(di Cristina Siccardi) La visita di papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti è stato certamente un evento di grande portata storica, benché i media non abbiano dato granché spazio: i viaggi di Paolo Giovanni Paolo II avevano una risonanza mille volte più grande.
Questa tre giorni è stata per Bergoglio un personale successo, visto che persegue l’utopia dell’unità fra i popoli e fra le religioni. Le autorità islamiche degli Emirati hanno concesso al Papa, per la prima volta nella Storia,di celebrare una Messa pubblica nel Golfo Persico, ad Abu Dhabi, nel più grande stadio (Zayed Sports City) di un Paese nel quale le chiese non possono avere la croce sul tetto. Lo stadio era gremito di 45 mila persone, le restanti hanno assistito nelle aree adiacenti, in tutto 120 mila (cattolici di circa 100 nazionalità), fra cui 4 mila musulmani e fra questi il Ministro della Tolleranza.
Il Pontefice ha concluso ieri la sua visita negli Emirati Arabi, con una giornata dedicata alla comunità cattolica locale, composta da 900mila fedeli, per lo più lavoratori immigrati da Paesi asiatici come India e Filippine, pari al 10% della popolazione totale.
Ancora una volta la fede presentata dal Papa è stata di carattere sentimentalistico e nell’omelia della Messa ha specificato che la vita cristiana «Non si presenta come un elenco di prescrizioni esteriori da adempiere o come un complesso insieme di dottrine da conoscere. Anzitutto non è questo; è sapersi, in Gesù, figli amati del Padre». Ma per sentirsi amati occorre sapere chi è Colui che ci ama e quali scelte fare per professare il Credo nella Trinità.
La vita cristiana non è sentimentalismo, bensì conoscenza della Verità, attraverso la mente e il cuore: questo ha sempre sostenuto la Chiesa. Da qui la forza della Chiesa, il cui valore viene dato non dal suo ideale sociale e collettivo, ma dal suo peso spirituale, che oggi viene così meno da far passare mediaticamente in secondo piano persino un viaggio di tale portata.
Il 31 agosto la liturgia ha ricordato san Giovanni Bosco, il quale non solo istruiva i suoi ragazzi con il Catechismo, quindi con la dottrina, ma conosceva assai bene anche la Storia e la scriveva per trasmettere la realtà dei fatti e per dare il senso corretto della vita a ciascuno. Si legge nel suo testo Il Cattolico istruito nella sua religione: trattenimenti di un padre di famiglia co’ suoi figliuoli, secondo i bisogni del tempo (Tip. Dir. Da P. De Agostini, Torino 1853):
«Senza dubbio per un cattolico non havvi scienza più importante di quella che lo istruisce nella propria religione. Scienza importante, e nello stesso tempo consolantissima, perché ha fondamenti così certi e chiari che sotto a tutti i rapporti ci fanno ravvisare il concorso dell’Onnipotenza Divina. Questa Religione di Gesù Cristo, che unicamente conservasi nella Chiesa Cattolica Romana, secondo le parole del medesimo Salvatore, doveva essere in ogni maniera perseguitata, ma non mai vinta».
Per quanto concerne l’islamismo don Bosco rispettava le persone, ma non l’errore, da qui la sua rigorosa obiettività nel cercare sempre, solo e comunque la salvezza delle anime. L’edificazione di una società sana e giusta, formata da «onesti cittadini», non era altro,per il fondatore dei Salesiani, che diretta conseguenza di persone formate nella libertà della Verità rivelata. Affermava che Maometto aveva propagato la sua religione non con miracoli o con la persuasione delle parole, bensì con la forza delle armi, «per unico argomento egli innalzava la spada sul capo dei vinti gridando: o credere o morire» (cfr.ibidem).
A Santa Marta, durante l’omelia nella ricorrenza di san Giovanni Bosco, Francesco ha parlato dell’attenzione che egli aveva per la povertà, inquadrandola in una questione di ingiustizia sociale, rilevando che in quell’epoca «massonica», di «mangiapreti» e di «un’aristocrazia chiusa, dove i poveri erano realmente i poveri, lo scarto, lui ha visto sulle strade quei giovani e ha detto: “Non può essere!” […] “Ma no, questo non può andare così! Questi giovani forse finiranno da don Cafasso, sulla forca … no, non può andare così”, e si è commosso come uomo e come uomo ha incominciato a pensare strade per fare crescere i giovani, per fare maturare i giovani. Strade umane. E poi, ha avuto il coraggio di guardare con gli occhi di Dio e andare da Dio e dire: “Ma, fammi vedere questo … questo è un’ingiustizia … come si fa davanti a questo … Tu hai creato questa gente per una pienezza e loro sono in una vera tragedia …”. E così, guardando la realtà con amore di padre – padre e maestro, dice la liturgia di oggi – e guardando Dio con occhi di mendicante che chiede qualcosa di luce, comincia ad andare avanti».
La tragedia, per don Bosco, come per Gesù, non è la povertà di cose, ma la povertà nel non essere in grazia di Dio, perché: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6, 33). Lo sguardo di don Bosco è sempre stato di carattere soprannaturale, pur nella concretezza delle questioni pratiche, ma queste erano sempre in funzione della verticalità della Fede. Emblematico l’atteggiamento che assunse con il primo ragazzo della fondazione dell’Oratorio salesiano.
Era l’8 dicembre del 184: Bartolomeo Garelli, muratore di 16 anni, arrivato da Asti, orfano, analfabeta, povero, indifeso, fu il primo ad essere istruito dal Padre e Maestro della gioventù ed è il prototipo di tutti i giovani,di tutte le famiglie e di tutti i popoli che la salesianità ha evangelizzato, utilizzando il sistema preventivo di don Bosco, fondato su tre pilastri: Ragione, Religione, Amorevolezza.
L’assistere alla Santa Messa e andare a scuola di Catechismo – quello dottrinale, non ecumenico ed interreligioso – fu la prima cosa che propose il santo sacerdote a Bartolomeo, non certo la rivendicazione dei suoi “diritti”. Nella chiesa di San Francesco d’Assisi giunsero, dopo pochi giorni, portati proprio da Garelli, sei ragazzini malvestiti e altri due mandati da don Giuseppe Cafasso.
Oggi, con visione orizzontale, si dice che don Bosco si occupò della gioventù povera per sollevarla dalla miseria e dall’ignoranza, offrendo anche la possibilità di qualificarsi con un lavoro. Ma, in realtà, l’unico vero fine dell’azione “sociale” di don Bosco fu quello di portare il maggior numero di anime in Paradiso, partendo da quelle che la Divina Provvidenza gli affidava. (Cristina Siccardi)
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