Non si scherza con la purezza. L’abitudine all’impudicizia:"il rito della volgarità e dell’esibizione" Sodomia e pedofilia nella chiesa? Il danno che un’anima persa può fare alle anime giovani e inesperte della vita "è immenso"
di Francesco Lamendola
Uno dei tratti tipici e inconfondibili della cosiddetta civiltà moderna è l’abitudine all’impudicizia. Diciamo l’abitudine perché un tempo era il piacere, poi è diventata un rito, il rito della volgarità e dell’esibizione di ciò che è bello tener coperto: nel linguaggio, nell’abbigliamento, nel modo di muoversi e di porsi, nel mostrare i propri pensieri e sentimenti. Tutto questo viene spacciato abitualmente per autenticità, libertà, sincerità, franchezza, mancanza d’ipocrisia; ma sono tutti miseri schermi per nascondere la verità: che si vuol mostrare ciò che non si dovrebbe, e che lo si vuol fare sempre e comunque, anche nei momenti e nei luoghi meno opportuni, semplicemente per affermare il proprio io, per stabilire un diritto. Ci sono ragazze che si presentano in chiesa, all’altare, per ricevere la santa Comunione, con le spalle nude e il ventre scoperto: qualche prete coerente e coraggioso le rimanda indietro; apriti cielo! L’interessata, furente, si rivolge alla stampa, la stampa solleva una questione; scoppia un putiferio. Il vescovo di turno, pavido o modernista, o entrambe le cose insieme, convoca il malcapitato, gli fa una ramanzina coi fiocchi, gli ordina di non permettersi mai più una cosa del genere.
Le pecorelle si accolgono sempre, i fedeli si includono sempre, anzi bisogna includere tutti, anche gli ebrei e i musulmani, la chiesa è fatta per questo, sì o no? Del resto, lo dice sempre papa Francesco; lo dice sempre Antonio Spadaro; lo dice sempre Vincenzo Paglia; lo dice sempre Enzo Bianchi; e lo dice sempre Marco Tarquinio. E quando ci si trova in così numerosa e gloriosa compagnia, come si potrebbe non essere dalla parte della ragione, cioè dalla parte del vangelo, quello vero, mica quello adulterato e taroccato dai preti oscurantisti e dai papi reazionari, da Pio IX, a Pio X, a Pio XII. E poco importa il dettaglio, del tutto secondario, che Gesù Cristo non abbia mai e poi mai affermato una cosa del genere; e che, al contrario, abbia dato ordine ai suoi Apostoli di andare in tutto il mondo a battezzare e predicare il Vangelo, dicendo loro chiaro e tondo che chi crederà, sarà salvo; ma chi non crederà, sarà condannato. Cosa volete che importi un simile dettaglio? Ora abbiamo dei finissimi interpreti del Vangelo, come Enzo Bianchi, i quali ci spiegano che Gesù non era precisamente Dio incarnato, ma un profeta che raccontava Dio agli uomini. Proprio come per gli islamici: visto che bello, il pluralismo e il multiculturalismo? Visto che bei frutti dà il dialogo interreligioso, e che meravigliosa messe si può infine raccogliere, dopo che i padri del Concilio Vaticano II, più di mezzo secolo fa, hanno seminato questi deliziosi principi, sebbene allora, per motivi strategici, non potessero esporli con la schiettezza di un Enzo Bianchi o di un Jorge Mario Bergoglio, per il quale l’apostolato è una sciocchezza, e Dio non è cattolico? Ma dove andremo a finire, con questa chiesa bigotta e oscurantista? Rifiutare la Comunione per una questione di abbigliamento, per esempio: ma vogliamo scherzare?.Vestirsi e andare ovunque seminudi è un diritto, una affermazione di libertà; e ricevere la santa Comunione, per codesti cattolici moderni e progressisti, è l’esercizio di un diritto, la rivendicazione di un qualcosa che non può essere negato. Chi crede di essere, il prete, per mettersi fra loro e Dio? Se potessero, ne farebbero volentieri a meno e si comunicherebbero da soli, consacrerebbero le Sacre Specie da soli, farebbero tutto da sé. Altro che vedere nel sacerdote un alter Christus; ma quando mai, siamo tutti sacerdoti, lo diceva anche il buon Lutero, che adesso il signore argentino non solo ha sdoganato, ma pienamente rivalutato, e al quale ha dato ragione, sia pure con cinquecento anni di ritardo.
Il danno che un’anima persa può fare alle anime giovani e ancora inesperte della vita, è immenso.
Ora, tornando all’impudicizia, è chiaro quel che si deve fare per uscire dalla palude maleodorante della modernità: fra le altre cose,bisogna recuperare la purezza. Il concetto e la pratica. Gli stimoli all’impudicizia sono venuti da cento rivoli, da cento fiumi limacciosi, ma soprattutto dal cinema, dalla televisione, dalla pubblicità, dalla moda e dalla letteratura. La letteratura è stata la prima, quando ancora non c’erano le altre, o erano appannaggio di piccole minoranze. È incalcolabile il danno che certi libri hanno fatto al senso morale degli uomini, e ciò fin da prima dell’invenzione della stampa. Il Decameron, per esempio, è un libro che può corrompere il lettore; perché ciò non avvenga, è necessario che sia letto da persone che possiedono una salda base morale e un profondo, radicato senso dell’equilibrio. Agli altri farà male, darà alla testa. Certo, oggi la letteratura erotica si è spinta infinitamente più in là, e inoltre si è banalizzata, è divenuta merce quotidiana e si presenta come ovvia e innocente, si rivolge ai ragazzini e alle ragazzine; fa leva sui peggiori istinti, presentandoli, tuttavia, come desideri normalissimi, come esigenze perfettamente legittime. Anche molte poesie di Catullo, di Orazio, di Marziale, sono profondamente immorali. È chiaro che non si può mettere la censura alla letteratura; però bisogna ricordare che il libro è potenzialmente pericoloso, va in mano a chiunque, ma non tutti sono in grado di leggerlo in maniera idonea, perché non tutti possiedono la necessaria maturità. E questo, naturalmente, non vale solo per la pornografia, ma per tutto ciò che di potenzialmente pericoloso, immorale e malvagio può essere trasmesso mediante un romanzo, un racconto, una poesia. Che effetto possono fare le poesie di Costantino Kavafis, o di Sandro Penna, su un giovane ingenuo e inesperto, ammesso che vi siano ancora giovanetti ingenui e inesperti? Pessimo, senza dubbio. Non parliamo dei romanzi di Alberto Moravia: vi è in essi una fredda malignità pornografica, un gusto dell’abbrutimento, un piacere dello sporco che supera perfino le deliranti sconcezze di Sade. Eppure c’è stato un momento, verso gli anni ’90 del secolo scorso, in cui i critici hanno tentato di promuoverlo al seggio più alto, e gli autori dei manuali scolastici lo hanno incluso fra i maggiori, dedicandogli un intero capitolo. Leopardi, Manzoni, Verga, Carducci, Pascoli, Ungaretti e… Alberto Moravia. Il re dei pornografi promosso al rango di maestro: quando l’autore di libri come Io e lui o La vita interiore dovrebbe sperare una cosa sola: essere dimenticato dai posteri. Ma lui era un progressista, amico di Pasolini, altro sommo maestro della cultura di sinistra: doveva essere stato un grande scrittore. I grandi scrittori sono, devono essere, come è noto, tutti di sinistra; e siccome la vena poetica languiva, sul finire del XX secolo, bisognava rispolverare qualche gloria passata, ma recente, per ridare lustro alla cultura progressista. Cioè, la cultura doveva glorificare se stessa, doveva difendere l’assioma secondo il quale nulla di buono fiorisce al di fuori di essa, e la sua vena non è mai stanca, non è mai appannata, perché attinge la sua linfa direttamente dal Popolo, dalle sue speranze, dalle sue lotte per l’emancipazione. O almeno - come nel caso di Moravia – dalla sua doverosa e instancabile denuncia della putredine borghese, della sozzura borghese. Anche se a sguazzare in tutta quella sozzura, essa qualche volta ci prendeva un gran gusto; tanto che non per caso, crediamo, i ragazzi del ‘68 hanno sonoramente fischiato il sedicente maestro della liberazione, quando ha avuto la sfacciataggine, o la suprema ingenuità, di presentarsi davanti a loro per mostrare che condivideva le loro lotte e si sentiva vicino alle loro rivendicazioni.
La pornografia è l’anima della modernità: intendendo la parola nel suo significato più ampio, che travalica, e di molto, il senso puramente sessuale.
Osservava Pierre Lecarme nel suo saggio I giovani e i libri (titolo originale: Hypocrite lecterur. L’homme devant les livres, Paris, Fayard, 1964; traduzione dal francese di Carlo M. Richelmy, Catania, Edizioni Paoline, 1965, pp. 168-170):
Un soggetto scabroso può venire trattato in modo casto, mentre una realtà in sé casta, quale il matrimonio, può dare adito a descrizioni oscene, se l’anima dell’artista è perversa: così nelle memorie Verlaine parla della sua prima notte di nozze in modo licenzioso e salace, con laide strizzatine d’occhio sufficienti a stomacare ogni lettore onesto. Si può dire forse che vi sia qualcosa di più ripugnante delle confidenze boccaccesche di un uomo su quanto dovrebbe per lui essere sacro? Taccia, almeno, se non sa parlarne con gusto, e non faccia della pseudo letteratura allo scopo di guadagnare soldi per la sua quotidiana sbronza all’assenzio. (…)
Ora, il problema non consiste più nel pesare i torti dello scrittore, nel sapere se lo fa per debolezza, per concessione al pubblico, per gusto personale di erotismo, per desiderio di insozzare o per il piacere più raffinato di corrompere. Tale opera esiste, questo è il fatto, ed è qui dinanzi a noi. Che dobbiamo fare? Innanzi tutto, dobbiamo profondamente convincerci di essere vulnerabili e deboli: non per disperarcene, ma per meglio orientarci. Conoscere con esattezza i limiti delle nostre possibilità e la nostra debolezza, è già una specie di forza. Dobbiamo anche renderci conto che, in questo campo, le ferite sono più dolorose che altrove. Infatti la purezza perduta nell’infanzia suscita la nostalgia negli adulti migliori, ma il passo è irreversibile: ricordiamo il detto, forse un po’ enfatico, ma bellissimo, di Musset: non basta tutto il mare a lavare lo sporco. Certo, il danno non è irrimediabile, perché il peccato viene perdonato, a patto di un pentimento sincero e della ferma volontà di non sbagliare più, secondo le parole del catechismo. Dobbiamo ammettere umilmente di essere, in questo campo, dei recidivi infaticabili, e di aver bisogno ad ogni istante di un impegno sempre nuovo. Sarebbe troppo semplice se bastasse averlo una volta per tutte. Né presuntuosi all’eccesso, né scoraggiati a ogni minima caduta, ma armiamoci di tenace pazienza, perché la difficoltà è presente ogni giorno.
La saggezza popolare ci insegna un altro rimedio: meglio prevenire che curare. Certi grandi scrittori hanno dimostrato, in modo impressionante, il male operato nelle loro anime dalle cattive letture e nessuno forse meglio di Julien Green, in quelle magnifiche pagine dove parla della sua infanzia e della sua adolescenza: “Se il ‘Decameron’ è un cattivo libro, fu il primo che mi capitò sotto mano. Il male che ne ricevetti è pressoché incalcolabile. Il piacere della carne, presentato come cosa desiderabile più di ogni altra, trovò in me una eco improvvisa che superò la voce della religione… Voluttà! Questo nome, ripetuto con tanta insistenza, mi faceva ribollire il sangue ogni volta. In verità, non sapevo che cosa volesse dire voluttà, ma qualcosa in me mi faceva presagire la presenza di un pericolo, perché insieme alla gioia che mi bruciava il sangue, presi coscienza del peccato. In quell’istante il peccato viveva in me con la gioia, non del piacere, ma dell’idea del piacere come mi veniva descritta dal grande italiano”. Quanta lotta per il resto della vita, quale difficile sforzo per sfuggire ad una ossessione tetra, quanta dolorosa difficoltà: il “Journal” ne è intessuto come una filigrana, tutto il mondo dei suoi romanzi ne conserva l’eco, ora smorzato come in “Léviathan”, ora terribilmente soffocato come in “Adriana Mesurat”, ora ossessionante come in “Moïra”, dal titolo assai significativo. Nella coraggiosa umiltà che li caratterizza, questi sforzi aumentano la nobiltà dell’uomo e dello scrittore, ma se al giovane Green fossero state risparmiate certe letture, quante pene e quante sofferenze avrebbe egli evitato!
Bergoglio conosce le parole di Gesù Cristo (Mt, 18, 6-7): Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!
Non si scherza con la purezza
di Francesco Lamendola
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