ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 27 febbraio 2019

Il “cancro nell’ordine ecclesiastico”

La sodomia? Peste che distrugge la la Chiesa. Parola di san Pier Damiani


https://cronicasdepapafrancisco.files.wordpress.com/2018/05/0060-alto-tradimento-1.jpg?w=850(immagiine aggiunta)
Qualcuno ha notato  che l’imbarazzante summit vaticano sugli abusi, molto attento a lasciare da parte la questione dell’omosessualità, si è aperto proprio nel giorno (il 21 febbraio) in cui la Chiesa cattolica ricorda san Pier Damiani, autore di quel Liber Gomorrhianus, in italiano Libro gomorriano o Libro di Gomorra, nel quale la sodomia è condannata con parole di fuoco.

La circostanza, del tutto ignorata dagli organizzatori del summit, ci spinge a dare un’occhiata a quanto scriveva il santo teologo, vescovo e cardinale, vissuto dal 1007 al 1072 e proclamato dottore della Chiesa nel 1828. 
Sentite. “Questa pestilenziale tirannia di Sodoma rende gli uomini turpi e spinge all’odio verso Dio; trama turpi guerre contro Dio; schiaccia i suoi schiavi sotto il peso dello spirito d’iniquità, recide il loro legame con gli angeli, sottrae l’infelice anima alla sua nobiltà sottomettendola al giogo del proprio dominio. Essa priva i suoi schiavi delle armi della virtù e li espone ad essere trapassati dalle saette di tutti i vizi”.
E ancora: “Questa peste scuote il fondamento della fede, snerva la forza della speranza, dissipa il vincolo della carità, elimina la giustizia, scalza la fortezza, sottrae la temperanza, smorza l’acume della prudenza; e una volta che ha espulso ogni cuneo delle virtù dalla curia del cuore umano, vi intromette ogni barbarie di vizi”.
Di fronte a tale “peste” è necessario, spiega il santo, che la Chiesa intervenga con decisione quando la sodomia si diffonde tra i chierici.
“Un chierico o un monaco che molesta gli adolescenti o i giovani, o chi è stato sorpreso a baciare o in un altro turpe atteggiamento, venga sferzato pubblicamente e perda la sua tonsura. Dopo essere stato rasato, venga ricoperto di sputi e stretto con catene di ferro, venga lasciato marcire nell’angustia del carcere per sei mesi. Al vespro, per tre giorni la settimana mangi pane d’orzo. Dopo, per altri sei mesi, sotto la custodia di un padre spirituale, vivendo segregato in un piccolo cortile, venga occupato con lavori manuali e con la preghiera. Sia sottoposto a digiuni, e cammini sempre sotto la custodia di due fratelli spirituali, senza alcuna frase perversa, o venga unito in concilio con i più giovani. Questo sodomita valuti a fondo se abbia amministrato bene i suoi uffici ecclesiastici, poiché la sacra autorità giudica questi oltraggi tanto ignominiosi e tanto turpi”.
In ogni caso, anche se  “la mano della severa punizione non lo affronterà al più presto”, possiamo essere certi che “la spada del furore divino  infierirà terribilmente” su questo “vizio assai scellerato e obbrobrioso”, vero e proprio “cancro nell’ordine ecclesiastico”.
Senza dimenticare che queste cose Pier Damiani le scriveva a un papa, Leone IX, è chiaro che il linguaggio del santo alle nostre orecchie suona incredibilmente duro, eppure l’analogia con la situazione presente non può essere sottaciuta.
Il Liber Gomorrhianus uscì in un momento in cui la corruzione morale nel clero era diffusa, fino ai vertici del mondo ecclesiastico. Ecco perché il monaco e futuro cardinale lanciava l’allarme. Quella “peste” non metteva a rischio solo la salvezza delle anime coinvolte, ma l’esistenza della Chiesa stessa.
Interessante è notare che Pier Damiani fonda la condanna dell’omosessualità sulle sacre scritture: “Questa turpitudine viene giustamente considerata il peggiore fra i crimini – afferma –  poiché sta scritto che l’onnipotente Iddio l’ebbe in odio sempre ed allo stesso modo, tanto che mentre per gli altri vizi stabilì dei freni mediante il precetto legale, questo vizio volle condannarlo con la punizione della più rigorosa vendetta. Non si può nascondere infatti che Egli distrusse le due famigerate città di Sodoma e Gomorra, e tutte le zone confinanti, inviando dal cielo la pioggia di fuoco e zolfo”.
“Questo vizio – spiega poi – non va affatto considerato come un vizio ordinario, perché supera per gravità tutti gli altri vizi. Esso infatti uccide il corpo, rovina l’anima, contamina la carne, estingue la luce dell’intelletto, scaccia lo Spirito Santo dal tempio dell’anima, vi introduce il demonio istigatore della lussuria, induce nell’errore, svelle in radice la verità dalla mente ingannata, prepara insidie al viatore, lo getta in un abisso, ve lo chiude per non farlo più uscire, gli apre l’Inferno, gli serra la porta del Paradiso, lo trasforma da cittadino della celeste Gerusalemme in erede dell’infernale Babilonia, da stella del cielo in paglia destinata al fuoco eterno, lo separa dalla comunione della Chiesa e lo getta nel vorace e ribollente fuoco infernale”.
Tanta durezza nasceva dalla consapevolezza del pericolo. Come detto, in gioco c’era la sopravvivenza stessa della fede e della Chiesa.
Il professor Roberto de Mattei, che al Liber Gomorrhianus ha dedicato uno studio, commenta così gli allarmi lanciati dal santo: “Mille anni sono passati da allora e mille erano allora passati dalla morte e Resurrezione di Cristo. Ma la voce di Pier Damiani risuona, oggi come ieri, di sprone e di conforto per tutti coloro che nella storia avrebbero come lui combattuto, sofferto, gridato e sperato. Pier Damiani sentì la fragilità della carne, il peso del peccato, la caducità delle cose del mondo, l’avanzare inesorabile della morte, ma si abbandonò con fiducia alla misericordia di Dio e ottenne la celeste ricompensa. Fu universalmente venerato come santo sin dal momento della sua morte”.
Domanda che viene facile a noi moderni: Pier Damiani, collocato da Dante nel settimo cielo, tra i contemplativi, fu forse un uomo obnubilato dal pregiudizio e prigioniero delle paure medievali?
Nient’affatto, risponde de Mattei. Anzi, il suo fu spirito di verità, perché “non distolse lo sguardo davanti alla lordura morale, ma sollevò il velo con cui gli altri ecclesiastici volevano coprire il male e ne mostrò la deformità e l’orrore”. Il suo fu inoltre spirito soprannaturale, “perché non si fece intimorire dal falso giudizio del mondo, ma tutto considerò alla luce della legge divina e naturale”. E spirito profetico, “perché non solo vide i mali, ma ne previde le conseguenze nella società e nella vita delle anime e ne indicò i rimedi necessari, in una vita di Grazia, di penitenza e di lotta. Non moderò il linguaggio, ma lo rese infuocato per mostrare tutta la sua indignazione. Non ebbe timore di esprimere il suo odio intransigente verso il peccato e fu proprio quest’odio a rendere incandescente il suo amore per la Verità ed il Bene”.
Ma il  Liber Gomorrhianus, come annota de Mattei, denuncia qualcosa di peggio del vizio morale praticato e teorizzato: “È il silenzio di chi dovrebbe parlare, l’astensione di chi dovrebbe intervenire, il legame di complicità che si stabilisce tra i malvagi e coloro che con il pretesto di evitare lo scandalo tacciono e tacendo acconsentono”.
Parole che si attagliano alla perfezione, ahinoi, a una certa Chiesa dei nostri giorni.
Aldo Maria Valli

Card. Brandmüller: non si è parlato di omosessualità perché “in Vaticano c’è una rete di omosessuali. Non c’è dubbio”.

Pentin al card. Brandmüller: “Perché non si è parlato della crisi di fede, del sostegno alla dottrina morale, della riforma della nomina dei vescovi e dei meccanismi che hanno permesso al [caso] McCarrick di accadere? 

Risposta: “Discutere il problema dell’omosessualità sarebbe diventato pericoloso per loro, perché è evidente che c’è una rete di omosessuali all’interno del Vaticano. Questo è il problema, non c’è dubbio”.
Risposte molto chiare da parte del cardinal Brandmüller (uno dei 4 cardinali dei Dubia, ndr) nel suo giudizio sull’Incontro mondiale sugli abusi sessuali nella Chiesa appena conclusosi in Vaticano.
Ecco l’intervista di Pentin, nella mia traduzione.

card. Walter Brandmüller
Eminenza, qual è la sua reazione all’Incontro(mondiale sugli abusi da poco conclusosi in Vaticano, ndr)? Alcuni si sono lamentati del fatto che le cause di fondo non sono state adeguatamente discusse, come le preoccupazioni della sua lettera, la crisi di fede e il lassismo dottrinale. 

Siamo molto delusi.

Pensa che la questione omosessuale sia stata deliberatamente evitata?

Assolutamente, e questo è un silenzio che grida di essere rotto, perché qui sta il vero problema. 

Ritiene che il Vertice abbia affrontato qualche sua preoccupazione, una crisi di fede e problemi dottrinali?

Abbiamo detto tutto quello che c’è da dire. Tutto dipende da quello che si farà ora, ma il silenzio sull’omosessualità è un vero problema. Abbiamo scritto la nostra lettera come osservatori dall’esterno; né il cardinale Burke né io stesso siamo coinvolti. 

Perché non si è parlato della crisi di fede, del sostegno alla dottrina morale, della riforma della nomina dei vescovi e dei meccanismi che hanno permesso al [caso] McCarrick di accadere? 

Discutere il problema dell’omosessualità sarebbe diventato pericoloso per loro, perché è evidente che c’è una rete di omosessuali all’interno del Vaticano. Questo è il problema, non c’è dubbio.

Il cardinale Blase Cupich di Chicago, membro del comitato preparatorio dell’incontro, ha detto che tali reti di protezione sono solo un’ipotesi da provare.

Come è possibile provarle? Solo attraverso l’esperienza personale. 

Come superare questo problema, come vincere questa battaglia? 

Loro (gli omosessuali nel clero, ndr) sono parte del meccanismo, quindi, come si può escluderli? È un problema terribile. 

Quanto del problema è dovuto al crollo della dottrina morale nella Chiesa, secondo lei?

La mancanza di dottrina morale: questa è la radice, ed è un problema vecchio. Alla fine degli anni Sessanta, all’inizio degli anni Settanta, l’insegnamento della morale alla [pontificia] Università Gregoriana [di Roma] era eretico. 

Perché allora?

Non so perché, ma quello era il tempo dei docenti [dissenzienti]:  [il padre gesuita Josef] Fuchs, [padre Bernard] Häring e [padre Charles] Curran. Offrivano il loro insegnamento, i ragazzi ascoltavano queste lezioni, e poi iniziavano a praticare [l’omosessualità]. Il Collegio nordamericano a quel tempo era un centro di omosessualità.
Eppure non è una novità, come ci ricorda il testimone San Pier Damiani?

Non si sono resi conto che l’Incontro è cominciato il giorno della sua festa. 

Come si può rompere questa congiura del silenzio? 

Questo è il vostro lavoro di giornalisti. 

Ma cosa si può fare quando l’esposizione di questi scandali raramente si traduce in conseguenze concrete o misure punitive, o qualsiasi sanzione o responsabilità? 

Continuate. Questa è l’unica possibilità. Posso solo dire di continuate. Siate forti, decisi e chiari.

Cosa ha pensato della protesta silenziosa di fronte al vertice, che chiedeva di rompere il muro di silenzio tra i leader della Chiesa sulla dottrina morale? 

Tutti sono autorizzati ad esprimere la propria opinione, e questa è stata una buona protesta. Viviamo nella speranza e nella fiducia nella divina Provvidenza

Preti e Pedofilia (meglio: omosessualità!) …la causa è molto più semplice di quella che si può immaginare



Santa Faustina Kowalska racconta nel suo Diario al punto n.445:
“Gesù mi fece conoscere per quali peccati si sottopose alla flagellazione: sono i peccati impuri. Oh, che tremende sofferenze morali patì Gesù, quando si sottomise alla flagellazione! Improvvisamente Gesù mi disse: ‘Guarda e osserva il genere umano nella situazione attuale’. E in un attimo vidi cose tremende: i carnefici si allontanarono da Gesù, e si avvicinarono per flagellarLo altri uomini, che presero la sferza e sferzarono il Signore senza misericordia. Erano sacerdoti, religiosi e religiose ed i massimi dignitari della Chiesa, cosa che mi stupì molto; laici di diversa età e condizione; tutti scaricarono il loro veleno sull’innocente Gesù. Vedendo ciò il mio cuore precipitò in una specie di agonia. Quando lo flagellarono le anime che ho menzionato sopra, Gesù chiuse gli occhi e dal Suo Cuore uscì un gemito represso, ma tremendamente doloroso. Ed il Signore mi fece conoscere nei particolari l’enorme malvagità di quelle anime ingrate: ‘Vedi, questo è un supplizio peggiore della morte.’”
La questione della pedofilia negli ambienti ecclesiastici, che -come è stato ampiamente dimostrato- più che di pedofilia si tratta di omosessualità, trova spiegazione fondamentalmente in una causa: la recente mondanizzazione della Chiesa.
Mondanizzazione da intendersi nel suo significato più vero, quello cioè che abbiamo ribadito più di una volta, ovvero non il giusto riconoscimento della forma né tantomeno il legittimo “costruire” una civiltà che incarni i principi della Fede (la civiltà cristiana), bensì il correre dietro la mentalità del mondo, l’appiattirsi sulla terra, dimenticando il giudizio di Dio e il destino eterno.
Da qui due conseguenze: il non capire più la grandezza dell’offerta della propria castità per il Regno dei Cieli (se l’annuncio cristiano è risposta solo per l’al-di-qua, a che pro rinunciare ai piaceri terreni?) e la dimenticanza della condanna nel fuoco eterno dell’Inferno.
Poi di spiegazioni se ne possono trovare anche altre, ma sono secondarie. Se queste le volessimo far assurgere a primarie, ci prenderemmo solo in giro!
La Chiesa è una gabbia?
“Il linguaggio della “gabbia” si basa su un’idea sbagliata e letale della Chiesa e della fede. Il cristiano è veramente libero non perché la Chiesa fornisce uno spazio sicuro di affermazione personale, ma perché offre una nuova vita in Cristo, espressa nei suoi dogmi. Coloro che pensano che la Chiesa sia un luogo di prigionia a causa dei suoi dogmi hanno tragicamente scambiato la propria schiavitù per la libertà”.
Di seguito ampi stralci di un articolo di Carl R. Trueman, nella mia traduzione.
Vetrata artistica
Vetrata artistica
La Chiesa cattolica è una gabbia? Il linguaggio [usato] in un recente articolo del New York Times sul numero di uomini gay nel sacerdozio cattolico romano implica certamente che lo sia. La citazione precisa viene da padre Bob Bussen, un sacerdote dello Utah: “La vita nell’armadio è peggio del capro espiatorio”, ha detto. “Non è un armadio. È una gabbia“.
Mentre Bussen non incrimina esplicitamente la sua Chiesa, la conclusione è chiara: la Chiesa cattolica romana imprigiona i suoi sacerdoti a causa del suo insegnamento sulla sessualità. L’articolo ha molti problemi, non ultimo il presupposto che la sessualità equivalga alla totalità della persona. C’è anche l’intrigante questione di come questi uomini siano riusciti a offrirsi volontariamente per il sacerdozio senza rendersi conto che ciò avrebbe richiesto loro di astenersi da ogni attività sessuale. Erano forse assenti dalla classe del seminario il giorno di quella lezione? Ma ciò che mi ha affascinato di più è stata la scelta della parola “gabbia”. Rivela che i cristiani di oggi non si trovano solo a lottare con la questione se il sesso gay sia legittimo o meno, o anche del ruolo che la sessualità gioca nella nozione di persona. A un livello più profondo, sono alle prese con la questione di quale sia esattamente lo scopo della Chiesa.
Come presbiteriano, non porto con me alcuna indicazione per il cattolicesimo romano, ma riconosco nella lamentela di padre Bussen un atteggiamento verso la Chiesa che è altrettanto prevalente negli ambienti protestanti: che la Chiesa esista per il bene del popolo, e che il suo compito è quello di servire come un gigantesco terapeuta o, forse più precisamente, di fornire un palcoscenico su cui le persone possano esibirsi.
Il costante – forse dominante – mito di quest’epoca è che l’autenticità personale richieda che io sia in grado di eseguire per il mondo quello che sento di essere dentro di me. Da Rousseau a Reich e oltre, questo nonsense afferra l’immaginazione popolare. Se devo essere riconosciuto come me stesso, nessun pensiero deve rimanere muto, nessun desiderio non realizzato, nessuna avversione personale inespressa. Questo sta trasformando il significato e lo scopo di quelle istituzioni che hanno tradizionalmente condotto e trasmesso la cultura. Le istituzioni non ci addestrano più ad appartenere a qualcosa di più grande di noi stessi. Piuttosto sono lì per sostenermi nei miei atti di espressione del mio essere.
Se mi sento una donna, anche se intrappolata in un corpo di cellule codificate con cromosomi XY (maschio biologico, ndr), allora devo potermi esibire in pubblico come tale. I medici professionisti devono aiutarmi in questa ambizione. Gli scienziati che non vogliono applaudire la mia performance devono essere emarginati o espulsi dalle associazioni (formali o informali) che danno loro status e autorità. Gli insegnanti che ostacolano l’espressione del mio essere devono essere stroncati come offensivi, bigotti o incompetenti. La medicina, l’educazione, chiamali come vuoi, ora devono facilitare le mie performance.
Questo è il punto dove la mentalità moderna si scontra con il cristianesimo e la Chiesa. Il cristianesimo non è una religione dell’auto-creazione e la Chiesa non è un’istituzione destinata a fornire un palcoscenico sul quale io possa esibirmi in un ambiente sicuro e affermativo. Al contrario, è il canale della grazia di Dio. Non è lì per dirmi che è tutto a posto o per rendermi felice. È lì per assicurarmi che in me stesso non va tutto bene, e per rendermi totalmente infelice, ponendomi di fronte alle mie drammatiche carenze e alla necessità di un Salvatore. Solo allora potrò trovare la felicità – nella grazia di Dio, non nell’applauso dell’uditorio.
Come ho già notato in First Things, sono con Lutero e Newman nel considerare il cristianesimo come una fede dogmatica. E se la fede è dogmatica, allora anche lo scopo della Chiesa è dogmatico. La Chiesa non è un terapeuta [che è lì] per rassicurarci della nostra intrinseca autostima, né una compagnia teatrale che ci dà l’opportunità di mostrare pubblicamente chi pensiamo di essere dentro. Essa è, per usare termini presbiteriani, un mezzo di grazia con cui noi (e tutti i miti che ci piace raccontare di noi stessi) ci confrontiamo e veniamo rovesciati da Dio.
(…)
Il linguaggio della “gabbia” si basa su un’idea sbagliata e letale della Chiesa e della fede. Il cristiano è veramente libero non perché la Chiesa fornisce uno spazio sicuro di affermazione personale, ma perché offre una nuova vita in Cristo, espressa nei suoi dogmi. Coloro che pensano che la Chiesa sia un luogo di prigionia a causa dei suoi dogmi hanno tragicamente scambiato la propria schiavitù per la libertà. E coloro che sembrano avere i dogmi giusti ma li usano come oggetti di scena per le loro rappresentazioni teatrali non sono davvero diversi.

Carl R. Trueman è professore alla Alva J. Calderwood School of Arts and Letters presso il Grove City College, Pennsylvania.

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