Illusi quelli convinti che Bari di Fortino ne abbia solo uno. Ne esiste un altro, a suo modo necessario, anzi forse, a detta dei suoi interpreti, persino più necessario di quello storico.
A cosa ci riferiamo? Questioni sacre. Macroarea cattolica, micro (ma neanche tanto, vedremo) legata al caso liturgico, ossia all’interpretazione corretta, dal punto di vista teologico, ecclesiologico e pastorale (le parole giuste, queste necessarie), della Messa. Sì, proprio la Santa Messa cristiano-cattolica: come pregarvi, in quale lingua, in quale modo; come parteciparvi; soprattutto, come celebrarla. Perché la vera vexata quaestio sta tutta lì. Chiarito come ad un laico questi argomenti farebbero, nella migliore delle ipotesi, storcere il naso, nella peggiore bersagliare con supponenza, quando non con sarcasmo, chi invece in queste storie crede, chiariamo anche subito nomi, cognomi e dati storici. Si parlava, metaforicamente, del Fortino. Suo instancabile promotore in quel di Bari è don Nicola Bux (ecco il nome), teologo barese i cui libri sono tradotti in diverse lingue straniere, persino nella Germania scristianizzata, sul cui illustre curriculum torneremo. Ma leader di che, di chi? Promotore spirituale di un movimento internazionale che ritiene che il latino, lingua madre ed ufficiale delle celebrazioni liturgiche cattoliche fino al Concilio Vaticano II (ecco i dati storici, minimi, ma importanti per capire), sia ancora oggi la meglio titolata a rappresentare il sacro in certe situazioni, il suo senso recondito, la sua bellezza nascosta e visibile al contempo. “Il nostro non è un guardare indietro, non diamo le spalle alla storia, come del resto non dà certo le spalle ai laici il sacerdote mentre celebra ad Deum –ci dice don Nicola, che abbiamo incontrato-. Egli, semplicemente, guarda a Dio, così come guardano a Dio i fedeli: il sacerdote è unicamente avanti agli altri, verso Dio. Purtroppo, per abbindolare qualche sprovveduto, si dicono tante sciocchezze ma basta capire la reale sostanza delle cose per evitare queste facili illazioni”.
Il problema, per don Nicola, è anche “antropologico”.
“La realtà è che, dopo il Concilio, si è creato questo mito del sacerdote al centro della Messa –afferma-. Questo è il vero clericalismo! Il celebrante non è al centro di nulla, invece oggi, dove una volta c’era solo il Signore da adorare, siede lui, emblema della antropolatria instauratasi nel seno della Chiesa dopo il passaggio alla funzione nelle lingue nazionali, abbandonando quella lingua che per secoli aveva unito i credenti in qualsiasi parte del mondo si trovassero”.
Don Nicola ha fatto e scritto tutto ciò in tante pubblicazioni, ma da tempo lo chiarisce direttamente anche attraverso la celebrazione della Messa ad Deum, ogni sabato sera, nella discreta ma fascinosa chiesa barese di San Giuseppe, in piazza Chiurlia, in pieno centro storico.
Non celebrazioni enfatiche, non il rito compiaciuto esclusivamente estetico, non la bellezza per la bellezza ma la bellezza per Dio.
Don Nicola, è bene sottolinearlo, non è certo solo in quello che abbiamo associato ad una piccola fortezza di “resistenza” di una fede non distratta da alcuna lusinga da parte della mentalità contemporanea, ma decisa nella difesa dell’impianto teologico tradizionale.
Tradizione, dunque, non solo sul rito liturgico. Il sacerdote barese non è solo perché ha con sé in questa particolare (e pacifica) “battaglia” un grande e crescente seguito di fedeli, soprattutto giovani, spesso vicini a tematiche cattoliche, patristiche, estetiche, filosofiche. Una dottrina, la loro, che potremmo definire incantata dal bello. Non a caso, tra i più vicini a Bux, va segnalato l’ormai sempre più famoso pittore di arte sacra Giovanni Gasparro, giovane di Adelfia. Un artista dalla bravura straordinaria, dallo stile drammatico ed incisivo, amato da Vittorio Sgarbi, Camillo Langone (giornalista e scrittore, inventore della figura del “critico liturgico”) e in Puglia seguito sin da subito dalla studiosa di storia dell’arte, fino a qualche mese fa direttrice della Pinacoteca di Bari “Corrado Giaquinto”, Clara Gelao. Ma, a dispetto di qualcuno, don Nicola ha un seguito ben diffuso in ogni dove. Brillante conferenziere da decenni su queste tematiche, è chiamato in tutta Italia e anche in diversi paesi d’Europa e America Latina per presenziare a convegni di natura storico-teologica. Ha ispirato momenti di incontro tra scuole di pensiero anche in dialogo tra loro o tra le tre confessioni cristiane.
Bux ha firmato dei libri veri e propri bestseller dell’ambito (da“Perché i cristiani non temono il martirio” a “Come andare a Messa e non perdere la fede” e “Con i Sacramenti non si scherza”), che lo hanno reso assai noto, ma è conosciuto tra gli specialisti per le sue opere scientifiche, con approfondimenti scritti assieme a personalità del calibro di Franco Cardini e Inos Biffi. Già Docente all’Istituto di Teologia ecumenico-patristica “San Nicola” di Bari, è di casa in Terra Santa. È anche stato consultore di più congregazioni vaticane, voluto direttamente in ruoli di assoluto prestigio dai papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, quest’ultimo suo amico personale in quanto entrambi teologi animatori, qualche tempo addietro, della famosa rivista teologica internazionale “Communio”.
Un Ratzinger che lo ha citato nel libro “Introduzione allo spirito della liturgia”, ispirando quel che nel mondo poi è stato diffuso da tanti teologi legati alla linea critica rispetto alle distorsioni che il rito romano andava subendo. Un pensiero chiaro che vede nei cambiamenti seguiti alle decisioni prese nella grande assise assembleare del Concilio (1962-1965) l’inizio di questa fase, per così dire, decadente. Ma a causa del Concilio o nonostante esso? Antico problema.
Don Nicola è deciso: “L’assise sicuramente ebbe i suoi momenti critici o criticabili. Ma erano anni distinti da grandi personalità, in tutte le confessioni, penso all’ortodosso Atenagora e al suo abbraccio con Paolo VI nel 1964. Diciamo che i problemi sono cominciati dopo, forse però qualcosa andava chiarita meglio. Non si spiegherebbe altrimenti –continua Bux- l’allontanamento del vescovo Annibale Bugnini, protagonista, da segretario della commissione per la Liturgia, dei cambiamenti. Fu mandato, senza mai essere ricevuto dal papa, a svolgere la sua funzione di nunzio apostolico, addirittura nel lontano Iran”. Ma insomma: davvero il futuro è qui, con i cultori della Messale del papa cinquecentesco Pio V (peraltro mai abolito dalla chiesa)?
“Io sono fiducioso che sarà così –ci risponde Bux-. Si tratta di tornare allo spirito autentico ed originario della Messa: non è una questione di lingua ma di attenzione a Dio, di serietà e compostezza. E’ la vera partecipazione. C’è grande entusiasmo su questi aspetti, così come va registrato l’aumento costante di sacerdoti non più disposti all’esaltazione acritica di quel che venne fuori dopo il Concilio in campo liturgico. Questa è sicuramente una bella notizia per la Chiesa di Cristo”.
Cremona, abuso di potere del vescovo: vietato il Vetus Ordo Missae
Il 2 marzo due importanti testate on line, Corrispondenza Romana e La Nuova Bussola Quotidiana, hanno riportato la notizia che il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, ha de facto impedito che nella sua diocesi si celebre il Vetus Ordo Missae, come già fece anni prima il suo predecessore, mons. Dante Lafranconi. Questo in spregio ad una legge della Chiesa, il motu proprio Summorum Pontificum di papa Benedetto XVI, varato nel 2007.
La notizia è stata riportata anche dalla stampa locale ed è intervenuto al riguardo persino il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione dei vescovi e vice-decano del collegio cardinalizio. «Non capisco le ragioni, ma approfondirò», ha detto il Cardinale al quotidiano La Provincia. «Nel mondo la Messa tridentina si celebra ovunque. Io non so come mai lì a Cremona no, ma in molte diocesi si fa. Se lei va a New York, trova che nella tal chiesa, alla tal ora, si dice la Messa in latino. In generale, nel mondo basta che vi sia un prete disponibile a celebrare la Messa ad una determinata ora in latino».
Il blog MessaInLatino ha pubblicato una rassegna stampa aggiornata, a cui rimandiamo per chi volesse tenersi informato sull’assurda vicenda, che naturalmente anche noi continueremo a seguire.
Nell’esprimere la nostra vicinanza e la nostra solidarietà ai fedeli di Cremona che si battono affinché nella loro diocesi si possa finalmente celebrare la Santa Messa letteralmente come Dio comanda, vogliamo fare una piccola considerazione.
Se già durante il pontificato di Benedetto XVI il Summorum Pontificum era odiato e osteggiato da molti vescovi, figuriamoci sotto papa Francesco!
Riteniamo che più si andrà avanti nel tempo, per avere la Messa di sempre si dovrà davvero tornare nelle catacombe, poiché i vescovi impediranno che si usino le parrocchie. I sacerdoti che vorranno celebrare col Messale del 1962 dovranno sapere che saranno derisi e perseguitati dai loro stessi superiori, affinché desistano dal loro intento. Siano realmente virili e resistano agli abusi, allora avranno forza dallo Spirito Santo e saranno sostenuti dai fedeli veramente fedeli, come ad esempio quelli di Cremona.
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