Sant’Agostino: La rovina della Città di Roma
“E poi gli uomini si meravigliano (e magari solo si meravigliassero e non giungessero alla bestemmia!) quando il Signore castiga il genere umano e lo colpisce con le punizioni di un pio emendamento, esercitando prima del giudizio finale il rimedio di una correzione.” (sant’Agostino)
LA ROVINA DELLA CITTÀ DI ROMA
Umiltà di Daniele.
1. 1. Cerchiamo di penetrare il senso della prima lettura sul santo profeta Daniele lì dove lo abbiamo sentito pregare e lo abbiamo ammirato sentendolo confessare non solo i peccati del popolo ma anche i suoi propri. Le sue erano parole di preghiera ma anche di confessione. Diceva: Pregando e confessando i peccati miei e quelli del mio popolo al Signore Dio mio 1. Dopo questa preghiera chi potrebbe dichiararsi senza colpa dato che perfino Daniele fa confessione di propri peccati? A un orgoglioso una volta Ezechiele disse: Sei forse più sapiente di Daniele? 2 La Scrittura pose questo Daniele anche fra i santi uomini nei quali sono adombrate le tre categorie umane che il Signore fa capire che salverà quando si abbatterà una grande tribolazione sul genere umano. Ha detto che nessuno da quella tribolazione scamperà tranne Noè, Daniele e Giobbe 3. E` chiaro che in questi tre personaggi, come ho detto, Dio adombra tre categorie di uomini. Infatti quei tre grandi morirono e le loro anime sono presso Dio, mentre i loro corpi si sono dissolti nella terra. Essi sono ormai alla destra di Dio e non possono più temere alcuna tribolazione da cui abbiano a chiedere di essere liberati in questo mondo. Come si spiega dunque che Noè, Daniele e Giobbe saranno liberati da quella tribolazione? Quando Ezechiele diceva queste cose, solo Daniele forse era ancora vivo. Noè e Giobbe erano morti e affiancati ai Padri nel sonno della morte. Come poteva porsi per loro il problema di venir liberati da una imminente tribolazione, se erano già stati liberati dalla vita mortale? Ma in Noè sono raffigurate le autorità buone, coloro che guidano e governano la Chiesa, come Noè governava l’arca del diluvio. In Daniele sono adombrati tutti i santi che vivono nella continenza. In Giobbe tutti i coniugati che vivono onestamente. Dio infatti libera dalla tribolazione annunciata queste tre categorie di uomini. Tuttavia Daniele è posto sopra gli altri due e da ciò appare evidente che lui solo meritò di essere nominato. E, ciononostante, egli confessa i suoi peccati. Di fronte a Daniele che confessa i suoi peccati come possono non essere presi da timore i superbi, non sgonfiarsi i vanagloriosi, non trovare il freno dell’umiltà gli orgogliosi e i presuntuosi? Chi può vantarsi di avere il cuore puro o chi può vantarsi di essere esente da peccato? 4
2. 1. E poi gli uomini si meravigliano (e magari solo si meravigliassero e non giungessero alla bestemmia!) quando il Signore castiga il genere umano e lo colpisce con le punizioni di un pio emendamento, esercitando prima del giudizio finale il rimedio di una correzione. Spesso manda afflizioni, dettate da misericordia, senza fare una scelta di quelli che mette alla prova. Il fatto è che non vuol trovare nessuno da condannare. Colpisce indistintamente ingiusti e giusti 5, per quanto chi può considerarsi giusto, se anche Daniele fa confessione dei propri peccati?
Roma e Sodoma.
2. 2. Abbiamo letto precedentemente un passo del libro della Genesi 6 che ha suscitato, se non erro, la più viva attenzione. In quel passo Abramo chiede al Signore se è disposto a risparmiare la città [di Sodoma] a condizione che in essa trovi cinquanta giusti, o se la vuol distruggere anche con quei giusti. Il Signore risponde che è disposto a risparmiare la città se in essa trova cinquanta giusti. Allora Abramo domanda ancora: ” Se ce ne fossero cinque in meno, solo quarantacinque, ugualmente sei disposto a risparmiare la città? “. Il Signore risponde che si accontenta di quarantacinque. Ma non è tutto. [Abramo] in un seguito d’interrogazioni, diminuendo poco alla volta quel numero giunse sino a dieci, e chiese al Signore se, una volta trovati dieci giusti nella città, li avrebbe anch’essi annientati con la folla innumerevole degli altri malvagi, o se piuttosto, per quei dieci giusti, non avrebbe salvato la città. Dio rispose che non avrebbe mandato in rovina la città anche solo per quei dieci giusti. Che cosa diremo a questo punto, fratelli? Ci si presenta infatti una questione grave e importante, sollevata specie da persone che guardano alle nostre Scritture con empietà, non da quelli che le investigano con spirito di pietà. Essi dicono, ora di fronte alla rovina di così grande città: ” Non vi erano in Roma cinquanta giusti? In mezzo a un così grande numero di fedeli, di monache, di uomini consacrati nella continenza, di servi e di serve di Dio, non si poterono trovare cinquanta giusti, né quaranta, né trenta, né venti, né dieci? Se ciò è inammissibile, perché dunque Dio per quei cinquanta, o anche per quei soli dieci non risparmiò quella città? “. La Scrittura non inganna, se non è l’uomo che inganna se stesso. Quando si tratta della giustizia di Dio, è Dio [anzitutto] che risponde della giustizia. Egli vuole giusti secondo la regola divina non secondo quella umana. Rispondo subito dunque: [i casi sono due] ” o trovò quel numero di giusti e salvò la città, oppure non salvò la città, e allora non aveva trovato i giusti “. Mi si risponde che è chiaro il fatto che Dio non salvò la città. E io ribatto: ” A me invece non è affatto chiaro “. La rovina infatti che si è abbattuta su questa città non è come quella di Sodoma 7. Quando Abramo interrogava Dio si trattava dell’esistenza stessa di Sodoma. Infatti Dio parlava di distruzione, non di castigo. Non salvò Sodoma, la distrusse; la fece bruciare totalmente dal fuoco. Non la riservò al giudizio finale: fece con essa subito quello che ad altri malvagi riservò per il giudizio finale. Proprio nessuno rimase superstite da Sodoma. Non restò traccia né di animali, né di uomini, né di case. Il fuoco consumò assolutamente tutto. Ecco in che modo Dio distrusse quella città. Ma dalla città di Roma quanti sono fuggiti e ritorneranno! Quanti rimasero e schivarono la morte! Quanti, rifugiatisi nei luoghi sacri, non poterono nemmeno essere toccati! ” Molti però – mi si obietta – furono fatti prigionieri “. Questo toccò anche a Daniele, non per punizione sua ma perché potesse confortare gli altri prigionieri. ” Molti – mi si dice – sono stati uccisi “. Questo toccò anche a molti giusti Profeti dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria 8. Questo toccò anche agli Apostoli, anche al Signore dei Profeti e degli Apostoli, a Gesù. ” Molti – si insiste – sono stati in vari modi tormentati “. Possiamo credere che qualcuno lo sia stato quanto Giobbe?
2. 3. Ci sono state portate orrende notizie: di stragi, di incendi, di rapine, di uccisioni, di torture. E` vero, molte cose del genere ci sono state riferite. Di ognuna abbiamo sofferto. Spesso abbiamo pianto, da riuscire a stento a consolarci; non nego, ammetto di aver sentito che in quella città sono avvenute molte [nefandezze].
Roma e Giobbe.
3. 3. Nondimeno, fratelli miei, la Carità vostra porga attenzione alle mie parole. Abbiamo udito dal libro del santo Giobbe che, dopo aver perso i suoi beni e dopo aver perso i figli, non poté aver salva neanche la carne che sola era rimasta, ma, coperto di piaghe dalla testa fino ai piedi, stava in mezzo allo sterco, col fetore di ulcere, imbrattato di umore corrotto, formicolante di vermi, straziato da fortissimi tormenti di dolori. Ebbene, se ci si desse notizia che tutta la cittadinanza ha questo tormento, che non ce n’è uno sano, anzi che tutti sono afflitti da gravissime ferite e che uomini vivi vanno in putredine verminosa come i morti, che cosa sarebbe più grave, questa situazione o quella guerra? Penso che è meno crudele dei vermi la spada che incrudelisce sulla carne umana, che è più tollerabile il sangue che zampilla dalle ferite che la putredine che sgocciola dalla materia corrotta. Quando tu vedi un cadavere in decomposizione inorridisci, ma è minore sofferenza, anzi non c’è alcuna sofferenza perché l’anima è assente. Ma in Giobbe c’era presente l’anima che sentiva, legata [al corpo] perché non sfuggisse, a lui soggetta perché soffrisse, assillata perché fosse indotta a bestemmiare. Tuttavia Giobbe sopportò la tribolazione e ciò gli fu ascritto a grande giustizia. Dunque non bisogna considerare che cosa uno soffra, ma che cosa fa [nella sofferenza]. Non è in potere dell’uomo regolare la sofferenza. Ma comportarsi in essa bene o male, questo rende la volontà dell’uomo innocente o colpevole. Giobbe sopportava. Gli era rimasta solo la moglie, non per suo conforto, ma per tentarlo; non per porgergli qualche rimedio, ma per indurlo alla bestemmia: Di’ qualcosa contro Dio e muori 9. A questo punto vedete quale beneficio sarebbe stata la morte e tuttavia questo bene non glielo poteva dare nessuno. Ma in tutte le pene che quella santa anima sopportò, si esercitava la sua pazienza, era messa a prova la sua fede, mentre la moglie restava confusa e il demonio vinto. Grande spettacolo la splendida bellezza di quella virtù nell’immonda bruttura di quel marciume. Il nemico lo tentava con una subdola devastazione, la nemica con un aperto invito al male, aiuto al diavolo, non al marito. Essa, nuova Eva, ma egli non vecchio Adamo. Gli diceva: ” Di’ qualcosa contro Dio e muori. Strappa a forza con la bestemmia quello che non riesci ad impetrare con la preghiera “. Ma egli rispose: Hai parlato come una donna stolta. Se da Dio accettiamo il bene perché non dovremmo accettare il male? 10 Osservate le parole di quel forte fedele; osservate le parole di quell’uomo putrefatto all’esterno, integro all’interno: Hai parlato come una donna stolta. Se da Dio accettiamo il bene perché non dovremmo accettare il male? Dio è padre. Dovremmo amarlo solo quando ci blandisce e dovremmo rifiutarlo quando ci corregge? Non è lo stesso padre sia quando promette vita sia quando impone disciplina? Ti è uscito di mente [il passo che dice]: Figlio, se ti presenti per servire il Signore, sta’ saldo nella giustizia e nel timore, e prepara la tua anima alla prova. Accetta quanto ti capita, sii paziente con umiltà nelle vicende dolorose, perché con il fuoco si prova l’oro e l’argento e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore 11. Ti è uscito di mente [il passo che dice]: Il Signore corregge chi ama, e sferza chi riconosce come figlio 12.
Pene temporali pene eterne.
4. 4. Supponi qualunque tormento, escogita qualsiasi pena umana; fa’ il confronto con le pene dell’inferno e ti apparirà lieve tutto ciò che soffri. Qui sia chi procura la pena, sia chi la patisce è limitato nel tempo, là eterno. Forse che stanno ancora soffrendo coloro che hanno avuto sofferenze al tempo della devastazione di Roma? Mentre quel ricco [del Vangelo] 13 soffre ancora all’inferno; è arso, arde, arderà fino a quando si presenterà al giudizio finale. Riavrà il corpo, non per un vantaggio, ma ancora per il supplizio. Quelle sono le pene che dobbiamo temere, se abbiamo timore di Dio. Qualunque cosa soffre l’uomo in questo mondo, se egli si corregge è un emendamento, se non si corregge c’è una duplice punizione. Perché qui soffrirà pene temporali e là sperimenterà quelle eterne. Parlo alla Carità vostra, fratelli. Noi certamente lodiamo, glorifichiamo, ammiriamo i santi martiri. Celebriamo i loro anniversari con pia solennità, ricordiamo i loro meriti e per quanto ci è possibile li imitiamo. Indubbiamente è grande la gloria dei martiri, ma non credo che sia minore la gloria del santo Giobbe. Tuttavia non gli si proponeva: ” Da’ l’incenso agli idoli, sacrifica a dèi stranieri “, o: ” Rinnega Cristo “. Gli si proponeva di bestemmiare Dio. E neanche glielo si diceva con questo senso: ” Se bestemmierai, andrà via ogni infezione, ritornerà la salute “, ma quella inetta e insulsa donna gli diceva: ” Se bestemmierai morirai e con la morte sarai liberato dai tormenti “. Come se a chi muore bestemmiando non seguisse un eterno dolore! Quella fatua donna inorridiva di fronte alla molestia della presente putredine e non pensava minimamente alla fiamma eterna. Lui invece sosteneva le pene presenti per non cadere nelle future. Tratteneva l’animo dai cattivi pensieri, la lingua dalle maledizioni. Serbava l’integrità dell’animo nella putrefazione del corpo. Vedeva le pene a cui si sottraeva per il futuro, perciò sopportava le pene presenti. Così ogni cristiano quando soffre di qualche afflizione nella vita temporale pensi alla Geenna e troverà lievi le sue sofferenze. Non mormori contro Dio, non dica: ” Dio, che cosa ti ho fatto da dover soffrire queste pene? “. Anzi dica quello che Giobbe ammetteva, benché santo: Hai esaminato tutti i miei peccati, e li hai chiusi come in un sacchetto 14. Lui che pativa non per punizione ma per prova non osava proclamarsi senza peccato. Così si comporti ognuno nella sofferenza.
Dio solo toglie il peccato.
5. 5. A Roma [che fu risparmiata] ci furono dunque cinquanta giusti, anzi se vai secondo la regola umana, migliaia di giusti, ma se vai secondo la regola della perfezione nessun giusto esisterebbe in Roma. Chi osasse proclamarsi giusto ascolti ciò che dice la Verità: Tu sei forse più sapiente di Daniele? 15. Eppure puoi sentirlo confessare i suoi peccati 16. O forse egli mentiva quando confessava i suoi peccati? Questo sarebbe stato un peccato: mentire a Dio sui propri peccati. Talvolta gli uomini nei loro ragionamenti dicono: ” L’uomo giusto deve dire a Dio: Sono peccatore. E anche se gli risulta di non aver nessun peccato sulla coscienza, deve dire a Dio: Ho peccato “. Mi stupirei se si chiamasse questo un sano modo di giudicare. C’è qualcuno che può averti reso tale da non essere nel peccato? Se tu sei del tutto privo di peccati è Dio che ha sanato la tua anima, se proprio non hai in te il peccato. Ma considera bene: troverai molte mancanze non una sola. Tuttavia se proprio fossi mondo totalmente da peccati, non sarebbe un dono ricevuto da Colui che tu hai pregato così: Io ho detto: Pietà di me, Signore, risana l’anima mia perché contro di te ho peccato 17? Se dunque la tua anima è senza peccato, [dipende dal fatto che] in ogni modo è stata risanata. E se è stata completamente risanata, perché sei ingrato col Medico al punto da sostenere che c’è ancora la piaga, lì dove invece te l’ha risanata? Se tu presentassi a un medico il tuo corpo malato o ferito e lo pregassi di curarti con premura ed egli te lo rendesse sano, integro, ma tu sostenessi che non è sano, non saresti ingrato, non terresti un atteggiamento offensivo verso il medico? Così anche Dio ti ha risanato e tu osi dire ancora: ” Ho la piaga “? Non temi che ti risponda: ” Allora non ho fatto nulla o quel che ho fatto si è perso del tutto? Non devo avere compenso, non merito lode? “. Dio ci preservi da una tale follia, da un ragionamento così privo di senso. L’uomo dica dunque: ” Sono peccatore “; perché è peccatore. Dica: ” Sto nel peccato “, perché sta nel peccato. Non può essere più sapiente di Daniele, non può essere senza peccato. Ma ora, fratelli miei, concludiamo il discorso. Dio ha risparmiato Roma perché a Roma c’erano molti giusti, se giusti sono da chiamarsi, alla maniera umana, coloro che vivono irreprensibilmente nella società. Molti scamparono alla morte. Ma Dio risparmiò anche quelli che morirono. Quelli che sono morti dopo una vita buona, caratterizzata dalla vera giustizia e dalla fede, non furono con la morte privati di sventure, di tribolazioni umane, non giunsero al divino conforto? ” Ma alcuni – mi direte – sono morti dopo aver sofferto le tribolazioni “. E quel povero [Lazzaro] allora, davanti alla porta del ricco? Ma patirono la fame? Anche quel povero la patì. Hanno avuto ferite? Anche lui ne aveva. Forse essi non hanno avuto cani a leccargliele. Morirono? Anch’egli morì, ma ascolta con che finale: Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo 18.
Roma risparmiata.
6. 6. Oh, se potessimo vedere le anime dei santi che morirono durante quella guerra! Allora capireste come Dio ha risparmiato la città. Migliaia di santi sono nella felicità eterna e lieti dicono a Dio: ” Ti ringraziamo, Signore, perché ci hai liberato dalle molestie della carne e da strazi e tormenti. Ti ringraziamo perché ormai non abbiamo più timore né dei barbari né del diavolo. Non temiamo più la fame sulla terra, non temiamo né il nemico, né il persecutore, né l’oppressore; sulla terra siamo morti, ma presso di te, Signore, siamo immortali per un dono tuo, non per merito nostro “. Meravigliosa sarebbe la città di umili che parlasse in questo modo? O forse credete, fratelli, che una città consista nelle sue costruzioni, non nei suoi cittadini? E quindi, se Dio avesse detto ai Sodomiti: ” Fuggite, perché sto per dare alle fiamme questo luogo “, non diremmo forse che hanno avuto un grande privilegio se, una volta fuggiti, il fuoco disceso dal cielo avesse fatto rovinare soltanto le mura e le pareti delle case? Non diremmo forse che Dio ha risparmiato la città, perché la popolazione era emigrata ed era, così, scampata allo sterminio di quel fuoco?
Mirabili avvertimenti anche a Costantinopoli.
6. 7. Anche pochi anni fa, a Costantinopoli, sotto l’imperatore Arcadio (sono forse qui presenti ad ascoltare, in mezzo a questa gente, alcuni che erano presenti anche là) Dio volle atterrire la città, per emendarla con lo spavento, convertirla con lo spavento, purificarla, mutarla. E si rivelò a un suo servo fedele, a un militare, si dice. Gli annunciò che la città sarebbe perita per un fuoco sceso dal cielo, e lo incaricò di darne notizia al vescovo. Al vescovo la notizia fu data, ed egli non trascurò l’avvertimento, parlò al popolo. La città si convertì in lutto di penitenza, come un tempo l’antica Ninive 19. Tuttavia perché gli uomini non credessero che colui che aveva dato l’annunzio fosse caduto in un abbaglio o avesse voluto ingannare, avvenne che nel giorno indicato dalla minaccia di Dio: mentre tutti stavano sospesi e aspettavano con gran timore il realizzarsi della predizione, all’inizio della notte, quando le tenebre cominciavano a scendere sul mondo, apparve dall’Oriente una nube di fuoco. Essa era prima piccola, poi, mano a mano che si avvicinava alla città, sempre più grande e minacciosa, fino a quando su tutta la città incombeva un terribile spavento. Si vedeva un’orrenda fiamma sovrastare dal cielo e non mancava neppure l’odore di zolfo. Tutti fuggivano in chiesa, il luogo non riusciva a contenere la folla. Esigevano con forza l’amministrazione del Battesimo, a chiunque lo potesse dare. Si esigeva la salvezza del sacramento non solo nella chiesa, ma anche per le case, per le vie e per le piazze, per sfuggire all’ira [divina] non presente senz’altro, ma imminente. Tuttavia dopo quella grande minaccia, quando Dio ebbe mostrato la fedeltà del suo servo, la veridicità dell’annuncio che il suo fedele aveva dato, la nube, così come s’era addensata, così cominciò a diminuire e, a poco a poco, si dissolse. Il popolo, fattosi un poco tranquillo, udì un’altra predizione: che bisognava evacuare totalmente la città, perché essa il sabato successivo sarebbe andata in rovina. Uscì, insieme con l’Imperatore, tutta la cittadinanza. Nessuno rimase in casa, nessuno chiuse la sua casa. I cittadini, allontanatisi alquanto dalle mura, con gli occhi rivolti alle dolci case, davano piangendo l’estremo saluto alle carissime residenze lasciate. Quella moltitudine, che si era allontanata parecchie miglia e si era radunata tutta in uno stesso luogo per pregare insieme il Signore, poté scorgere a un tratto un grande fumo [sulla città] e alzò al Signore un grande lamento. Poi, visto tutto tranquillo, mandò alcuni in esplorazione perché riportassero notizie. Trascorsa l’angosciosa ora della predizione, e d’altra parte riportando notizia gli inviati che tutti gli edifici erano salvi, le case in piedi, tutta la popolazione, con grandissima gioiosa riconoscenza, ritornò in città. Nessuno perse la minima cosa della sua casa e la ritrovò con la porta aperta, così come l’aveva lasciata.
Correzione non distruzione.
7. 8. Che cosa dobbiamo concluderne? Che questa fu collera di Dio o piuttosto sua misericordia? Nessuno può mettere in dubbio che questo misericordiosissimo padre ha voluto correggere con lo spavento, piuttosto ché punire, dal momento che nessun uomo, nessuna casa, nessun edificio venne sfiorato da così imminente calamità che pareva sovrastare. Proprio come quando una mano si alza per ferire e poi si ritrae per pietà, di fronte alla costernazione di quello che stava per essere ferito, così avvenne per quella città. Tuttavia se nello spazio di tempo in cui la città era vuota perché tutta la popolazione se n’era andata, fosse avvenuta la distruzione del luogo, e Dio avesse mandato in rovina l’intera città come Sodoma, senza lasciarne traccia, nessuno potrebbe dubitare che quella città è stata risparmiata perché il luogo fu distrutto dopo che la popolazione, avvisata anticipatamente e spaventata, era interamente emigrata dalla città. Così non c’è dubbio che Dio ha risparmiato anche la città di Roma perché prima della devastazione dell’incendio nemico, in molti punti della città gli abitanti in gran parte erano partiti: erano scampati sia quelli che erano fuggiti, sia quelli che, ancora più rapidamente, erano usciti dal corpo. Molti, presenti all’eccidio, in qualche modo si nascosero; molti, riparatisi nei luoghi sacri, scamparono sani e salvi. La città fu piuttosto punita da Dio che corregge, non distrutta, punita come un servo, che sa quale è la volontà del suo padrone e invece fa cose degne di percosse e molte ne riceve 20.
Umiltà della tribolazione.
8. 9. C’è da augurarsi che il fatto valga da esempio, incuta timore, sia di freno alla cattiva cupidigia avida delle cose mondane, insaziabile nei piaceri, nelle dannosissime voluttà, mentre il Signore mostra quanto siano instabili ed effimere tutte le vanità mondane e un inganno le nostre follie. Questo dovremmo meditare invece di mormorare contro il Signore per le punizioni meritatissime. Sull’aia c’è una sola trebbia per far cadere a terra la paglia e mondare il grano. La fornace dell’orafo ha un solo fuoco per mandare in cenere la limatura e purificare l’oro dalle scorie. Così anche Roma ha sopportato una sola tribolazione, nella quale l’uomo pio è stato liberato o purificato, e l’empio condannato, e intendo tanto nel caso che sia stato strappato dalla vita a scontare giustissima punizione, quanto se rimasto qui a bestemmiare, aggiungendo colpe a colpe. O certamente Dio, nella sua ineffabile misericordia, li lascia in vita per riservare una possibilità di penitenza a quelli che sa di poter salvare. In quanto al penare dei buoni non turbatevi: è una prova. A meno che non succeda di scandalizzarci quando vediamo che un giusto deve sopportare cose indegne, gravi sofferenze su questa terra e dimentichiamo che cosa ha sopportato il Giusto dei giusti, il Santo dei santi. Tutto ciò che sopportò quella città intera, lo sopportò quell’Uno. Ma osservate chi era quell’Uno: Il Re dei re, il Signore dei signori 21, che fu arrestato, legato, flagellato, fatto oggetto di ogni scherno, sospeso alla croce, crocifisso, ucciso. Se tu metti Roma accanto alla croce di Cristo, se vi metti tutta la terra, se vi metti cielo e terra, vedrai che nessuna cosa creata può essere considerata alla pari del suo Creatore, nessun’opera si può paragonare al suo artefice. Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto 22, e tuttavia fu perseguitato e tradito. Sopportiamo dunque quello che Dio ci vuol far sopportare. Egli, che ha mandato il suo Figlio per curarci e risanarci, sa, come un medico, anche quale dolore ci può essere utile. Per l’appunto è stato scritto: La pazienza completi l’opera sua 23. E quale sarà l’opera della pazienza se non sopportiamo nessuna avversità? Perché ci rifiutiamo di sopportare i mali temporali? Paventiamo forse di completare l’opera? Vi esorto invece a pregare apertamente, a chiedere gemendo al Signore che sia riservato a noi quello che l’Apostolo dice: Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via di uscita e la forza per sopportarla 24.
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