La "dignità dell’uomo" al posto della verità oggettiva. Quando il concetto massonico della “dignità dell’uomo” (specie di diritto naturale) sostituì il concetto della verità oggettiva della Rivelazione cristiana e del Magistero
di Francesco Lamendola
C’è un concetto chiave che collega gli ultimi sei pontificati e li differenzia dai duecentosessanta pontificati precedenti; un concetto che a un osservatore distratto può essere passato del tutto inosservato e che perfino moltissimi cattolici non sembrano aver notato in maniera chiara e distinta, pur se “qualcosa” di diverso si percepisce, nella prospettiva d’insieme di prima e dopo il Concilio Vaticano II. Si tratta di questo: che fino al pontificato di Pio XII, al centro della dottrina e della catechesi c’è il concetto della verità oggettiva della Rivelazione cristiana e del Magistero cattolico; a partire dal pontificato di Giovanni XXIII, esso viene sempre più messo in subordine, e, ultimamente, perfino attaccato frontalmente da teologi ed alti esponenti del clero, mentre al suo posto è stato messo il concetto della “dignità dell’uomo”.
Lo scriviamo fra parentesi per sottolineare che non si tratta della dignità umana così come l’ha sempre concepita ed insegnata il cattolicesimo, ossia come una naturale conseguenza della filiazione dell’umanità dal Padre celeste, concetto tante volte ricordato da Gesù Cristo, con i suoi discorsi e con le sue parabole, ma un concetto diverso, di origine massonica e illuminista, che intende la dignità umana come un dato intrinseco e originario, una specie di diritto naturale, che può essere rintracciato, andando ancor più indietro, nell’umanesimo e nel rinascimento, con il violento rigetto di tutta la tradizione medievale (e dunque, in particolare, del tomismo e della scolastica) e con l’affermazione di una dignità umana intesa in senso prevalentemente, o anche meramente, immanentistico. In altre parole, la “dignità umana”, continuiamo a metterlo fra virgolette per capirci e per distinguere tale concetto da quello autenticamente cristiano, è un corpo estraneo, caduto nella dottrina e nella pastorale, ma prima di tutto nella liturgia, a partire dal Concilio Vaticano II; e che non solo non se n’è più andato, ma vi ha messo così salde radici da passare ormai per un elemento basilare e irrinunciabile, al punto che soprattutto i giovani sono portati a credere che faccia parte, da sempre, del Deposto della Fede e che sia ricavato direttamente dal Vangelo. Nulla di più falso e nulla di più lontano dall’insegnamento di Gesù Cristo, il quale non si è incarnato e non è venuto sulla terra per insegnare la “dignità umana”, ma, come disse quasi al termine della sua missione terrena, per rendere testimonianza alla verità (cfr. Gv, 18,37). Ora, per un cristiano e per un cattolico, la verità è Lui, Gesù Cristo, insieme alle altre due Persone della Santissima trinità, il Padre e lo Spirito Santo: Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv 14,6): Persone che non litigano affatto tra di loro, come affermato empiamente dall’ateo signore argentino che usurpa la cattedra di san Pietro, ma procedono in perfetta armonia reciproca.
Per un cristiano e per un cattolico, la verità è Lui, Gesù Cristo, insieme alle altre due Persone della Santissima trinità, il Padre e lo Spirito Santo: Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv 14,6): Persone che non litigano affatto tra di loro, come affermato empiamente dall’ateo signore argentino che usurpa la cattedra di san Pietro.
È chiaro che, a secondo che si adotti la prospettiva della verità oggettiva oppure quella della dignità umana, cambia completamente tutta la visione del reale. Nel primo caso si resta ancorati alla trascendenza, alla spiritualità, all’onnipotenza di Dio; nel secondo caso ci si affida a un percorso tutto umano, che rivendica la propria centralità e che ha in sospetto ogni forma di spiritualità “eccessiva”, vista come un’alienazione o addirittura come un misconoscimento della dignità umana e quasi come un tradimento rispetto ai compiti concreti e ai doveri che l’amore materiale per il prossimo impone al cristiano. La prima prospettiva è quella autenticamente cristiana, che parte dal dato della umana fragilità e della incapacità dell’uomo, dopo il Peccato originale, di conseguire il bene con le sue sole forze (pessimismo antropologico); la seconda è quella umanistica, massonica e illuminista, fondata su un netto ottimismo antropologico, che, al limite, rende inutile l’Incarnazione e superflua la Redenzione di Cristo, ma, soprattutto, misconosce il carattere transitorio ed effimero dell’esistenza terrena e, al contrario, la esalta e la assolutizza, relegando sullo sfondo la prospettiva della vita eterna (che infatti, da qualche anno a questa parte, si direbbe scomparsa dalla pastorale e soprattutto dalla omiletica, sostituita com’è, da discorsi sui migranti, sulla giustizia terrena, sull’ambiente e sul clima). In pratica, a seconda che si adotti l’una o l’altra prospettiva, ci si trova in presenza di due diverse concezioni della realtà e addirittura di due diverse e opposte religioni: la religione di Dio e la religione dell’Uomo; la Città di Dio, come direbbe sant’Agostino, animata dall’amore di Lui, e la Città terrena, nata dall’amor di sé, vale a dire dall’orgoglio. Che cosa hanno ancora in comune queste due religioni? Tranne il nome, che ormai è fonte di ambiguità ed equivoci, nulla, assolutamente nulla. Fra Gesù Cristo che parla agli uomini del loro destino eterno, e il sedicente vicario di Cristo che parla agli uomini di migranti e di ambiente, non c’è alcun punto in comune, neppure una lingua mediante la quale ci si possa intendere. Solo considerando le cose in questa prospettiva si arriva a capire perché la cosiddetta riforma liturgica sia stata una rivoluzione, e perché essa abbia gettato il seme dell’eresia e dell’apostasia generalizzata, cui oggi stiamo assistendo, ma che non fu percepita affatto, sul momento, come tale. Solo così riusciamo a capire, per esempio, perché aver sostituito l’altare delle chiese, rivolto verso il presbiterio e concepito in modo che il sacerdote, come un buon pastore, celebrasse i sacri riti rivolgendosi, e rivolgendo l’attenzione dei fedeli, verso l’alto, cioè verso un Dio trascendente, con un “altare” moderno, brutto e posticcio, che altro non è se non una tavola per celebrare una cerimonia umana e immanente, rivolta al pubblico dei fedeli e facendo di essi il centro del rito stesso, sia un totale stravolgimento anche della dottrina, e più precisamente uno degli elementi che sottolineano la sostituzione del concetto chiave della verità oggettiva con quello della dignità dell’uomo. È chiaro che non si tratta più dello stessi rito e che non si sta adorando più lo stesso Dio. Tutte le aberrazioni dottrinali e pastorali cui stiamo oggi assistendo partono da qui, hanno qui la loro radice: dalla svalutazione della verità oggettiva. Grazie a tale svalutazione, diventa possibile affermare che gli ebrei non hanno alcun bisogno di convertirsi, perché sono già nella verità di Dio, essendo sempre valida l’Antica Alleanza; che Lutero è stato un grande dono dello Spirito Santo; che Marco Pannella è stato una figura dotata di altissima spiritualità e degna di esser presa a modello da tutti; che non esiste alcun terrorismo islamico; che voler convertire gli altri è una enorme sciocchezza; e che il male più grande che affligge la Chiesa è il “clericalismo”.
Qualcuno ha attuato deliberatamente una rivoluzione nella Chiesa, e più precisamente nella comprensione che la Chiesa aveva di se stessa: è possibile immaginare un quadro di sovversione più chiaro e più eloquente? Per millenovecento anni la Chiesa ha ritenuto di essere una certa cosa, fondata su certe premesse, e finalizzata a un certo scopo; poi, nel giro di tre anni, dal 1962 al 1965, i gesuiti s’impadroniscono del vertice della Chiesa, usando il cavallo di Troia del concilio ecumenico, e capovolgono tutte queste cose: ciò che la Chiesa pensa di se stessa, le premesse su cui si fonda, il fine a cui tende.
Diventa inevitabile, perciò, domandarsi se un tale capovolgimento di prospettiva, realizzato con tale astuzia da passare pressoché inosservato dai diretti interessati, cioè dai fedeli cattolici, i quali, un bel giorno (anzi un bruttissimo giorno) si sono svegliati non più cattolici, ma post-cattolici, sincretisti, relativisti, umanisti o quel che si vuole, ma comunque non cattolici, sia stato il frutto di un movimento spontaneo o il risultato di un piano ben architettato da chi aveva l’interesse, i mezzi e la volontà per sovvertire dall’interno la Chiesa cattolica e privarla della verità oggettiva, senza la quale essa diventa inevitabilmente una nave sanza nocchiero in gran tempesta, fatalmente destinata ad infrangersi contro gli scogli. Ebbene, ci sia consentito osservare che già a fil di logica, cioè ancor prima di affrontare la questione in termini strettamente storici, è estremamente improbabile, per non dire inverosimile, che si trattato di un movimento spontaneo. È impensabile, cioè, che un numero consistente di cardinali abbia deciso di optare per questa via; che abbia eletto una serie di papi conformi a un tale progetto; che abbia preso la direzione di un concilio ecumenico per portarlo là dove aveva stabilito; e che tutto questo sia accaduto secondo una tendenza naturale degli animi, delle intelligenze, delle sensibilità. Tanto varrebbe dire che il teorema di Pitagora è stato scoperto per gioco da un bambino di quattro anni, o che una scimmietta ammaestrata, brancicando sui tasti di un computer, è in gradi di scoprire il calcolo infinitesimale. Ci sono delle cose che sono troppo evidenti per aver bisogno di una dimostrazione, e il non volerle vedere per ciò che realmente sono equivale a una cecità intenzionale, ossia a una cecità ideologica e pregiudiziale, non a un vero ottundimento dell’intelligenza: e questa è una di esse. Se qualcuno ha deciso che qualcosa non è possibile, costui non la vedrà mai, neppure se gliela mettessero sotto il naso; e se qualcuno ha deciso che, stante l’opera dello Spirito Santo, i Padri conciliari non possono errare, né peccare, il collegio cardinalizio non può complottare, e un clero infedele non può apostatare, con costui non possiamo dialogare, perché non esiste dialogo possibile con chi rifiuta di prender atto delle cose. La verità è che la natura umana, soggetta alla concupiscenza, può cadere in peccato, anche gravissimo, nonostante l’azione benefica dello Spirito Santo; se così non fosse non ci sarebbe bisogno del libero arbitrio, avrebbe ragione Pelagio e, per motivi opposti, avrebbe ragione anche Lutero: ma in tal caso non ci sarebbe bisogno del Vangelo, e Gesù Cristo si sarebbe incarnato inutilmente, e inutilmente si sarebbe immolato sulla croce. Ma può un cristiano credere questo?
Gli accordi segreti del Concilio Vaticano II? dopo di allora cambio' il concetto della verità oggettiva della Rivelazione cristiana e del Magistero cattolico, sostituito dal concetto massonico della “dignità dell’uomo”, ovvero una specie di diritto naturale.
Ci sia permesso, arrivati a questo punto, citare un breve passaggio tratto dal libro di Giacomo Galeazzi e Ferruccio Pinotti,Vaticano massone. Logge, denaro e poteri occulti: il lato segreto della Chiesa di papa Francesco (Milano, Edizioni Piemme, 2013, pp. 44-45):
In merito al Concilio, il gesuita Reinhold Sebott affermava: “Con la ‘Dichiarazione sulla libertà religiosa’, il Concilio Vaticano II ha creato una base per un possibile accordo con i massoni”. La stessa cosa asseriva il massone Charles von Bokor nella sua storia della massoneria pubblicata nel 1980 con il titolo “Squadra e compasso”: “Questo compito viene facilitato dal fato che il Concilio Vaticano II si è espresso senza riserve per l’esercizio della libertà religiosa e per il riconoscimento di ogni ideologia”.
Questa linea interpretativa conteneva al fondo, una lettura del Concilio Vaticano II che si poteva delineare così’: il Concilio avrebbe sostituito il concetto basilare di verità oggettiva con quello della dignità dell’uomo, una vera rivoluzione copernicana nell’autocomprensione della Chiesa. Su questa premessa i massoni cedettero fosse possibile una base d’intesa.
Interessante, vero? Il Concilio Vaticano II ha realizzato una vera rivoluzione copernicana nell’autocomprensione della Chiesa.Copernicana o non copernicana, parliamo di una rivoluzione: è meglio non giocare con le parole, perché la cosa è estremamente seria.Qualcuno ha attuato deliberatamente una rivoluzione nella Chiesa, e più precisamente nella comprensione che la Chiesa aveva di se stessa: è possibile immaginare un quadro di sovversione più chiaro e più eloquente? Per millenovecento anni la Chiesa ha ritenuto di essere una certa cosa, fondata su certe premesse, e finalizzata a un certo scopo; poi, nel giro di tre anni, dal 1962 al 1965, i gesuiti s’impadroniscono del vertice della Chiesa, usando il cavallo di Troia del concilio ecumenico, e capovolgono tutte queste cose: ciò che la Chiesa pensa di se stessa, le premesse su cui si fonda, il fine a cui tende. Questo incredibile risultato è stato ottenuto, in particolare, con la pubblicazione della dichiarazione Dignitatis humanae del 7 dicembre 1965, che suggella l’intera opera del Concilio: un documento che, affermando solennemente il principio della libertà religiosa, relativizza e svaluta automaticamente quello della verità oggettiva e perciò fa strame di millenovecento anni di dottrina e di pastorale cattoliche, aprendo le porte a un “dialogo” con gli altri che pone il cattolicesimo sullo stesso piano di qualunque altra fede o ideologia.
Oggi fra Gesù Cristo che parla agli uomini del loro destino eterno, e il sedicente vicario di Cristo che parla agli uomini di migranti e di ambiente, non c’è alcun punto in comune, neppure una lingua mediante la quale ci si possa intendere.
La ‘dignità dell’uomo’ al posto della verità oggettiva
di Francesco Lamendola
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IL RANCORE VERSO DIO
Amore del prossimo o rancore verso Dio? Nella "Cultura dei diritti garantiti" non c’è spazio per gli infortuni, le difficoltà specialmente per l’inconveniente che si chiama morte: perchè oggi ci deve essere sempre un colpevole?
di Francesco Lamendola
Ci sono delle forme di amore, naturalmente malsano, che sono, in realtà, delle forme di odio appena superficialmente mascherato. Se ne possono vedere ogni giorno, basta aprire gli occhi. Ecco una scolaresca in viaggio d’istruzione: è un esempio che abbiamo conosciuto personalmente. La meta, l’itinerario, il mezzo di trasporto, tutto è stato scelto in funzione di un’alunna gravemente disabile, cieca e in carrozzina perché affetta da distrofia muscolare, ma perfettamente intelligente. La accompagnano sia la madre che uno zio: non per aiutarla nei movimenti, non per assisterla nei pasti, ma per sorvegliare che queste cose le facciamo i professori. Loro non muovono un dito: stanno a guardare i professori che le porgono il cucchiaio alle labbra, che la fanno salire e scendere dai mezzi urbani: si accertano che facciano ogni cosa e la facciano bene. Per il resto, si limitano ad adorarla, a esternare con sguardi e parole tutto il loro amore: ma è un amore che, ci permettiamo di sospettarlo, cerca di nascondere a se stesso un sentimento di segno opposto, qualcosa d’indicibile, molto simile all’odio. Chi ama davvero, non sorveglia gli altri, fa; chi ama non si serve degli altri per obbligarli a fare al proprio posto. Certo, non è facile vivere con una persona disabile, bisognosa di assistenza continua: ma c’è unquid che permette di capire se lo si fa con autentica dedizione oppure per senso del dovere, immagazzinando rancore e desiderio di rivalsa. Rivalsa contro chi? Contro gli altri, contro i sani innanzitutto; ma anche, in ultima analisi, contro Dio. Perché Dio mi ha fatto questo? Certo, ripetiamo: è dura, per una madre, accettare un figlio disabile; ma è ancora più duro se si guarda alla vita nella prospettiva liberal-radicale, cioè come se fosse un viaggio assicurato e costellato di diritti garantiti, dove, se qualcosa va storto, si va dall’avvocato per fare causa a qualcuno: al comune perché il marciapiede era sconnesso e la nonna è inciampata, alla società autostrade perché c’era la nebbia e il nonno è stato tamponato, alla regione perché la casa degli zii è venuta giù a causa di una piena, anche se era stata costruita abusivamente, a due passi da un torrente dal regime imprevedibile…
Prendersela con Dio, però, è una parola; più facile dirlo, che farlo! Come si fa, a prendersela con Dio? Con un essere umano si può litigare, lo si può aggredire, lo si può minacciare, lo si può insultare; si può intentargli una causa in tribunale, esigere da lui il pagamento dei danni morali e materiali. Ma con Dio, che fare?
Nella cultura dei diritti garantiti non c’è spazio per gli inconvenienti, gli infortuni, le difficoltà; specialmente per l’inconveniente che si chiama morte. Al nostro paese, un uomo di ottant’anni è morto precipitando dalle scale della casa di riposo, dove si era recato a vistare la moglie. La donna era lì da dieci anni, bisognosa di assistenza; lui era depresso da tempo: forse è scivolato, forse ha deciso di farla finita. Quel che è certo è la casa di riposo avrà grossi guai da affrontare: la passeranno al setaccio orde di periti per controllare se c’erano le balaustre, se erano a norma, se si poteva evitare, eccetera, eccetera. In ballo ci sono fior di quattrini: una causa di risarcimento può concludersi con una condanna a sborsare somme enormi. Si vuole individuare un colpevole, non si ammette che le persone debbano rassegnarsi a un certo grado di fatalità, di imprevedibilità. Come si permette quella montagna di franare, e sia pure su delle case abusive? E quella slavina, come osa travolgere gli sciatori che pur sciavano fuori pista? E il terremoto, chi lo ha autorizzato a far cadere o lesionare parecchie abitazioni? Ci deve essere un colpevole; qualcuno ne deve rispondere, qualcuno deve pagare. Ma con chi prendersela, se un bambino nasce con un grave difetto fisico o psichico, magari sfuggito all’ecografia (perché, diversamente, sappiamo come si usa fare, da alcuni anni a questa parte)? Con Dio, evidentemente. Anche se si è cattolici; o meglio: specialmente se si è cattolici. Il non credente, a rigore, non ha nessuno con cui prendersela, se non il caso o la natura matrigna; ma il credente? Dov’è l’amore di Dio, in simili casi? Dove sono la sua bontà, la sua tenerezza, la sua misericordia? La teologia, il clero, hanno sempre saputo rispondere a tali domande, da duemila anni: rispondere, s’intende, entro i limiti della comprensione umana. E la risposta centrale era questa: Dio non ha dato qualcosa di meno, a quella madre, ma qualcosa in più: le ha affidato una creatura bisognosa di maggiori cure, proprio per fare di lei una madre privilegiata: così come non si affida un compito delicato al primo che passa, ma a una persona di estrema fiducia. Lui, poi, insegnerà a quella madre a sorridere e a trasformare il dolore in gioia, a vivere la sua situazione nel modo giusto, offrendo ogni preoccupazione a Chi le ha posto in grembo quella creatura, come si depone una pietra preziosa nel mantello di colui che si ama. Ma poi sono arrivati i falsi teologi, sono arrivati gli Enzo Bianchi, e i falsi papi, come il signore argentino; ed ecco, da un giorno all’altro la chiesa non ha più saputo dire cosa sia la sofferenza, che senso abbia, come la si possa e la si debba vivere. E così i cattolici sono diventati impazienti, insofferenti; mordono il freno, stringono i pugni, digrignano i denti: Dov’è Dio, dove si è nascosto? Perfino la Madonna, secondo le empie parole del signore argentino, quando suo Figlio veniva innalzato sulla croce, ha pensato: Era tutto un inganno! Sono stata ingannata! Costui renderà conto a Dio, quando verrà la sua ora, anche di queste parole infami: renderà conto anche del turbamento e dello scandalo che hanno sicuramente provocato in milioni e milioni di fedeli.
Oggi il rapporto tra disabilità e religione cattolica è radicalmente cambiato. Spesso regna il rancore e il desiderio di rivalsa: ma rivalsa contro chi? Contro gli altri, contro i sani, ma anche, in ultima analisi, contro Dio. Perché Dio mi ha fatto questo? Nella "Cultura dei diritti garantiti" ci deve essere sempre un colpevole; qualcuno che ne deve rispondere e qualcuno che deve sempre pagare!
Prendersela con Dio, però, è una parola; più facile dirlo, che farlo! Come si fa, a prendersela con Dio? Con un essere umano si può litigare, lo si può aggredire, lo si può minacciare, lo si può insultare; si può intentargli una causa in tribunale, esigere da lui il pagamento dei danni morali e materiali. Ma con Dio, che fare? E poi, non starebbe bene mostrare apertamente la propria ira e il proprio sdegno: no, non sarebbe un bello spettacolo. Un credente non può farlo, altrimenti gli altri gli chiederanno conto del suo atteggiamento, lo provocheranno, dicendogli: Lo vedi che anche tu sei senza fede, come noi? Perché non getti la maschera, allora, e non proclami apertamente il tuo ateismo? Se tu credessi in Dio, non ti ribelleresti a questo modo, non ri arrabbieresti con nessuno, e meno di tutti con Lui! Se poi si tratta di un sacerdote o di un vescovo, o del papa: sai che seccatura dover confessare il proprio ateismo. Bisogna togliersi la tonaca; bisogna rinunciare alla poltrona; bisogna privarsi dello stipendio e di tutti gli agi e le comodità connessi con lo status di membro del clero, specialmente dell’alto clero. È così bello, oggi, far parte dell’alto clero: con la crisi di lavoro che c’è, si guadagna bene (dai 5.000 euro in su come cardinale), si pubblicano libri, si va in televisione, si è ascoltati e riveriti. In cambio, basta dire quelle quattro cose che piacciono alla gente; basta mettersi, sempre a parole, dalla parte dei poveri (come il cardinale Maradiaga, che prende 36.000 euro al mese per stare dalla parte dei poveri); basta puntare il dito contro l’indifferenza, l’egoismo, la xenofobia dei “ricchi”, senza andar troppo per il sottile a vedere chi sono, in definitiva, questi “ricchi”, perché si potrebbe scoprire che di poveri italiani ce ne sono almeno 5 milioni, altro che poveri immigrati, i quali hanno il pasto, il tetto e i diritti garantiti, perfino il diritto di scioperare se il menu non è abbastanza vario, e perfino il diritto di spacciare droga, per arrotondare le entrate e concedersi qualche lusso, qualche divertimento, che so io…
La "Cultura dei diritti garantiti"? I rancori sono "Il rancore contro Dio", che non si può manifestare apertamente, e contro gli uomini: specie quelli che non subiscono il ricatto delle "Vittime di professione", quelli che non si piegano alla tirannide buonista, quelli che non vedono perché l’essere sfortunati dia diritto a un risarcimento.
Amore del prossimo o rancore verso Dio?
di Francesco Lamendola
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