ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 12 novembre 2018

Non ci si può far niente?

« Perchè Salvini sull’immigrazione ha convinto gli italiani e i cattolici che preferiscono lui a Bergoglio »


E’ accaduto qualcosa di eccezionale sotto i nostri occhi e non ce ne siamo resi conto. Per anni, fino a poco tempo fa, sono sbarcati sulle nostre coste a centinaia migliaia. Un assalto massiccio e incontrollato che – prima di tutto – decretava la fine dello Stato italiano per la sua incapacità di proteggere i propri confini. Erano immigrati irregolari. E tutti – ministri, giornalisti, intellettuali, papa e organismi internazionali – ci ripetevano: non ci si può far niente, bisogna subire, accoglierli e ospitarli a spese degli italiani (circa 5 miliardi all’anno) perché è un fenomeno epocale, inevitabile, sarebbe come pretendere di fermare il vento con le mani.


Sono bastate poche settimane di “cura Salvini” e tutto si è fermato: da 164 mila del 2016 (e 119 mila del 2017) siamo ai 22 mila del 2018 (sullo stesso periodo). Il famoso “fenomeno epocale”, che nessuno al mondo poteva bloccare, è finito.

C’è voluto semplicemente un ministro dell’Interno che dicesse: “ora basta”. Con la fine degli sbarchi non si sente più parlare neanche delle stragi in mare. Forse perché fermando le partenze anche i naufragi sono scongiurati? E perché allora nessuno degli umanitari e delle magliette rosse lo riconosce?

I fatti parlano chiaro per la gente comune che oggi si rende conto quanto per anni ci hanno raccontato un sacco di panzane, facendo entrare in sei anni circa 600 mila persone senza far nulla per proteggere i confini, per proteggere noi e i migranti stessi.

Ecco come si spiega il clamoroso sondaggio Demos uscito ieri su “Repubblica”. E’ stato chiesto agli italiani cosa è meglio fare con le navi di migranti che puntano sulle coste italiane.

Nel gennaio 2017 il 49 per cento rispondeva “accoglienza” e oggi è sceso al 40 per cento. Invece l’anno scorso il 44 per cento degli italiani chiedeva respingimenti e ora è il 52 per cento a chiederlo.

Gli italiani sono diventati xenofobi? Nient’affatto. Sono semplicemente persone di buon senso che hanno capito come si mette fine al caos, facendo il bene degli italiani, dei migranti e dei loro paesi d’origine.

Oltretutto “Repubblica” lamenta che “la richiesta di tenere lontani gli stranieri dai nostri porti e dal nostro Paese risuona particolarmente forte fra gli operai (il 62%), ma soprattutto fra i disoccupati (oltre il 70%)”, come pure “fra i lavoratori autonomi” che sono anch’essi “fra i più esposti alla crisi”.

Mentre gli illuminati, benestanti e progressisti che leggono “Repubblica”, sono di sinistra e abitano nei quartieri bene, vorrebbero spalancare le frontiere a migliaia di migranti (da rifilare poi alle periferie dove lorsignori non mettono piede).

La politica salviniana di questi mesi ha cambiato le opinioni degli italiani. Perché ora è chiaro che si poteva fare prima e per almeno cinque anni non lo si è fatto, lasciando il paese alla mercé di un’emigrazione incontrollata con tutte le gravi conseguenze che ha comportato (non solo per i costi, ma anche per l’ordine pubblico).

Salvini, forte di questo successo, si può permettere perfino di dar lezioni alla sinistra sulle questioni umanitarie.

L’altroieri infatti, con un tweet, esultava per i “44 rifugiati arrivati sani e salvi in Italia grazie a un corridoio umanitario. Chi scappa dalla guerra è il benvenuto, il problema sono quelli che la guerra ce l’hanno portata. Secondo voi a sinistra, dopo tanti anni di insulti a me e alla Lega, lo capiranno? Sono pessimista!”.

Anche sul tema della cittadinanza gli italiani mostrano di essere in gran parte d’accordo con la Lega. Ricordiamo che – sebbene l’Italia sia il Paese europeo che negli ultimi anni ha concesso il maggior numero di “sì” alle richieste di cittadinanza – la Sinistra e la chiesa bergogliana insistono con l’idea dello Ius soli per allargare le maglie a dismisura.

Un altro importante sondaggio di questi giorni ci mostra invece l’idea degli italiani rispetto alla “cittadinanza facile” e “regalata”.

Lo ha realizzato il centro di ricerca americano Pew Research con uno studio complesso: “Be Christian in Western Europe”. Quanti sono gli italiani (ripartiti per convinzioni religiose) secondo cui “è molto importante avere background italiano per essere davvero italiano”?

Affermano che è molto importante l’81 per cento dei cristiani praticanti, il 71 per cento dei cristiani non praticanti e il 71 per cento di coloro che si dichiarano non religiosi.

In questo caso si evidenzia anzitutto la diffidenza degli italiani sulla possibilità di assimilazione e integrazione dei migranti musulmani.

Da questo sondaggio emerge che sono soprattutto i cristiani praticanti ad essere meno disposti all’accoglienza verso i migranti musulmani (il 63 per cento dei praticanti italiani ritiene l’Islam in antitesi ai valori occidentali, mentre è il 51 fra i non praticanti e il 29 per cento fra i non religiosi).

La convinzione che sia “molto importante avere background italiano per essere davvero italiano”, largamente maggioritaria, come abbiamo visto, colloca gli italiani al secondo posto europeo, subito dopo i portoghesi, in questa sensibilità identitaria (poi viene l’Irlanda).

Ma in tutti i paesi d’Europa sono i cristiani praticanti coloro che hanno maggiormente questa convinzione “patriottica”. E’ un dato che mostra anche lo scollamento radicale fra i credenti e le posizioni di papa Bergoglio. Il popolo cattolico è in sintonia con l’insegnamento di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI sulle radici cristiane dei nostri Paesi e della nostra civiltà.

Sconfitta, in queste rilevazioni, è proprio l’ideologia incarnata da Bergoglio e dalla sinistra. Bergoglio in questi anni ha tuonato di continuo contro coloro che costruiscono muri. Secondo lui dovremmo abbattere le frontiere e offrirci allo sbarco massiccio di migranti per avere un futuro radioso.

Ma un grande studioso, David Frye, docente di Storia medievale alla Eastern Connecticut State University, nel libro “Walls” (Simon and Schuster) ha dimostrato l’esatto opposto, ovvero l’importanza dei “muri”. Non il Muro di Berlino che era una prigione per il proprio popolo. Ma i muri di difesa dall’esterno.

“Nessuna invenzione della storia” scrive Frye “ha avuto un ruolo più importante nel creare e plasmare la civiltà” dei muri. Infatti “senza muri, non ci sarebbe mai stato un Ovidio e lo stesso può essere detto per gli studiosi cinesi, i matematici babilonesi o i filosofi greci”.

Del resto – aggiunge Frye – “l’impatto dei muri non era limitato alle prime fasi della civiltà. La costruzione del muro si è protratta per gran parte della storia, culminando spettacolarmente durante un periodo di mille anni in cui tre grandi imperi eressero barriere che fecero le divisioni geopolitiche del Vecchio mondo. Il crollo di quelle mura avrebbe influenzato il mondo profondamente quasi quanto la loro creazione (…). Civiltà e muri sembrano essere andati di pari passo”.

Lo dimostra oggi il caso di Israele: protette dai muri sicurezza e civiltà prosperano. Abbattere i muri è la loro fine.

Antonio Socci

Da “Libero”, 11 novembre 2018

Sito: “Lo Straniero”

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ALEKSANDR DUGIN E L'ITALIA

    L’Italia è l’avanguardia populista in Europa. Intervista ad Aleksandr Gel’evič Dugin: la storia è aperta e ci sono molte sfide davanti l’unica possibilità di riuscita è avere profonda fiducia nella propria cultura e nel popolo 
di P.Becchi e D.Mancuso 
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Aleksandr Gel’evič Dugin (nato a Mosca il 7 gennaio 1962), filosofo e geopolitico russo con una lunga attività ideologica e politica alle spalle. Dissidente nell’era sovietica, quindi duro oppositore di Eltsin, oggi sostiene Putin, al quale tuttavia non risparmia critiche. Con le sue idee politiche è diventato un punto di riferimento per i populisti e gli antiglobalisti di ogni latitudine. Le sue opere sono state tradotte in diverse lingue.
Recentemente è stato in Italia per presentare il suo libro “Putin contro Putin” pubblicato da AGA Editrice, in cui traccia un ritratto inedito del presidente russo. Sempre per AGA Editrice è uscito da poco “L’ultima guerra dell’Isola-Mondo”, in cui il filosofo russo analizza l’evoluzione geopolitica della Russia come potenza “tellurocratica” globale, dalle origini fino all’attuale presidenza di Vladimir Putin.

La seguente intervista è stata realizzata da Paolo Becchi e Donato Mancuso.

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Professor Dugin, nel suo ultimo libro lei identifica la civiltà russa con la “civiltà della Terra”. Ci vuole spiegare brevemente il significato di questa definizione?
Come ho cercato di spiegare nel mio libro, la geopolitica ammette due posizioni globali. Mackinder le chiama “il punto di vista dell’uomo del Mare” e “il punto di vista dell’uomo di Terra”. Si tratta di due tipi di civiltà: la civiltà dinamica del Mare (progressista, mercantile) e la civiltà statica della Terra (conservatrice, eroica). Esempi storici? Cartagine contro Roma, Atene contro Sparta. La geopolitica classica si basa anche sul fatto che il territorio della Russia contemporanea, prima dell’Unione Sovietica (URSS) e prima ancora dell’Impero russo, costituisce l’Heartland, cioè il nucleo dell’intero continente eurasiatico. Mackinder chiama questa zona “il perno geografico della storia”. Pertanto, dal punto di vista geopolitico, la Russia è qualcosa di più della Federazione Russa nei suoi attuali confini amministrativi. La geopolitica russa è per definizione la geopolitica dell’Heartland, cioè la geopolitica della Terra. Dallo Zarato Moscovita passando per la Russia dei Romanov e l’Unione Sovietica fino all’odierna Federazione Russa, dal XV secolo al XXI secolo, la Russia è stata – e continua ad essere – un polo globale della “civiltà della Terra”, una Roma continentale.
E Putin che ruolo svolge? In “Putin contro Putin”, lei parla di un Putin solare e di un Putin lunare. Sul presidente della Federazione Russa si è detto di tutto, sia in positivo che in negativo. Ma chi è davvero Vladimir Putin?
Vladimir Putin ha cambiato la storia della Russia e dell’umanità, perché con le sue azioni, con la sua decisiva difesa della sovranità russa, ha messo in crisi in ambito geopolitico il modello unipolare favorendo il passaggio ad un modello multipolare, che tuttavia non si è ancora definitivamente affermato.
Si tratta di una figura storica complessa. Da un lato Putin è la proiezione del popolo russo come entità storica, rappresenta cioè la Russia stessa, e vuole affermare la sua identità e sovranità. Questo Putin lo chiamo il “Putin solare”. È il Putin più conosciuto, una figura che in Occidente è ammirata dai populisti, per i quali rappresenta la possibilità di trasformare geopoliticamente il modello unipolare in multipolare aprendo nuove possibilità per tutti i popoli, e odiata dai globalisti, per i quali invece costituisce il problema, la sfida all’egemonia unipolare.
Ma c’è un altro lato di Putin che è molto meno conosciuto. È il Putin che la società russa vede nella politica interna, dove ha conseguito meno successi. La mia critica più importante consiste nel fatto che Putin non ha dato una dimensione istituzionale alle sue riforme. Per questo tutto è purtroppo rimasto reversibile. Putin non è arrivato al punto da rendere irreversibili le sue riforme. Questo aspetto rappresenta il “Putin lunare” che non vuole o forse non può istituzionalizzare il suo modello sovranista. Per questa ragione il suo potere – che attualmente è stabile e forte – sottende al tempo stesso una debolezza e cioè lascia la porta aperta alla possibilità di distruggere tutto quello che Putin è riuscito a fare una volta che lui uscirà di scena.
Che impressione ha avuto di un Paese come l’Italia retto da due forze politiche antisistema?
Sono molto entusiasta. Due forme di populismo, il populismo di “destra” della Lega e il populismo di “sinistra” dei Cinque Stelle, hanno superato le vecchie divisioni e hanno formato insieme il governo. È il momento storico in cui il populismo ha vinto sul globalismo liberale del “centro” politico.
Questo governo è la realizzazione delle speranze che nutro da molti anni, cioè che il popolo deve rappresentarsi oltre la divisione tra la sinistra e la destra e in opposizione al centro politico, che oggi non è più anch’esso né di destra né di sinistra.
Il centro liberale globalista, il cui emblema è George Soros, rappresenta in sé la destra economica e la sinistra culturale. Il populismo rappresenta l’ideologia potenzialmente opposta, in cui la giustizia sociale si unisce al tradizionalismo politico, alla difesa della famiglia, dei valori tradizionali europei, della sovranità e dell’identità.  Questo populismo che noi vediamo emergere in Italia ma anche in Austria, Ungheria, negli Stati Uniti, questo populismo che cresce sempre più, rappresenta una nuova forma politica e un nuovo soggetto politico: il popolo, che non è solo un insieme di individui né la classe in senso comunista né tantomeno la nazione in senso borghese, ma è organicità, identità, un soggetto storico-culturale, attore della storia ignorato dalla modernità politica. Con l’avvento del populismo, superiamo la modernità, da un lato entrando nella postmodernità e dall’altro ritornando alla premodernità.
Tutto questo sta alla base di un nuovo modello ideologico-politico corrispondente alla Quarta Teoria Politica, che ho sviluppato nei miei lavori. Credo che precisamente questo si stia realizzando oggi in Italia. L’Italia sta aprendo una nuova pagina nella storia europea e sta mostrando il cammino a tutti i popoli europei. Questo è un momento storico per l’Europa.
Ha parlato della “Quarta Teoria Politica”. Ci vuole spiegare brevemente cos’è e il modo in cui è giunto ad elaborarla?
La “Quarta Teoria Politica” è anti liberale ma senza cadere nella trappola del fascismo e del comunismo storici. Per noi oggi è necessario archiviare i soggetti classici delle ideologie politiche moderne – liberalismo, comunismo e nazionalismo. Nel contesto del liberalismo, il soggetto centrale è l’individuo, nel caso del comunismo sono le classi, nel caso del nazionalismo è lo stato nazionale. Ma l’uomo è più profondo dell’individuo, dell’identità di classe o dell’identità nazionale intesa come cittadinanza formale. Più importante di individuo, classe o nazione è il concetto di Dasein, l’esser-ci di Heidegger, la forma del ritorno alle radici dell’essere umano.
La dimensione esistenziale rappresentata dal Dasein di Heidegger è proprio l’aspetto dimenticato dalla politica attuale. Questa è anche la ragione dell’alienazione radicale e dei totalitarismi fascisti, comunisti o liberali – perché oggi viviamo nel contesto del terzo totalitarismo, il totalitarismo liberale. La causa di questi totalitarismi è precisamente l’alienazione, il concetto dell’uomo alienato da sé stesso. In questo senso l’esistenzialismo di Heidegger ci riporta alle radici dell’essere uomo. Va dunque sviluppato questo concetto esistenziale, con il quale possiamo restaurare la dimensione organica, culturale e umanistica della politica. Sviluppando questa idea possiamo arrivare ad unire il concetto metafisico ontologico di Dasein con il concetto di popolo, concepito come entità esistenziale. Heidegger diceva “Dasein existiert völkisch”, il Dasein esiste attraverso il popolo, perché il popolo dà la cultura, la lingua, l’identità. Senza queste, non è possibile essere uomo e questa comprensione positiva dell’identità organica del popolo è precisamente la base, il fondamento del Dasein.
Questo è il livello di comprensione più difficile della Quarta Teoria Politica, ma allo stesso tempo il più importante perché senza questa revisione della qualità e della struttura del soggetto centrale della politica, non possiamo creare la visione ideologica alternativa all’alienazione della politica moderna europea. Senza Heidegger non possiamo costruire un mondo veramente multipolare.

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Nella sua concezione del mondo multipolare, lei dà molta importanza all’Unione europea. Tuttavia, l’Ue è un complesso di istituzioni sempre più in crisi, non le pare?
In realtà io non parlo tanto di Unione europea quanto di Europa sovrana. L’Unione europea è diventata l’opposto dell’Europa come entità geopolitica sovrana, indipendente e con la sua propria identità. L’Ue è il frutto di un’unificazione dal basso, guidata dall’economia e dagli interessi materiali. Credo che per arrivare al mondo multipolare sia necessario avere un’Europa completamente diversa, un’Europa costruita dall’alto, a partire dalla tradizione comune classica greco-romana e anche rinascimentale.
Il polo del mondo multipolare per me è l’Europa sovrana, con la sua identità europea, con il suo destino storico intellettuale, con il suo spirito, con il suo asse valoriale e le sue strutture intellettuali filosofiche metafisiche. Oggi la lotta dei sovranisti è contro questa Unione europea globalista, liberale ed elitaria. Questo è lo status quo. Tuttavia, credo che ad un certo punto questa lotta si trasformerà nella lotta per l’Europa come polo indipendente, libero e sovrano in un contesto geopolitico mondiale multipolare.
In cosa consiste la teoria eurasiatista e in che rapporti sta con l’Europa sovrana che lei ha appena descritto?
L’eurasismo, dall’inizio degli anni ‘20 del secolo scorso, propugna l’idea che la Russia rappresenti una civiltà peculiare, eurasiatica, che unisce alcuni aspetti europei tradizionali con alcuni aspetti propriamente asiatici o orientali. La differenza tra l’Europa occidentale e l’Eurasia era essenziale nella visione degli eurasisti originali ed è anche alla base del progetto eurasiatico, in quanto nel contesto del mondo multipolare l’Eurasia dovrebbe essere riconosciuta come un polo a sé, con un’identità particolare, indipendente dalla civiltà europea, americana, cinese o islamica. L’eurasismo ha i suoi omologhi nell’europeismo o anche nell’americanismo, nell’idea ad esempio dell’unificazione dell’America del Nord voluta da alcuni circoli americani. Questa era l’idea di Carl Schmitt sui grandi spazi. L’Eurasia rappresenta il grande spazio situato ad est dell’Europa occidentale ma che non corrisponde alla civiltà cinese o iraniana.
Credo che in questo contesto l’eurasismo rappresenti anche la difesa della tradizione. L’Eurasia ha conservato certi aspetti della tradizione premoderna spirituale, religiosa, culturale, ecc. Nel contesto del cristianesimo rappresenta la tradizione del cristianesimo ortodosso, orientale, molto diverso dal cristianesimo cattolico o protestante. Tuttavia, non è solo questa eredità cristiana a definire la civiltà eurasiatica, ma anche Gengis Khan, gli imperi dei sciti, dei turchi, dei mongoli. Tutte le influenze orientali sono state importanti per la creazione dell’identità eurasiatica della Russia.
Credo che in futuro l’eurasismo possa rappresentare l’ideologia del ritorno dei russi alle origini, alla propria tradizione, alla propria identità spirituale, culturale. Ma questo non esclude la possibilità di un ritorno alle radici per le altre civiltà – islamica, cinese, europea, ecc. Per questo il concetto eurasiatico è un concetto del multipolarismo inclusivo ma non universalista, perché dà la possibilità a tutte le culture e civiltà di conservare la propria identità senza imporre alcun universalismo, sia esso europeo, occidentale o russo. L’eurasismo non è imperialista. La tradizione eurasista è una forma di civiltà pluriversale. In essa c’è l’idea che possiamo accettare le diversità senza distruggerle, come ad esempio nel caso della Cecenia, in passato ostile alla Russia ma che oggi è la Repubblica più fedele a Mosca e a Putin perché i ceceni hanno capito che nel contesto di quest’unità pluralista e pluriversale dell’Eurasia è possibile conservare la propria identità meglio che nel contesto dello stato nazionale.
Donald Trump minaccia nuovi dazi contro l’Europa e la Cina e ha adottato la linea dura contro l’Iran di John Bolton. L’America di Trump è un’opportunità o una minaccia?
Non sono entusiasta dell’America di Trump, ma è sicuramente meglio di quella che sarebbe stata l’America di Clinton. Quella di Trump è l’America egoista che lotta per i propri interessi contro tutti, in un certo senso rappresenta una rivolta contro il globalismo a favore dell’imperialismo americano più brutale. È comunque meglio questo del globalismo radicale della Clinton e credo che si possa utilizzare il momento Trump per i nostri scopi perché Trump costituisce comunque un fattore di instabilità per i mondialisti.
Un ultimo consiglio per il governo italiano?
Seguire il proprio cammino. Sarà un cammino arduo. Eroico. Oggi il governo italiano è all’avanguardia dell’Europa. La storia è aperta e ci sono molte sfide davanti. Bisogna avere uno spirito forte per resistere ai duri colpi che arriveranno in tutte le forme e da tutte le parti. Questa è una grande prova per questi uomini e per questi partiti politici. L’unica possibilità di riuscita è avere profonda fiducia nella propria cultura e nel popolo italiano. Noi russi vogliamo tutti la vittoria di questo governo e siamo disposti in tutti i modi ad aiutarlo.
  
L’Italia è l’avanguardia populista in Europa

di
 Aleksandr Gel’evič Dugin Arianna Editrice - Ereticamente

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