IL CLASSISMO PETULANTE DELLA SETTA CONCILIARE: DISPREZZO PER I SEMPLICI ED ALTRE FALSITA' DA ERETICI
In un tweet di ieri (qui) egli scrive: «I don’t like sloppy liturgies. I think the liturgical reform was about stopping the brutalization of the liturgy by people (clergy included) that had no idea of what they were saying and singing in Latin - and were saying and singing something that was completely else from liturgy» [«Non mi piacciono le liturgie sciatte. Penso che la riforma liturgica sia servita a fermare la brutalizzazione della liturgia da parte di gente (clero incluso) che non aveva idea di cosa stesse dicendo e cantando in latino - mentre stava dicendo e cantando qualcosa che era completamente diverso dalla liturgia»].
Il Faggioli, professore di Storia del Cristianesimo, è nato nel 1970 e non ha mai visto né assistito in vita sua ad una funzione precedente alla riforma. Le sue illazioni sulla liturgia antica gli provengono da quel milieu di progressisti, costituito massimamente da chierici, che fonda le proprie fallaci argomentazioni su teoremi tanto indimostrati quanto indimostrabili. I quali teoremi, tuttavia, dimostrano disprezzo nei confronti del popolo fedele, insofferenza saccente verso la devozione dei semplici, insomma una sostanziale mancanza di carità e di fede.
Avendo qualche annetto in più di Faggioli, posso testimoniare che la liturgia preconciliare non fu mai brutalizzata, e che i casi in cui qualche persona di umili condizioni o di scarsa cultura storpiava le parole del latino erano rari e talmente marginali da poter esser considerati mancanze meno che veniali. E l'intenzione era sempre buona.
Ma il dotto - ammesso che di dotto in liturgia si possa parlare nel caso di un laureato in Scienze Politiche (nel 1994) - si erge a spietato giudice dei piccoli, delle vecchiette, del contadino e del povero curato di campagna. Dal suo scranno di ricercatore a Tubinga (dal 1999 al 2000), in Québec (2002), a Potsdam (2004), assistente all’Università San Tommaso di Minneapolis (2009) ed infine alla Villanova University di Philadelphia (2016) egli può guardar dall’alto in basso i meschini che per secoli hanno frequentato le nostre chiese, prima della gloriosaprimavera conciliare di cui egli è figlio. Sarei curioso di vedere se, aprendo a caso una pagina del Denzinger, egli sia in grado di tradurre all’impronto un testo greco o latino, dando sfoggio di quell’erudizione che nega negli altri, specialmente quando gli altri sono i Cattolici cui è stato risparmiato lo scempio della riforma liturgica.
Nelle parole di Faggioli si nota il pregiudizio classista dei Novatori à la Ravasi, i cui indigesti scritti sono pari solo alla loro prosopopea ed all’orgoglio monstre.
Le boutades secondo le quali, al canto del Tantum ergo, le vecchiette rispondevano Canta il merlo sul frumento; o al canto dell’Ave maris Stella storpiavano le parole Mala nostra pelle, bona cuncta posce in Ma la nostra pelle è buona è costa poco sono state diffuse da quegli stessi Novatori che il Concilio porta in palmo di mano e che solo in seno alla setta conciliare hanno trovato quel prestigio, che fino ad allora era stato loro giustamente negato. Ne ho sentite io stesso, da un Canonico bonario. Il quale raccontava che, ad uno dei primi incontri ecumenici, quando i sacerdoti ortodossi intonavano un Kyrie nella melodia bizantina, uno dei suoi confratelli avrebbe affermato: «Ma guarda, cantano il Kyrie in latino, come noi!» Ma erano battute scherzose, forse superficiali, ma mai livorose verso i semplici come quelle che sentiamo da cinquant’anni.
Quanto alla presunta ignoranza dei fedeli dell’antico rito, occorre ricordare all’inesperto Faggioli che la Messa non era, né fu mai, appannaggio degl’ignoranti, come nell’Ottocento volevano far credere i liberali e i massoni, e come prima di loro farneticavano Lutero e Calvino. Alla Messa assistevano nobili e popolo, accademici e operaj, medici e contadini. Ciascuno di essi, secondo il proprio stato e la propria cultura, era in grado di penetrare le parole della liturgia, di coglierne i rimandi alla Sacra Scrittura, o anche solo di contemplarne le raffigurazioni nei mosaici o sugli affreschi delle chiese: la biblia pauperum, come giustamente li si definiva. E quel che il semplice non comprendeva del latino, era ampiamente compensato alla sua fede, dall’umile preghiera, dall’amore per la Chiesa. E dalla generale atmosfera dei tempi.
La madre che si bamboleggia col neonato non pretende ch’egli parli con dizione perfetta e rispettando la consecutio temporum: ella si bea dei vagiti e delle poche parole inarticolate che riesce a pronunciare, e a sua volta gli risponde con pappa, nanni, bumba, senza deriderlo. Anzi, con un trasporto ancor maggiore, perché sa leggere nel suo sorriso e nella luce dei suoi occhietti quell’affetto che è ineffabileproprio perché non ha bisogno d’esser espresso a parole.
Similmente, dinanzi alla Maestà di Dio, siamo tutti infanti, e solo la Chiesa, nelle sublimi parole dei suoi riti e nella solennità delle sue cerimonie, sa esprimere degnamente la lode perfetta del suo Signore: poiché nel culto è Cristo Sommo Pontefice che celebra, rendendo al Padre l’azione sacra a nome del Corpo Mistico.
Sbaglia quindi chi crede che la comprensione delle parole della liturgia sia essenziale alla trasmissione della Grazia ch’esso veicola: può santificarsi di più la monaca sorda, che recita il Rosario mentre il sacerdote celebra una Messa letta, di quando non sappia fare il vanesio professore di discipline ecclesiastiche che risponde stentoreamente E con il tuo spirito. Ciò non significa che la Chiesa approvi l’ignoranza: sarebbe una falsità sconfessata dalla stessa esistenza di tante scuole ed università gestite proprio dagli Ordini Religiosi sin dal Medioevo. Ma la Chiesa è Madre, e non sarebbe madre se non accogliesse tutti suoi figli con pari amore, sollecitudine e prudenza. E Dio è Padre, e non sarebbe padre se non si degnasse di porger l’orecchio alla preghiera del semplice. Quel che Dio chiede, è la sincerità dell’intenzione e la purezza del cuore, non la superbia di chi - com’è tipico di tutti gli eretici - crede di aver da insegnare agli altri, Chiesa compresa, solo perché ha scritto una tesina sull’ecumenismo o sulla riforma liturgica.
Affermare che l’uso della lingua sacra abbia creato un ostacolo alla fede ed alla spiritualità dei fedeli è grottesco: i tesori d’arte che l’antica liturgia ha plasmato attraverso i secoli smentiscono senza appello queste accuse vergognose. E viceversa, gli orrori del postconcilio sono la prova che ad una dottrina corrotta corrisponde una liturgia adulterata, e che ad una liturgia adulterata corrisponde un’arte sacra orrenda: chiese che sembrano fabbriche o centrali elettriche, composizioni musicali che stridono all’orecchio e non esprimono che il nulla, paramenti di plastica che nessuno vorrebbe in casa propria nemmeno come stracci per la polvere, calici e pissidi che la massaja userebbe a stento per farci crescere il prezzemolo.
E ancora: della presunta erudizione del popolo grazie alla liturgia riformata non si è mai data prova. Al contrario, se chiediamo alla zelatrice del tempio o alla zitella che legge il Salmo responsoriale cosa significhi l’espressione «della stessa sostanza del Padre» che si recita nel Credo, ci sarebbe da allestir roghi sui sagrati di tutte le chiese, tanti e tali sarebbero gli spropositi che sentiremmo. E se indagassimo con lo stesso Faggioli quali siano le sue erudite speculazioni sulla Presenza Reale o quali i fini della Messa, lo si dovrebbe rispedire a studiar il Catechismo di San Pio X, ammesso che mai l’abbia fatto.
Il classismo dei Novatori, il loro disprezzo per tutto ciò che è santo e venerabile; il malcelato fastidio per la voce della Chiesa e per tutto ciò che è bello e innalza l’animo a Dio sono la tristissima sconfessione della leggenda conciliare, di quella primavera che, lungi dal rinverdire le fronde dell’albero cattolico, ne ha reciso il tronco alla radice.
Ecco cosa scriveva dom Prosper Guéranger, a proposito degli eretici che li hanno preceduti: «Poiché la riforma liturgica ha tra i suoi fini principali l’abolizione degli atti e delle formule mistiche, ne segue necessariamente che i suoi autori debbano rivendicare l’uso della lingua volgare nel servizio divino. Questo è uno dei punti più importanti agli occhi dei settari. Il culto non è una cosa segreta, essi dicono: il popolo deve capire quello che canta. L’odio per la lingua latina è innato nel cuore di tutti i nemici di Roma: costoro vedono in essa il legame dei cattolici nell’universo, l’arsenale dell’ortodossia contro tutte le sottigliezze dello spirito settario, l’arma più potente del papato. Lo spirito di rivolta, che li induce ad affidare all’idioma di ciascun popolo, di ciascuna provincia, di ciascun secolo la preghiera universale, ha del resto prodotto i suoi frutti, e i riformati sono in grado ogni giorno di accorgersi che i popoli cattolici, nonostante le loro preghiere in latino, gustano meglio e compiono con più zelo i doveri del culto dei popoli protestanti. A ogni ora del giorno ha luogo nelle chiese cattoliche il servizio divino; il fedele che vi assiste lascia sulla soglia la sua lingua materna; al di fuori dei momenti di predicazione egli non intende che accenti misteriosi, che cessano di risuonare nel momento più solenne, il Canone della messa. E tuttavia questo mistero lo affascina talmente che non invidia la sorte del protestante, quantunque l’orecchio di quest’ultimo non intenda mai suoni di cui non capisce il significato. Mentre il tempio riformato, una volta alla settimana, riunisce a fatica i cristiani puristi, la Chiesa papista vede senza posa i suoi numerosi altari assediati dai suoi religiosi figli; ogni giorno essi si allontanano dal loro lavoro per venire ad ascoltare queste parole misteriose che devono essere di Dio, perché nutrono la fede e leniscono i dolori. Riconosciamolo, è un colpo maestro del protestantesimo aver dichiarato guerra alla lingua sacra: se fosse riuscito a distruggerla, il suo trionfo avrebbe fatto un gran passo avanti. Offerta agli sguardi profani come un vergine disonorata, la liturgia, da questo momento, ha perduto il suo carattere sacro, e ben presto il popolo troverà eccessiva la pena di disturbarsi nel proprio lavoro o nei propri piaceri per andare a sentir parlare come si parla sulla pubblica piazza. Togliete alla Église française le sue declamazioni radicali e le sue diatribe contro la pretesa venalità del clero, e andate a vedere se il popolo continuerà a lungo ad andare a sentire il sedicente primate delle Gallie gridare: "Le Seigneur soit avec vous"; e altri rispondergli: "Et avec votre esprit"» (Insitutions Liturgiques, cap. XIV, De l'hérésie antiliturgique et de la réforme protestante du XVIe siècle, considérée dans ses rapports avec la liturgie).
Tenetevi, o miserabili, i vostri riti nella lingua che si parla nella pubblica piazza. E, di grazia, evitate di ricorrere agli orpelli dei mangiapreti del secolo scorso: rischiate di screditarvi definitivamente.
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