ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 3 gennaio 2019

Anche i più miopi possono vedere..

LA SUA MANOVRA E' CHIARA



La sua manovra è chiara santificare il Concilio e blindarlo. Se l’albero si riconosce dai frutti, concetto schiettamente evangelico quali sono i frutti del Concilio? O la chiesa converte il mondo o il mondo convertirà la chiesa 
di Francesco Lamendola  

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Lo aveva detto a chiare note, il signore argentino, poco dopo essere stato eletto papa: indietro non si torna, il Concilio Vaticano II è una tappa fondamentale e irrinunciabile nella storia della Chiesa; per essere cattolici, bisogna riconoscere pienamente e incondizionatamente la “svolta” operata da esso. Strano, perché la Chiesa non ha mai proceduto, nel suo cammino, a colpi di svolte; il cammino della Chiesa è sempre stato lineare, coerente e uniforme; quelli che hanno tentato d’imprimerle delle svolte, sono stati chiamati e trattati per ciò che realmente erano, degli eretici desiderosi di trascinare la Chiesa nell’apostasia. E anche i concili, tutti i venti concili ecumenici fino al Vaticano I, hanno seguito questa via: ciascuno di essi ha ribadito le verità fondamentali della fede cattolica; ciascuno si è richiamato ai precedenti concili e a tutto il precedente Magistero; nessuno, mai, ha preteso di porsi come una novità, come una deviazione, e sia pur sotto il trucco linguistico dell’aggiornamento pastorale e dell’approfondimento, rispetto alla fede e al Magistero.


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Roncalli l'anziano pontefice che "misteriosamente"volle il Concilio Vaticano II e che Berrgoglio ha proclamato santo.

Nessuno, fino al Vaticano II. Il Concilio Vaticano II ha preteso di far questo; non solo: è l’unico concilio ecumenico nella storia della Chiesa che è stato convocato senza un vero ordine del giorno, senza alcuna emergenza di tipo dottrinale o disciplinare; senza niente a cui fosse necessario rispondere per ribadire la fede dei padri, la fede di sempre e il solo Vangelo, quello di Gesù Cristo, affidato ai credenti dai Vangeli e dagli apostoli stessi di Gesù, e poi custodito e tramandato fedelmente, nel corso di millenovecento anni, dai vicari di Cristo in terra. Solo il Vaticano II si è presentato al mondo come un concilio meramente pastorale. In effetti, i documenti del Vaticano II si presentano come confermativi della dottrina e del Magistero, o, per dir meglio, proclamano di voler riaffermare e confermare l’una e l’altro; di fatto, però, alcuni di essi, come la Nostra aetate e la Dignitatis humanae, aprono spiragli a delle sconvolgenti novità: la verità oggettiva della Rivelazione cristiana è attenuata dall’affermazione del principio della libertà religiosa e da quello della volontà di dialogo con le altre religioni; le quali, evidentemente, sono innalzate dal livello di “errori”, in senso teologico, a quello di legittimi culti aventi la medesima dignità intrinseca del cristianesimo cattolico. A ciò si aggiunga la cosiddetta riforma liturgica, che è stata, a tutti gli effetti, una rivoluzione; non tanto per le singole norme e per le singole novità, ma per tutto l’insieme che scaturisce da essi, e più ancora per lo spirito, indubbiamente nuovo, che le ispira e che le sottintende: uno spirito nettamente antropocentrico. La riforma liturgica, infatti, non nasconde di essere figlia della cosiddetta svolta antropologica in teologia, ispirata da Jacques Maritain, che poi si è pentito e ha sostanzialmente ritrattato, e soprattutto da Karl Rahner: un laico e un gesuita; e quest’ultimo, allievo del filosofo Martin Heidegger. Costui era un teologo che nessun teologo cattolico, prima della metà del ‘900, avrebbe riconosciuto come un proprio collega, perché il suo pensiero è intessuto di svariate eresie, la più grave delle quali è appunto questa: aver fatto dell’uomo il centro della relazione fra Dio e l’uomo stesso, capovolgendo letteralmente tutta l’impostazione della fede. Il capovolgimento degli altari, il nuovo ordo Missae, la soppressione del latino (non decretata da alcun documento ufficiale; al contrario, i documenti ufficiali confermavano l’uso della lingua latina), la scomparsa del canto gregoriano, e, più tardi, la santa Comunione sulla mano anziché in bocca, ritti in piedi anziché in ginocchio; l’accesso delle donne alle letture  della Scrittura e al sevizio dei chierichetti; la scomparsa del velo sui capelli, sempre per le donne; la stretta di mano quale “segno di pace”, in stile profano (e massonico) sono tutte cose che hanno spostato il senso profondo della celebrazione liturgica dall’adorazione di Dio alla celebrazione dell’uomo, dall’offerta a Dio del Sacrificio eucaristico all’auto-glorificazione dell’assemblea dei fedeli. Da qui al presentarsi in chiesa vestiti sommariamente o indecentemente; al pretendere di ricevere la Comunione anche in tale stato, come un diritto spettante in ogni caso; e, ancor più, al pretenderla pur trovandosi in stato di conclamato e pubblico di peccato, cioè in stato di adulterio rispetto al coniuge spostato secondo il Sacramento cristiano; e di qui alla licenza per ogni singolo prete di compiere ogni sorta di cambiamento e stravolgimento, togliendo o cambiando le preghiere e le formule, il passo era breve. E infatti, nel giro di pochi anni, è stato compiuto, ma sempre presentandolo come un “progresso”, una forma di rinnovamento, una riscoperta del vero significato, quello originario, della Tradizione, evidentemente obliato o travisato per quasi due millenni.

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Oggi è tutto molto chiaro: ci furono tante manipolazioni più o meno "velate" del B’Nai B’rith, del cardinale Bea, dell’arcivescovo Bugnini e del teologo eretico Rahner sul Concilio II.

Un solo vescovo, monsignor Marcel Lefebvre, vide e comprese quasi subito che tutto ciò era una rivoluzione, e che una rivoluzione cattolica equivale a un tradimento del vero cattolicesimo e della vera Chiesa, e vi si oppose. Vi si oppose non in nome di qualche personale verità, ma in nome della fedeltà a tutto ciò che la Chiesa, da secoli e secoli, insegnava a tramandava; in nome di quella verità sopranaturale, e perciò perfetta e immutabile, che non può esser modificata a seconda dei cambiamenti storici e sociali. Nessuno infatti poté accusarlo di eresia: sarebbe stato un controsenso; lo accusarono di disobbedienza e di rifiuto della comunione con la chiesa; ma la chiesa che lo accusava di rompere la comunione, se lui aveva ragione, non era più la chiesa di sempre, quella vera, ma un’altra, che, dissimulando i suoi intenti, si preparava a stravolgere il Deposito della fede e quindi a sovvertire il senso stesso della divina Rivelazione. Da parte sua monsignor Lefebvre rispose agli attacchi affermando, semplicemente, di aver difeso ciò che aveva a sua volta ricevuto, senza nulla aggiungere, senza nulla togliere; tradidi et quod accepi: ho tramandato quello che avevo ricevuto. Oggi, che conosciamo molti elementi che allora erano sconosciuti, in particolare le trame del B’Nai B’rith, del cardinale Bea, dell’arcivescovo Bugnini, del teologo eretico Rahner, e della volontà di “dialogare” a qualsiasi prezzo con il comunismo da parte dei due papi in questione, Giovanni XXIII e Paolo VI, anche a costo di abbandonare al loro destino i cristiani viventi nei Paesi del blocco sovietico e in Cina, in base all’erronea convinzione (cui erano giunti i gesuiti, veri artefici della “svolta”) che presto il comunismo avrebbe trionfato anche in Occidente e che sarebbe divenuto un elemento stabile e definitivo della società mondiale futura, possiamo capire molte cose che allora parevano incomprensibili, o che, nella maggior pare dei casi, non furono neppure notate, o furono interpretate come un segno di distensione, di pace, di dialogo con il mondo moderno, all’insegna di un generico desiderio di rasserenamento del clima internazionale, reso incandescente dalla Guerra Fredda (la crisi dei missili a Cuba è del 1962) e dal terrore di un conflitto nucleare generalizzato. Resta il fatto che un concilio ecumenico, per la prima volta nella storia della chiesa, si faceva dettare l’agenda e si ispirava a preoccupazioni di ordine politico, sociale, economico; per la prima volta era la chiesa che, dicendo di voler dialogare con il mondo, si metteva sul terreno del mondo, e apriva le porte al modo di pensare e di sentire del mondo; era la prima e unica volta in cui l’assemblea mondiale dei vescovi di tutti e cinque i continenti, con i vescovi extra-europei in netta maggioranza rispetto a quelli europei, e con un forte, agguerrito nucleo di vescovi massoni al centro della ragnatela, appariva subalterna alle logiche del mondo e si metteva in condizione di subire l’influenza del mondo, invece di tenere ben ferma la sua missione originaria e perenne, quella di convertire il mondo. O la chiesa converte il mondo, o il mondo convertirà la chiesa: è strano che pochi, allora, abbiano riflettuto sulla profonda verità di questa massima. Eppure, per quasi due millenni, la chiesa l’ha sempre saputo, e mai si è adeguata alle tendenze del mondo, mai ha ritenuto di dover venire a compromessi col mondo. Il compromesso fondamentale, e inaccettabile per un cattolico, è che la fede si possa ridisegnare sulla misura dei “tempi”. La stessa espressione: i segni dei tempi, venuta assai di moda dopo il Concilio, èun vero cavallo di Troia: dietro un’apparenza di tipo profetico (ma puramente verbale), cela quanto di più anti-profetico si possa immaginare. I profeti, infatti, hanno sempre predicato al mondo la conversione a Dio; ora, invece, è un modo per dire che la chiesa si deve adeguare al modo di essere mondano. Esattamente il contrario di ciò che è sempre stata la missione della chiesa e un vero tradimento nei confronti del Deposito della fede, che è quello e non può essere toccato, non può essere rivisto, non può essere aggiornato: è perenne e immutabile, iota unum può essere tolto o cambiato di ciò che la Chiesa, fedelmente trasmettendo ciò che ha ricevuto da Gesù Cristo, tramanda, di generazione in generazione, nel corso dei secoli.

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La misericordia  gesuitica del papa "Nero" Bergoglio? ora che i nodi stanno venendo al pettine, tutti in una volta, anche i più miopi possono vedere di che "misericordia" si tratta !

La sua manovra è chiara: santificare il Concilio

di Francesco Lamendola

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Ancora: la Chiesa si inchina - Francesco no


Mentre tutti si inchinavano, il 31 dicembre papa Francesco è rimasto in piedi di fronte al Santissimo Sacramento.

Quel giorno ha cantato i vespri nella Basilica di San Pietro. Prima del Te Deum di ringraziamento per il 2018, è stato esposto il Santissimo Sacramento.

Francesco è rimasto in piedi per venti minuti di fronte all'ostensorio, anche se aveva un inginocchiatoio di fronte. La Liturgia Cattolica prevede che i fedeli si inchinino di fronte al Santissimo Sacramento. Il Papa non è superiore alla Liturgia.

Francesco ha preso l'abitudine di non inginocchiarsi né di fronte al Santissimo Sacramento, né durante la consacrazione.

Però ama inginocchiarsi per i martiri anglicani e per lavare i piedi agli immigrati, ai prigionieri o ai travestiti.

#newsDrfonlpuhj

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