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giovedì 7 febbraio 2019

Come i tassì o le tasse?

LA MITRA E IL PASTORALE. GIORGIO SPALLONE SCRIVE DI BOLOGNA, E DELL’ARCIVESCOVO.


Cari amici di Stilum Curiae, da Bologna abbiamo ricevuto una lettera accorata dell’avvocato Giorgio Spallone. Che ci sembra interessante e giusto condividere con voi. Mi è venuto in mente quello che mi raccontava un collega che aveva vissuto in uno studentato dell’Opus Dei, e che aveva sentito quello che diceva San Escrivà de Balaguer a proposito dei preti, e della talare. Riporto a memoria: i preti per strada devono essere come i tassì, facilmente riconoscibili, per chiunque abbia bisogno di loro. Buona lettura.

La mitra e il pastorale
Poco tempo addietro recandomi a Messa nella Cattedrale di San Pietro in Bologna, con gioia, mi sono unito alla Festa della Famiglia Salesiana in occasione della celebrazione di San Giovanni Bosco, la cui immagine era esposta a lato dell’altare.
Dunque una celebrazione solenne.
All’ingresso del corteo mi ha colpito il fatto che il celebrante principale, Arcivescovo Mons. Matteo Zuppi non portasse né mitra, né pastorale.
A questi dettagli che, in realtà, dettagli non sono affatto, occorre unire altra circostanza, tanto inusuale, quanto, purtroppo, da anni silenziosamente derubricata a normale.
Il Vescovo di Bologna – ad imitazione del Pontefice che non risiede nel Palazzo Apostolico – a propria volta non risiede nel Palazzo Arcivescovile, bensì nella Casa del Clero, luogo destinato ad accogliere sacerdoti anziani che hanno dismesso il proprio incarico per raggiunti limiti di età ovvero malati.
In questo modo l’Arcivescovado è relegato ad una sorta di museo dei Cardinali nel quale l’attuale Titolare riceve i propri ospiti.
Ora il fedele si domanda il significato di queste scelte, inequivoci segnali di frattura con tradizioni millenarie.
Ritiene forse il Vescovo, senza mitra e pastorale, di rendersi più vicino al popolo omologandosi anche dal profilo esteriore agli altri presbiteri, alcuni dei quali, a propria volta, in termini di look, vanno a rendersi indistinguibili dai laici?
Non è questione di tradizionalismo o progressismo, ma il risultato è diametralmente opposto.
Sappiano i Pastori che l’uomo, vieppiù l’uomo di questa Europa scristianizzata, ha il non detto desiderio di ritrovare simboli, segni, anche esteriori, di un’autorità morale e spirituale cui aggrappare la ricerca di senso della vita.
E se, nella confusione del mondo, i Pastori si rendono invisibili il vuoto che circonda quell’uomo si fa ancor più inquieto e disperato.
Il rosso della veste indica, anche esteriormente, il sangue che i Cardinali giurano di volere versare in difesa della fedeltà alla Chiesa: “usque ad effusionem sanguinis”.
Effusione del sangue che, esattamente in questi tempi, in Paesi lontani – ancor più che geograficamente, dalla nostra conoscenza e coscienza – vede piena realizzazione come in poche altre epoche della storia millenaria del Cristianesimo.
I Simboli sono testimonianze di fede, di cui il martirio è la misura ultima.
Giorgio Spallone
Marco Tosatti

7 Febbraio 2019 Pubblicato da wp_7512482 27 Commenti

Oggi è il 158° giorno in cui il pontefice regnante non ha, ancora, risposto.
Quando ha saputo che McCarrick era un un uomo perverso, un predatore omosessuale seriale?
È vero o non è vero che mons. Viganò l’ha avvertita il 23 giugno 2013?
Joseph Fessio, sj: “Sia un uomo. Si alzi in piedi, e risponda”.


Durante la sacra ordinazione il vescovo consegna al presbitero il pane e il vino con la frase: «Ricevi le offerte del Popolo Santo per il Sacrificio Eucaristico. Renditi conto di ciò che farai imita ciò che celebrerai […]». Da qui la necessità di conoscere l’esigenza antropologia del rito


Oggi, possiamo interrogarci a giusta ragione sulla dissacrazione — operata in svariate maniere — di molti luoghi di culto cattolici, messa in atto non da nemici della fede, ma proprio da coloro che questi luoghi avrebbero dovuto invece custodirli, valorizzarli e utilizzarli al giusto scopo? Ecco dunque il fallimento di tante liturgie che si sono indirizzate unicamente verso la direzione intellettuale, finendo per essere, nei migliori dei casi, delle scuolette, nei peggiori, invece, infinite e sovrastanti — spesso insopportabili — chiacchiere del prete!
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«ricevi le offerte del Popolo Santo per il Sacrificio Eucaristico. renditi conto di ciò che farai imita ciò che celebrerai. conforma la tua vita al mistero della croce di cristo signore» [dal rito della sacra ordinazione dei presbìteri]
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antico rito egizio della imbalsamazione

Con questo nuovo articolo vorrei rifletterecon i Lettori de L’Isola di Patmos sulle dinamiche del rito, non da un punto di vista propriamente liturgico, ma innanzitutto storico-antropologico.
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Negli ultimi decenni, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, all’interno della Chiesa, si è assistito ad una gara di demolizione del rito e della ritualità, tant’è vero che anche a  livello linguistico — che è sempre una spia interessante  dei mutamenti di prospettiva e di visione delle cose — i termini stessi come “rito”, “culto”, “rituale”, hanno assunto una tonalità negativa, quando non apertamente dispregiativa. Ancor oggi, in questi ultimi colpi di coda delle mode degli anni Settanta — e, come si sa, spesso gli ultimi colpi sono i più rabbiosi, sentendo ormai vicina la fine — la dimensione rituale viene considerata non solo inutile alla vita cristiana, ma persino dannosa e fuorviante. Per questo cercherò di chiarire ai Lettori della nostra Isola di Patmos, come il rito sia invece parte costitutiva della vita dell’uomo.
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Gli studi nel campo della Storia delle Religionihanno evidenziato, da una visuale antropologica, la necessità della dimensione rituale in qualsiasi gruppo religioso, in ogni tempo e cultura. E cercando di definire quali fossero gli elementi determinanti la “religione” in senso generalizzato e allargato, si è potuto cogliere come l’elemento “rito” sia imprescindibile.
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antico rito romano della sepoltura

La parola “rito” ha le sue origini nel vocabolario indoeuropeo; rta si ritrova neiRgveda — i più antichi tra i libri sacri dell’India — e sta ad indicare l’ordine immanente del cosmo, in un senso molto vicino al terminedharma, la legge fondamentale del cosmo. “Rito” dunque si collega al senso di ordine cosmico, e di conseguenza anche morale, in contrapposizione al disordine, al caos, e quindi anche al male morale.
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Il rito è un gesto, o una serie di gesti, solitamente collettivi — ma possono anche esserci riti individuali — che vengono posti in essere nella prospettiva di una azione che va oltre la pura dimensione empirica immediata. Esso si situa all’interno di una precisa coordinata umana, che è la dimensione simbolica.
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Fra le varie definizioni dell’uomo che possiamo ricordare, come quelle di animale razionale, animale politico, animale sociale, forse la più appropriata e comprensiva di tutti gli altri aspetti è quella di animal symbolicus. È proprio a partire da questa capacità simbolica che l’uomo si differenzia dagli altri animali, ed è in grado di vivere tutte quelle dimensioni propriamente umane, come la cultura, la religione, l’arte.
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riti indù nell’isola di Goa

Le scoperte della paleoantropologia, a partire già dagli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, hanno fatto emergere questo elemento essenziale, originario, che è stato anche definito come “la carta d’identità dell’uomo”. La capacità simbolica, alla quale inerisce alla capacità di cogliere e vivere il “sacro”, non è una qualità secondaria o derivata. Dunque il rito è atto simbolico per eccellenza: attraverso l’uso di realtà empiriche, materiali, appartenenti a questo mondo, si cerca di entrare in relazione con ciò che trascende questo mondo, Ciò viene vissuto anche nella celebrazione dei sacramenti nel cattolicesimo: elementi materiali, come acqua, olio, pane e via dicendo, sono utilizzati per significare e realizzare effettivamente la presenza operante di Dio.
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Le prime tracce rituali nella storia dell’umanità, si possono individuare nei riti funerari; benché di non sempre facile interpretazione. Le sepolture preistoriche forniscono molto materiale per una indagine sui riti, sono il segno certo di una attenta cura per i defunti. La presenza di segni simbolici rinvia ad una certa credenza in una vita dopo la morte, o di un possibile ritorno alla vita. Dopo i riti funerari, abbiamo tracce di riti di culto già nell’VIII millennio avanti Cristo; compaiono i due simboli chiave, il toro e la donna feconda, simboli di fertilità di vita, che daranno poi origine al culto di vere e proprie divinità. A partire dal V millennio avanti Cristo, troviamo invece molte rappresentazioni divine e immagini di oranti, con la tipica posizione delle braccia o delle mani levate al cielo.
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Il rito si colloca nell’esperienza esistenziale dell’uomo, significa la ricerca di un contatto con una realtà trascendente, operando un passaggio dal segno all’essere. Tutte le religioni, conoscono il rito; anche se, in alcune, la parte rituale è ridotta al minimo, oppure in altre, al contrario, è notevolmente amplificata. Non esiste nessun fenomeno religioso, senza espressione rituale.
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riti tribali africani

Chi celebra un ritointende vivere un atto significativo per la propria vita, ossia porre un gesto che abbia e dia un senso, che veicoli un messaggio e comporti delle conseguenze, delle conseguenze non solo immediate ma che vadano al di là del momento. Il rito, come si può notare in tutte le esperienze religiose, ha sempre una, o più finalità,  che possono essere le più disparate, come ad esempio: lodare la divinità, ottenere un buon raccolto, vincere sui nemici, guarire da una malattia, salvarsi l’anima e via dicendo a seguire. Solo per stare nel campo cattolico basterebbe guardare all’indice del Messale per le Messe ad diversa, con tutta la ricchezza di intenzioni che l’esperienza del popolo di Dio ha manifestato.
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Secondo gli studiosi di Storia delle Religioni l’homo religiosus fa riferimento ad un archetipo originario, un archetipo celeste; in un linguaggio più vicino alle grandi religioni rivelate potremmo dire che fa riferimento alla Realtà trascendente divina. Attraverso l’azione rituale l’uomo cerca di realizzare in terra l’archetipo celeste e cerca altresì di far riferimento al tempo primordiale, archetipico, all’Illud tempus.
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Il rito svolge la determinante funzione di rendere sempre attuale il mito — inteso secondo la terminologia degli storici delle religioni, ossia l’insieme delle credenze, dei contenuti dottrinali di una determinata religione —, come esprime bene anche l’espressione di Prospero di Aquitania: lex orandi lex credendi. Pertanto c’è una strettissima interconnessione tra ciò che si crede e ciò che si celebra, ed anche come si celebra.
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Per il cattolico, l’azione salvifica di Cristo, è resa contemporanea ed efficace proprio attraverso l’azione sacramentale. Inoltre, il rituale, svolge anche la funzione decisiva di compaginare e di tenere unita, ordinata e rettamente orientata l’intera comunità dei credenti.
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rito ancestrale degli antenati in Corea

Per compiere un ritoè altresì necessario che ci sia uno spazio sacro, che si distingue dal resto. Per l’homo religiosus lo spazio è disomogeneo: vi è uno spazio sacro e uno spazio profano. Lo spazio profano è quello del caos, del disordine, della non significanza; lo spazio sacro è lo spazio ordinato, con un senso, un orientamento. Vi possono essere una grande varietà di spazi consacrati: una caverna, un cerchio di pietre, un albero, un semplice tappeto, fino alle manifestazioni più evidenti che si manifestano nella costruzione dei Templi, nelle grandi civiltà.
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Il Tempio intende essere una riproduzione sulla terra di un modello trascendente, diventa il luogo santo per eccellenza, luogo di santificazione e di orientamento per il mondo. Testimonianza di ciò in campo cristiano, e cattolico in particolare, è tutta l’edilizia sacra che ha letteralmente ricoperto i nostri territori di cattedrali, basiliche, chiese, oratori … spesso veri e insuperabili capolavori d’arte. Un investimento di personale, denari, energie, che ha attraversato i secoli.
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Oggi, possiamo interrogarci a giusta ragione sulla dissacrazione — operata in svariate maniere — di molti luoghi di culto cattolici, messa in atto non da nemici della fede, ma proprio da coloro che questi luoghi avrebbero dovuto invece custodirli, valorizzarli e utilizzarli al giusto scopo?
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Il rito occupa e deve occupare un posto fondamentale nella vita cristiana. Un cristianesimo senza ritualità, significherebbe l’amputazione di una dimensione appartenente alla stessa esperienza umana; senza rito ci troveremmo di fronte ad una esperienza non pienamente umana, in quanto si ridurrebbe la fede cristiana alla sua sola dimensione morale o intellettuale. Una fede irrituale sarebbe un’espressione anti-umana e, proprio per questo, sarebbe non cristiana, perché, con l’Incarnazione, il Verbo si fece carne [cf. Gv 1, 14], assumendo — eccetto il peccato — tutto ciò che c’è ed appartiene all’esperienza umana [cf. Fil 2, 5-11].
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 famolo strano! Non è un rabbino che celebra il Seder di Pesach o la Tefillah di Shabbath, è un prete cattolico che celebra per una comunità neocatecumenale un rito che dovrebbe essere il Sacrificio Eucaristico della Santa Messa

Ecco dunque il fallimento di tante liturgie che si sono indirizzate solo verso la direzione intellettuale, finendo per essere, nei migliori dei casi, delle scuolette, nei peggiori, invece, infinite e sovrastanti — spesso insopportabili — chiacchiere del prete!
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Non si può impunemente andare contro la natura dell’uomo, perché una volta dimenticato o trascurato il vero culto, si finisce inevitabilmente per ricorrere a dei surrogati: quante laiche o profane liturgie hanno sostituito il culto divino! Ogni cambiamento arbitrario, improvvisato, immotivato, inventato di sana pianta, porta con sé delle inevitabili conseguenze sul piano della dottrina e della vita comunitaria. Il rito deve, per sua natura, essere ripetitivo, deve cioè godere di una determinata stabilitas, una continuità nel tempo e nello spazio. Quando invece il rito è continuamente manomesso, in vari modi, come purtroppo abbiamo potuto constatare in casa cattolica, soprattutto a partire dal post-concilio, le conseguenze, a medio e lungo termine, sono devastanti. La dottrina cattolica, a lungo andare, finisce con l’essere negata, dimenticata o quantomeno adulterata dall’instabilità dell’azione liturgica.
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La vita della comunità cristiana viene scompaginata, venendo a mancare punti di riferimento saldi; e questo lo dico anche solo da un punto di vista dell’antropologia. Di tutto questo ne è triste e drammatica testimonianza il crollo verticale della partecipazione ai Sacramenti in genere, ed alla Messa festiva in particolare. Certamente, anche all’interno del cattolicesimo, i riti possono vivere delle riforme, ma appunto delle ri-forme, vale a dire riportare alla forma originale, ma non a delle de-forme intese come delle deformazioni della verità rivelata, o peggio delle parodie di essa.
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… eppure lo sappiamo bene quali sono i risultati del famolo strano e della distruzione della struttura fissa, non alterabile e universale del sacro rito, il risultato sono le chiese vuote.

L’uccisione, o il grave ferimento del rito ha portato all’agonia di molte comunità cristiane; per qualche tempo, anche decenni, si è vissuto “col fieno in cascina” accumulato precedentemente, ma ormai le scorte sono quasi esaurite!
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Il cristianesimo non si può esaurire nella sola dimensione rituale. Questo va affermato a chiare lettere, in particolare contro certi vuoti ritualismi di pizzi & merlettiche sconfinano nella patologia della ritualità, che non supportano una vita orientata al Vangelo ed alla Carità. Tuttavia, senza il rito, la fede cristiana corre il rischio di perdere la sua dimensione verticale e di appiattirsi su una vaga morale che, senza più essere alimentata dall’alto, si riduce a sterile sforzo umano, inevitabilmente appiattito sulle morali di moda nel mondo del momento.
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Novara, 6 febbraio 2019


DURANTE LA SACRA ORDINAZIONE IL VESCOVO CONSEGNA AL PRESBÍTERO IL PANE E IL VINO CON LA FRASE: «RICEVI LE OFFERTE DEL POPOLO SANTO PER IL SACRIFICIO EUCARISTICO. RENDITI CONTO DI CIÒ CHE FARAI IMITA CIÒ CHE CELEBRERAI […]». DA QUI LA NECESSITÀ DI CONOSCERE L’ESIGENZA  ANTROPOLOGIA DEL RITO 


Autore
Paolo Milani 

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— l’angolo della memoria storica —
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