ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 10 gennaio 2019

Jorge al-Malik

CHIESA E ISLAM. FRANCESCO VOLEVA CONVERTIRE IL SULTANO. IL LOGO DEL VIAGGIO IN MAROCCO.



Cari amici di Stilum Curiae, ci sembra interessante offrire alla vostra attenzione una riflessione di Luca Del Pozzo sui rapporti fra la Chiesa cattolica e il mondo islamico, alla vigilia di due viaggi che il Pontefice regnante compirà nelle prossime settimane, in Marocco e negli Emirati Arabi Uniti, e di cui egli stesso ha parlato nel discorso ai diplomatici. Fra l’altro, ha detto: “Oltre a quelli preminenti di natura politica e militare, non bisogna tralasciare pure il tentativo di frapporre inimicizia fra musulmani e cristiani. Anche se «nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani», in diversi luoghi del Medio Oriente essi hanno potuto per lungo tempo convivere pacificamente. Prossimamente avrò l’occasione di recarmi in due Paesi a maggioranza musulmana, il Marocco e gli Emirati Arabi Uniti. Si tratterà di due importanti opportunità per sviluppare ulteriormente il dialogo interreligioso e la reciproca conoscenza fra i fedeli di entrambe le religioni, nell’ottavo centenario dello storico incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil”.
Ecco che cosa scrive, soprattutto in rapporto alla visita di Francesco al Sultano, Luca Del Pozzo. Tanto per mettere qualche puntino sulle “i”…
A fronte di fatti, numeri e cifre – magistralmente documentati da Matteo Matzuzzi sul Foglio di sabato scorso – che dicono di una realtà di crescente persecuzione dei cristiani nel mondo, il fatto che il martirio di migliaia di persone ogni anno avvenga prevalentemente in paesi islamici sembra essere un dato del tutto ininfluente nel dibattito politico e culturale occidentale. Allo stesso modo in cui quando le nostre vite vengono sconvolte dall’ennesimo attacco terroristico, per pura pavidità e salvo rarissime eccezioni ci si guarda bene dal chiamare le cose col loro nome (se è vero che non tutti gli islamici sono terroristi è altrettanto vero che la stragrande maggioranza dei terroristi sono islamici, vorrà mica dire qualcosa?), quando la cronaca racconta di episodi di violenza e persecuzione contro i cristiani scatta implacabile lo stesso meccanismo delle denunce a mezza bocca, delle dichiarazioni fumose con il solito sgradevole retrogusto di una compassione pelosa, quando non si tratti di un assordante silenzio. Ad aggravare la situazione, la riproposizione come un disco rotto di una retorica del dialogo e del rispetto dell’altro fatta non solo di luoghi comuni triti e ritriti ma anche di una narrativa che attinge a storie che con il dialogo, quello vero, non hanno nulla a che vedere. Un esempio su tutti, il famoso episodio dell’incontro tra S. Francesco e il sultano d’Egitto Malik Al Kamil, avvenuto a Damietta nel 1219, spesso e volentieri citato (anche di recente) a mo’ di icona del giusto atteggiamento da adottare nel “dialogo” tra l’occidente e l’Islam. Episodio di cui però si dimenticano (o si fanno finta di dimenticare) un paio di particolari che risultano invece decisivi per evitare strumentalizzazioni e fraintendimenti. Primo, S. Francesco non parlò col sultano così, tanto per farci due chiacchiere e confrontarsi sulle reciproche fedi, ma per annunciargli il Vangelo nella speranza di convertirlo a Cristo (lui e tutti i saraceni che incontro’ sul suo cammino), come testimoniano le fonti e gli studiosi più autorevoli, fedelmente a quella che è la missione di ogni cristiano. A riprova, ecco cosa scrisse di quell’incontro San Bonaventura nella sua “Leggenda maggiore”; la citazione è un po’ lunga ma vale la pena leggerla per intero: “Quel principe (il sultano, ndr) incominciò a indagare da chi, e a quale scopo e a quale titolo erano stati inviati e in che modo erano giunti fin là. Francesco, il servo di Dio, con cuore intrepido rispose che egli era stato inviato non da uomini, ma da Dio Altissimo, per mostrare a lui e al suo popolo la via della salvezza e annunciare il Vangelo della verità. E predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo, con tanto coraggio, con tanta forza e tanto fervore di spirito, da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la promessa del Vangelo: «Io vi darò un linguaggio e una sapienza a cui nessuno dei vostri avversari potrà resistere o contraddire» (Lc 21,15). Anche il Soldano, infatti, vedendo l’ammirevole fervore di spirito e la virtù dell’uomo di Dio, lo ascoltò volentieri e lo pregava vivamente di restare presso di lui. Ma il servo di Cristo, illuminato da un oracolo del cielo, gli disse: «Se, tu col tuo popolo, vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa». Ma il Soldano, a lui: «Non credo che qualcuno dei miei sacerdoti abbia voglia di esporsi al fuoco o di affrontare la tortura per difendere la sua fede» (egli si era visto, infatti, scomparire immediatamente sotto gli occhi, uno dei suoi sacerdoti, famoso e d’età avanzata, appena udite le parole della sfida). E il Santo a lui: «Se mi vuoi promettere, a nome tuo e a nome del tuo popolo, che passerete alla religione di Cristo, qualora io esca illeso dal fuoco, entrerò nel fuoco da solo. Se verrò bruciato, ciò venga imputato ai miei peccati; se, invece, la potenza divina mi farà uscire sano e salvo, riconoscerete Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, come il vero Dio e signore, salvatore di tutti» (1Cor 1,24; Gv 17,3 e 4,42). Ma il Soldano gli rispose che non osava accettare questa sfida, per timore di una sedizione popolare. Tuttavia gli offrì molti doni preziosi; ma l’uomo di Dio, avido non di cose mondane ma della salvezza delle anime, li disprezzò tutti come fango. Vedendo quanto perfettamente il Santo disprezzasse le cose del mondo, il Soldano ne fu ammirato e concepì verso di lui devozione ancora maggiore. E, benché non volesse passare alla fede cristiana, o forse non osasse, pure pregò devotamente il servo di Cristo di accettare quei doni per distribuirli ai cristiani poveri e alle chiese, a salvezza dell’anima sua. Ma il Santo, poiché voleva restare libero dal peso del denaro e poiché non vedeva nell’animo del Soldano la radice della vera pietà, non volle assolutamente accondiscendere. Vedendo, inoltre, che non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva realizzare il suo sogno, preammonito da una rivelazione divina, ritornò nei paesi cristiani.” Non credo servano ulteriori commenti.
Secondo punto, S. Francesco si recò dal sultano Al Kamil a seguito dei crociati (leggi bene: cro-cia-ti), ai quali si era unito insieme a tantissimi altri pellegrini dell’epoca, desiderosi unicamente di liberare i luoghi santi del cristianesimo, in primis il Santo Sepolcro, occupati manu militari dai musulmani (e questo con buona pace della vulgata che continua a spacciare le crociate come guerre di religione/conquista nonostante, di nuovo, innumerevoli studi abbiano smentito tale visione a dir poco leggendaria). Come si vede un atteggiamento, quello del santo di Assisi, lontano anni luce tanto da certa iconografia pacifista (ma anche, a seconda delle convenienze, ambientalista animalista ecumenista ecologista e via dicendo) quanto da una miope cultura del dialogo che, anche in ambito cattolico, continua a guardare al dito per non vedere la luna. A tal proposito, suona di straordinaria lungimiranza e attualità quanto S. Giovanni Paolo II disse sull’Islam nell’insuperata Esortazione apostolica post sinodale “Ecclesia in Europa”: “Si tratta pure di lasciarsi stimolare a una migliore conoscenza delle altre religioni, per poter instaurare un fraterno colloquio con le persone che aderiscono ad esse e vivono nell’Europa di oggi. In particolare, è importante un corretto rapporto con l’Islam. Esso, come è più volte emerso in questi anni nella coscienza dei Vescovi europei, «deve essere condotto con prudenza, con chiarezza di idee circa le sue possibilità e i suoi limiti, e con fiducia nel progetto di salvezza di Dio nei confronti di tutti i suoi figli». È necessario, tra l’altro, avere coscienza del notevole divario tra la cultura europea, che ha profonde radici cristiane, e il pensiero musulmano. A questo riguardo, è necessario preparare adeguatamente i cristiani che vivono a quotidiano contatto con i musulmani a conoscere in modo obiettivo l’Islam e a sapersi confrontare con esso; tale preparazione deve riguardare, in particolare, i seminaristi, i presbiteri e tutti gli operatori pastorali“. Ecco un primo elemento di riflessione. Wojtyla parla di un rapporto con l’Islam che dev’essere “corretto”, condotto con “prudenza”, avendo coscienza del “notevole divario” tra la cultura europea – “che ha profonde radici cristiane” – e il pensiero musulmano, ed improntato ad una conoscenza “obiettiva” dell’Islam: viene spontaneo chiedersi se tale approccio sia ancora ritenuto valido in certi ambienti ecclesiali, oppure no. Ma andiamo avanti. “È peraltro comprensibile – prosegue il Papa – che la Chiesa, mentre chiede che le istituzioni europee abbiano a promuovere la libertà religiosa in Europa, abbia pure a ribadire che la reciprocità nel garantire la libertà religiosa sia osservata anche in Paesi di diversa tradizione religiosa, nei quali i cristiani sono minoranza. In questo ambito, «si comprende la sorpresa e il sentimento di frustrazione dei cristiani che accolgono, per esempio in Europa, dei credenti di altre religioni dando loro la possibilità di esercitare il loro culto, e che si vedono interdire l’esercizio del culto cristiano » nei Paesi in cui questi credenti maggioritari hanno fatto della loro religione l’unica ammessa e promossa. La persona umana ha diritto alla libertà religiosa e tutti, in ogni parte del mondo, « devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana». Ecco un altro spunto importante e attualissimo: la libertà religiosa non può essere a senso unico, e la Chiesa ha tutto il diritto/dovere di ribadire che ci dev’essere reciprocità da parte di quei paesi dove i cristiani sono minoranza. Ma soprattutto, non si andrà da nessuna parte senza una chiara comprensione di ciò che il Vangelo, e quindi l’essere cristiani, esige. A sgomberare il campo da ogni possibile equivoco ci sono questi versetti di Luca: “Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera” (Lc 12, 51-53). Parole che se da un lato non autorizzano ovviamente alcuna rilettura di Cristo a mo’ di un guerrafondaio, dall’altro però neanche lasciano scampo a certo irenismo frou frou. Tanto più che spesso e volentieri si dimentica che lo stesso Cristo che ogni due per tre viene issato sugli stendardi del religiously correct, proprio lui disse “Io sono via verità e vita” il che, come dire, fa un po’ a sportellate con una certa visione del dialogo che – soprattutto in chiave anti-fondamentalismo – esclude a priori ogni pretesa veritativa. Ma è proprio questo il punto: checché ne dicano i suoi demolitori in primis interni, la fede cattolica è per sua natura divisiva, altro che inclusiva. E lo è perché la verità, per sua natura, non può che essere divisiva costringendoti a stare da una parte o dall’altra. Dal che la domanda: anche alla luce del Vaticano II che ha detto che “l’unica chiesa di Cristo sussiste nella chiesa cattolica“, la Chiesa ritiene ancora di essere depositaria della verità, sì o no? Detto altrimenti: Cristo s’è lasciato maciullare così, perché ciascuno viva come meglio puo’ sapendo che all’occorrenza, tranquilli, la Chiesa che accompagna gli uomini e le donne del suo tempo nella loro fatica quotidiana, c’è e ci sarà sempre? O non piuttosto perché dopo la morte esiste qualcosa di veramente orribile, come reale possibilità per ogni uomo? Ecco, se tante le volte anziché fare l’ennesimo incontro all’insegna dell’ovvio dei popoli volessimo tornare a dire qualcosa di cattolico, forse non sarebbe male.
E inoltre offriamo alla vostra attenzione e giudizio il logo del viaggio papale in Marocco. C’è chi ha osservato che quei due tratti ortogonali hanno poco della croce, sembrano più due lame di scimitarra, e comunque sono circondati dalla mezzaluna…

Luca Del Pozzo
Questa una biografia dell’autore: Luca Del Pozzo (Fermo, 1967), sposato, due figli, vive e lavora a Roma. Laurea in filosofia e Baccalaureato in teologia, manager, giornalista pubblicista e saggista, da oltre diciassette anni si occupa di comunicazione d’impresa e media relations. Segue da vicino, per interesse, formazione e vita vissuta, le vicende del cattolicesimo. Nel 2005 ha pubblicato “Cattolicesimo e modernità. La «metafisica civile» di Augusto Del Noce”. Quando non lavora cerca di recuperare – non sempre riuscendoci – il tempo sottratto alla famiglia, che nella sua personale scala di valori viene subito dopo Dio ma precede la Patria (in cui, nonostante tutto, si ostina a credere). 
Marco Tosatti 10 Gennaio 2019 Pubblicato da  29 Commenti --

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