Carte prepagate ai migranti: paga Soros, Onu e Ue benedicono
Si chiama Humanity Ventures, ed è la partnership siglata nel gennaio 2017 a Davos tra il finanziare George Soros e Mastercard, sulla base della promessa del magnate di stanziare 500 milioni di dollari a favore dei migranti in Europa. Come si legge sul sito di Mastercard, il progetto ha l’obiettivo di “catalizzare e accelerare lo sviluppo economico e sociale delle comunità vulnerabili di tutto il mondo, in particolare i rifugiati e i migranti”.
Dalle parole ai fatti, perché Humanity Ventures ora è realtà. Secondo il sito sloveno Nova24, che cita fonti interne alla polizia croata, ai migranti che attraversano i balcani verrebbero distribuite delle carte prepagate: “I migranti illegali che rispediamo a casa, nel giro di pochi giorni si ripresentano per provare e rientrare in Croazia. Alcuni sono molto poveri, ma la maggior parte di loro sono ben equipaggiati, con scarpe e vestiti nuovi, smartphone sofisticati e di ultima generazione, persino armi. E tutti hanno in dotazione una Mastercard senza nome ma con la dicitura Unhcr e un numero stampigliato. Quello che non ci spieghiamo è da quale conto ritirino i soldi dagli sportelli automatici”.
Soros e Mastercard
Se al momento non è affatto chiaro il ruolo dell’Unione europa e soprattutto delle Nazioni Unite, ci sono meno dubbi sul coinvolgimento di Mastercard che sul proprio sito ufficiale annunciava l’avvio del progetto in collaborazione con il fondatore della Open Society Foundations: “Nonostante miliardi di dollari dati in assistenza umanitaria e allo sviluppo ogni anno – si legge nella nota ufficiale – milioni di persone rimangono emarginate. Mastercard e George Soros credono che le capacità del settore privato, unitamente a investimenti strategici a lungo termine, possano stimolare lo sviluppo e trasformare la vita per i meno abbienti. “Humanity Ventures è destinato ad essere redditizio in modo da stimolare il coinvolgimento di altri imprenditori”, ha detto Soros.
In un’altra nota ufficiale datata giugno 2016, il colosso conferma il proprio impegno su questo fronte: “Sfruttando le nostre tecnologie e prodotti come MasterCard Aid Network e Prepaid, Mastercard collabora con i partner per fornire servizi essenziali nei momenti più critici della vita dei rifugiati. Ad oggi, le carte Mastercard Aid e Prepaid sono state impiegate in missioni umanitarie in Africa, Asia ed Europa – in paesi come Turchia, Kenya, Yemen, Nepal, Etiopia, Nigeria, Niger, Filippine e Grecia – e sono disponibili per supportare migliaia di beneficiari”.
Carte prepagate date ai migranti
In un’intervista rilasciata a Forbes lo scorso anno, Tara Nathan, vice-presidente esecutivo di Mastercard, spiegava come la società abbia collaborato con organizzazioni di tutto il mondo nel sostenere i migranti: “Attraverso la creazione di una piattaforma di pagamento offline e l’offerta di carte prepagate, identificazione digitale finanziaria e sistemi di punti vendita per i commercianti locali abbiamo essenzialmente creato una versione digitale del voucher cartaceo” ha osservato Nathan.
La notizia trapelata dalla polizia croata di queste ore viene confermata proprio da quell’intervista, che cita la partnership di Mastercard con Mercy Corps, altra importante organizzazione “filantropica” con sede negli Usa che, spiega la vice-presidente di Mastercard, “ha permesso la distribuzione di carte prepagate ai rifugiati in tutta la Grecia e in Serbia“ nel “primo programma della regione a sfruttare un sistema di pagamento senza contanti per coloro che cercano sicurezza in Europa. Il modello – osserva Nathan – consente ai rifugiati di acquistare beni in modo più efficiente senza spendere troppo”.
Tutto questo a che scopo? Come ha spiegato lo stesso Soros, Humanity Ventures è destinata a essere un’impresa redditizia…
Soros collabora con Mastercard per finanziare i migranti
L’affarista miliardario George Soros ha ripetutamente smentito le voci secondo cui starebbe collaborando al finanziamento della carovana dei migranti che, partendo dall’Honduras e dal Guatemala, sta attraversando il Messico e che ha, come meta finale, gli Stati Uniti.
Ma tutto questo è destinato a cambiare, dal momento che il fondatore della “Open Society,” noto per aver finanziato una buona parte dell’opposizione a Brett Kavanaugh, il candidato alla Corte Suprema degli Stati Uniti scelto da Trump, si è ora associato con Mastercard per dar soldi (sotto la denominazione di ‘capitali d’investimento’) a migranti, rifugiati e “ad altri che lottano all’interno delle loro comunità, dovunque esse si trovino,” secondo la Reuters. Con questa forma di collaborazione, Soros sta effettivamente fornendo un palese supporto finanziario ai migranti e ai rifugiati che cercano di entrare negli Stati Uniti e in Europa.
L’accordo di collaborazione fra Soros e Mastercard, denominato “ Humanity Ventures” [Iniziative Umanitarie], è il risultato della promessa fatta da Soros, nel mese di settembre, di spendere 500 milioni di dollari per affrontare “le sfide a cui si trovano di fronte migranti e rifugiati.”
In una dichiarazione congiunta, Soros e Mastercard hanno affermato che i programmi di aiuti umanitari dei vari governi non sono stati sufficienti a risolvere i problemi dei rifugiati, facendo capire che questa è una questione a cui può arrivare una soluzione solo dal settore privato.
“I migranti sono spesso costretti a vivere nella disperazione all’interno delle comunità che li ospitano, perché non riescono ad accedere ai servizi finanziari e assistenziali dello stato,” ha affermato Soros.
“Il nostro investimento potenziale in questa impresa sociale, insieme alla capacità di Mastercard di creare prodotti che siano di aiuto alle comunità più vulnerabili, farà vedere come il capitale privato possa giocare un ruolo costruttivo nella risoluzione dei problemi sociali,” ha aggiunto.
Soros intende spendere subito 50 milioni di dollari per fornire soluzioni “modulabili” per i problemi riguardanti la sanità e la scuola. Ha intenzione di “investire” capitali nelle attività commerciali fondate dai migranti.
“Humanity Ventures è fatta per essere remunerativa, in modo da stimolare il coinvolgimento di altri imprenditori,” ha detto Soros.“Speriamo anche di stabilire norme di condotta tali da far sì che questi investimenti non contribuiscano allo sfruttamento delle fragili comunità che intendiamo servire.”
Soros ha detto che preferirebbe che ‘Human Ventures’ fosse redditizia, in modo da attirare ‘altri imprenditori’, però non è chiaro come pensi di ricavare qualcosa che si avvicini ad un ragionevole margine di guadagno facendo prestiti a fondo perduto a migranti e rifugiati.
Tutto questo dopo che Mastercard, nel 2016, aveva ammesso di aver fornito carte di debito prepagate a migranti e a rifugiati in viaggio attraverso l’Europa, un qualcosa che la società aveva fatto con l’esplicita benedizione dell’Unione Europea e dell’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite.
Forse il canale televisivo via cavo MSNBC e tutti gli altri media liberali che affermano che Soros e le sue reti no-profit non forniscono assistenza finanziaria ai migranti che si stanno avvicinando agli Stati Uniti dovrebbero pensarci un attimo, prima di continuare con i loro dinieghi.
Tyler Durden
Fonte: zerohedge.com
Link: https://www.zerohedge.com/news/2018-11-03/soros-partners-mastercard-hand-out-money-migrants
03.11.2018
Tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
L’affarista miliardario George Soros ha ripetutamente smentito le voci secondo cui starebbe collaborando al finanziamento della carovana dei migranti che, partendo dall’Honduras e dal Guatemala, sta attraversando il Messico e che ha, come meta finale, gli Stati Uniti.
Ma tutto questo è destinato a cambiare, dal momento che il fondatore della “Open Society,” noto per aver finanziato una buona parte dell’opposizione a Brett Kavanaugh, il candidato alla Corte Suprema degli Stati Uniti scelto da Trump, si è ora associato con Mastercard per dar soldi (sotto la denominazione di ‘capitali d’investimento’) a migranti, rifugiati e “ad altri che lottano all’interno delle loro comunità, dovunque esse si trovino,” secondo la Reuters. Con questa forma di collaborazione, Soros sta effettivamente fornendo un palese supporto finanziario ai migranti e ai rifugiati che cercano di entrare negli Stati Uniti e in Europa.
L’accordo di collaborazione fra Soros e Mastercard, denominato “ Humanity Ventures” [Iniziative Umanitarie], è il risultato della promessa fatta da Soros, nel mese di settembre, di spendere 500 milioni di dollari per affrontare “le sfide a cui si trovano di fronte migranti e rifugiati.”
In una dichiarazione congiunta, Soros e Mastercard hanno affermato che i programmi di aiuti umanitari dei vari governi non sono stati sufficienti a risolvere i problemi dei rifugiati, facendo capire che questa è una questione a cui può arrivare una soluzione solo dal settore privato.
“I migranti sono spesso costretti a vivere nella disperazione all’interno delle comunità che li ospitano, perché non riescono ad accedere ai servizi finanziari e assistenziali dello stato,” ha affermato Soros.
“Il nostro investimento potenziale in questa impresa sociale, insieme alla capacità di Mastercard di creare prodotti che siano di aiuto alle comunità più vulnerabili, farà vedere come il capitale privato possa giocare un ruolo costruttivo nella risoluzione dei problemi sociali,” ha aggiunto.
Soros intende spendere subito 50 milioni di dollari per fornire soluzioni “modulabili” per i problemi riguardanti la sanità e la scuola. Ha intenzione di “investire” capitali nelle attività commerciali fondate dai migranti.
“Humanity Ventures è fatta per essere remunerativa, in modo da stimolare il coinvolgimento di altri imprenditori,” ha detto Soros.“Speriamo anche di stabilire norme di condotta tali da far sì che questi investimenti non contribuiscano allo sfruttamento delle fragili comunità che intendiamo servire.”
Soros ha detto che preferirebbe che ‘Human Ventures’ fosse redditizia, in modo da attirare ‘altri imprenditori’, però non è chiaro come pensi di ricavare qualcosa che si avvicini ad un ragionevole margine di guadagno facendo prestiti a fondo perduto a migranti e rifugiati.
Tutto questo dopo che Mastercard, nel 2016, aveva ammesso di aver fornito carte di debito prepagate a migranti e a rifugiati in viaggio attraverso l’Europa, un qualcosa che la società aveva fatto con l’esplicita benedizione dell’Unione Europea e dell’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite.
Forse il canale televisivo via cavo MSNBC e tutti gli altri media liberali che affermano che Soros e le sue reti no-profit non forniscono assistenza finanziaria ai migranti che si stanno avvicinando agli Stati Uniti dovrebbero pensarci un attimo, prima di continuare con i loro dinieghi.
Tyler Durden
Fonte: zerohedge.com
Link: https://www.zerohedge.com/news/2018-11-03/soros-partners-mastercard-hand-out-money-migrants
03.11.2018
Tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
Link: https://www.zerohedge.com/news/2018-11-03/soros-partners-mastercard-hand-out-money-migrants
03.11.2018
Tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
Migrante spaccia, subito libero. E il giudice ordina: "La polizia gli ridia i soldi"
Il nigeriano arrestato dopo mesi di indagine. Ma torna subito in libertà. Ira della Municipale e della Lega: "Siamo allibiti"
Il nigeriano arrestato dopo mesi di indagine. Ma torna subito in libertà. Ira della Municipale e della Lega: "Siamo allibiti"
Ci sono voluti mesi di indagini, mica solo qualche giorno. Però alla fine la polizia municipale di Treviso era riuscita a catturare un richiedente asilo dedito allo spaccio di droga.
Un crimine "infame", come lo ha più volte definito il ministro Salvini. Peccato che lo sforzo degli agenti non sia bastato ad assicurare al pusher la permenenza dietro le sbarre. Anzi.
I fatti risalgono a tre giorni fa, quando i quotidiani locali hanno diffuso la notizia dell'arresto da parte della polizia locale di un 21enne nigeriano richiedente asilo e ospite da due anni nella Caserma Serena di Dosson. La Municipale gli aveva messo gli occhi addosso già a luglio ma solo pochi giorni fa è riuscita a portare a termine l'operazione. Lo hanno visto nel centro storico in bicicletta, lo hanno bloccato e perquisito. Nelle tasche aveva qualcosa come 250 grammi di marijuana e una sorta di libro contabile dove - secondo i vigili - avrebbe tenuto i nominativi di altri stranieri cui forniva le dosi da spacciare. Il resto della droga, però, è stata trovata nella sua stanza alla Caserma Serena dove il migrante viveva ospite a spese dei contribuenti. Qui la polizia e la cinofila hanno scoperto altri 230 grammi di droga: in totale fa quasi mezzo chilo di droga. In camera poi è stato rinvenuta anche una carta prepagata, alcuni cellulari e diverse banconote (250 euro).
Tutto bene quel che finisce bene, direte. O forse no. Perché lo spacciatore nigeriano è stato processato per direttissima e condannato dal giudice a due anni di carcere per detenzione di stupefacenti ai fini dello spaccio. Grazie ai benefici di legge, però, è subito stato rimesso in libertà con tanti saluti agli sforzi della Municipale. Non solo. Perché come se non bastasse, la toga ha anche ordinato alla polizia Locale di ridare all'immigrato i soldi, la carta prepagata e i vari cellulari trovati durante la perquisizione.
Il sindaco si è infuriato: "Chiedo rispetto nei confronti delle forze dell'ordine e dei cittadini che ci chiedono sicurezza - ha detto Mario Conte (Lega) - Presenterò al Ministro dell’Interno Matteo Salvini una relazione dettagliata perché non è possibile buttare all’aria mesi di indagini per la mancanza di certezza della pena. Se viene fermato uno spacciatore con 500 grammi di droga, 250 euro in tasca e cellulari e di fatto risulta nullatenente non è possibile che venga dissequestrato il denaro". E pensare che per la Municipale si tratta di un grossista dello spaccio e non di un piccolo spacciatore. "Siamo allibiti - dichiara il Comandante Maurizio Tondato, come riporta TrevisoToday - Dopo mesi di pedinamenti, intercettazioni, ricerche sul campo e tante energie profuse, vediamo un importante grossista della droga del trevigiano che probabilmente non viene punito a dovere, dovendo noi come Polizia Locale restituirgli quanto sequestrato in precedenza perché non è certo fosse provente della sua attività di spaccio, nonostante il ragazzo avesse dichiarato di essere nullatenente".
Ci sono voluti mesi di indagini, mica solo qualche giorno. Però alla fine la polizia municipale di Treviso era riuscita a catturare un richiedente asilo dedito allo spaccio di droga.
Un crimine "infame", come lo ha più volte definito il ministro Salvini. Peccato che lo sforzo degli agenti non sia bastato ad assicurare al pusher la permenenza dietro le sbarre. Anzi.
I fatti risalgono a tre giorni fa, quando i quotidiani locali hanno diffuso la notizia dell'arresto da parte della polizia locale di un 21enne nigeriano richiedente asilo e ospite da due anni nella Caserma Serena di Dosson. La Municipale gli aveva messo gli occhi addosso già a luglio ma solo pochi giorni fa è riuscita a portare a termine l'operazione. Lo hanno visto nel centro storico in bicicletta, lo hanno bloccato e perquisito. Nelle tasche aveva qualcosa come 250 grammi di marijuana e una sorta di libro contabile dove - secondo i vigili - avrebbe tenuto i nominativi di altri stranieri cui forniva le dosi da spacciare. Il resto della droga, però, è stata trovata nella sua stanza alla Caserma Serena dove il migrante viveva ospite a spese dei contribuenti. Qui la polizia e la cinofila hanno scoperto altri 230 grammi di droga: in totale fa quasi mezzo chilo di droga. In camera poi è stato rinvenuta anche una carta prepagata, alcuni cellulari e diverse banconote (250 euro).
Tutto bene quel che finisce bene, direte. O forse no. Perché lo spacciatore nigeriano è stato processato per direttissima e condannato dal giudice a due anni di carcere per detenzione di stupefacenti ai fini dello spaccio. Grazie ai benefici di legge, però, è subito stato rimesso in libertà con tanti saluti agli sforzi della Municipale. Non solo. Perché come se non bastasse, la toga ha anche ordinato alla polizia Locale di ridare all'immigrato i soldi, la carta prepagata e i vari cellulari trovati durante la perquisizione.
Il sindaco si è infuriato: "Chiedo rispetto nei confronti delle forze dell'ordine e dei cittadini che ci chiedono sicurezza - ha detto Mario Conte (Lega) - Presenterò al Ministro dell’Interno Matteo Salvini una relazione dettagliata perché non è possibile buttare all’aria mesi di indagini per la mancanza di certezza della pena. Se viene fermato uno spacciatore con 500 grammi di droga, 250 euro in tasca e cellulari e di fatto risulta nullatenente non è possibile che venga dissequestrato il denaro". E pensare che per la Municipale si tratta di un grossista dello spaccio e non di un piccolo spacciatore. "Siamo allibiti - dichiara il Comandante Maurizio Tondato, come riporta TrevisoToday - Dopo mesi di pedinamenti, intercettazioni, ricerche sul campo e tante energie profuse, vediamo un importante grossista della droga del trevigiano che probabilmente non viene punito a dovere, dovendo noi come Polizia Locale restituirgli quanto sequestrato in precedenza perché non è certo fosse provente della sua attività di spaccio, nonostante il ragazzo avesse dichiarato di essere nullatenente".
La Sant’Egidio mette i bastoni tra le ruote ai nostri diplomatici impegnati in Libia
MB – Ricordiamo che a capo della “cattolica” Sant’Egidio c’è Andrea Riccardi, già ministro di Mario Monti per la rovina d’Italia, nonché commendatore della Legion d’Honneur – In fondo, la biografia non autorizzata del personaggio e della sua organizzazione)
(da La Verità)
La comunità internazionale punta sulla conferenza per la Libia di Palermo per dare stabilità al Paese nordafricano. Tuttavia, il governo italiano, organizzatore dell’ evento del 12 e 13 novembre, deve guardarsi non solo dalle offensive dell’ esecutivo francese di Emmanuel Macron ma anche dal fuoco amico.
In particolare, quello della Comunità di Sant’ Egidio. Il movimento di ispirazione cattolica fondato da Andrea Riccardi, che fu ministro per la Cooperazione internazionale e l’ integrazione durante il governo di Mario Monti, è intervenuto nel Sud della Libia con una conferenza, il 22 e 23 ottobre, che ha riunito rappresentanti delle istituzioni locali e dei consigli di varie tribù tra cui tuareg, tebu e arabi.
Si legge sul sito della Comunità di Sant’ Egidio che è stata rivolta nell’ occasione «una richiesta alla Comunità di Sant’ Egidio perché ne sostenga gli sforzi di sviluppo e riconciliazione». Un’ iniziativa «anticipata» sul Fatto Quotidiano il 21 ottobre da Mario Giro, membro di Sant’ Egidio e viceministro degli Esteri nei governi Renzi e Gentiloni.
Nel suo intervento Giro scrive che «servono molte pressioni sui libici perché cambino mentalità», «senza tale impegno diplomatico la situazione di crisi potrebbe diventare permanente, come in Somalia» e, ancora, che vanno coinvolte non soltanto le autorità di Tripoli e Bengasi, ma anche, tra le altre, quelle di Misurata e le tribù del Fezzan.
Tuttavia, la mossa della Comunità di Sant’ Egidio ha infastidito la Farnesina, raccontano alla Verità fonti della diplomazia italiana. Perché in questo momento di tensioni tra Italia e Francia, il nostro governo preferirebbe non doversi mettere al riparo dal fuoco amico, soprattutto se proveniente da una zona, il Sud della Libia, su cui il governo Conte sta intensificando i suoi sforzi dato l’ alto tasso di frammentazione.
Ma non è tutto. Perché sono noti i buoni rapporti tra la Comunità di Sant’ Egidio e Macron che, raccontano fonti diplomatiche, da tempo conta sul movimento di Riccardi proprio per gestire il Fezzan. Di Fezzan si parlò per esempio il 26 giugno, quando il presidente francese incontrò a Palazzo Farnese, a Roma, una delegazione di Sant’ Egidio.
Pochi giorni prima, esattamente il 18 giugno, il capo delle relazioni internazionali della Comunità, Mauro Garofalo, fece visita al ministero degli Esteri di Parigi e pure all’ Eliseo.
Riccardi uscì dall’ incontro romano entusiasta, definendo Macron, che aveva incontrato anche papa Francesco, «un uomo molto attento alle ragioni del dialogo».
Ma il presidente francese all’ epoca cercava di generare un corto circuito nella diplomazia italiana. In quei giorni infatti stava per partire la missione militare italiana a Ghat, nel Fezzan, per rafforzare i presidi di frontiera. A capo della missione il direttore del Dipartimento centrale dell’ Immigrazione, Massimo Bontempi. Gli esperti erano incaricati di controllare le zone del traffico di esseri umani, guidate da tribù non in contrasto con il governo tripolino di Fayez Al Serraj ma assai distanti dal generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, l’ uomo che può contare sul sostegno di Russia, Stati Uniti, Egitto ed Emirati arabi ma ultimamente sempre più lontano da Parigi.
Il governo di Tripoli però non ha affatto gradito l’ iniziativa della Comunità di Sant’ Egidio con le tribù del Fezzan. Diversi media libici, tra cui l’ agenzia di stampa nazionale Lana, hanno diffuso un comunicato in cui la Commissione della società civile del governo tripolino condanna «l’ organizzazione italiana Sant’ Egidio per aver tenuto degli incontri e riunioni in terra libica senza chiedere il permesso alle autorità ufficiali dello Stato libico».
La Commissione, ribadendo il sostegno alla conferenza di Palermo organizzata dal governo italiano, si è detta preoccupata per «le attività di Sant’ Egidio in Libia con alcune componenti libiche che si svolgono senza alcun permesso legale che le consenta» e ha condannato ciò che viene definito «una violazione delle leggi libiche e internazionali da parte di Sant’ Egidio».
(segue su:
MB – Ricordiamo che a capo della “cattolica” Sant’Egidio c’è Andrea Riccardi, già ministro di Mario Monti per la rovina d’Italia, nonché commendatore della Legion d’Honneur – In fondo, la biografia non autorizzata del personaggio e della sua organizzazione)
(da La Verità)
La comunità internazionale punta sulla conferenza per la Libia di Palermo per dare stabilità al Paese nordafricano. Tuttavia, il governo italiano, organizzatore dell’ evento del 12 e 13 novembre, deve guardarsi non solo dalle offensive dell’ esecutivo francese di Emmanuel Macron ma anche dal fuoco amico.
In particolare, quello della Comunità di Sant’ Egidio. Il movimento di ispirazione cattolica fondato da Andrea Riccardi, che fu ministro per la Cooperazione internazionale e l’ integrazione durante il governo di Mario Monti, è intervenuto nel Sud della Libia con una conferenza, il 22 e 23 ottobre, che ha riunito rappresentanti delle istituzioni locali e dei consigli di varie tribù tra cui tuareg, tebu e arabi.
Si legge sul sito della Comunità di Sant’ Egidio che è stata rivolta nell’ occasione «una richiesta alla Comunità di Sant’ Egidio perché ne sostenga gli sforzi di sviluppo e riconciliazione». Un’ iniziativa «anticipata» sul Fatto Quotidiano il 21 ottobre da Mario Giro, membro di Sant’ Egidio e viceministro degli Esteri nei governi Renzi e Gentiloni.
Nel suo intervento Giro scrive che «servono molte pressioni sui libici perché cambino mentalità», «senza tale impegno diplomatico la situazione di crisi potrebbe diventare permanente, come in Somalia» e, ancora, che vanno coinvolte non soltanto le autorità di Tripoli e Bengasi, ma anche, tra le altre, quelle di Misurata e le tribù del Fezzan.
Tuttavia, la mossa della Comunità di Sant’ Egidio ha infastidito la Farnesina, raccontano alla Verità fonti della diplomazia italiana. Perché in questo momento di tensioni tra Italia e Francia, il nostro governo preferirebbe non doversi mettere al riparo dal fuoco amico, soprattutto se proveniente da una zona, il Sud della Libia, su cui il governo Conte sta intensificando i suoi sforzi dato l’ alto tasso di frammentazione.
Ma non è tutto. Perché sono noti i buoni rapporti tra la Comunità di Sant’ Egidio e Macron che, raccontano fonti diplomatiche, da tempo conta sul movimento di Riccardi proprio per gestire il Fezzan. Di Fezzan si parlò per esempio il 26 giugno, quando il presidente francese incontrò a Palazzo Farnese, a Roma, una delegazione di Sant’ Egidio.
Pochi giorni prima, esattamente il 18 giugno, il capo delle relazioni internazionali della Comunità, Mauro Garofalo, fece visita al ministero degli Esteri di Parigi e pure all’ Eliseo.
Riccardi uscì dall’ incontro romano entusiasta, definendo Macron, che aveva incontrato anche papa Francesco, «un uomo molto attento alle ragioni del dialogo».
Ma il presidente francese all’ epoca cercava di generare un corto circuito nella diplomazia italiana. In quei giorni infatti stava per partire la missione militare italiana a Ghat, nel Fezzan, per rafforzare i presidi di frontiera. A capo della missione il direttore del Dipartimento centrale dell’ Immigrazione, Massimo Bontempi. Gli esperti erano incaricati di controllare le zone del traffico di esseri umani, guidate da tribù non in contrasto con il governo tripolino di Fayez Al Serraj ma assai distanti dal generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, l’ uomo che può contare sul sostegno di Russia, Stati Uniti, Egitto ed Emirati arabi ma ultimamente sempre più lontano da Parigi.
Il governo di Tripoli però non ha affatto gradito l’ iniziativa della Comunità di Sant’ Egidio con le tribù del Fezzan. Diversi media libici, tra cui l’ agenzia di stampa nazionale Lana, hanno diffuso un comunicato in cui la Commissione della società civile del governo tripolino condanna «l’ organizzazione italiana Sant’ Egidio per aver tenuto degli incontri e riunioni in terra libica senza chiedere il permesso alle autorità ufficiali dello Stato libico».
La Commissione, ribadendo il sostegno alla conferenza di Palermo organizzata dal governo italiano, si è detta preoccupata per «le attività di Sant’ Egidio in Libia con alcune componenti libiche che si svolgono senza alcun permesso legale che le consenta» e ha condannato ciò che viene definito «una violazione delle leggi libiche e internazionali da parte di Sant’ Egidio».
(segue su:
CHI E’ ANDREA RICCARDI E PERCHE’ E’ DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
Ecco la biografia non autorizzata che nel 1998 svelò tutti i retroscena della Comunità di Sant’Egidio
di Sandro Magister
Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, è dal 16 novembre ministro. Non degli affari esteri, come lui stesso aveva sussurrato qua e là di desiderare, ma pur sempre della cooperazione internazionale, un incarico in rima con l’epiteto di “ONU di Trastevere” applicato ad arte alla sua comunità. […] Di lui esistono ricche e radiose biografie. Ma ce n’è anche una non autorizzata, mai oggetto di alcuna smentita, la cui lettura è stata sempre proibita ai seguaci di Sant’Egidio.
Propriamente, più che una biografia di Riccardi, è una storia della sua comunità, che però con lui fa tutt’uno. Quando uscì su “L’Espresso” era il 1998. Ma chi la rilegge oggi, scopre che anche ciò che allora veniva scritto al futuro si è puntualmente adempiuto.
SANT’EGIDIO STORY. IL GRANDE BLUFF
(Da “L’Espresso” del 9 aprile 1998)
Hanno la loro cittadella a Roma Trastevere, in piazza Sant’Egidio, in un ex convento di monache carmelitane con la chiesa. Ma non tengono nessuna targa sul portoncino. Lì a fianco c’è una caffetteria snob, “Pane amore e fantasia”, con l’insegna tipo pellicola da cinema e la foto di Gina Lollobrigida, ma non c’è scritto che è della comunità. Anche la loro messa del sabato sera è da qualche tempo clandestina. La dicono a porte chiuse dentro la vicina basilica di Santa Maria, che raggiungono attraverso un labirinto di locali e cortili interni. Perché ormai sia la basilica, sia quasi tutti gli edifici attigui sono loro dominio, compresi i due palazzi antichi sulla piazza grande. In uno c’è un mercatino di cose vecchie e curiose, “La soffitta”. Anche di questo non c’è scritto che è della comunità.
Sant’Egidio si vede e non si vede. Si sa che servono minestre calde ai barboni e aiutano i vecchi rimasti soli. Si sa che in Mozambico hanno messo d’accordo governo e guerriglieri e che nel Kosovo fanno la spola tra il despota serbo Slobodan Milosevic e gli albanesi maltrattati. La segretaria di Stato americana Madeleine Albright, quando all’inizio di marzo è passata da Roma, ha speso più tempo da loro che dal papa. E uscendo li ha beatificati: “Wonderful people”, meravigliosi. Sono candidati al Nobel per la pace. Hanno un efficientissimo servizio di pubbliche relazioni e tutti ne dicono un gran bene.
TRA OPUS DEI E DALAI LAMA
Ma per il resto sono come la leggendaria Opus Dei. Impenetrabili. Nemmeno in Vaticano sanno bene che cosa fanno quando sono tra loro. Neanche il papa lo sa, nonostante sia loro amico. Se sapesse che quelli di Sant’Egidio hanno praticamente abolito il sacramento della penitenza sostituendolo con i mea culpa pubblici nelle assemblee di gruppo, li redarguirebbe severo. Se conoscesse le loro stranezze in materia di matrimonio e procreazione, sobbalzerebbe sulla cattedra. Se sapesse che nelle loro messe l’omelia la tiene sempre Andrea Riccardi, il fondatore e capo, che prete non è e quindi non dovrebbe predicare (divieto assoluto ribadito di fresco da un’istruzione vaticana), li richiamerebbe subito all’obbedienza.
Questioni interne di Chiesa? Sì e no. Perché quella che oggi è detta “l’Onu di Trastevere” non è un’organizzazione laica tipo “Médecins sans frontières”, ma è nata come comunità cattolica integrale. E tuttora si presenta così: come cittadella di Dio in un mondo invaso dai barbari. È in forza di questa identità e della benedizione papale che Sant’Egidio si offre ´urbi et orbi´ come peacemaker sui fronti di guerra. Oltre che come ponte di dialogo tra le religioni.
Sono stati quelli di Sant’Egidio a organizzare il meeting interreligioso del 1986 ad Assisi, con il papa in preghiera fianco a fianco col Dalai Lama, con metropoliti ortodossi, pastori protestanti, monaci buddisti, rabbini ebrei, muftì musulmani, guru e sciamani d’ogni credo. Da allora, Sant’Egidio replica il modello di Assisi ogni anno: l’ultima volta a Padova e Venezia, altre volte a Roma, Firenze, Milano, Bari, Varsavia, Bruxelles, Malta, Gerusalemme. Con un crescendo di coreografie spettacolari. Con cerimonie ritrasmesse in mondovisione. Con un roteare di ospiti insigni, chiamati dai cinque continenti, spesati, coccolati. Minimo mezzo milione di dollari per meeting, coperti da sovvenzioni governative e private.
Con questi precedenti, Sant’Egidio non avrà rivali per il prossimo Giubileo. Sua sarà la regia dell’Assisi bis, questa volta di nuovo col papa, già annunciata dal Vaticano.
IN PRINCIPIO FU CL
Eppure, nonostante queste credenziali e le sue suggestive liturgie, il profilo cattolico della comunità di Sant’Egidio resta sfuggente. I suoi percorsi tortuosi. La sua data di nascita ufficiale è il 7 febbraio 1968. Ma a quella data non succede proprio niente di nuovo. I futuri membri di Sant’Egidio fanno semplicemente parte di un raggio, di una cellula di Gs nel liceo Virgilio di Roma. Gs è la sigla di Gioventù Studentesca, l’organizzazione fondata da don Luigi Giussani che più tardi, passata la bufera del Sessantotto, prenderà il nome di Comunione e Liberazione. Riccardi vi si era avvicinato negli anni di ginnasio, a Rimini. Dopo di che, tornato a Roma, aveva legato con i ´giessini´ del Virgilio, del Dante, del Mamiani. Tra quei compagni di liceo c’è già il nocciolo duro di Sant’Egidio d’oggi. Ma con loro ci sono anche Rocco Buttiglione e la sua futura moglie Maria Pia Corbò, che rimarranno con don Giussani. Se il gruppone si disfà, tre, quattro anni dopo, è perché se ne va via il prete che l’aveva tenuto assieme, Luigi Iannaccone. È solo a quel punto, inizio 1972, che Riccardi e i suoi si mettono in proprio. Con astio nei confronti dei fratelli separati di Cl, che infatti spariranno per sempre, anche in memoria, dalle storie autorizzate di Sant’Egidio.
MONACI DEL NUOVO MILLENNIO
Manca ancora una sede. E per un poco Riccardi e compagni, tutti di famiglia bene, meditano di traslocare in baracche di periferia. Ma poi per i poveri scelgono solo di lavorare, senza conviverci. Nel settembre del 1973 fissano finalmente il loro quartier generale a Sant’Egidio, a Roma Trastevere. Sparite le ultime monache, l’edificio era rimasto vuoto. È di proprietà del ministero degli Interni, che lo cede a loro in cambio d’un affitto di poche lire. Chiavi in mano compreso il restauro, eseguito prontamente a spese del ministero.
Segue la fase monastica. Con una spruzzata d’orientalismo. In vacanza, quelli di Sant’Egidio vanno in Belgio, a Chevetogne, un monastero che celebra raffinate liturgie bizantine, e se ne innamorano. Di ritorno a Roma, arricchiscono le loro liturgie con tocchi orientali e alla loro vita comune danno un’impronta monastica. Anche per via della giovane età, nessuno di loro è sposato. E allora s’immaginano “celibi per il Regno dei cieli” e “monaci nel deserto della città”. Danno ai loro capi i nomi di priore e priora, con i rispettivi vice. Abitano in piccoli gruppi divisi per sesso. Vestono tutti in modo austero, riconoscibile: gonne ampie e lunghe, maglioni abbondanti e colori castigati le donne; giaccone blu scuro i maschi; borsa di pelle a tracolla per tutti, modello Tolfa. Le giornate sono all’insegna dell'”ora et labora”, dove il “labora” sono il pasto ai poveri, le pulizie ai vecchi, il doposcuola ai monelli di periferia.
LA SCOPERTA DEL SESSO
Ma anche la fase monastica si spegne presto. Nell’estate del 1978, in un ritiro collettivo nelle Marche, nell’eremo di Macereto, un po’ tutti svuotano il sacco. E confessano di condurre tra loro una vita sessuale sin troppo movimentata. Da lì in poi cade il silenzio sul “nuovo monachesimo” e prendono il via i primi matrimoni. Resta l’obbedienza assoluta a quello che era di fatto l’abate indiscusso, Riccardi.
Il quale, intanto, s’è laureato in legge, ma si è subito dopo tuffato, da autodidatta, negli studi di storia, in particolare di storia della Chiesa, fino ad aggiudicarsi rapidamente una cattedra in università. Come per incanto, si danno agli studi di storia anche gli altri membri importanti della comunità, maschi. Ma quello che li distingue è che la storia non vogliono solo studiarla, ma farla. Specie la storia presente della Chiesa. Il 1978 è l’anno dei tre papi: muore Paolo VI e dopo l’interregno di papa Albino Luciani sale al trono Giovanni Paolo II. Nei due preconclavi, specie nel secondo, Sant’Egidio è tutto un via vai di cardinali d’ogni continente, di conciliaboli, di manovre elettorali.
La comunità fa campagna per il cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti. Ma il conclave li delude. A vincere è il polacco Karol Wojtyla, per loro uno sconosciuto. Bastano poche settimane per ribaltare la sconfitta. Quelli di Sant’Egidio studiano a puntino la mappa della prima uscita del nuovo papa, alla parrocchia romana della Garbatella. Sul tragitto c’è una scuola materna, con un’aula che dà proprio sulla strada. Per una settimana occupano quell’aula e insegnano ai bambini canti in polacco. Li tengono lì dentro a cantare anche la domenica, col papa che arriva. Finché il papa passa, sente, si ferma, entra, vuol sapere. L’idillio tra Giovanni Paolo II e Sant’Egidio sboccia così. L’innamoramento è l’estate dopo a Castelgandolfo, una sera di luglio, in giardino, con le lucciole. Cantano e ballano con lui. Fanno ´serpentone´ tra le aiuole. Non si lasceranno più.
ALLA CONQUISTA DELLA CHIESA
Gli anni Ottanta sono la fase della conquista della Chiesa, posizione dopo posizione, fino ai più alti gradi. Il riconoscimento canonico Sant’Egidio l’ottiene nel 1986. Ma più importanti sono i legami diretti stabiliti con alcuni personaggi chiave del Vaticano.
Tre di questi sono tuttora i più grossi sostenitori della comunità. Uno è il segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, onnipotente factotum. Un altro è il cardinale Roger Etchegaray, ambasciatore volante del papa sui fronti caldi del globo. Il terzo è il cardinale Achille Silvestrini, curiale di prima grandezza. Anche le parentele pesano. Una nipote di Silvestrini, Angela, è dentro la comunità. Mentre altri due membri di spicco di Sant’Egidio, don Matteo Zuppi e Francesco Dante, sono a loro volta nipoti di due porporati defunti: rispettivamente dei cardinali Carlo Confalonieri ed Enrico Dante. Quanto a Riccardi, il suo albero di famiglia è ancor più dotato: ha come zio non un cardinale ma un beato “che fu maestro del futuro cardinale Ildefonso Schuster”, un monaco di San Paolo fuori le Mura di nome Placido, elevato agli altari nel 1954. Ed è già lui stesso un santo in terra, per i suoi fan.
MARTINI FOLGORATO
Altro cardinale protettore di Sant’Egidio è Carlo Maria Martini, gesuita e arcivescovo di Milano. Martini lo dicono addirittura loro membro onorario, perché nel 1975, quando era a Roma come rettore del Pontificio istituto biblico, li incontrò, ne restò folgorato e per quattro anni fece la sua parte nella comunità: accudiva a un vecchietto di Trastevere e andava a dir messa in un locale della borgata Alessandrina. Ad accompagnare Martini passo passo era stata incaricata una giovane della comunità, Gina Schilirò. Un’altra, Maura De Bernart, aveva a sua volta conquistato alla causa pochi anni prima un sacerdote, Vincenzo Paglia, che oggi è assistente ecclesiastico ufficiale di Sant’Egidio e aspirante vescovo. Sfortunatamente, sia Schilirò che De Bernart hanno poi avuto storie tormentate. La prima è uscita dalla comunità e poi rientrata con la cenere sul capo. La seconda, che all’inizio era leader di spicco, finì presto retrocessa con l’etichetta di donna traviata. “La nostra Maria Maddalena”, la definivano i suoi censori.
(Il seguito su: :
Ecco la biografia non autorizzata che nel 1998 svelò tutti i retroscena della Comunità di Sant’Egidio
di Sandro Magister
Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, è dal 16 novembre ministro. Non degli affari esteri, come lui stesso aveva sussurrato qua e là di desiderare, ma pur sempre della cooperazione internazionale, un incarico in rima con l’epiteto di “ONU di Trastevere” applicato ad arte alla sua comunità. […] Di lui esistono ricche e radiose biografie. Ma ce n’è anche una non autorizzata, mai oggetto di alcuna smentita, la cui lettura è stata sempre proibita ai seguaci di Sant’Egidio.
Propriamente, più che una biografia di Riccardi, è una storia della sua comunità, che però con lui fa tutt’uno. Quando uscì su “L’Espresso” era il 1998. Ma chi la rilegge oggi, scopre che anche ciò che allora veniva scritto al futuro si è puntualmente adempiuto.
Propriamente, più che una biografia di Riccardi, è una storia della sua comunità, che però con lui fa tutt’uno. Quando uscì su “L’Espresso” era il 1998. Ma chi la rilegge oggi, scopre che anche ciò che allora veniva scritto al futuro si è puntualmente adempiuto.
SANT’EGIDIO STORY. IL GRANDE BLUFF
(Da “L’Espresso” del 9 aprile 1998)
(Da “L’Espresso” del 9 aprile 1998)
Hanno la loro cittadella a Roma Trastevere, in piazza Sant’Egidio, in un ex convento di monache carmelitane con la chiesa. Ma non tengono nessuna targa sul portoncino. Lì a fianco c’è una caffetteria snob, “Pane amore e fantasia”, con l’insegna tipo pellicola da cinema e la foto di Gina Lollobrigida, ma non c’è scritto che è della comunità. Anche la loro messa del sabato sera è da qualche tempo clandestina. La dicono a porte chiuse dentro la vicina basilica di Santa Maria, che raggiungono attraverso un labirinto di locali e cortili interni. Perché ormai sia la basilica, sia quasi tutti gli edifici attigui sono loro dominio, compresi i due palazzi antichi sulla piazza grande. In uno c’è un mercatino di cose vecchie e curiose, “La soffitta”. Anche di questo non c’è scritto che è della comunità.
Sant’Egidio si vede e non si vede. Si sa che servono minestre calde ai barboni e aiutano i vecchi rimasti soli. Si sa che in Mozambico hanno messo d’accordo governo e guerriglieri e che nel Kosovo fanno la spola tra il despota serbo Slobodan Milosevic e gli albanesi maltrattati. La segretaria di Stato americana Madeleine Albright, quando all’inizio di marzo è passata da Roma, ha speso più tempo da loro che dal papa. E uscendo li ha beatificati: “Wonderful people”, meravigliosi. Sono candidati al Nobel per la pace. Hanno un efficientissimo servizio di pubbliche relazioni e tutti ne dicono un gran bene.
Sant’Egidio si vede e non si vede. Si sa che servono minestre calde ai barboni e aiutano i vecchi rimasti soli. Si sa che in Mozambico hanno messo d’accordo governo e guerriglieri e che nel Kosovo fanno la spola tra il despota serbo Slobodan Milosevic e gli albanesi maltrattati. La segretaria di Stato americana Madeleine Albright, quando all’inizio di marzo è passata da Roma, ha speso più tempo da loro che dal papa. E uscendo li ha beatificati: “Wonderful people”, meravigliosi. Sono candidati al Nobel per la pace. Hanno un efficientissimo servizio di pubbliche relazioni e tutti ne dicono un gran bene.
TRA OPUS DEI E DALAI LAMA
Ma per il resto sono come la leggendaria Opus Dei. Impenetrabili. Nemmeno in Vaticano sanno bene che cosa fanno quando sono tra loro. Neanche il papa lo sa, nonostante sia loro amico. Se sapesse che quelli di Sant’Egidio hanno praticamente abolito il sacramento della penitenza sostituendolo con i mea culpa pubblici nelle assemblee di gruppo, li redarguirebbe severo. Se conoscesse le loro stranezze in materia di matrimonio e procreazione, sobbalzerebbe sulla cattedra. Se sapesse che nelle loro messe l’omelia la tiene sempre Andrea Riccardi, il fondatore e capo, che prete non è e quindi non dovrebbe predicare (divieto assoluto ribadito di fresco da un’istruzione vaticana), li richiamerebbe subito all’obbedienza.
Questioni interne di Chiesa? Sì e no. Perché quella che oggi è detta “l’Onu di Trastevere” non è un’organizzazione laica tipo “Médecins sans frontières”, ma è nata come comunità cattolica integrale. E tuttora si presenta così: come cittadella di Dio in un mondo invaso dai barbari. È in forza di questa identità e della benedizione papale che Sant’Egidio si offre ´urbi et orbi´ come peacemaker sui fronti di guerra. Oltre che come ponte di dialogo tra le religioni.
Sono stati quelli di Sant’Egidio a organizzare il meeting interreligioso del 1986 ad Assisi, con il papa in preghiera fianco a fianco col Dalai Lama, con metropoliti ortodossi, pastori protestanti, monaci buddisti, rabbini ebrei, muftì musulmani, guru e sciamani d’ogni credo. Da allora, Sant’Egidio replica il modello di Assisi ogni anno: l’ultima volta a Padova e Venezia, altre volte a Roma, Firenze, Milano, Bari, Varsavia, Bruxelles, Malta, Gerusalemme. Con un crescendo di coreografie spettacolari. Con cerimonie ritrasmesse in mondovisione. Con un roteare di ospiti insigni, chiamati dai cinque continenti, spesati, coccolati. Minimo mezzo milione di dollari per meeting, coperti da sovvenzioni governative e private.
Con questi precedenti, Sant’Egidio non avrà rivali per il prossimo Giubileo. Sua sarà la regia dell’Assisi bis, questa volta di nuovo col papa, già annunciata dal Vaticano.
Ma per il resto sono come la leggendaria Opus Dei. Impenetrabili. Nemmeno in Vaticano sanno bene che cosa fanno quando sono tra loro. Neanche il papa lo sa, nonostante sia loro amico. Se sapesse che quelli di Sant’Egidio hanno praticamente abolito il sacramento della penitenza sostituendolo con i mea culpa pubblici nelle assemblee di gruppo, li redarguirebbe severo. Se conoscesse le loro stranezze in materia di matrimonio e procreazione, sobbalzerebbe sulla cattedra. Se sapesse che nelle loro messe l’omelia la tiene sempre Andrea Riccardi, il fondatore e capo, che prete non è e quindi non dovrebbe predicare (divieto assoluto ribadito di fresco da un’istruzione vaticana), li richiamerebbe subito all’obbedienza.
Questioni interne di Chiesa? Sì e no. Perché quella che oggi è detta “l’Onu di Trastevere” non è un’organizzazione laica tipo “Médecins sans frontières”, ma è nata come comunità cattolica integrale. E tuttora si presenta così: come cittadella di Dio in un mondo invaso dai barbari. È in forza di questa identità e della benedizione papale che Sant’Egidio si offre ´urbi et orbi´ come peacemaker sui fronti di guerra. Oltre che come ponte di dialogo tra le religioni.
Sono stati quelli di Sant’Egidio a organizzare il meeting interreligioso del 1986 ad Assisi, con il papa in preghiera fianco a fianco col Dalai Lama, con metropoliti ortodossi, pastori protestanti, monaci buddisti, rabbini ebrei, muftì musulmani, guru e sciamani d’ogni credo. Da allora, Sant’Egidio replica il modello di Assisi ogni anno: l’ultima volta a Padova e Venezia, altre volte a Roma, Firenze, Milano, Bari, Varsavia, Bruxelles, Malta, Gerusalemme. Con un crescendo di coreografie spettacolari. Con cerimonie ritrasmesse in mondovisione. Con un roteare di ospiti insigni, chiamati dai cinque continenti, spesati, coccolati. Minimo mezzo milione di dollari per meeting, coperti da sovvenzioni governative e private.
Con questi precedenti, Sant’Egidio non avrà rivali per il prossimo Giubileo. Sua sarà la regia dell’Assisi bis, questa volta di nuovo col papa, già annunciata dal Vaticano.
IN PRINCIPIO FU CL
Eppure, nonostante queste credenziali e le sue suggestive liturgie, il profilo cattolico della comunità di Sant’Egidio resta sfuggente. I suoi percorsi tortuosi. La sua data di nascita ufficiale è il 7 febbraio 1968. Ma a quella data non succede proprio niente di nuovo. I futuri membri di Sant’Egidio fanno semplicemente parte di un raggio, di una cellula di Gs nel liceo Virgilio di Roma. Gs è la sigla di Gioventù Studentesca, l’organizzazione fondata da don Luigi Giussani che più tardi, passata la bufera del Sessantotto, prenderà il nome di Comunione e Liberazione. Riccardi vi si era avvicinato negli anni di ginnasio, a Rimini. Dopo di che, tornato a Roma, aveva legato con i ´giessini´ del Virgilio, del Dante, del Mamiani. Tra quei compagni di liceo c’è già il nocciolo duro di Sant’Egidio d’oggi. Ma con loro ci sono anche Rocco Buttiglione e la sua futura moglie Maria Pia Corbò, che rimarranno con don Giussani. Se il gruppone si disfà, tre, quattro anni dopo, è perché se ne va via il prete che l’aveva tenuto assieme, Luigi Iannaccone. È solo a quel punto, inizio 1972, che Riccardi e i suoi si mettono in proprio. Con astio nei confronti dei fratelli separati di Cl, che infatti spariranno per sempre, anche in memoria, dalle storie autorizzate di Sant’Egidio.
Eppure, nonostante queste credenziali e le sue suggestive liturgie, il profilo cattolico della comunità di Sant’Egidio resta sfuggente. I suoi percorsi tortuosi. La sua data di nascita ufficiale è il 7 febbraio 1968. Ma a quella data non succede proprio niente di nuovo. I futuri membri di Sant’Egidio fanno semplicemente parte di un raggio, di una cellula di Gs nel liceo Virgilio di Roma. Gs è la sigla di Gioventù Studentesca, l’organizzazione fondata da don Luigi Giussani che più tardi, passata la bufera del Sessantotto, prenderà il nome di Comunione e Liberazione. Riccardi vi si era avvicinato negli anni di ginnasio, a Rimini. Dopo di che, tornato a Roma, aveva legato con i ´giessini´ del Virgilio, del Dante, del Mamiani. Tra quei compagni di liceo c’è già il nocciolo duro di Sant’Egidio d’oggi. Ma con loro ci sono anche Rocco Buttiglione e la sua futura moglie Maria Pia Corbò, che rimarranno con don Giussani. Se il gruppone si disfà, tre, quattro anni dopo, è perché se ne va via il prete che l’aveva tenuto assieme, Luigi Iannaccone. È solo a quel punto, inizio 1972, che Riccardi e i suoi si mettono in proprio. Con astio nei confronti dei fratelli separati di Cl, che infatti spariranno per sempre, anche in memoria, dalle storie autorizzate di Sant’Egidio.
MONACI DEL NUOVO MILLENNIO
Manca ancora una sede. E per un poco Riccardi e compagni, tutti di famiglia bene, meditano di traslocare in baracche di periferia. Ma poi per i poveri scelgono solo di lavorare, senza conviverci. Nel settembre del 1973 fissano finalmente il loro quartier generale a Sant’Egidio, a Roma Trastevere. Sparite le ultime monache, l’edificio era rimasto vuoto. È di proprietà del ministero degli Interni, che lo cede a loro in cambio d’un affitto di poche lire. Chiavi in mano compreso il restauro, eseguito prontamente a spese del ministero.
Segue la fase monastica. Con una spruzzata d’orientalismo. In vacanza, quelli di Sant’Egidio vanno in Belgio, a Chevetogne, un monastero che celebra raffinate liturgie bizantine, e se ne innamorano. Di ritorno a Roma, arricchiscono le loro liturgie con tocchi orientali e alla loro vita comune danno un’impronta monastica. Anche per via della giovane età, nessuno di loro è sposato. E allora s’immaginano “celibi per il Regno dei cieli” e “monaci nel deserto della città”. Danno ai loro capi i nomi di priore e priora, con i rispettivi vice. Abitano in piccoli gruppi divisi per sesso. Vestono tutti in modo austero, riconoscibile: gonne ampie e lunghe, maglioni abbondanti e colori castigati le donne; giaccone blu scuro i maschi; borsa di pelle a tracolla per tutti, modello Tolfa. Le giornate sono all’insegna dell'”ora et labora”, dove il “labora” sono il pasto ai poveri, le pulizie ai vecchi, il doposcuola ai monelli di periferia.
Manca ancora una sede. E per un poco Riccardi e compagni, tutti di famiglia bene, meditano di traslocare in baracche di periferia. Ma poi per i poveri scelgono solo di lavorare, senza conviverci. Nel settembre del 1973 fissano finalmente il loro quartier generale a Sant’Egidio, a Roma Trastevere. Sparite le ultime monache, l’edificio era rimasto vuoto. È di proprietà del ministero degli Interni, che lo cede a loro in cambio d’un affitto di poche lire. Chiavi in mano compreso il restauro, eseguito prontamente a spese del ministero.
Segue la fase monastica. Con una spruzzata d’orientalismo. In vacanza, quelli di Sant’Egidio vanno in Belgio, a Chevetogne, un monastero che celebra raffinate liturgie bizantine, e se ne innamorano. Di ritorno a Roma, arricchiscono le loro liturgie con tocchi orientali e alla loro vita comune danno un’impronta monastica. Anche per via della giovane età, nessuno di loro è sposato. E allora s’immaginano “celibi per il Regno dei cieli” e “monaci nel deserto della città”. Danno ai loro capi i nomi di priore e priora, con i rispettivi vice. Abitano in piccoli gruppi divisi per sesso. Vestono tutti in modo austero, riconoscibile: gonne ampie e lunghe, maglioni abbondanti e colori castigati le donne; giaccone blu scuro i maschi; borsa di pelle a tracolla per tutti, modello Tolfa. Le giornate sono all’insegna dell'”ora et labora”, dove il “labora” sono il pasto ai poveri, le pulizie ai vecchi, il doposcuola ai monelli di periferia.
LA SCOPERTA DEL SESSO
Ma anche la fase monastica si spegne presto. Nell’estate del 1978, in un ritiro collettivo nelle Marche, nell’eremo di Macereto, un po’ tutti svuotano il sacco. E confessano di condurre tra loro una vita sessuale sin troppo movimentata. Da lì in poi cade il silenzio sul “nuovo monachesimo” e prendono il via i primi matrimoni. Resta l’obbedienza assoluta a quello che era di fatto l’abate indiscusso, Riccardi.
Il quale, intanto, s’è laureato in legge, ma si è subito dopo tuffato, da autodidatta, negli studi di storia, in particolare di storia della Chiesa, fino ad aggiudicarsi rapidamente una cattedra in università. Come per incanto, si danno agli studi di storia anche gli altri membri importanti della comunità, maschi. Ma quello che li distingue è che la storia non vogliono solo studiarla, ma farla. Specie la storia presente della Chiesa. Il 1978 è l’anno dei tre papi: muore Paolo VI e dopo l’interregno di papa Albino Luciani sale al trono Giovanni Paolo II. Nei due preconclavi, specie nel secondo, Sant’Egidio è tutto un via vai di cardinali d’ogni continente, di conciliaboli, di manovre elettorali.
La comunità fa campagna per il cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti. Ma il conclave li delude. A vincere è il polacco Karol Wojtyla, per loro uno sconosciuto. Bastano poche settimane per ribaltare la sconfitta. Quelli di Sant’Egidio studiano a puntino la mappa della prima uscita del nuovo papa, alla parrocchia romana della Garbatella. Sul tragitto c’è una scuola materna, con un’aula che dà proprio sulla strada. Per una settimana occupano quell’aula e insegnano ai bambini canti in polacco. Li tengono lì dentro a cantare anche la domenica, col papa che arriva. Finché il papa passa, sente, si ferma, entra, vuol sapere. L’idillio tra Giovanni Paolo II e Sant’Egidio sboccia così. L’innamoramento è l’estate dopo a Castelgandolfo, una sera di luglio, in giardino, con le lucciole. Cantano e ballano con lui. Fanno ´serpentone´ tra le aiuole. Non si lasceranno più.
Ma anche la fase monastica si spegne presto. Nell’estate del 1978, in un ritiro collettivo nelle Marche, nell’eremo di Macereto, un po’ tutti svuotano il sacco. E confessano di condurre tra loro una vita sessuale sin troppo movimentata. Da lì in poi cade il silenzio sul “nuovo monachesimo” e prendono il via i primi matrimoni. Resta l’obbedienza assoluta a quello che era di fatto l’abate indiscusso, Riccardi.
Il quale, intanto, s’è laureato in legge, ma si è subito dopo tuffato, da autodidatta, negli studi di storia, in particolare di storia della Chiesa, fino ad aggiudicarsi rapidamente una cattedra in università. Come per incanto, si danno agli studi di storia anche gli altri membri importanti della comunità, maschi. Ma quello che li distingue è che la storia non vogliono solo studiarla, ma farla. Specie la storia presente della Chiesa. Il 1978 è l’anno dei tre papi: muore Paolo VI e dopo l’interregno di papa Albino Luciani sale al trono Giovanni Paolo II. Nei due preconclavi, specie nel secondo, Sant’Egidio è tutto un via vai di cardinali d’ogni continente, di conciliaboli, di manovre elettorali.
La comunità fa campagna per il cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti. Ma il conclave li delude. A vincere è il polacco Karol Wojtyla, per loro uno sconosciuto. Bastano poche settimane per ribaltare la sconfitta. Quelli di Sant’Egidio studiano a puntino la mappa della prima uscita del nuovo papa, alla parrocchia romana della Garbatella. Sul tragitto c’è una scuola materna, con un’aula che dà proprio sulla strada. Per una settimana occupano quell’aula e insegnano ai bambini canti in polacco. Li tengono lì dentro a cantare anche la domenica, col papa che arriva. Finché il papa passa, sente, si ferma, entra, vuol sapere. L’idillio tra Giovanni Paolo II e Sant’Egidio sboccia così. L’innamoramento è l’estate dopo a Castelgandolfo, una sera di luglio, in giardino, con le lucciole. Cantano e ballano con lui. Fanno ´serpentone´ tra le aiuole. Non si lasceranno più.
ALLA CONQUISTA DELLA CHIESA
Gli anni Ottanta sono la fase della conquista della Chiesa, posizione dopo posizione, fino ai più alti gradi. Il riconoscimento canonico Sant’Egidio l’ottiene nel 1986. Ma più importanti sono i legami diretti stabiliti con alcuni personaggi chiave del Vaticano.
Tre di questi sono tuttora i più grossi sostenitori della comunità. Uno è il segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, onnipotente factotum. Un altro è il cardinale Roger Etchegaray, ambasciatore volante del papa sui fronti caldi del globo. Il terzo è il cardinale Achille Silvestrini, curiale di prima grandezza. Anche le parentele pesano. Una nipote di Silvestrini, Angela, è dentro la comunità. Mentre altri due membri di spicco di Sant’Egidio, don Matteo Zuppi e Francesco Dante, sono a loro volta nipoti di due porporati defunti: rispettivamente dei cardinali Carlo Confalonieri ed Enrico Dante. Quanto a Riccardi, il suo albero di famiglia è ancor più dotato: ha come zio non un cardinale ma un beato “che fu maestro del futuro cardinale Ildefonso Schuster”, un monaco di San Paolo fuori le Mura di nome Placido, elevato agli altari nel 1954. Ed è già lui stesso un santo in terra, per i suoi fan.
Gli anni Ottanta sono la fase della conquista della Chiesa, posizione dopo posizione, fino ai più alti gradi. Il riconoscimento canonico Sant’Egidio l’ottiene nel 1986. Ma più importanti sono i legami diretti stabiliti con alcuni personaggi chiave del Vaticano.
Tre di questi sono tuttora i più grossi sostenitori della comunità. Uno è il segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, onnipotente factotum. Un altro è il cardinale Roger Etchegaray, ambasciatore volante del papa sui fronti caldi del globo. Il terzo è il cardinale Achille Silvestrini, curiale di prima grandezza. Anche le parentele pesano. Una nipote di Silvestrini, Angela, è dentro la comunità. Mentre altri due membri di spicco di Sant’Egidio, don Matteo Zuppi e Francesco Dante, sono a loro volta nipoti di due porporati defunti: rispettivamente dei cardinali Carlo Confalonieri ed Enrico Dante. Quanto a Riccardi, il suo albero di famiglia è ancor più dotato: ha come zio non un cardinale ma un beato “che fu maestro del futuro cardinale Ildefonso Schuster”, un monaco di San Paolo fuori le Mura di nome Placido, elevato agli altari nel 1954. Ed è già lui stesso un santo in terra, per i suoi fan.
MARTINI FOLGORATO
Altro cardinale protettore di Sant’Egidio è Carlo Maria Martini, gesuita e arcivescovo di Milano. Martini lo dicono addirittura loro membro onorario, perché nel 1975, quando era a Roma come rettore del Pontificio istituto biblico, li incontrò, ne restò folgorato e per quattro anni fece la sua parte nella comunità: accudiva a un vecchietto di Trastevere e andava a dir messa in un locale della borgata Alessandrina. Ad accompagnare Martini passo passo era stata incaricata una giovane della comunità, Gina Schilirò. Un’altra, Maura De Bernart, aveva a sua volta conquistato alla causa pochi anni prima un sacerdote, Vincenzo Paglia, che oggi è assistente ecclesiastico ufficiale di Sant’Egidio e aspirante vescovo. Sfortunatamente, sia Schilirò che De Bernart hanno poi avuto storie tormentate. La prima è uscita dalla comunità e poi rientrata con la cenere sul capo. La seconda, che all’inizio era leader di spicco, finì presto retrocessa con l’etichetta di donna traviata. “La nostra Maria Maddalena”, la definivano i suoi censori.
Altro cardinale protettore di Sant’Egidio è Carlo Maria Martini, gesuita e arcivescovo di Milano. Martini lo dicono addirittura loro membro onorario, perché nel 1975, quando era a Roma come rettore del Pontificio istituto biblico, li incontrò, ne restò folgorato e per quattro anni fece la sua parte nella comunità: accudiva a un vecchietto di Trastevere e andava a dir messa in un locale della borgata Alessandrina. Ad accompagnare Martini passo passo era stata incaricata una giovane della comunità, Gina Schilirò. Un’altra, Maura De Bernart, aveva a sua volta conquistato alla causa pochi anni prima un sacerdote, Vincenzo Paglia, che oggi è assistente ecclesiastico ufficiale di Sant’Egidio e aspirante vescovo. Sfortunatamente, sia Schilirò che De Bernart hanno poi avuto storie tormentate. La prima è uscita dalla comunità e poi rientrata con la cenere sul capo. La seconda, che all’inizio era leader di spicco, finì presto retrocessa con l’etichetta di donna traviata. “La nostra Maria Maddalena”, la definivano i suoi censori.
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