Ascolto, dialogo, accompagnamento, discernimento. Al Sinodo risuonano le solite parole d'ordine, ma i resoconti e le interviste di coloro che guidano l'assemblea ci danno l'immagine di una Chiesa più preoccupata del consenso del mondo, e dei giovani, che non di una proposta di significato pieno della vita.
- ASCOLTO? SÌ, MA DI DIO, di Angela Pellicciari
Ascolto, dialogo, accompagnamento, discernimento. Anche al Sinodo sui giovani le parole d’ordine sono quelle che ormai siamo abituati a sentire da un po’ di tempo. E i briefing quotidiani ci riferiscono di quanto sia bello il clima di ascolto e di dialogo instauratosi nell’aula sinodale: si parla di tutto, «senza pregiudizi». Un «processo di reale incontro e ascolto tra generazioni», aveva sintetizzato qualche giorno fa il segretario speciale del Sinodo, il gesuita padre Giacomo Costa.
Eppure, a giudicare dai resoconti e dalle dichiarazioni di coloro che guidano il Sinodo si ha l’impressione di un vuoto terribile. In qualche modo lo ha rilevato anche monsignor Charles Chaput, arcivescovo di Philadelphia, nel suo intervento, quando ha messo in guardia da un ascolto fine a se stesso, che dimentica di «annunciare Cristo senza esitazioni e senza scuse». In effetti, leggendo l’Instrumentum Laboris, leggendo le interviste ai segretari del Sinodo, ascoltando i briefing quotidiani che riferiscono sull’andamento dei lavori, emerge una Chiesa che non ha nulla da dire, nulla da proporre. Come se la testimonianza del Vangelo sia tutta nell’ascoltare quel che i giovani hanno da dire, accompagnarli nei loro sogni, trovare un linguaggio per entrare in sintonia.
Per comunicare cosa poi? Questo non si sa. Anzi, è la Chiesa che si deve “convertire”, deve cambiare, ascoltando i giovani. È quello che fa capire bene il già citato padre Costa che in una intervista a Quotidiano Nazionale ha spiegato all’inizio del Sinodo che dai giovani sono arrivate provocazioni su molti temi, che poi in realtà si finisce sempre sulle stesse cose: l’omosessualità, il gender, il sesso pre-matrimoniale, la discriminazione verso le donne anche in ambito ecclesiale. Ebbene, dice padre Costa, «questi stimoli sono affidati ai padri sinodali, perché si lascino toccare in profondità. Sono convinto che il loro discernimento consentirà di mettere a fuoco la direzione su cui la Chiesa è invitata a incamminarsi». E ancora: «I ragazzi si aspettano che la Chiesa cambi, che sappia essere più vicina».
È l’immagine triste e terribile di una Chiesa costretta a inseguire il mondo, per avere ancora diritto a un posticino nella società, per sentirsi ancora utile, per sopravvivere. Non c’è nulla che ricordi che l’unica cosa che la Chiesa può offrire è una proposta di significato pieno della vita, quell’incontro con Cristo che dà senso a tutte le cose, e che dunque rende pienamente ragionevole l’insegnamento che da Cristo in poi la Chiesa ci ha tramandato. Certe affermazioni sembrano la fotocopia dei discorsi dei leader di quei partiti che, all’indomani di una sconfitta elettorale, dicono che «dobbiamo tornare a farci capire dalla gente».
Si dice che bisogna dialogare su tutto, «affrontare in maniera concreta argomenti controversi come l’omosessualità e le tematiche del gender, su cui i giovani già discutono con libertà e senza tabù», è scritto nell’Instrumentum Laboris. Si vuol dare l’idea di una Chiesa che dopo secoli di chiusura finalmente intende affrontare temi finora accuratamente evitati, coperti da «dottrine astratte». In realtà è solo un trucco linguistico che nasconde tutt’altra intenzione. Perché di certi temi se ne parla fin dall’Antico Testamento, e la Chiesa ne ha sempre parlato con piena comprensione di cosa si muove nel cuore e nella mente dell’uomo, da Gesù fino a Benedetto XVI.
La novità di questo Sinodo – e più in generale di un certo andazzo nella Chiesa – non è nel fatto che di certi argomenti se ne parli, ma che si metta in discussione ciò che la Chiesa ha sempre annunciato come verità dell’uomo. Ecco, ad esempio, cosa ha detto un padre sinodale, secondo quanto riferito nel briefing da Paolo Ruffini, il nuovo prefetto del Dicastero vaticano per la comunicazione (e la scelta degli interventi da riferire in questi briefing non è certo casuale): il tema è quello «del sesso e della castità prematrimoniale, dell’astinenza prima delle nozze»; il padre sinodale – riprendiamo dal resoconto di Avvenire - sottolinea come la posizione della Chiesa su questo aspetto pone «due rischi: da una parte rischia di far sposare le coppie prima del tempo di un’adeguata maturazione della loro volontà, dall’altra di provocare un allontanamento dal sacramento di chi non riesce a vivere la vita di coppia senza rapporti sessuali». Davanti a questo divieto, ha detto ancora il padre sinodale, ci sono ragazzi che «perdiamo per un po’», alcuni ritornano, altri «li perdiamo per sempre».
È l’immagine fedele di una Chiesa che si è appiattita sulla ricerca del consenso, che non riconosce più la verità sull’uomo che Gesù ci ha rivelato. Lo ha ricordato anche il vescovo Chaput che, contestando la presenza di un linguaggio Lgbt nell’Instrumentum Laboris, ha detto che «ciò che la Chiesa afferma come verità della sessualità umana, non è un ostacolo, ma è l’unica vera strada alla gioia e alla pienezza di vita». E più in generale «gli adulti hanno il compito di trasmettere la verità del Vangelo di generazione in generazione, intatta da compromessi e deformazioni. Troppo spesso però, i responsabili della mia generazione, nelle nostre famiglie e nella Chiesa, per una combinazione di ignoranza, vigliaccheria e pigrizia hanno abdicato alla responsabilità di educare i giovani a passare la fede nel futuro».
Ecco, il problema è qui, nella fede. Non si parla più per fede, ma per calcolo politico. Certo, non tutto è così nella Chiesa. Sicuramente, come è accaduto per Chaput, ci saranno altre voci in queste settimane che richiameranno al compito vero della Chiesa, ma difficilmente ne sentiremo parlare dalla segreteria del Sinodo. Perché chi guida l’assemblea è più preoccupato di promuovere la propria agenda.
Riccardo Cascioli
http://www.lanuovabq.it/it/sinodo-limmagine-triste-di-una-chiesa-al-traino-del-mondo
Verdetto segreto per Asia Bibi. Ci sono motivi di speranza
La lunghissima vicenda di Asia Bibi si conclude qui, 9 anni dopo il suo arresto, con un verdetto della Corte Suprema. Che però non è stato comunicato, per motivi di sicurezza. Gli integralisti islamici pakistani sarebbero pronti ad assassinare subito questa donna cristiana, provata da quasi un decennio di isolamento in carcere, condannata a morte per "blasfemia" in primo grado nel 2010. E sarebbero pronti a scatenare violenze contro i giudici e la comunità cristiana. Per questo la Corte Suprema ha deciso, ma non si pronuncia. Avvocati e attivisti sono ottimisti. Nel caso sia stata assolta, un paese sicuro deve garantirle asilo politico.
Il destino di Asia Bibi è già stato deciso, ma noi non sappiamo quale sia. Infatti, la Corte Suprema del Pakistan, dopo l'ultimo clamoroso rinvio, ha emesso la sua sentenza per la donna condannata a morte per blasfemia nel 2010 e tuttora in carcere, in isolamento, in attesa di sentenza. Ora la sentenza c’è, ma è “riservata”, non è stata comunicata (per la vicenda si veda sul blog Cristiani Perseguitati).
Alla vigilia dell’udienza della Corte Suprema, Wilson Chowdhry, presidente della British Pakistani Christian Association (Bpca), si diceva ottimista sul verdetto: “Ho fiducia che questo sia un buon risultato – dichiarava all’agenzia missionaria AsiaNews - Asia è stata forte e coraggiosa durante tutti gli anni di prigionia e non ha mai perso neppure un briciolo della sua fede”. Sempre ad AsiaNews, Saiful Malook, avvocato di Asia Bibi si diceva anch’egli estremamente ottimista. “Sono sicuro al cento per cento che (Asia, ndr) verrà assolta. Abbiamo un buon processo”. Nelle ultime ore da tutto il mondo stavano giungendo preghiere per la sua liberazione. Un utente con il nome Khurram ha scritto: “È tempo che questa follia finisca. Troppo sangue è già stato versato per questa tragedia. La Corte faccia la cosa giusta e corregga gli sbagli”.
Ora, Asia sarà stata realmente assolta? Non lo sappiamo ora e non lo sapremo finché la Corte Suprema pakistana non deciderà di pubblicare la sentenza. Infatti il rischio era troppo forte, sia per un giudizio di assoluzione, sia per uno di eventuale condanna. Oltre alla polizia, ai media e alle associazioni per la difesa dei diritti umani, di fronte alla sede della Corte, erano radunati anche numerosi radicali islamici. La possibilità che potessero assassinare Asia Bibi dopo un’eventuale sentenza di assoluzione era concreta. Non solo esistono precedenti di cristiani assolti e assassinati il giorno stesso del processo, assieme al giudice che aveva appena spiccato la sentenza. Ma le vittime della violenza islamica direttamente collegate al caso Asia Bibi sono già due e sono entrambe eccellenti. La prima vittima eccellente è Salman Taseer, governatore del Punjab, ucciso nel gennaio 2011 dalla sua guardia del corpo. Si era offerto di perorare la richiesta di grazia per Asia di fronte al presidente del Pakistan. La seconda vittima eccellente è Shahbaz Bhatti, cattolico, ministro per le Minoranze, assassinato dai Talebani nel marzo del 2011. Era tra le più influenti voci pakistane per la tolleranza religiosa, sospettato dagli integralisti islamici di voler intercedere per Asia Bibi e, in generale, di voler riformare la “legge nera”, il famoso articolo 295, comma b, del Codice Penale pakistano, che condanna una persona per blasfemia, anche sulla base di un semplice sospetto.
La Corte ha dunque vietato l’ingresso ai giornalisti e sequestrato telefonini e altri strumenti di registrazione. Mehwish Bhatti, della Bpca, che era all’esterno del tribunale insieme a tanti altri attivisti, fa sapere che gli imputati di alto profilo sono stati fatti entrare da un ingresso secondario, per evitare i microfoni dei cronisti. Si può solo ipotizzare come sia finito il lunghissimo processo. “Ho fiducia che questo sia un buon risultato – ha dichiarato Wilson Chowdhry– Asia è stata forte e coraggiosa durante tutti gli anni di prigionia e non ha mai perso neppure un briciolo della sua fede”. Chowdhry pensa al futuro, nel caso l’assoluzione dovesse essere confermata: “dopo che verrà stabilito il suo rilascio – sostiene, ipotizzando un verdetto positivo – tutti i Paesi occidentali dovranno offrirle subito asilo politico. Asia non merita niente di meno, per il suo grande stoicismo”. “Il fatto che i giudici non abbiano subito rivelato il verdetto è buon segno – dice anche Thair Khalil Sindhu, uno degli avvocati difensori di Asia Bibi – è molto probabile che la Corte abbia rimandato la pubblicazione della sentenza perché intende assolverla. Speriamo che voglia organizzare il suo trasferimento dalla prigione di Multan a un luogo sicuro. I fondamentalisti sono pronti a ucciderla”. Ma anche nel caso riesca a sgusciare fuori dal pericolo che corre in Pakistan, un'eventuale assoluzione e fuga della donna cristiana "blasfema" può rendere tutti i cristiani del Pakistan dei bersagli mobili. Gli integralisti potrebbero vendicarsi uccidendo i giudici della Corte, gli avvocati, i cristiani in generale, con attentati o pogrom. Per questo occorre la massima attenzione sulla diffusione delle notizie.
La vicenda di Asia Bibi è tanto lunga che è facile dimenticarne l’origine. Era stata arrestata nel giugno del 2009 per un sospetto di blasfemia, accusata dalle sue colleghe. Mentre lavorava nei campi, non la lasciavano bere dallo stesso recipiente d’acqua, perché loro erano musulmane e lei cristiana. Pare che, in un'animata discussione attorno all'acqua contesa, abbia messo a confronto Gesù e Maometto. “Gesù Cristo è morto sulla croce per i peccati dell’umanità. Che cosa ha fatto il vostro profeta Maometto per salvare gli uomini?” Una domanda giudicata blasfema, che può costare la vita. Ma è anche probabile che Asia non l'abbia neppure mai posta, questa domanda: non sono emerse prove contro Asia Bibi, nemmeno a 9 anni dal suo arresto. Nel novembre 2010 è però stata condannata a morte per impiccagione e da allora è sottoposta a regime d’isolamento nella prigione di Multan, dove le viene concessa un’ora d’aria tre volte al mese. In questi anni si è ammalata più volte e alcuni carcerieri, che ormai hanno stretto legami con lei, fanno sapere che non riceve adeguate cure mediche. Dopo i due omicidi eccellenti del 2011, legati al suo processo, Asia Bibi è diventata l’icona della persecuzione dei cristiani in Pakistan e il simbolo tragico della “legge nera” sulla blasfemia. Che colpisce soprattutto le minoranze e fra queste soprattutto i cristiani, costituendo così una non troppo velata legittimazione della persecuzione religiosa.
Stefano Magni
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