Abusi e preti gay, quel nesso che non si vuole vedere
Sacerdozio, omosessualità, abusi e clericalismo. Com'è complicato armonizzare i dati dei report con le proprie convinzioni. Come l'analisi di Introvigne che esclude il collegamento tra preti gay e abusi. Però nel 2007 sosteneva il contrario. Ma all'epoca era papa Benedetto XVI e può nascere il sospetto che le stagioni pontificie abbiano un effetto sulla lettura dei dati dei rapporti, o perlomeno sulla loro interpretazione.
Un sito della galassia paravaticana nei giorni scorsi è tornato sul tema del collegamento degli abusi e dell’omosessualità, che sarebbe, secondo gli autori dell’articolo, tirato in ballo “in modo parossistico” da quanti criticano il silenzio del Pontefice alle chiamate in causa da parte dell’arcivescovo Viganò, il silenzio quasi totale del Vaticano “in re” – a parte la lettera aperta di Ouellet, un autogoal secondo molti – e soprattutto il fatto che la parola omosessualità non venga mai pronunciata; né nel caso dei vescovi cileni, né in quello degli abusi in Germania, né tanto meno nella vicenda americana, a cominciare dallo scandalo McCarrick. Papa Bergoglio non l’ha mai fatto; ed evitare questo collegamento sa molto di un ordine di scuderia, dal momento che viene ripetuto dalle voci più vicine a Santa Marta. Come è il caso di questo articolo, che a difesa del singolare silenzio cita il Rapporto del John Jay College del 2011 e il sociologo Massimo Introvigne. Fra l’altro, questa tesi è stata ripresa anche in un recente libro di apologetica su commissione, sempre in difesa del silenzio vaticano dopo le testimonianze dell’arcivescovo Viganò.
Citiamo: "Il problema, insomma, esiste. Ma bisognerebbe forse essere più cauti nel propagare a tesi secondo la quale gli abusi sui minori sarebbero causati dall’omosessualità. (…) Il terzo rapporto del prestigioso John Jay Institute statunitense, pubblicato nel 2011, si esprime proprio su questo argomento e corregge affermazioni contenute nei precedenti rapporti del 2004 e del 2006 alla luce di nuovi dati. «Quello che non si capisce bene», si legge nell’ultimo rapporto, «è la possibilità per una persona di partecipare a un atto con una persona dello stesso sesso senza assumere o riconoscersi un’identità omosessuale. Più di tre quarti degli atti di abuso sessuale di giovani da parte di preti cattolici, come abbiamo mostrato nello studio del 2004, sono atti tra persone dello stesso sesso (preti che abusano di vittime di sesso maschile). Ma è possibile che, benché le vittime di questi preti siano state nella maggior parte dei casi maschi, così definendo gli atti come omosessuali, il sacerdote non abbia mai riconosciuto la sua identità come omosessuale".
E citiamo ancora: "Il rapporto inoltre nega", spiega agli autori di questo libro il sociologo Massimo Introvigne, «che le subculture omosessuali che si sono sviluppate nei seminari negli anni Ottanta e sono state stroncate, almeno in parte, negli anni Duemila, abbiano a che fare con gli abusi di minori". Continua Introvigne: «Dire dunque che il problema degli abusi sui minori è provocato dall’omosessualità è sbagliato. Non si può negare di certo che esista un problema di omosessualità nella Chiesa ma i problemi sono diversi. C’è innanzitutto il tema dell’abuso di potere, diffuso nella Chiesa come nella società. Dall’allenatore al politico, dal magistrato al cardinale: uno scambio di favori per la carriera. Nella Chiesa questo è legato al clericalismo".
Ma se andiamo a leggere quello che scriveva lo stesso Massimo Introvigne nel 2007 troviamo accenti diversi.
"Semmai – per quanto non sia politicamente corretto dirlo – i dati confermano che il rischio pedofilia è maggiore tra gli omosessuali. Mentre sarebbe ingiusto e assurdo sostenere che tutti gli omosessuali sono pedofili, è un dato di fatto che molti pedofili sono omosessuali. Secondo il rapporto del John Jay College l’81% dei sacerdoti accusati di rapporti con minori nel periodo 1950-2002 avevano un orientamento omosessuale. Tuttavia quando Benedetto XVI ha raccomandato ai vescovi americani maggiore cautela prima di ordinare come sacerdoti seminaristi che manifestano un orientamento omosessuale, gli stessi media – compresa la BBC – che invocano misure durissime contro il rischio pedofilia hanno accusato il Papa di essere “omofobo”. Dov’è l’errore".
Nel 2007 però era papa Benedetto XVI, si era in un periodo precedente al “Chi sono io per giudicare” e può nascere il sospetto che le stagioni pontificie abbiano un effetto sulla lettura dei dati dei rapporti, o perlomeno sulla loro interpretazione.
Ma ahimè per i difensori del silenzio, e della non correlazione fra abusi e omosessualità, difesa dall’attivista LGBT James Martin e da altri della corrente papalista, il più recente studio sui dati, compiuto da un sacerdote professore di sociologia, Paul Sullins della Catholic University of America per il Ruth Institute smentisce la lettura del John Jay College. Scrive Sullins: “John Jay College Report-.2 nega che questi risultati siano collegati ai preti omosessuali perché l'attività sessuale dello stesso sesso non è sempre correlata all'identità omosessuale. Questo è vero, ma i due sono strettamente correlati, al punto che è specioso negare l'associazione. Nel Social Survey generale, che presenta un campione rappresentativo ricorrente della popolazione statunitense dal 1972, il 99,3% degli uomini che si definivano "etero o eterosessuale" aveva solo partner femminili nell'ultimo anno e il 93% degli uomini che si definivano come "gay o omosessuali" aveva solo partner sessuali maschili l'anno scorso (un ulteriore 3% aveva partner sia maschili che femminili)”. E continua: “Una maggiore concentrazione di preti omosessuali comporta un aumento dell'abuso, ma l'effetto non è lineare. Ogni aumento del doppio della concentrazione omosessuale della popolazione ha raddoppiato approssimativamente l'incidenza dell'abuso fino a otto, dopo di che l'ulteriore concentrazione non ha ulteriormente aumentato significativamente l'abuso”.
E in maniera ancora più specifica afferma: “Sulla questione dell'omosessualità del clero, i dati mostrano che più uomini omosessuali nel sacerdozio erano correlati ad un abuso più generale e più ragazzi abusati rispetto alle ragazze…un aumento della concentrazione di uomini omosessuali rispetto a quella della popolazione generale ha quasi raddoppiato l'incidenza dell'abuso”.
E Paul Sullins infine giunge a questa conclusione: “Questa analisi suggerisce che, mentre la Chiesa e i suoi leader cercano migliori interventi e strategie per affrontare questo problema ricorrente, un buon punto di partenza potrebbe essere riconoscere il recente aumento dell'abuso tra crescente compiacenza e la fortissima probabilità che l'ondata passata e la presente incidenza dell'abuso sia un prodotto, almeno in parte, della passata ondata e dell'attuale concentrazione di uomini omosessuali nel sacerdozio cattolico”.
Quindi resta da spiegare perché il vertice della Chiesa non voglia prendere atto di quello che appare un dato di fatto, celandosi dietro formule generiche come “il clericalismo” per non vedere e identificare una parte estremamente consistente del dramma degli abusi.
Marco Tosatti
http://www.lanuovabq.it/it/abusi-e-preti-gay-quel-nesso-che-non-si-vuole-vedere
Quel diktat che potrebbe trasformarsi in boomerang
L’annuale incontro dei vescovi degli Stati Uniti, svoltosi a Baltimora, è ormai terminato, ma non sono per nulla finiti i commenti. Al centro delle riflessioni c’è il diktat vaticano, imposto ai vescovi con una lettera arrivata a Baltimora all’ultimo momento, che ha ordinato di non votare nulla circa la questione degli abusi sessuali. Motivo? Meglio aspettare la riunione dei presidenti di tutte le conferenze episcopali del mondo, che si svolgerà a Roma nel febbraio 2019.
Il Vaticano che manda questi segnali, si sono chiesti moti osservatori, è lo stesso che spesso parla contro il clericalismo, a favore della sinodalità, del decentramento e di un maggior spazio decisionale da concedere alle conferenze episcopali?
Qualcosa non torna.
Perfino il National Catholic Reporter, nota testata cattolica progressista americana, racconta (https://www.ncronline.org/news/accountability/distinctly-catholic/conclusion-meeting-question-remains-bishops-credibility) che il cardinale DiNardo, presidente della conferenza episcopale Usa, non ha potuto nascondere il suo disappunto quando ha annunciato la decisione del Vaticano. Poi, durante le pause caffè, nei conciliaboli tra loro, i vescovi si sono lamentati e anche quelli più vicini a papa Francesco hanno manifestato angoscia. Possibile, si sono chiesti, che Roma non capisca sotto quale pressione ci troviamo?
Baltimora, scrive il New York Times (https://www.nytimes.com/2018/11/17/opinion/crisis-of-faith-roman-catholics.html), è stata un fiasco, ma un fiasco voluto da Roma. Perché? Perché si è preferita l’immobilità, nonostante un’opinione pubblica che chiede provvedimenti concreti?
Oltretutto, con l’ordine dato ai vescovi americani, il Vaticano ha messo la gerarchia statunitense in una “posizione impossibile”, come nota Philip Lawler su First Things (https://www.firstthings.com/web-exclusives/2018/11/the-vatican-intervention-in-baltimore). I vescovi Usa, infatti, a questo punto non possono alleviare la rabbia di un laicato furioso senza apparire sleali nei confronti di Roma, ma non possono nemmeno ripristinare la propria credibilità senza danneggiare quella della Santa Sede.
Dopo un’estate terribile e dolorosa, Baltimora doveva rappresentare la svolta, e i vescovi erano pronti a fare qualcosa per riscattarsi. Invece, ecco la doccia fredda rappresentata dall’ordine di Roma. Arrivato, per giunta, dopo il no del papa alla richiesta, avanzata dal cardinale DiNardo, di una visita apostolica.
Quanti giustificano l’intervento del Vaticano dicono che la Santa Sede temeva che alcuni aspetti dei provvedimenti presi dai vescovi americani potessero entrare in conflitto con il diritto canonico. “Ma – osserva Lawler – se davvero fossero sorti tali conflitti, avrebbero potuto essere risolti a tempo debito dagli appropriati tribunali ecclesiastici”. Senza contare che “papa Francesco ha costantemente mostrato un atteggiamento sprezzante nei confronti del diritto canonico ed ha spesso inveito contro quelli che definisce i dottori della legge”.
Chi sostiene che è giusto aspettare il grande incontro di febbraio, per non procedere in ordine sparso, dimentica che il Vaticano ha permesso ai vescovi francesi di stabilire proprie politiche in materia di abusi, senza attendere febbraio, e che lo stesso stanno facendo i vescovi italiani. Allora, perché questa diversità di trattamento nei confronti dei vescovi Usa?
Il problema sta evidentemente nel caso McCarrick e nella denuncia di monsignor Viganò. Perché se è vero che lo scandalo McCarrick è americano, è altrettanto vero che, in base alle testimonianze dell’ex nunzio, coinvolge direttamente Roma e papa Francesco. Ecco perché il Vaticano non vuole che l’indagine vada avanti in modo autonomo, senza un controllo da parte di Roma.
Che la vera spiegazione sia proprio questa è quanto sostiene la Catholic News Agency(https://www.catholicnewsagency.com/news/cupich-and-wuerl-collaborated-on-alternative-sex-abuse-proposal-10934) affermando che alla decisione vaticana hanno collaborato attivamente il cardinale Wuerl di Washington e Cupich di Chicago, il tutto allo scopo di evitare l’istituzione di una commissione d’indagine indipendente, guidata da laici.
Secondo il piano Wuerl-Cupich, al posto della commissione indipendente, progetto al quale stava lavorando la Conferenza episcopale Usa, dovranno essere gli arcivescovi metropoliti a indagare sui vescovi. Il che permetterebbe automaticamente un maggior controllo circa il caso McCarrick, l’ex cardinale predecessore dello stesso Wuerl a Washington e al centro di una fitta rete di relazioni.
Dunque, pur di evitare la commissione indipendente il Vaticano non ha esitato ad andare contro la linea della sinodalità e del decentramento, ed ha accettato anche il rischio di vedersi accusato di quel clericalismo che il papa indica spesso come la vera radice dalla quale nascono gli abusi.
Tuttavia la decisione di Roma potrebbe rivelarsi un boomerang. Intervenendo drasticamente sui vescovi americani, spiega Benjamin Harnwell su Breitbart (https://www.breitbart.com/faith/2018/11/15/pope-francis-undermines-vatican-diplomatic-immunity-with-usccb-intervention/), la Santa Sede ha infatti intaccato un principio finora sempre messo in campo di fronte alle accuse di negligenza nel trattare gli abusi sessuali, e cioè che le eventuali responsabilità riguardano le singole diocesi e non il Vaticano.
Ora, in virtù dello stop imposto dal Vaticano ai vescovi Usa, gli eventuali promotori di azioni legali potranno legittimamente sostenere che in realtà è la Santa Sede che decide, esponendola così a pesanti richieste di risarcimenti.
Aldo Maria Valli
https://www.aldomariavalli.it/2018/11/20/quel-diktat-che-potrebbe-trasformarsi-in-boomerang/
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