’ usare la definizione “persone LGBT” in netto contrasto a quanto anche diversi
omosessuali fedeli alla Dottrina chiedono. E l’uso sistematico del minuscolo per la parola “Chiesa”…
Ecco il testo del post:
“Cari amici: ecco quattro aspetti positivi ” nel documento finale ” del #synod18 (che è ancora disponibile solo in italiano) sulla pastorale della Chiesa con le persone LGBT:
1) il documento finale ha sottolineato il valore di ” accompagnamento.”
2) ha riconosciuto il lavoro che molti nella chiesa stanno già facendo nella pastorale con le persone LGBT.
3) ha riconosciuto che la chiesa non sa tutto sulle persone LGBT e (come con gli altri gruppi) deve ascoltarli.
4) ha parlato chiaramente della necessità di raggiungere, includere e cercare vie perché le persone LGBT facciano parte della vita e della missione della chiesa.
Mentre il documento non ha usato il termine ” LGBT ” e sembra in difficoltà anche su come identificare i cattolici LGBT, vedo questi quattro aspetti come sviluppi positivi e, insieme al tema generale dell’ascolto in una chiesa ” sinodale ” (ossia più collegiale e consultiva), buone indicazioni di progresso nella pastorale della chiesa verso i cattolici LGBT e di sensibilizzazione verso le persone LGBT in generale.”
Accenno solo alcune preoccupazioni che i vari punti evidenziati da p.Martin evocano:
1) sembra parli di una novità, e non lo è. Vero è che la pastorale cattolica per le persone con attrazione per lo stesso sesso (ASS) è probabilmente troppo timida e silenziosa. Su questo nella Chiesa necessita senz’altro di rivedere modalità e metodologie anche comunicative di quanto di positivo e davvero in linea con la Dottrina c’è. Courage, ad esempio, ha probabilmente molti aspetti da rivedere e sicuramente è da rivedere come viene comunicato. E perché non è valorizzata per nulla all’interno delle diocesi e delle parrocchie.
2) Qui vedo la vera ambiguità del punto 150. A quali “cammini di accompagnamento presenti in molte comunità cristiane” fa riferimento il documento? A parte Courage, presente in pochissime diocesi e parrocchie, moltissimi di questi “cammini” sono portati avanti da associazioni LGBT autodefinitesi cattoliche ma che portano nella Chiesa l’ideologia gay affermativa (vedi più avanti). Qui l’entusiasmo di Martin è davvero inquietante.
3) Anche questo è un punto ambiguo. Nessuno “sa tutto” sull’omosessualità, comprese le persone che la provano come attrazione prevalente. La Chiesa, nella sua saggezza, si è tenuta molto cauta sulla definizione stessa di “omosessualità” parlandone in termini di “inclinazione” di cui non si conosce la “genesi psichica”. P. Martin (e praticamente tutta la cultura LGBT che in lui vede una sponda nella Chiesa Cattolica) ha più volte ribadito che le persone omosessuali sono create così da Dio, abbracciando la teoria “born this way” che imprigiona chi prova sentimenti di ASS in una gabbia senza via di uscita. Una teoria questa sì davvero rigida.
4) Rimando a quanto detto al punto 1)
Come “prova del nove” per capire se le impressioni avute fino a qui avessero un fondamento ho voluto vedere come è stato accolta e valutata questa parte del Documento finale in Italia da testate giornalistiche e siti “gay friendly” e di “pastorale LGBT” .
Ecco alcune reazioni cominciando da una testata Gay
Qui, oltre a considerazioni simili a quelle di p. Martin, si sottolinea quanto scritto nel paragrafo 39 in cui si afferma che
«frequentemente la morale sessuale è causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto è percepita come uno spazio di giudizio e di condanna» e che «i giovani, anche quelli che conoscono e vivono tale insegnamento, esprimono il desiderio di ricevere dalla Chiesa una parola chiara, umana ed empatica. Dunque di fronte ai cambiamenti sociali e dei modi di vivere l’affettività e la molteplicità delle prospettive etiche, i giovani si mostrano sensibili al valore dell’autenticità e della dedizione, ma sono spesso disorientati. Essi esprimono più particolarmente un esplicito desiderio di confronto sulle questioni relative alla differenza tra identità maschile e femminile, alla reciprocità tra uomini e donne, all’omosessualità».
Anche in questo punto, infatti, la testata sfrutta una sorta di cortocircuito del testo sinodale che, dopo aver citato molto del ricco Magistero sulla sessualità, sembra dire che la Chiesa non ha insegnamenti chiari, che non promuove l’accoglienza ma la condanna, e che ci sia una necessità di approfondire questi temi. Forse, invece, i padri sinodali avrebbero dovuto fare un mea culpa su come poco siano riusciti, o forse come poco abbiano cercato, di far passare questa enorme quantità di stupendi insegnamenti ai giovani nella pastorale loro dedicata finora!
In questo altro articolo di un sito dichiaratamente gay troviamo addirittura entusiasmo anche per un fantomatico impegno contro l’omofobia, senza che questo termine sia nemmeno mai stato citato in nessun momento ufficiale del Sinodo, e concludendo con un
“Ma la porta, dopo decenni d’attesa, è stata in qualche modo aperta.” che suona davvero inquietante.
E veniamo ad un paio di siti di Associazioni che fanno “pastorale per cattolici LGBT” note purtroppo, anche per avere stretti rapporti con la galassia LGBT “cattolica” internazionale che plaude a p. Martin e per averlo invitato anche recentemente in Italia a presentare il suo libro oltre che per essere presenti in molte realtà ecclesiali.
Il gruppo
Gionata rilancia un articolo di
Huffington Post che entusiasticamente definisce il Sinodo
“Una svolta importante, si potrebbe dire storica”.
In un
articolo di approfondimento sottolineano che
“Nel paragrafo 149 si parla in modo nuovo e forte della sessualità, in genere, citando anche la castità* (e non l’astinenza) in modo bello e adatto a “tutti gli stati di vita” (quindi anche i coniugati).”
In ultimo ecco il
comunicato stampa dell’Ass. Cammini di speranza:
“Benché non sia ancora all’ordine del giorno una modifica della dottrina e, quindi, di alcune espressioni che descrivono le nostre vite con parole che non sentiamo appartenere alla nostra quotidianità, il documento finale del Sinodo propone una Chiesa fresca, viva, che vuole essere nella storia e per la storia, con le persone e per le persone” – dichiara Andrea Rubera, portavoce di Cammini di Speranza.”
Ricordiamo, a chi non lo conoscesse, che Andrea Rubera con il suo compagno si è procurato tre bambini con l’utero in affitto e, in una trasmissione, hanno definito la madre dei “loro” figli come
un concetto antropologico.
Evidentemente l’attesa per una modifica della dottrina diventa per queste realtà decisamente gay-affermative una speranza che la stessa stesura di questo documento scritto in questi termini inizia a rendere possibile.
Riporto in coda a queste mie considerazioni sparse quelle di Joseph Sciambra un ex gay oggi tornato alla Chiesa che trova preoccupanti alcune espressioni presenti nel testo. Parole che a “noi” sfuggono ma che balzano agli occhi a chi conosce il lessico velenoso di una ideologia strisciante come quella della cultura gay ormai diffusa anche nella Chiesa
.
“L’inclusione della parola ‘integrare’ nel documento del Sinodo, in riferimento ai giovani che sperimentano ASS, è un assoluto disastro. Integrare è un termine in codice usato spesso dagli LGBT cattolici per confermare l’orientamento LGBT all’interno della persona”
Insomma, il Documento Finale, almeno per gli aspetti qui analizzati riguardo l’omosessualità, sembra aver raccolto se non entusiasmo almeno molta simpatia tra i sostenitori delle relazioni omosessuali quali via di realizzazione della persona umana. Forse come già in “
Amoris Laetitia” qualcuno intravvedeva.
Il titolo e i richiami al Magistero, se non esplicitati meglio, rischiano di essere usati come grimaldello da chi, già ora, imperversa in moltissime parrocchie di tutta la Chiesa Cattolica insegnando attraverso una “pastorale LGBT” un “magistero alternativo” che cerca di soppiantare quello autentico,
con risultati già evidenti. Sta alle persone di buona volontà provare ad aprire gli occhi a chi ancora non si è accorto di questa infiltrazione magari usando proprio le parti positive del Documento Finale che in molti senz’altro sottolineeranno, e denunciando le intrusioni di venditori di fumo arcobaleno nelle nostre comunità ecclesiali.
(*)Il video, in Inglese, è molto interessante anche per capire cosa intenda significare davvero la frase che avete letto poco sopra sulla differenza tra “castità” e “astinenza”: la prima intende definire, secondo chi si occupa di “pastorale LGBT”, un rapporto duraturo, possibilmente esclusivo e fedele in un contesto affettivo e di supporto reciproco.
Annarosa Rossetto
Il termine, il cui uso all’epoca della presentazione del documento preparatorio fu rivendicato con forza dal segretario generale del Sinodo, il cardinale Lorenzo Baldisseri, nel documento finale non c’è. Si parla due volte di omosessualità, ma rimandando a quel che dicono il Catechismo e la congregazione per la Dottrina della fede. Proprio in quest’ultimo caso, tuttavia, s’è registrato il più alto numero di voti contrari (65), sintomo che un gruppo di “resistenti” sopravvive alle folate d’aria fresca – l’espressione è sempre del cardinale Oscar Maradiaga – che il Papa ha propiziato in sei anni di pontificato. Il paragrafo afferma che “esistono già in molte comunità cristiane cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali: il Sinodo raccomanda di favorire tali percorsi. In questi cammini le persone sono aiutate a leggere la propria storia; ad aderire con libertà e responsabilità alla propria chiamata battesimale; a riconoscere il desiderio di appartenere e contribuire alla vita della comunità; a discernere le migliori forme per realizzarlo. In questo modo si aiuta ogni giovane, nessuno escluso, a integrare sempre più la dimensione sessuale nella propria personalità, crescendo nella qualità delle relazioni e camminando verso il dono di sé”. Insomma, nulla di straordinario o rivoluzionario. Soprattutto se paragonato alle violente spaccature e rissose dispute tra vescovi che si ebbero nel doppio Sinodo sulla famiglia (biennio 2014-15) convocato per discutere di famiglia ma che sarà ricordato solo per la questione relativa alla riammissione dei divorziati risposati alla comunione, seppur “caso per caso”.
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