La verità non esiste o è molteplice? Chi avversa la verità confuta se stesso! L’essenza della nostra struttura ontologica è l’apertura verso "la Verità dell’Essere"; come l’essenza della "natura di Dio" è il dono gratuito di Sé
Francesco Lamendola
Ci sono due maniere di parlare della verità, che sono come due facce della stessa medaglia. La prima consiste nel mostrare che essa è raggiungibile da parte dell’uomo - una verità assoluta, beninteso, e non una verità parziale e incompleta - secondo la sua esperienza e secondo l’evidenza stessa delle cose. In realtà, se noi possiamo continuare a vivere in un mondo relativamente ordinato, nel quale la dimensione del sogno, della fantasia e dell’illusione interferisce, sì, qualche volta, con quella della realtà, ma non al punto da sostituirsi ad essa, o da poter facilmente essere scambiata per essa, ciò dipende dal fatto che l’esperienza degli uomini e l’evidenza delle cose si sono sempre mostrate più che sufficienti a garantire la continuità, l’ordine e la coerenza del mondo in cui viviamo, cominciando dal linguaggio, che è l’espressione dei nostri pensieri e sentimenti, e proseguendo con le conquiste dell’arte, della scienza e della filosofia, grazie alle quali ci siamo emancipati dalla schiavitù di un mondo inquietante, nel quale nulla è come sembra e niente può essere detto con certezza, perché niente di certo esiste. La seconda maniera di parlare della verità è mostrare l’assoluta inconsistenza e la piena e irrimediabile contraddizione in cui cadono senza scampo i suoi detrattori e i suoi negatori. Quanti dicono che la verità non esiste, non è raggiungibile, non è esprimibile, evidentemente non riflettono abbastanza sul fatto che le loro affermazioni sono tutte basate sul presupposto che la verità esiste, e che è una verità piena e assoluta, certa e incontrovertibile: la verità non esiste; oppure: la verità è molteplice e mutevole.
L’essenza della nostra struttura ontologica è l’apertura verso la Verità dell’Essere; come l’essenza della natura di Dio è il dono gratuito di Sé…
Si tratta di affermazioni nette, recise, univoche e con pretese di oggettività. Vale a dire che esse, se vanno prese sul serio, significano che almeno una cosa è assolutamente certa, vera ed evidente, e cioè che la verità non esiste o che non è raggiungibile o che non è esprimibile. E anche se si tratta di affermazioni in negativo, di negazioni precise e dirette, pure, in quanto sono precise e dirette, sono anche delle affermazioni: delle affermazioni di altrettante negazioni. Pertanto sono intrinsecamente contraddittorie. È come quando si dice: tutti gli uomini sono bugiardi, tranne Socrate. Ma allora, se Socrate non è bugiardo, e tutti gli altri sì, ciò significa che qualcuno, che non è Socrate, ha detto almeno una cosa vera, ossia che tutti gli uomini sono bugiardi, ma non Socrate. Questa è una cosa vera, una certezza positiva: ma come possiamo prenderla sul serio, se partiamo dal presupposto che tutti gli uomini, tranne Socrate, non fanno altro che mentire? Questa è una contraddizione senza scampo: o tutti gli uomini sono bugiardi, tranne Socrate, e allora la frase: tutti gli uomini sono bugiardi, meno Socrate, è falsa; oppure quella frase è vera, e allora possiamo stare certi che almeno un altro uomo, oltre a Socrate, non mente, o che per una volta non ha mentito. Ma le due cose si escludono vicendevolmente perché abbiamo detto che tutti gli uomini, non quasi tutti, mentono (a parte Socrate): o è vera una, o è vera l’altra, non possono esserlo entrambe nello stesso tempo.
I filosofi, da molto tempo, hanno gettato la spugna e hanno smesso di occuparsi, in senso positivo, della questione della verità: hanno accettato silenziosamente di piegarsi all’ultimatum dello scetticismo e del relativismo; e lo hanno fatto con cattiva coscienza, perché non si sono battuti, non hanno affrontato la sfida, ma hanno subito la minaccia e se la sono data a gambe come conigli!
Gli uomini sani e normali sono realisti per istinto e per necessità. Sarebbe impossibile vivere in un mondo aleatorio e inafferrabile; in ogni caso, ciascuno sente che il realismo è la maniera logica e normale di porsi di fronte al mondo, alla res, alla cosa che si ha di fronte. E anche se sappiamo, o comprendiamo col ragionamento, che la cosa non è la stessa cosa della nostra percezione, perché la cosa in sé non coincide con la cosa nel suo manifestarsi, pure sentiamo anche, e comprendiamo mediante il ragionamento, che la nostra percezione non si discosta sostanzialmente dalla realtà della cosa, perché, se così fosse, nulla potremmo dire di certo e ogni nostra aspettativa poggerebbe sul niente. Dovremmo dubitare sempre di tutto, e questo ci renderebbe impossibile la vita; inoltre, potendo e volendo fare la verifica, ci accorgeremmo, nella stragrande maggioranza dei casi, che il nostro dubitare era ozioso e gratuito. Noi non abbiamo motivo di dubitare della realtà del tempo ogni volta che vogliamo sapere che ora è o in che giorno siamo; né abbiano ragione di dubitare quando formuliamo il giudizio che il semaforo è rosso, oppure verde, o che una margherita non è una rosa, o che una tigre non è una pecora: perché solo in casi rarissimi, essendo confusa la nostra percezione o essendo alterata la nostra coscienza, possiamo cadere nell’errore grossolano di scambiare una cosa per un’altra, un tempo per un altro, un luogo per un altro. Se così non fosse, nessun treno partirebbe mai, nessuna nave, nessun aereo, perché la gente dubiterebbe di arrivare mai al luogo desiderato, nei tempi desiderati; non ci sarebbe il lavoro, né l’educazione, né la cura delle malattie, né lo studio della natura, né quello della storia, né la filosofia, né la fede in Dio: non ci sarebbe nulla di nulla, e la nostra esistenza sarebbe una via di mezzo fra il manicomio e l’inferno. Ricordiamo la definizione classica della verità: adaequatio rei et intellectus, corrispondenza fra la cosa e il giudizio: dunque, la verità non consiste nella pretesa di giungere fino al cuore delle cose, ma nella ragionevole certezza che è possibile cogliere le cose nella loro realtà, ossia vederle così come sono e non già come non sono.
L’uomo è un "Essere-per-la verità": è capace di arrivare alla verità, alla verità assoluta, con un grado certezza assoluta. Ciò, ad esempio accade con le verità della matematica: 2+2 fa sempre 4, non esistono eccezioni!
Queste considerazioni di puro buon senso pongono sul tappeto una questione di carattere più generale e di portata decisiva: se i nostri sensi e la nostra mente sono fatti in modo tale da cogliere naturalmente la verità delle cose, e solo in condizioni patologiche, o comunque particolari, possono commettere degli errori significativi, allora ciò significa che l’essere umano è un essere-per-la-verità e non un essere-per-l’ignoranza o un essere-per-la-menzogna. Questa è una conseguenza importantissima, e ce lo attesta l’esperienza: la verità che cerchiamo è possibile, è alla nostra portata, è nell’ordine delle cose: dunque, noi non siamo fatti per ingannarci sistematicamente, né abbiamo ragione di dubitare di tutto. Questa sospettosità cronica è indice di una malattia: la malattia della modernità. Amleto e don Chisciotte, i primi due uomini veramente moderni, hanno un rapporto conflittuale con la verità: Amleto dubita di tutto, anche di se stesso, mentre don Chisciotte non dubita di nulla, però s’inganna su tutto, e quindi, seguendo una via opposta, giunge altrettanto lontano di Amleto dalla verità. Non che il vecchio e saggio Prospero, nella Tempesta, che è il testamento morale e intellettuale di Shakespeare, la pensi poi tanto diversamente dal giovanile e impulsivo Amleto: Noi, dice proprio alla fine,siamo fatti della stessa sostanza dei sogni. Ed ecco perché i filosofi, da molto tempo, hanno gettato la spugna e hanno smesso di occuparsi, in senso positivo, della questione della verità: hanno accettato silenziosamente di piegarsi all’ultimatum dello scetticismo e del relativismo; e lo hanno fatto con cattiva coscienza, perché non si sono battuti, non hanno affrontato la sfida, ma hanno subito la minaccia e se la sono data a gambe come conigli. Col risultato che hanno creato il deserto e hanno avvelenato i pozzi. Le nuove generazioni trovano solo sabbia e pozzi prosciugati o avvelenati, come se la loro sete di verità fosse stata ipotecata in maniera gravissima dai loro deboli e pusillanimi padri.
La sospettosità cronica è indice di una malattia: la malattia della modernità. Come Amleto che dubita di tutto, anche di se stesso. Non che il vecchio e saggio Prospero, nella Tempesta, che è il testamento morale e intellettuale di Shakespeare, la pensi poi tanto diversamente dal giovanile e impulsivo Amleto: Noi, dice proprio alla fine, siamo fatti della stessa sostanza dei sogni!
Scriveva il filosofo tedesco Walter Kern nel suo saggio L’uomo e la filosofia (in: A.A.V.V., L’Universo. Sua formazione e sua interpretazione; titolo originale: Weltall, Weltbild, Weltanschauung. Ein Bildungsbuch, Würzburg, Echter Verlag, 1958; traduzione di L. Pezzetta e L. Peano, Alba, Edizioni Paoline, 1965, pp. 191-192):
Mentre ci disponevamo a battere la strada della verità, incontrammo delle persone che volevano distoglierci energicamente dall’impresa. Gli scettici dicono che la verità non esiste, i relativisti affermano che non esiste verità assoluta, valida per tutti. La migliore risposta a favore della verità assoluta, l’abbiamo nel fatto stesso che la stiamo battendo con successo. Finora ci siamo riusciti. Abbiamo scoperto che le fonti della conoscenza si trovano nella nostra esperienza (dalla quale vengono attinti i concetti) e nell’evidenza dei rapporti di necessità dell’essere. Esperienza ed evidenza ci consentono di partire dai dati immediati ed evidenti per arrivare a un regno di conoscenze varie e grandiose, fra le quali predomina la conoscenza filosofica di Dio. Questa via della verità è la via del vero realismo (=oggettività; dal latino: “res”=oggetto). Questa è la vera via media che per lungo tempo e con fatica è stata cercata dalla filosofia moderna e che si muove fra i due estremi dell’”idealismo razionalista” e dell’”empirismo positivista”.
Agli scettici e ai relativisti possiamo dare un’altra risposta. Essi si contraddicono anche quando sostengono la propria opinione. Lo scettico dice: “la verità certa non esiste”, poi invece crede fermamente che esiste almeno una verità certa, e cioè che la verità non esiste. Quando poi il relativista afferma: “la verità differisce a seconda delle persone o delle classi di uomini” allora egli crede che almeno questa sua affermazione, prescindendo persino da lui che l’ha lanciata, possa valere per tutti e per ogni classe di persone. Non è forse così? Ambedue potrebbero girare e rigirare acutamente la questione, ma non saranno mai in grado di sfuggire a questa intrinseca confutazione della loro opinione ostile alla verità. Per qual ragione? Per il semplice fatto che il nostro pensiero, la nostra parola, il nostro spirito è orientato verso la verità – o per essere più esatti: è diretto alla realtà stessa, alla sua vera percezione. Uno scettico, abbastanza sagace per non capire la propria situazione senza scappatoia, si limitava a muovere “scetticamente” l’indice di qua e di là. Che cosa poteva pensare in quell’istante? Ma non lo potrebbe già indicare il suo indice?! Quando, ovunque e comunque uno parli o pensi: si tradisce sempre – anche contro volontà – l’intima natura del nostro spirito. L’uomo come tale è aperto alla realtà. È una creatura della verità, non del dubbio e della falsità. Il problema sulla verità della nostra conoscenza non è altro, in fondo, che il problema sulla natura dell’uomo.
La relativizzazione e manipolazione della "Verità"? hanno creato il deserto e hanno avvelenato i pozzi. Le nuove generazioni trovano solo sabbia e pozzi prosciugati o avvelenati, come se la loro sete di verità fosse stata ipotecata in maniera gravissima dai loro deboli e pusillanimi padri!
Riassumendo. L’uomo è un essere-per-la verità: è capace di arrivare alla verità, alla verità assoluta, con un grado certezza assoluta. Ciò accade con le verità della matematica (2+2 fa sempre 4, non esistono eccezioni) e con quelle della metafisica, ma anche con alcune verità che sgorgano direttamente dall’evidenza e che dipendono dalle relazioni necessarie nella struttura dell’essere: per esempio, che una cosa non può essere il contrario di se stessa, oppure che un effetto deve avere una determinata causa. Questo non significa che l’uomo possa giungere sempre alla verità assoluta: vi sono molti casi nei quali deve accontentarsi di una verità probabile (non occorre fare la verifica ogni volta, è praticamente certo che una pietra, lasciata nel vuoto, cadrà verso il basso e non verso l’alto) e ritrattabile; se un giorno dovesse verificarsi l’eccezione alla regola, egli dovrà correggere la verità precedentemente formulata. Questo secondo grado di verità corrisponde a una certezza probabile. Infine vi è la semplice opinione: noi, per una serie di ragionamenti e di esperienze, pensiamo che le cose stiano in un certo modo, ma potrebbero anche stare altrimenti. Nella vita pratica, ci accade molto spesso di ricorrere all’opinione, e senza dubbio ci accade non troppo raramente di accorgerci, in un secondo tempo, che bisogna correggerla.
Gli uomini sani e normali sono realisti per istinto e per necessità. Sarebbe impossibile vivere in un mondo aleatorio e inafferrabile; in ogni caso, ciascuno sente che il realismo è la maniera logica e normale di porsi di fronte al mondo!
Chi avversa la verità confuta se stesso
di Francesco Lamendola
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IL BAVAGLIO DELL’AGCOM SULLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE E OPINIONE. MA RVC HA UN’IDEA PARADOSSALMENTE BUONA.
Il 15 maggio scorso l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha varato un regolamento che vorrebbe impedire l’hate speech sui social network ma anche nei media tradizionali. Il titolo è: “Regolamento recante disposizioni in materia di rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione e di contrasto all’hate speech”.
Questa nuova regolamentazione vuole combattere l’utilizzo di “espressioni, immagini, suoni, elementi grafici – quali i titoli e i sottopancia utilizzati per la sintesi di contenuti delle trasmissioni e tutti gli altri contenuti, anche quelli tratti dai social networks o dai messaggi SMS inviati dagli utenti e mandati in onda in sovrimpressione – che possano, in maniera indiretta o diretta, diffondere, incitare, promuovere o giustificare l’odio o forme di discriminazione e intolleranza, offendere la dignità umana o, in casi estremi, che possano portare alla violenza, al disordine e al crimine nei confronti di una persona o di gruppi di persone per motivi di genere, età, orientamento sessuale, classe, etnia, lingua, nazionalità, colore della pelle, origine sociale, credenze religiose, istruzione, affiliazione politica, status personale e familiare, disabilità fisiche e mentali, condizioni di salute e per ogni altro motivo che possa costituire una lesione dei diritti della persona”.
Personalmente, credo che siamo di fronte a un attacco diretto e pericoloso alla libertà di espressione e di opinione; anche perché si tratta di un oggetto criminale – l’hate speech – che sfugge a qualsiasi definizione precisa. E per punire incitamento a violenza o altro mi sembra che già esista il Codice Penale. Nelle dittature le accuse e i reati sono vaghi e imprecisi (“attività antipatriottica, antipopolare”), per consentire l’arbitrarietà. Nelle democrazie tale vaghezza non dovrebbe esistere. Ma forse non siamo più una democrazia. Romana Vulneratus Curia ha un’opinione paradossale su questo argomento, pur vedendo e condividendo tutti i pericoli di questo “Regolamento” stile Minculpop. Leggiamolo.
Ψ
Caro Tosatti, l’editoriale di qualche giorno fa su La Verità di Maurizio Belpietro (“ Tappano la bocca a chi critica islamici, rom, trans e migranti”) è inquietante , ma anche (in un certo senso), paradossale, incoraggiante. Belpietro spiega che l’Autorità Garante per la Comunicazione (AGCOM) ha approvato un regolamento destinato a editori, TV e “social” per porre fine ad espressioni di odio, che incoraggino violenza o intolleranza (e ciò mi piace; anch’io come Belpietro mi associo, sono d’accordo).
Belpietro però insinua che il provvedimento tende a non permettere più giudizi non conformisti su immigrati, rom, gender, musulmani, ecc.; e ciò potrebbe avvenire attraverso la denuncia di associazioni che rappresentano detti gruppi.
Secondo Belpietro ciò rappresenta una censura sulla libertà di stampa e di opinione garantita dalla Costituzione. Sono d’accordo con Belpietro. Ma vorrei leggere questo provvedimento in senso favorevole ai cattolici. Personalmente lo vedo indirizzabile anche a testate come Civiltà Cattolica, Avvenire, Vatican Insider, e ai tweet di Padre Spadaro , ecc. che continuano a infangare, offendere, denigrare i cattolici, e in particolare quelli che definiscono tradizionalisti, ottusi farisei , cattofascisti , ecc. solo perché difendono la Verità e la fede evangelica.
Bene , esorto pertanto la creazione immediata di associazioni di cattolici che provvedano a denunciare le continue offese che riceviamo. Amen”.
RVC
Marco Tosatti
Giugno 2019 11 Commenti --
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