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domenica 26 maggio 2019

Duc in altum!

CRISTIANESIMO E PASSIONI UMANE


Il cristianesimo reprime le passioni umane? Anche Gesù non era affatto privo di passioni: il cristianesimo non ti chiede né di votarti all’infelicità, né di sacrificare le tue passioni ma di spostarle verso l’alto e purificarle 
di Francesco Lamendola  

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Una delle accuse più frequenti che i suoi nemici rivolgono al cristianesimo è quella di essere nemico delle passioni umane, di volerle reprimere e, quindi, di essere contrario alla stessa natura dell’uomo, visto che l’animo umano è pieno di passioni e visto che la parolarepressione, da Freud in poi, ha assunto, nell’immaginario collettivo, una risonanza sinistra, è diventata sinonimo di nevrosi e dunque di attentato all’equilibrio psicofisico della persona. Ma è proprio vero che il cristianesimo è nemico delle passioni? Non lasciamoci trasportare dai sentito dire, ma cerchiamo di comprendere come stia realmente la cosa, con un esame – è il caso di dirlo – spassionato. E prima di tutto: che cos’è una passione? Una passione è un forte moto dell’anima, uno slancio possente verso qualcosa, che la ragione non riesce a filtrare e a dominare interamente, o che non ci prova neppure, perché esso precede i ragionamenti e non ha la buona educazione di attendere l’assenso della parte razionale.


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Il cattolico deve portare le sue passioni sul piano spirituale e convogliarle tutte verso Dio: cercando di essere perfetti, come è perfetto il Padre vostro nei cieli. Per Gesù la perfezione consiste in questo: nel mortificare al massimo ciò che di egoistico, di meschinamente individuale, di grossolano e d’insaziabile c’è nel nostro io, per poter portare alla massima realizzazione la nostra natura di persone umane, in quanto creature di Dio, che cercano Dio e si realizzano solamente in Lui, perché pensate, create, amate a somiglianza di Lui!

Non abbiamo detto nulla del lato morale: e infatti una passione può esser buona o cattiva, a seconda dell’oggetto verso cui è diretta e a seconda delle forme che assume. Essa è cattiva in se stessa, quando l’oggetto è sbagliato, o immorale, o distruttivo; è cattiva nei modi, quando assume forme sbagliate, immorali o distruttive. Può essere anche buona, anzi addirittura santa, quando è perfettamente buono l’oggetto; ma, anche in questo caso, può deviare dal suo fine se assume forme sbagliate, e allora diviene cattiva, ma non in se stessa, bensì per la maniera in cui si sviluppa. La passione di vedere la propria società ordinata e felice è senz’altro buona, ma può prendere una cattiva piega se, in essa, il gusto del potere prende il sopravvento, e così una nobile utopia si trasforma in una cupa smania di tiranneggiare. Pertanto, a ben guardare, vi sono almeno quattro tipi di passioni:

a) quelle del tutto buone, perché è buono sia il fine, sia il modo;
b) quelle del tutto cattive, perché sono cattivi sia il fine, sia i modi;
c) quelle miste, perché è buono il fine, ma cattivi i modi;
d) quelle miste, perché sono buoni i modi, ma cattivo il fine.

Considerate sotto un altro punto di vista, le passioni possono essere carnali o spirituali: non riguardo all’oggetto (perché esso può sembrare, in apparenza, spirituale, ma essere in realtà carnale, come nel caso dalla vita consacrata, quando è segretamente minata dal demone dell’ambizione), ma riguardo alla relazione del soggetto con se stesso. Allorché l’io desidera uscire da sé, superarsi, perfezionarsi, allora la passione è spirituale; quando l’io vuole gratificarsi, gonfiarsi, potenziarsi, la passione è carnale. L’uomo spirituale è quello che tende a spogliarsi del fardello dell’io, perché sente che quella è la strada del vero bene e dell’autentica realizzazione di sé; l’uomo carnale è colui che vorrebbe dare sempre nuovo alimento al proprio io, fornirgli sempre nuovo combustile per ardere nella sua concupiscenza, convinto che non c’è altro da fare, nella vita, per strapparle il massimo del piacere e della soddisfazione.

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Anche Gesù non era affatto privo di passioni: il cristianesimo non ti chiede né di votarti all’infelicità, né di sacrificare le tue passioni ma di spostarle verso l’alto e purificarle!

La cultura moderna, simile a quella antica - e infatti la cultura moderna è una variante tecnologica e scientista del paganesimo classico – non accetta questo schema, perché sostiene che le passioni non hanno niente a che fare con la morale; e che una passione, per il fatto stesso di seguire un impulso naturale, è buona; mentre la sola cosa cattiva è il fatto di misconoscerla, calunniarla e reprimerla. La prima di queste tre affermazioni è, almeno in parte, vera, la seconda e la terza sono false. Le passioni, in se stesse, sono qualcosa di extra morale; però, nella vita dell’uomo, tutto acquista una valenza morale, perché la capacità di distinguere il bene dal male è proprio la qualità essenziale della natura umana. Pertanto, se è vero che una passione sorge in maniera spontanea, prima di ogni discriminazione fra il bene e il male, è altrettanto vero che la vita dell’uomo si caratterizza proprio per la capacità di discriminare: chi non la attua in se stesso è, per forza di cose, un potenziale criminale. L’unica maniera di superare la difficoltà, senza contestare la premessa, è dichiarare che l’uomo è buono per natura, e che le sue passioni, finché sono istintive e non guastate dalla ragione, non possono che essere buone: è il modo di pensare di Rousseau, ed è spaventosamente sbagliato, né lui si è mai preso il disturbo di darne una qualunque dimostrazione. Sta di fatto che una simile opinione ha fatto molta strada ed è il sottofondo della mentalità contemporanea, specie nella versione del politicamente corretto: le legislazioni degli Stati moderni e le direttive e le raccomandazioni dei grandi organismi internazionali, come l’UNESCO, partono, press’a poco, da una simile premessa: che l’uomo è buono per natura e che quindi ha il diritto di espandere liberamente la propria personalità, di attuare i suoi desideri, di inseguire tutti i suoi sogni (anche se fossero incubi, specie per ciò che riguarda il prossimo). Al contrario, anche se è vero che le passioni sono, di per sé, pre-morali (inclusa la passione per Dio: si pensi ad Abramo, pronto e disposto a sacrificargli il figlio Isacco), è proprio dell’uomo imprimere loro una direzione secondo la legge morale, inibendosi quelle sbagliate o aberranti, e promuovendo in se stesso quelle buone e positive. In altre parole: l’uomo essendo sia una creatura morale, sia una creatura ragionevole, anzi essendo una creatura morale perché è una creatura ragionevole, ne consegue che non ha il diritto di coltivare se non le passioni che trovano l’assenso della ragione e della morale. Vi sono passioni mortifere, diaboliche: l’uomo deve inibirsele, senza “se” e senza “ma”. Le passioni del sadico, ad esempio, non devono trovare libero sfogo, perché vanno contro la legge morale e anche contro la ragione: infatti, una società nella quale potessero sfrenarsi liberamente, correrebbe verso l’autodistruzione, il che sarebbe sommamente irrazionale.

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Gilbert K. Chesterton (1874-1936).

A questo punto possiamo porci la domanda che facevamo all’inizio: il cristianesimo, e specialmente il cattolicesimo, è colpevole di essere nemico delle passioni? Una delle riflessioni più acute in proposito non è stata fatta da un santo, né da un teologo, né da un padre della Chiesa, ma da un semplice laico; da uno scrittore che oggi tutti ricordano per aver creato un personaggio simpatico di prete investigatore, Padre Brown, e non sanno che identificare l’autore con questo personaggio è gravemente riduttivo nei confronti del primo: Gilbert K. Chesterton (1874-1936). Questi possedeva un ingegno eminentemente filosofico e, se avesse deciso di sviluppar questa parte della sua intelligenza, avrebbe potuto scrivere cose notevoli; preferì invece puntare sul romanzo e sul racconto (scrisse addirittura un centinaio di opere, come un novello Balzac, ma questo il grande pubblico lo ignora), per veicolare la medesima concezione dell’uomo, quella che gli veniva dalla convinta adesione al cattolicesimo. Molti non sanno che fu anche un appassionato studioso della dottrina sociale della Chiesa e che fu un convinto assertore del distributismo, una filosofia economica caduta pressoché nell’oblio, specie da quando la “chiesa” contemporanea, convertita al modernismo e alla massoneria, ha praticamene sposato la visione marxista, sia pure porgendola ai fedeli nelle forme ingannevoli e demagogiche di una generica ed emozionale “chiesa dei poveri” che non è, purtroppo, la vera Chiesa di Gesù Cristo. Fin dal 1905, molto prima della conversione al cattolicesimo (che è del 1922), Chesterton aveva già pienamente aderito al cristianesimo, respingendo le tentazioni dello scetticismo, con un libro coraggioso,Eretici, nel quale denunciava i cattivi maestri del suo tempo, intellettuali che andavano per la maggiore e che la critica idolatrava; poi, per rispondere all’accusa di non aver saputo proporre un’alternativa all’irreligiosità e al materialismo, scrisse, nel 1908, Ortodossia, che è più di una apologia del pensiero e della morale cristiani, è un vero e proprio trattato filosofico con il quale egli dimostra che l’uomo, e specialmente l’uomo moderno, può trovare nel cristianesimo tutto ciò che può renderlo felice e realizzato, e che non troverà mai in nessun’altra concezione della vita.

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Le passioni mortifere e diaboliche: l’uomo deve inibirsele, senza “se” e senza “ma”. L’uomo essendo sia una creatura morale, sia una creatura ragionevole, anzi: "Essendo una creatura morale perché è una creatura ragionevole", deve coltivare solo le passioni che trovano l’assenso della ragione e della morale!


Il cristianesimo reprime le passioni umane?

di

Francesco Lamendola
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