Santo Padre, a proposito di ciò che ha
detto nell’ultima catechesi del mercoledì (2 gennaio 2019), ci
permettiamo fare alcune osservazioni.
La prima riguarda la questione dell’ateismo.
Ella ha detto che tutto sommato è meglio non andare in Chiesa, essere
“atei”, piuttosto che operare una contro-testimonianza in una sorta di
incoerenza tra fede e opere. Ecco le sue parole: “E quante volte noi
vediamo lo scandalo di quelle persone che vanno in chiesa e stanno lì
tutta la giornata o vanno tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri o
parlando male della gente. Questo è uno scandalo! Meglio non andare in
chiesa: vivi così, come fossi ateo”.
Che l’incoerenza dei cristiani sia cosa
negativa e scandalosa, è fuor di dubbio. Così come è scandaloso se si
pretende piacere a Dio solo attraverso la fede, senza le opere.
Ma dire che è meglio essere atei piuttosto che credenti incoerenti, non
è accettabile. Non è lo è se è vero -come è vero- che i peccati che
attengono al Primo Comandamento sono quelli ontologicamente più gravi.
Certo, si può discutere fino a che punto questi peccati siano davvero
intenzionali e sinceri (fino a che punto esiste l’ateismo teorico?);
così come è vero che i peccati contro il Primo Comandamento non sono tra
quelli più diffusi. Spesso si arriva a questi passando attraverso
altri, molto più facili a farsi, per esempio quelli sul Sesto e sul
Nono… Insomma, se tutto questo è vero, è pur vero che da un punto di
vista oggettivo i peccati più gravi sono quelli relativi al Primo,
perché toccano direttamente Dio.
Ciò che però, Santo Padre, è ancora più
pericoloso nelle sue parole (queste, sì, ci permettiamo di definirle
“scandalose”) è una sorta di induzione alla non-pratica religiosa. Già
esiste (sopratutto in questi tempi) una forte accidia spirituale, ora,
andare a dire che è meglio non frequentare le chiese, piuttosto che
farlo incoerentemente, è quasi invogliare ad assecondare questa accidia; o peggio: a credere che tutto sommato basti comportarsi bene per piacere a Dio. Il che -come Ella sa molto bene- è puro pelagianesimo. Quel pelagianesimo che Ella ha spesso stigmatizzato nei confronti di alcuni cattolici.
Ma c’è ancora dell’altro, Santo Padre.
Ella quando in passato ha fatto riferimento a possibilità di accostarsi
all’Eucaristia in situazioni irregolari (a Lei non piace questa
definizione, ma noi la riteniamo più che opportuna e chiara)… dicevamo:
quando in passato ha fatto riferimento a possibilità di accostarsi
all’Eucaristia in situazioni irregolari, ha detto che i sacramenti non
servono tanto per i perfetti, ma soprattutto per i difettosi, gli imperfetti,
quelli che fanno fatica a mettersi sulla strada giusta. Ora, se Lei
ritiene che le chiese siano prevalentemente frequentate da chi perfetto
non è, va da sé che è meglio che questi continuino ad andarci in chiesa,
piuttosto che abbandonarle e far da sé.
Noi del C3S, quando trattiamo la centrale
questione del perché senza Dio non si possa amare il prossimo, siamo
soliti fare un esempio fantastico. Un uomo ha un viso mostruoso, ma non
lo sa perché non si è mai specchiato nella sua vita. Gli passa dinanzi
uno che ha un piccolo difetto fisico, roba da nulla, e il primo, quello
con il volto mostruoso, lo deride senza sapere che la sua condizione è
molto peggiore. Perché accade questo? Perché l’uomo dal viso mostruoso
non si è mai specchiato. Lo specchio è Dio. Senza Dio, che ci fa
riconoscere sempre debitori dinanzi a Lui che è la perfezione, saremmo
continuamente tentati a trascurare i nostri difetti, e invece ad
enfatizzare i difetti altrui. Non riusciremo mai a vedere la trave nel nostro occhio, ma sempre e comunque la pagliuzza nell’occhio altrui.
E per finire ancora una cosa. Santo
Padre, ci sembra che quando esprime certi concetti, è come se facesse
riferimento ad un mondo che non esiste più. Parla di persone che sono
sempre in Chiesa e soprattutto di persone che pregherebbero per farsi
ammirare. Ma dove sono queste persone? E soprattutto dov’è questa
ammirazione da parte del mondo nei confronti delle persone che pregano. Oggi c’è un rispetto umano
enorme! Da parte di molti credenti non si ha il coraggio nemmeno di
farsi un segno della croce in pubblico per non essere etichettati come
fanatici e bigotti.
Santo Padre, è paradossale, ma da quando
nella Chiesa si è iniziato a parlare di “segni dei tempi”, cioè di saper
leggere bene il momento storico, ciò che si è perso è proprio la
capacità di capire quali siano le vere urgenze. E soprattutto (cosa
ancora più grave) cosa davvero Dio vuole da noi, oggi.
Ma il Pontefice sbaglia: non c'è uomo perfetto
«Meglio atei che cristiani ipocriti» è il titolo corrente per il primo discorso di Papa Francesco nel 2019, forse pronunciato per non darci tregua nemmeno durante le vacanze di Natale.
Si potrebbe come al solito dare la colpa ai giornalisti, grossolani e frettolosi, e dire che la catechesi del Santo Padre, stavolta centrata sul Padre Nostro, è stata molto più articolata. Vero: nell'Aula Paolo VI non sono mancate espressioni più sfumate. Ma anche falso: sono andato a leggermi il discorso completo, sull'ufficialissimo sito del Vaticano, ed effettivamente contiene un passaggio così sintetizzabile. Eccolo: «Quante volte noi vediamo lo scandalo di quelle persone che vanno in chiesa e stanno lì tutta la giornata o vanno tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri o parlando male della gente. Questo è uno scandalo! Meglio non andare in chiesa: vivi così, come fossi ateo». Si capisce che il Papa sta parlando a braccio, e pure questo fa parte del suo non darci mai tregua: come tutti vivo in una valle di lacrime e in più, come cattolico, mi tocca il pontificato di chi è solito parlare a braccio. Che può far rima con casaccio. «Meglio non andare in chiesa» è un'affermazione pericolosa, le chiese sono già disertate abbastanza, speriamo non lo prendano in parola. Chesterton, un maestro di realismo cristiano, scrive che «se vale la pena fare una cosa, vale la pena di farla male». Bergoglio, che almeno nell'estrapolazione risulta un maestro di cristiano utopismo, prefigura chiese frequentate esclusivamente da persone che non odiano e non sparlano, e dunque chiese deserte. Siamo tutti più o meno ipocriti e se non ci rassegnassimo a fare male le cose buone (ad esempio andare a messa la domenica) faremmo soltanto quelle cattive. Meglio ipocrita che ateo: se non fossi credente non crederei nemmeno nell'esistenza del peccato, non avrei più nemmeno il freno del rimorso. Secondo me esiste anche un problema lessicale: non ci sono più gli ipocriti di una volta, l'ipocrisia non è più quella dei tempi del Vangelo. Duemila anni fa Cristo identificava gli ipocriti con chi ostentava devozione per ottenere vantaggi sociali. Oggi il Vicario di Cristo insiste con questa definizione senza tenere conto che, in una società secolarizzata come la nostra, ostentare devozione garantisce semmai compatimento, risolini. Anziché «ipocrita» bisognerebbe dire «incoerente»: ebbene sì, sono incoerente, le mie azioni spesso non coincidono con le mie dichiarazioni, faccio quello che posso e posso abbastanza poco. Un po' come (si parva licet) San Pietro che promise a Gesù fedeltà fino alla morte e poi, quando buttava male, fece finta di non conoscerlo nemmeno. O come San Paolo che scrisse: «In me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo». Fossero vivi, anche Pietro e Paolo rischierebbero gli strali di Jorge Mario.
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