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domenica 24 marzo 2019

La “civiltà del dialogo”

DIALOGO:"CIVILTA' DEL SUICIDIO"


Civiltà del dialogo o civiltà del suicidio? Ermeneutica e relativizzazione dell’essere base teorica di una falsa "verità dialogica". Da un filosofo nazista alla fratellanza massonica la base ideologica per un suicidio assistito 
di Francesco Lamendola  
  
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Dialogodialogare, che belle parole: basta sentirle pronunciare e il cuore già si apre; sono come una musica, una carezza per l’anima. Socrate dialogava in palestra, occhieggiando i bei giovinetti sudati che facevano ginnastica, oppure lungo le rive verdeggianti dell’Ilisso; i peripatetici dialogavano, camminando all’ombra, lungo i vialetti del Liceo; la Filosofia dialoga con il povero Boezio, chiuso in carcere in attesa d’esser giustiziato; il maestro dialoga coi discepoli nelle facoltà teologiche, ascolta le loro obiezioni, risponde punto per punto, chiarisce ogni cosa; Salviati, Sagredo e Simplicio dialogano sui massimi sistemi del mondo e intanto fanno passare di soppiatto la rivoluzione copernicana, in barba al monito della santa Inquisizione a Galilei. Insomma, per duemilacinquecento anni è tutto un dialogare, un duettare, un cinguettare. Ma è soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale che si apre una riflessione specifica sulla civiltà moderna come civiltà del dialogo. 

Ed è curioso che a farsene teorico e massimo esponente sia stato Hans Georg Gadamer, il continuatore e il più illustre discepolo di Martin Heidegger, il quale, finito non per caso, ma in piena coscienza, nelle braccia del nazismo, diviene così, sia pure indirettamente, anche il padre putativo dell’ermeneutica e quindi il precursore della “civiltà del dialogo”.

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Martin Heidegger

Sono le sorprese che si fanno quando ci si prende la briga di dare un’occhiata all’albero genealogico di certe idee. Sicché, quando si comincia a nutrire il sospetto, dopo settant’anni di lavaggio del cervello democratico, che nella democrazia moderna vi sia un’anima totalitaria, non bisognerebbe poi stupirsi troppo, dato che il suo padre nobile è stato un signore che all’epoca in cui era rettore dell’Università di Friburgo, nel 1933-34, denunciava alla polizia i suoi colleghi e studenti non allineati al nazismo (come il cattolico Max Müller, suo ex allievo, che perse la docenza) e collaborava volonterosamente alla cacciata degli ebrei, benché nel frattempo andasse a letto, lui sposato e padre di famiglia, con una giovane, bella e brillante studentessa ebrea, Hannah Arendt. Ma su ciò, ognuno è libero di pensarla come vuole e di trarre le conclusioni che crede. A noi preme cercar di capire come e perché sia nata l’idea che la civiltà moderadeve qualificarsi come la civiltà del dialogo, e quali conseguenze pratiche la cosa ha avuto, e sta avendo, nei confronti della nostra Europa e anche nei confronti della religione che l’ha tenuta a battesimo, l’ha educata e resa adulta: il cristianesimo.

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Hans Georg Gadamer

Come è noto, esiste una data di nascita precisa per l’ermeneutica, come nuova stagione della filosofia europea: il celebre paragrafo 32 diEssere e tempo di Heidegger (Sein und Zeit, prima edizione 1927), nel quale il mondo si rivela all’uomo essenzialmente come un mondo di segni, per cui il problema di come interpretare tutti questi segni diventa il problema fondamentale non solo del pensiero, ma dell’intera esistenza umana. Hans-Georg Gadamer, il discepolo di Heidegger, pone perciò l’uomo in primo luogo come essere storico e linguistico, cioè come inserito necessariamente nel tempo e nel linguaggio. Ne consegue che qualunque comprensione delle cose deve aver luogo all’interno del mondo della storia e del mondo del linguaggio, per cui chi comprende la storia e il linguaggio ha le chiavi per comprende il reale, e chi no, no. A ben guardare, la deriva teologica post-conciliare è, in nuce, tutta qui. Attraverso Karl Rahner, altro legittimo discepolo di Heidegger, questo modo di vedere è penetrato nel cuore della teologia e ha radicalmente modificato tutta l’impostazione della vita religiosa. Il fatto centrale, infatti, non è più la divina Rivelazione, ma il modo in cui l’uomo la comprende all’interno del proprio orizzonte storico e linguistico. Ed ecco spiegato per quale ragione Sosa Abascal, il generale dei gesuiti, dice che non si sa cosa disse realmente Gesù, perché, a parte la facezia del registratore (vogliamo almeno sperare che sia stata una facezia, per quanto sciocca e irriverente; se fosse da prendere come argomentazione seria, non sapremmo più che dire), Gesù parlava sempre in un ambiente preciso, a un pubblico definito: le sue parole, anche se fossero fedelmente tramandate dai Vangeli, sarebbero comunque da interpretare, perché bisogna vedere cosa intendeva dire davvero, in quel luogo e in quel tempo.

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Una estinzione voluta, programmata e diretta dall’alto? è il sospetto, più che fondato, che dietro l’espressione “dialogo” si celi un’insidia; che questo concetto sia usato surrettiziamente, al vero scopo, non confessato, di distruggere il senso della propria appartenenza e della propria identità, per essere completamente sostituiti dai “diversi”, invitati a prendere fisicamente il posto degli europei e dei cattolici in via di estinzione!

Anche l’affermazione di Heidegger che il linguaggio è la casa dell’essere conduce nella stessa direzione. A parte la scarsa precisione, e quindi la scarsa serietà scientifica, della definizione (a nostro avviso, o si fa filosofia o si fa poesia; e se un genio come Nietzsche può permettersi di fare filosofia poetando, un pensatore meno geniale, ma brillante, come Heidegger, usa la poesia per nascondere le oscurità del suo pensiero dietro una patina scintillante), resta il fatto che se è così, allora noi non possiamo conoscere l’essere se non attraverso il linguaggio, il che è come dire che non lo possiamo conoscere in se stesso: proprio come, per Kant, noi possiamo conoscere i fenomeni, ma non le cose in se stesse. Fatta la tara, dunque, ai voli poetici heideggeriani, che mascherano la mancanza di rigore dietro immagini fascinose e cariche di pathos, resta che noi non possiamo giungere all’essere, ma solo alla narrazione dell’esserel’essere si riduce a un fatto ermeneutico, cioè di linguaggio, ma cosa sia in se stesso, non si sa; e allora ha ragione anche Wittgenstein quando afferma, sibillinamente ma non troppo, che bisogna tacere quello che non si può dire. Dall’ontologia all’analisi del linguaggio, dalla metafisica all’ermeneutica: il pensiero non è più chiamato a pensare le cose in se stesse, ma i nomi coi quali descriviamo le cose (il nome della Rosa!). A questa impostazione non sfugge nemmeno la domanda sul nostro essere. Se ci chiediamo chi siamo noi, possiamo solo rispondere con dei dati esteriori, quelli indicati sui documenti di identità, e con l’elenco dei nostri pensieri, stati d’animo, desideri, eccetera: ma chi siano noi alla fine, chi siamo noi in quanto essenze, non possiamo dirlo, perché nessuno lo sa. E questo, che gli ammiratori di Heidegger presentano come un’acquisizione decisiva del pensiero del loro maestro, non è neppure particolarmente originale: lo avevano già detto, e meglio, Bergson e tutti i vitalisti, Nietzsche compreso, i quali riducono l’io a un flusso vitale indistinto, a uno scorrere incessante di pensieri, ricordi, associazioni mentali d’ogni genere.

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Con Karl Rahner, altro legittimo discepolo di Heidegger il fatto centrale non è più la divina Rivelazione, ma il modo in cui l’uomo la comprende all’interno del proprio orizzonte storico e linguistico. Progetto etico, civiltà del dialogo, della comprensione e della tolleranza: e queste espressioni, cosa ci ricordano? Non ricordano la pastorale dei Bassetti, dei Paglia, dei Galantino, dei Bergoglio?

Ma i filosofi dell’ermeneutica si sono spinti oltre, e hanno identificato l’essere con la stessa ermeneutica, portando la relativizzazione dell’essere al grado zero: una volta che l’essere si identifica con il linguaggio, viene a coincidere con il gioco incessante delle domande e delle risposte che intercorrono fra l’uomo e il suo linguaggio. Nasce da qui la pretesa di porre la civiltà contemporanea come la civiltà del dialogo per eccellenza: dalla strategia, cioè, di fare della questione della verità una questione di esperienza. La verità, nella prospettiva ermeneutica, non è più un dato oggettivo, come per la filosofia classica: adaequatio rei et intellectus, bensì un processo, instabile e mutevole, storicamente e linguisticamente determinato, mediante il quale l’uomo fa esperienza delle cose, ne è trasformato e diviene, a causa di tale contatto, diverso da ciò che era prima. Anche qui, nulla di particolarmente originale: è la triade di tesi, antitesi e sintesi, di hegeliana memoria. Era possibile fermarsi qui, ma Gadamer ha voluto andare sino in fondo alle possibilità insite in questo concetto, e definire la verità come una verità dialogica, cioè come il risultato dell’incontro, e ovviamente del dialogo, fra me e la mia verità, con l’altro e la sua verità. Che bello: così tutti hanno la loro verità; tutti sono rispettati e rispettabili; e la verità come verità oggettiva e assoluta, sparisce per sempre, anzi, viene archiviata, con una nota di biasimo, nel magazzino delle cose che non solo son diventate inutili, ma che hanno anche procurato dei notevoli fastidi, quando andavano per la maggiore. Noi, però, siamo immensamente fortunati, perché gli dèi benevoli han voluto risparmiarci questa somma sciagura: ci capita di vivere al tempo in cui non c’è quasi più un solo filosofo che parli ancora della verità come un assoluto: l’ultimo era Robert Spaemann, morto a novantun anni il 10 dicembre 2018, il quale, guarda caso, è stato un filosofo cattolico, ma non alla Karl Rahner, bensì alla san Tommaso d’Aquino. Ora parlano tutti, al massimo, della coerenza logica del linguaggio, dei significati dell’ermeneutica: ed ecco sedere in trono, sull’Olimpo dei pensatori, dei pensatori lillipuziani come Umberto Eco, il quale, in quanto re della semiologia, è stato considerato, per forza di cose, anche imperatore dell’ermeneutica. Ed è in queste idee, in questa concatenazione di premesse discutibili e di conclusioni ancor più dubbie, che germoglial’albero del dialogo, il quale è talmente cresciuto nel giardino della teologia, da soffocare tutte le altre piante e da imporsi come il solo, il vero, insomma come il nuovo Albero del Bene e del Male. Se la civiltà moderna si caratterizza come la civiltà del dialogo, come potrebbe il cattolicesimo adulto e aggiornato non porsi come la religione del dialogo? Peccato solo che, a forza di dialogare con questo e con quello, si è dimenticato che cosa sia. Ma anche questo, in effetti, era logico che avvenisse: se l’essere è, in definitiva, nient’altro che la manifestazione del linguaggio, allora come non trarre la conclusione che il vero cristianesimo è dialogo: dialogo con tutti, ma soprattutto dialogo con l’altro, dialogo col diverso, e quindi col non cattolico e col non cristiano? Il falso ecumenismo e il falso dialogo interreligioso, i frutti più velenosi del Concilio Vaticano II, dovuti, a loro volta, al falso principio della libertà religiosa, hanno qui la loro base teorica.

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Abu Dhabi,  4 febbraio 2019, il cerchio si chiude! Come suona bene: civiltà del dialogo! partendo dalla riduzione dell’essere alle funzioni del linguaggio, da parte di un filosofo nazista, si arriva alla fratellanza massonica che stringe in un vincolo zuccheroso e filantropico la chiesa cattolica e i suoi secolari e mai rassegnati nemici; e contemporaneamente, si fornisce la base ideologica per l’invasione islamica e africana dell’Europa, presentata come una ricerca di dialogo e di confronto col diverso, che però è anche simile.

Civiltà del dialogo o civiltà del suicidio?

di Francesco Lamendola
 continua su:
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OSEGHALE HA CERTO SMEMBRATO ALTRE PAMELE. QUANTE E DOVE, NESSUNO DOMANDA

Gli articoli  di quel  che han visto e sentito dai tre medici legali che hanno parlato e spiegato,  sono di poche righe.
Sappiamo che il tossicologo, professor Rino Froldi, ha escluso che Pamela fosse in overdose –   come sostiene l’assassino –  spiegando che “senza più sangue ed urine” [tutto perfettamente  ed accuratamente  dilavato e pulito anche con   la varechina] ha dovuto anche cercare la sostanza stupefacente nell’umor vitreo dell’occhio”.
Il medico legale Antonio Tombolini, che ha condotto la prima autopsia sul corpo a pezzi, “ha parlato del trattamento con varechina sulla pelle e sui genitali  della diciottenne, “finalizzato a cancellare ogni traccia di un precedente rapporto sessuale”.  Incidentalmente viene aggiunto che “i genitali sono stati tagliati via” e poi lavati con    la varechina.
Il nigeriano sostiene che,  appunto, Pamela era già morta quando lui l’ha fatta a pezzi.  Invece “il medico legale  Mariano Cingolani ha dimostrato che le due coltellate al fegato erano state inferte quando Pamela era viva”  – colpendola deliberatamente e con perizia  di esperto e sperimentato omicida.  “La disarticolazione invece è avvenuta dopo la morte”. Meno male, almeno questo.

Una mano così esperta deve essersi esercitata. Molto

La “disarticolazione” è  spiegata  molto rapidamente – come sanno essere delicati i colleghi giornalisti – citando pochissime parole de professor Cingolani. “I  tagli sono precisi, alla schiena ad esempio all’altezza dei dischi, che sono più elastici. Un’opera molto raffinata: io faccio autopsie da 40 anni e lo avrei fatto in modo analogo». Il professore ha aggiunto che “in Italia non ci sono casi di disarticolazione”  prima di questo.
Bisogna cercare articoli di mesi prima per ricordare come il professor Cingolani fosse sorpreso:  “Se per assurdo avesse dovuto fare quest’operazione un medico legale, in un laboratorio e con tutti gli strumenti del caso a sua disposizione, ci sarebbero volute almeno otto ore”.
In Nigeria, un “ritualist” scoperto con corpi di bambini secchi.
Ora, se  il nigeriano  è capace di smembrare il corpo di Pamela in modo così raffinato da meravigliare un perito  settore che fa autopsie da 40 anni, dovrebbe venire da sé la domanda: quante altre volte l’ha fatto, prima,  il negro?  Perché deve aver imparato  certi segreti del mestiere, come tagliare all’altezza dei dischi perché sono più elastici. Una pratica che comporta altre esercitazioni, su altri corpi. In Nigeria, sicuramente. Ma in Italia, quanti? Quanti   altri corpi ha magari fatto a pezzi qui, il negro, per acquistare quella mano e quell’esperienza.
E’ certo  che  non sono state uccise e tagliate a pezzi altre Pamele? Perché non se lo domandano gli investigatori? Se lo domandano i giudici?

Sopire, troncare, sminuire…

Perché in tuta questa storio orribile sembra aleggiare nell’ambiente di Macerata dove Oseghale era proteto, dove la Caritas  gli pagava l’affitto eccetera, un velo protettivo? Perché il GIP, appurato che Oseghale aveva portato i due trollery col corpo da casa sua a qualche chilometro fuori Macerata, ha detto che non c’erano prove che l’avesse uccisa?
Mi sono domandato: se  venissi  sorpreso io, Maurizio Blondet,  mentre porto un cadavere a pezzi  in due valige, non sarei  immediatamente accusato anche dell’omicidio?
E  perché  non sono stati i giornali cosiddetti seri e i tg  mainstream,  ma  il settimanale di cronaca nera “Giallo”  – un giornalaccio,  Dio lo benedica –   a raccontare i particolari più importanti che descrivono tutto un  ambiente?  La storia di  “Patrick”,  vero nome  Mouthong Tchomchoue, del Camerun,  tassista abusivo.  “Quella sera ha prelevato Oseghale in via Spalato alla 22.55. Il nigeriano è sceso da casa con due trolley che ha voluto personalmente caricare in auto, senza che il “tassista” lo aiutasse. Quindi, gli ha detto di portarlo a Tolentino. Qualche chilometro fuori Macerata, però, Oseghale ha detto all’autista di fermarsi, ha scaricato sul ciglio della strada le due valige e s’è fatto quindi riportare a Macerata in via Spalato”.
Lasciare due grossi e pesanti trolley sul ciglio della strada, non è proprio normale. Infatti Patrick il  “tassista” torna lì: per sperare di recuperare qualcosa del contenuto? Secondo il suo stesso racconto, “ha accostato l’auto e aperto uno dei trolley. Ma quando, nel buio e aiutandosi con la luce del cellulare, ha intravisto quella che sembrava essere una mano, è risalito in auto e si è allontanato velocemente”.
Non è andato subito dalla polizia, il camerunese. Quando ha sentito alla tv che un corpo smembrato era stato trovato in due valige, Patrick è tornato sul posto,  ha visto gli agenti al lavoro, e solo allora è andato al commissariato a raccontare  l’accaduto della notte.   Non voleva guai? Aveva paura di Oseghalòe? Semplicemente,   se   ne infischia? O magari non è poi così  insolito,  nei dintroni di Macerata, trovare valige sui cigli con dentro altre Pamele?
Già. Se l’è chiesto anche l’avvocato Marco Valerio Verni, che è lo zio di Pamela oltre che il legale della famiglia Mastropietro: “Perché lasciare  i trolley con i suoi resti sul ciglio della strada, dove chiunque li poteva vedere?”. Oseghale li ha lasciati lì perchè qualcun altro sarebbe dovuto passare a prenderli e poi così non è stato? Oppure, si tratta di un avvertimento a qualcuno? E nel caso, a chi?”. Domande  –  ha scritto Libero  –  che suggeriscono il sospetto da parte di Verni che  in realtà la vicenda non sia chiusa qui per quanto riguarda il numero di persone coinvolte, e che ci siano altre persone che quantomeno erano informate di quel che è accaduto in quell’appartamento di Macerata”.
Il camerunese ha testimoniato “che durante il viaggio d’andata con le valige, Oseghale ha fatto una telefonata in inglese, mentre sulla via del ritorno a Macerata dopo aver lasciato le valige ha parlato, sempre al telefono, con  una donna”. Sarà  stata identificata quella donna? E quello con cui  parlava in inglese?
Perché  in questo orrore sembra siano in atto sforzi per restringere, limitare al mero necessario l’indagine e i coinvolti, anziché allargare  l’inchiesta? E’  certo che Oseghale si vanta di essere il capo della mafia nigeriana, setta Black Cat, e in carcere  al compagno di cella (informatore della polizia) ha promesso: : “Ti do centomila euro se testimoni che sai che Pamela è morta di overdose. I soldi arriveranno da Castelvolturno, tramite gli avvocati”».
Magari  a Castelvolturno ci sono altri specialisti della disarticolazione?  Altre  Pamele fatte a pezzi? Perché la tecnica raffinata di Oseghale dice che l’ha già  fatto, e tante volte. Perché  non si ha urgenza di sapere quante? Perché a Castelvolturno i nigeriani  “sotto gli occhi di tutti, gestiscono soldi, prostituzione, armi, droga e, secondo alcuni, anche il traffico di organi”? Organi?
Non vorrei che questa restrizione  mentale degli inquirenti, questa laconicità e riduzione del processo al solo Oseghale per un solo omicidio-smembramento,  mentre la sua perizia ci dice che ne ha fatto chissà quanti altri, dipenda dal voler nascondere all’opinione pubblica la dimensione enorme e mostruosa del fenomeno   – perché il fenomeno  l’hanno importato i governi Renzi e Gentiloni, e perché  si sa,  gli italiani “sono razzisti” ,  “anti-immigrati”,  e non devono essere eccitati  in questi loro  negativi sentimenti.  Mi viene questa idea, perché  abbiamo tutti visto lo sforzo enorme dei  progressisti che controllano tv, radio e giornali, di imporre un linguaggio, come dire?, castigato e politicante corretto non dare adito a “percezioni” deplorevoli negli italiani fon troppo inclini al razzismo  – e perciò a votare Salvini.
Dico questo perché  ssecondo un noto giornaliista radio-televisivo, la  tentata strage dei 51 bambini doveva essere raccontata così: “Autista  squilibrato crea code sulla Paullese. Non altro”, essendo la notizia vera da diffondere “il nostro ministro dell’Interno  è razzista”.












Questi giornalisti pretendono di plasmare e torcere la nostra “percezione” . E in Tv, alla radio, nei giornali, lo fanno .
Il sottoscritto modestamente si unisce all’appello dello zio di Pamela, l’avvocato Verni:

Pamela. La famiglia pubblicherà foto: “Il Parlamento deve vedere, è una nuova forma di criminalità”.

Un’udienza a porte chiuse per decisione del presidente della corte Roberto Evangelisti, con l’ammissione solo delle parti, dei familiari e dei giornalisti, perché era prevista la visione di immagini choc.  [….]
Le foto hanno permesso ai consulenti della procura, i medici legali Antonio Tombolini e Mariano Cingolani e il tossicologo Rino Froldi, di mostrare le lesioni e chiarire le circostanze del decesso. Il dottor Tombolini  ha parlato del trattamento con la varechina sulla pelle e sui genitali della ragazza «finalizzato a cancellare ogni traccia di un precedente rapporto sessuale».
Il medico legale Mariano Cingolani ha dimostrato che le due coltellate al fegato erano state inferte quando Pamela era viva; la disarticolazione invece è avvenuta dopo la morte. Nessuna overdose, come chiarito dal tossicologo Rino Froldi: l’eroina era quasi del tutto smaltita. Senza più sangue né urine, perché i genitali erano stati tagliati e lavati con la varechina, il prof Froldi ha rintracciato la sostanza «nell’umor vitreo dell’occhio, che dà livelli analoghi a quelli del sangue sulla presenza della sostanza  […]
«In Italia non ci sono casi di disarticolazione – ha aggiunto il professor Cingolani –. I tagli sono precisi, alla schiena ad esempio all’altezza dei dischi, che sono più elastici. Un’opera molto raffinata: io faccio autopsie da 40 anni e lo avrei fatto in modo analogo».
Una maglietta rossa per i migranti, contro l’emorragia di umanità“. Roberto Saviano, Corriere della Sera.

FARE I BUONI CON I SOLDI DEGLI ALTRI – BANCA ETICA HA DATO 460MILA EURO DI FINANZIAMENTO ALLA ONG














FARE I BUONI CON I SOLDI DEGLI ALTRI – BANCA ETICA HA DATO 460MILA EURO DI FINANZIAMENTO ALLA ONG “MEDITERRANEA” PER COMPRARE LA “MARE JONIO”, MA NON CONCEDEVA PRESTITI AI CORRENTISTI – A FARE DA GARANTI C’ERANO NICHI VENDOLA E NICOLA FRATOIANNI, ALL’INSAPUTA DEI CLIENTI, CHE ORA SI INCAZZANO.
A PAGARE IL CONTO C’ERA BANCA ETICA
Carlo Tarallo per “la Verità”
luca casariniLUCA CASARINI
Non è stata una giornata da ricordare, quella di ieri, per Banca Etica. L’istituto bancario cooperativo, la «banca dei buoni», che dovrebbe promuovere progetti sociali, che ha nello statuto come principi fondativi, «trasparenza, partecipazione, equità, efficienza, sobrietà, attenzione alle conseguenze non economiche delle azioni economiche, credito come diritto umano», ha finanziato con 460.000 euro la Ong Mediterranea saving humans, affinchè potesse acquistare la nave Mare Jonio.
Più precisamente, Banca Etica ha finanziato il «nucleo promotore» della Ong, composto (si legge sul sito della banca) da singole persone e associazioni come l’ Arci e Ya Basta di Bologna, altre Ong come Sea Watch, il magazine online I Diavoli, imprese sociali come Moltivolti di Palermo. A proposito di Sea Watch, sulla Mare Jonio c’erano anche un ingegnere e capo macchina, un soccorritore e un operatore video imbarcati in precedenza sulla nave olandese della Ong tedesca, spesso protagonista di estenuanti tira e molla con il governo italiano.

NAVE MARE JONIO DELLA ONG MEDITERRANEA

 AL LARGO DI LAMPEDUSA
La Mare Jonio è la nave che, dopo un braccio di ferro di qualche ora con il governo italiano, l’ altra sera ha sbarcato a Lampedusa i 49 extracomunitari che aveva raccolto al largo delle coste della Libia e che, subito dopo, è stata sequestrata su ordine della Procura di Agrigento, che indaga per favoreggiamento dell’ immigrazione clandestina.
Sostanzialmente Banca Etica ha anticipato un mare di soldi alla Ong, fidandosi delle garanzie offerte dall’ ex governatore della Puglia, Nichi Vendola, e da tre parlamentari: Nicola Fratoianni ed Erasmo Palazzotto (Sinistra italiana) e Rossella Muroni (Liberi e uguali). Successivamente il crowdfunding, gestito sempre da Banca Etica, ha consentito alla Ong di raccogliere circa 600.000 euro attraverso donazioni, e dunque il debito con l’ istituto può essere ripagato.
I 460.000 euro dati alla Ong Mediterranea saving humans, badate bene, sono stati concessi con la formula del «fido a revoca», che, non avendo scadenze definite, permette una gestione flessibile del rientro. «Si è trattato», spiegava tutto contento lo scorso 25 ottobre al sito Valori.it. il vicedirettore di Banca Etica, Nazzareno Gabrielli, «sostanzialmente di anticipare la raccolta fondi che potevano mettere in campo gli organizzatori per sostenere il progetto. E il business plan si chiude con le donazioni. Senza dimenticare che, a fronte di questo utilizzo di denaro, la nave è un bene reale che rimane. Un asset, con un suo valore», aggiungeva Gabrielli, «che quindi può essere venduto per reimmettere dei fondi nel progetto».
Un asset che però ora è sotto sequestro, con tutte le conseguenze del caso. Non solo: bisognerebbe riflettere su quanti piccoli imprenditori, quante famiglie, quanti operatori sociali, sono in grado di presentarsi a uno sportello di Banca Etica e farsi prestare sull’unghia mezzo milione di euro, con la formula del «fido a revoca».
Non è piaciuta ai correntisti e ai sostenitori di Banca Etica la scelta di imbarcarsi è il caso di dirlo, in una avventura così rischiosa dal punto di vista economico. Ieri sulla pagina sulla Facebook dell’istituto fioccavano commenti critici, e uno su tutti ha colpito la nostra attenzione. «Ho aperto il conto», scrive Mariarosa, «alla Banca Etica 12 o 13 anni fa, ma quest’ anno l’ ho chiuso. Ho chiesto 5.000 euro di prestito dando in garanzia un immobile valutato 150.000, ma non e stato possibile in alcun modo ottenerlo». «Non sei», le risponde Stefano, «una Ong che favorisce l’ immigrazione clandestina, quindi non puoi avere il tuo prestito!».
2 – CHI FINANZIA I BARCAROLI
Filippo Facci per “Libero Quotidiano”
mare jonio nave ongMARE JONIO NAVE ONG
«Ciao amico! Naviga con noi! Sostieni Mediterranea Saving Humans, aderisci al crowdfounding, finanzia la barca “Mare Jonio” che se ne fotte della legge, delle autorità e che si fa guidare da simpatici pregiudicati come Luca Casarini! Contatta “Banca etica” che ha organizzato il crowdfounding (va bene, non sai che cazzo è un crowdfounding: in pratica devi mandarci dei soldi) e che ha già concesso un prestito di 465mila euro!

Tutti soldi presi da 41mila correntisti che di Casarini e dell’ immigrazione illegale magari non sapevano un accidente, certo, ma ora sono tutti felici di ritrovarsi in compagnia di Nichi Vendola, dell’ Arci, della celebre associazione “Ya Basta” di Bologna, dell’ Ong tedesca Sea watch oltre all’ attuale sottosegretario all’ Economia Laura Castelli e un’ altra quindicina di parlamentari grillini! Tutti nella stessa banca, anzi barca, che festa! Ti aspettiamo! Mandaci i soldi, pirla!». Questa è la versione semiseria.
La versione seria è uguale. Più o meno uguale. La nave Mare Jonio che ha «salvato» 49 migranti (che li ha fatti espatriare illegalmente) è un’ invenzione finanziaria di Banca Etica, un istituto di credito popolare in forma di cooperativa che agisce «nel rispetto delle finalità di cooperazione e solidarietà» (lo si legge nel loro sito) e dove per esempio ogni conto corrente, contrattualmente, sostiene in quota anche la ong Medici senza Frontiere.
In pratica, questa banca ha anticipato circa 460mila euro alla Mediterranea Saving Humans, altra ong nata appena nel giugno scorso e che ha operato a partire dal 3 ottobre. La stessa banca ha poi organizzato un crowdfunding che in pratica sarebbe una colletta, ma che oggi usa definirsi «processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni».







Nel sito della banca si legge che «il fido è anche garantito da garanzie personali prestate da alcuni parlamentari», e il testo d’ invito recitava: «Regala miglia di navigazione a Mediterranea… entro 24 ore riceverai per email il bellissimo calendario delle maree Quella di MCerto. Questa colletta, comunque, portò a raccogliere 586mila euro (l’obiettivo era 700mila) che bastarono per la barca e soprattutto l’ exploit dell’ altro giorno. Sulla carta (anzi, sul web) la banca rende pubblici i finanziamenti erogati, ma i dettagli – se le violazioni di legge sono dettagli – i soci li apprendono a cose fatte.editerranea è un’ azione di disobbedienza morale ma di obbedienza civile».
Certo. Questa colletta, comunque, portò a raccogliere 586mila euro (l’obiettivo era 700mila) che bastarono per la barca e soprattutto l’ exploit dell’ altro giorno. Sulla carta (anzi, sul web) la banca rende pubblici i finanziamenti erogati, ma i dettagli – se le violazioni di legge sono dettagli – i soci li apprendono a cose fatte.
Quindi è a cose fatte che hanno appreso di avere Luca Casarini, ormai, come loro più noto testimonial: uno spot che per la legge dei numeri porterà molti soci a schierarsi automaticamente con Matteo Salvini anche se avesse proposto di cannoneggiare la Mare Jonio.
I soci, comunque, sono circa in 41mila tra società (16 per cento) e singoli individui (84 percento, 34mila persone fisiche) e non sono solo italiani: molti sono spagnoli e tutti, in teoria, dovrebbero condividere le aree di finanziamento, compreso quindi il «soccorso» dei migranti con biglietto di sola andata.
Alcuni degli aderenti a questa banca li abbiamo citati, e potremmo aggiungere realtà del calibro del magazine online «I Diavoli» o imprese sociali come «Moltivolti» di Palermo, ma un posto speciale ce l’ ha indubbiamente il Movimento cinque stelle: utilizzò proprio quell’ istituto, a suo tempo, anche per la nota sceneggiata di restituzione di soldi allo Stato con assegni giganti inquadrati dalle telecamere. Insomma: la banca che ha fottuto metà del governo (la Lega) è la banca dell’ altra metà del governo (i grillini).
Sul sito di Banca Etica si apprende che «la nave ha l’ obiettivo di svolgere attività di monitoraggio, testimonianza e denuncia della drammatica situazione che quotidianamente vede donne, uomini e bambini rischiare la propria vita, attraversando il Mediterraneo centrale, nell’ assenza di soccorsi generata dalle recenti politiche italiane ed europee».
Evidentemente il monitoraggio comprende la forzatura di blocchi navali e la disobbedienza alle forze dell’ ordine, ma si vede che sono forzature e disobbedienze etiche. E comunque, la banca, si è formalmente limitata a concedere un prestito. Del resto il vicepremier Luigi Di Maio, nell’ ottobre scorso, disse che la nave «è una sentinella civica, nient’ altro».
S’ è visto.
PD E CINQUE STELLE
luca casariniLUCA CASARINI
Tra i dettagli, ora, c’è che i soci di Banca Etica potrebbero rischiare di aver finanziato eventuali contatti di Luca Casarini con i trafficanti nonché un’operazione finalizzata a creare un caso politico alla vigilia del voto sull’autorizzazione a procedere di Palazzo Madama: queste, almeno, le accuse mosse apertamente dal Viminale. Nel sito di Banca Etica si legge che ai soci è garantita «massima trasparenza su come sarà gestito il risparmio raccolto», «escludendo impieghi in settori che possono non essere consoni ad una visione etica dell’ impiego del denaro».
Traduzione: niente fondi d’ investimento con aziende che magari inquinano o commerciano armi, e però è spuntato mezzo milione di euro per l’ immigrazione clandestina di 49 libici (fanno circa 12mila a cranio) sotto l’ occhio attento – perbacco – dell’Ethical Screening, cioè un comitato di selezione etica degli investimenti fatti utilizzando «un portafoglio selezionabile dai clienti dell’ istituto bancario sulla base di giudizi etici». Etica ovunque. Sarà per questo che un paio d’ anni fa 53 deputati del Pd, di Sinistra italiana e dei Cinque Stelle si sono battuti per inserire agevolazioni alla «finanza etica» nella legge di bilancio.

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