Quella distruttiva ideologia immigrazionista clerico-politica: angioletti nigeriani in escandescenze a Roma? Il ricorso all’uso della violenza più che legittimo è indispensabile di fronte a certe situazioni e soggetti
Da sempre la morale cattolica insegna che devono essere valutate e applicate tutte le condizioni nelle quali l’uso della forza sia non solo necessario, ma indispensabile, vale a dire l’unico praticabile e perseguibile. Se tutti i mezzi civili più ragionevoli e non violenti si riveleranno però non solo inefficaci, ma dovessero persino risultare dannosi sulle persone che dovrebbero essere poste in condizione di non nuocere, a quel punto, il ricorso alla violenza, non solo è legittimo, ma è l’unico praticabile, ed è del tutto doveroso. In caso contrario: a breve ci ritroveremo con bande di immigrati incontrollabili e violenti che daranno vita a guerriglie urbane ….
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Non sono il Cardinale Pietro Parolin né il Cardinale Gualtiero Bassetti, quindi per trattare certi temi ho atteso che fossero passate le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo.
Sono un prete vecchio stile e ho avuto santi maestri che mi hanno istruito a cercare sempre di esercitare quella virtù che regge tutte le altre: la prudenza. Poi, se ai vertici della Chiesa c’è chi pratica l’imprudenza come fosse uno sport e al tempo stesso non trova di meglio da fare che dare dell’imprudente a me che dico la verità — e che la dico quando la verità non può mutarsi in danno e creare problemi maggiori —, questo è affar loro, non mio. Sarà poi compito dei Christi fidelesmembra vive del Popolo Santo di Dio, stabilire chi è autorevole nella fede, nella dottrina e nella pastorale, chi invece seguita a sprofondare nel ridicolo, esercitando forme di aggressivo autoritarismo clerical-dittatoriale per compensare la propria mancanza di autorevolezza, proprio come sono soliti fare i vari nani malefici che oggi impestano la povera ma pur sempre Santa Chiesa di Cristo…
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Nel Paese delle anime belle è accaduto in questi giorni che un “fratello profugo”, affetto da chissà quale disagio socio-psicologico, causato ovviamente dalla nostra cattiva società e da tutti i suoi cattivi componenti — che secondo certa sociologia politica moderna sono i veri e soli responsabili — presso il Policlinico Umberto I di Roma ha aggredito senza motivo e poi ripetutamente colpito un portantino causandogli lesioni e una prognosi di trenta giorni.
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Narrare il fatto di cronaca è superfluo, in un servizio di un minuto e 45 secondi il TgCom fornisce un dettagliato resoconto che vi invito ad ascoltare [vedere, QUI]. Se poi il fatto che si è consumato ed i danni causati da questo delinquente con precedenti penali per aggressione e per violenza sessuale non fossero sufficienti, si presti attenzione che presso la Procura della Repubblica di Roma, una di quelle anime belle che per la sua beltadepotrebbe essere annoverata nella Candida Rosa dei Beati del Paradiso di Dante, si è persino preoccupata di indagare sui Carabinieri (!?). Infatti, dopo che i militi, arrestato il soggetto, lo trasportavano verso la località dove avvengono i rimpatri, il “fratello profugo” ha dato ulteriormente in escandescenze, picchiando infine la testa e causandosi una leggera ferita alla fronte. Dinanzi a un soggetto con precedenti e con un decreto di espulsione non eseguito, che aggredisce a schiaffi una donna alla stazione Termini, che tramortisce un portantino in una sala d’aspetto di un policlinico romano, che una volta ammanettato sputa e prende a morsi i Carabinieri, è a dir poco doveroso che una magistrato della Repubblica Italiana appuri se i militi della Benemerita gli hanno per caso causata una leggera escoriazione, siamo un Paese ultra garantista, o no? [vedere QUI].
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Per chi poi non lo sapesse, è bene informare che tra i pochi reati sempre perseguibili in Italia, per i quali si esce dal tribunale rigorosamente ammanettati per essere tradotti in carcere senza sconti di pena e benefici di alcun genere, oltre alla cosiddetta omofobia e alla presunta discriminazione dei gay, c’è quello di oltraggio a magistrato durante l’esercizio delle sue funzioni. Un reato anche noto come: inaudito attentato di lesa maestà alla suprema e intoccabile casta. Se però ad alcuni non fosse chiara l’antifona, allora la diciamo esaustiva fino in fondo: se un fuori di testa ti aggredisce per strada senza motivo alcuno, mentre Carabinieri o Poliziotti sono sempre a redigere i verbali in tribunale, il magistrato lo ha già rimesso in libertà con mille pretesti: era mezzo ubriaco, ha preso un colpo di sole, la violenza c’è stata però in modo non eccessivo … Però, se a fronte di tutto questo, uno dice al magistrato: «Guarda, che sei proprio uno stronzo ad agire così!», in tal caso state certi che non ci sono né mezze ubriachezze né colpi di sole e via dicendo, si finisce processati per direttissima, condannati per oltraggio e incarcerati senza sconto alcuno di pena. O qualcuno che vive e opera da anni e anni nell’ambito giuridico e giudiziario, può forse ragionevolmente negare il tutto?
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Certi magistrati mentono in modo spudorato, quando incalzati dai giornalisti su casi clamorosi come questo, che si ripetono sempre più di frequente nelle città italiane, rispondono affermando che loro applicano la Legge e che per tanto, la colpa, è del Legislatore. Cosa del tutto falsa, perché il Codice di Diritto Penale e il Codice di Procedura Penale, specie di fronte a casi di recidiva e di comprovata attitudine a delinquere, sino a costituire pericolo per la sicurezza delle persone, di leggi da applicare ne contengono eccome, ed anche precise e ben dettagliate. Quindi la giustificazione «noi applichiamo la Legge» ergo «è colpa del legislatore», non regge affatto, specie poi quando di fatto si applicano o si disapplicano le Leggi esistenti a proprio libero e insindacabile piacimento, tipo lasciare in libertà un soggetto pluri-pregiudicato, violento e quindi pericoloso.
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Ma ecco il coro delle anime belle che non hanno esitato a precisare: «.. si, vabbé, ma poteva essere anche un italiano!». Purtroppo, le anime belle, ignorano che diversi italiani, trovandosi all’estero per turismo o per soggiorno, quando hanno commesso dei reati — e c’è eccome, chi li ha commessi — sono stati rigorosamente arrestati, processati, condannati e spesso incarcerati. Prendiamo un esempio legato a un caso recente avvenuto in Spagna: un giovane campano di ventinove anni, originario di Casal di Principe, studente Erasmus, all’uscita da una discoteca ha aggredito un giovane spagnolo e dopo averlo fatto cadere a terra con un pugno, mentre il malcapitato era disteso inerme sulla strada gli ha sferrato un calcio alla testa facendogli perdere i sensi e causandogli un trauma, esercitando così anche l’aggravante della vigliaccheria [cf. cronaca, QUI, videoQUI].
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Il pericoloso violento in questione, certo Emilio Di Puorto [cf. QUI] è stato arrestato dalle forze di polizia spagnole e tradotto in carcere in attesa di processo; e dovrà rispondere di un’accusa alquanto grave: tentato omicidio. Naturalmente, il genitore dell’aggressore, non ha mancato di far sapere e di rassicurare che «mio figlio non è un violento» [cf. QUI]. Poi, che l’atteggiamento aggressivo e violento della sua “innocua creatura” emerga dai suoi profili social e come tale sia diagnosticabile per semplice analisi d’immagini da qualsiasi psicologo clinico, questo è altro discorso. D’altronde è purtroppo risaputo, quanti genitori italiani, in particolare dell’Italia meridionale, sono disposti a dire: «Se mio figlio ha fatto questo, forse io sono stato un pessimo educatore»? O più semplicemente: «Se mio figlio ha fatto questo, non è che per caso io, senza rendermi conto, ho sbagliato a crescerlo ed educarlo?» No, non sia mai. Il figlio italiano in generale e quello meridionale in particolare, per i suoi genitori è sempre e solo perfetto. E se accade qualche cosa, sono gli altri che hanno sbagliato. E così, questo diffuso genere di genitori, sono capaci a dare la colpa a tutto ed a tutti, persino alla non meglio precisata entità astratta del cosiddetto «Stato assente». Perché, a loro dire, quando non sanno più dove attaccarsi, pur di non ammettere che forse sono stati degli autentici fallimenti come genitori, a quel punto cominciano con la giaculatoria: «Perché manca lo Stato … manca lo Stato!». E chi glielo spiega, a questi ex sudditi del Regno Borbonico, che lo Stato non è una distaccata entità astratta, ma siamo in concreto tutti quanti noi, in quanto noi, siamo la Repubblica Italiana?
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E non parliamo delle madri … la polizia trova loro figlio col coltello sanguinante in mano e il cadavere del morto ammazzato per terra? State certi che la tipica madre campana, calabrese, pugliese e siciliana, non esiterà a difendere il proprio eterno bambino affermando che suo figlio stava pacificamente pulendo la lama di un coltello, quindi che quello caduto morto a terra, vedendolo pulire con tanta cura la lama, preso da invidia per il bel coltello gli si è lanciato contro colpendo ripetutamente la punta col proprio corpo, sia di petto sia poi, girandosi, ripetutamente con la schiena. Insomma: mio figlio non c’entra niente, è tutta quanta colpa del morto.
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A fronte di questo episodio, piaccia o meno al genitore del «giovane non violento» che colpisce in modo vigliacco un coetaneo caduto inerme a terra, anche in questo caso l’Italia ha data di sé stessa l’immagine davvero poco edificante dei suoi non pochi giovani perditempo, mantenuti per anni fuori corso nelle università dai loro genitori, che fingono di studiare col piano Erasmus e via dicendo. E di fronte a questo fatto, non ci risulta che alcun magistrato iberico abbia detto: … vabbé, in fondo si tratta solo di un casertano di provincia nato e cresciuto nel feudo dei camorristi casalesi, studente di giurisprudenza per evidente hobby, oltre a essere totalmente ignaro dei fondamenti basilari del diritto, come prova il fatto che questo studente così zelante e impegnato, giunto quasi alle soglie dei trent’anni, non ha ancora seriamente deciso che cosa fare da grande, se il giurista o il teppista. Né ci risulta che alcuna anima bella iberica, in un Paese dove non manca certo una sinistra forse anche più sinistra e agguerrita della nostra, abbia levato lo scudo giustificatorio affermando … vabbé, poteva essere anche uno spagnolo!
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Ricordiamo per inciso che i Codici Penali di gran parte dei paesi democratici del mondo, considerano da sempre come elemento aggravante che un cittadino straniero, mentre soggiorna in un Paese che non è il suo, non trovi di meglio da fare che compiere dei reati. Aggravante queste che di prassi e rigore non è invece applicata dai giudici italiani.
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Studiando certi casi della giurisprudenza, potremmo notare e dimostrare, ovviamente con sentenze di condanna, non con libere chiacchiere, che non solo, alcuni nostri cittadini italiani, sono stati condannati all’estero per vari reati, ma che sono state ripetutamente negate dai magistrati del luogo e poi dai competenti ministeri per gli affari esteri le domande di estradizione presentate dall’Italia per rogatoria internazionale. Con questi dinieghi, che non sono stati pochi, è stata dimostrata la bassa considerazione che certi Paesi hanno della nostra magistratura e del modo in cui, in Italia, è applicata la giustizia. In questi Paesi nei quali nostri cittadini hanno compiuto reati per i quali sono stati processati e condannati, le autorità sia politiche che giudiziarie non gradiscono essere prese in giro dai nostri magistrati di Sinistra Democratica. Sanno infatti bene che questa casta di magistrati, anziché procedere alla esecuzione in Italia della pena a loro inflitta, hanno già firmato in anticipo il decreto di scarcerazione o quello per una farsesca pena alternativa agli arresti domiciliari, sin dall’atterraggio all’aeroporto di certi condannati in altri Paesi.
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Un alto magistrato federale statunitense,quasi un trentennio fa, dinanzi a un reiterato diniego di estradizione per una cittadina italiana condannata negli Stati Uniti d’America per concorso in reati di terrorismo e banda armata, mi disse testuali parole:
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«A noi non costa niente affidare questa cittadina alla giustizia italiana, anzi facendolo eviteremo di doverla mantenere noi in carcere. Però non possiamo farci prendere in giro né dalla vostra Sinistra né da certi vostri magistrati. Sappiamo infatti che costei, per il genere di condanna avuta nel nostro Paese, ma soprattutto essendo sempre stata una militante comunista, in Italia verrebbe accolta come un’eroina, quindi rimessa immediatamente in libertà dopo una vera e propria inversione delle parti e della realtà: lei figurerebbe come la buona, noi magistrati e la giustizia federale degli Stati Uniti d’America come i cattivi».
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La giustizia federale statunitense la consegnò poi all’Italia quando a questa detenuta fu diagnosticato un tumore, seppure non maligno. E, come volevasi dimostrare, all’aeroporto la Signora fu accolta tra lo sventolio di bandiere rosse del partito della Rifondazione Comunista, presente tutto il gota della Sinistra radicale italiana di fine anni Novanta [cf. QUI].
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I nostri magistrati godono di una grande fama a livello internazionale. Anche in questo caso raffiguriamo il tutto con un esempio: in una città italiana accade che due tunisini appena ventenni passano incuranti e sfottenti in pieno centro storico cittadino chiuso al traffico, in due sopra uno scooter cinquanta di cilindrata, ovviamente senza casco. Le infrazioni sono tre e tutte gravi: viaggiare in due su un ciclomotore omologato per un passeggero; non indossare il casco; veicolare in centro urbano chiuso al traffico. Vedendo a distanza due carabinieri, anziché indietreggiare i due tunisini tirano di lungo e, in modo sfrontato, cercano di passare davanti ai due militi con un sorrisetto ironico stampato sulla faccia. Uno dei carabinieri li ferma per procedere con l’immediato sequestro del mezzo. Uno dei due tunisini — essendo appunto un tunisino pregiudicato e potendosi quindi permettere di tutto in Italia — non trova di meglio da fare che sputare in faccia al carabiniere, il quale istintivamente gli molla una sberla. Il tutto ripreso dalle videocamere di sorveglianza installate in quell’angolo urbano.
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Il tunisino si reca al pronto soccorso con una leggera escoriazione al labbro e dichiara di essere stato aggredito da un carabiniere. I poliziotti in servizio al pronto soccorso sono tenuti a prendere atto di quanto dichiarato ed a stilare il verbale. Il giudice per le indagini preliminari apre il fascicolo a carico del carabiniere che un mese dopo, con una velocità giudiziaria straordinaria, è processato, condannato e sospeso per due anni dal servizio senza stipendio. Il tutto per avere mollato una sberla a un tunisino che gli aveva sputato in faccia e che era noto alla giustizia sin da quand’era minorenne per tutta una serie di precedenti legati a furti e spaccio di droga. Non finisce qui la storia: il carabiniere rischiò una seconda incriminazione durante l’udienza preliminare da parte della immancabile magistrato di Sinistra Democratica la quale stava per aprire un fascicolo per reato di oltraggio dinanzi a una domanda a lei rivolta dal milite:
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«Se un pregiudicato con ventuno carichi penali pendenti sin da quando aveva sedici anni, avesse sputato in faccia a lei durante l’esercizio delle sue pubbliche funzioni, che cosa sarebbe accaduto?».
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Nella sentenza di condanna fu specificato che il milite aveva manifestato e posto in essere un comportamento violento del tutto incompatibile con l’appartenenza alle Forze dell’Ordine.
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La domanda da porre alle anime belle sarebbe pure un’altra: che cosa sarebbe accaduto, a Tunisi, se un teppista appena ventenne avesse sputato in faccia a un poliziotto tunisino? Quando a suo tempo posi questa domanda durante una cena assieme a dei giuristi, due di loro risposero: «Il tuo paragone non regge, noi siamo un Paese civile». Replicai: «Capisco. Quindi tu, pur di difendere l’ideologia dell’indifendibile politicamente corretto, senza neppure rendertene conto stai di fatto affermando che la Tunisia non è un Paese civile?»
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Vogliamo scambiare due parole con gli agenti di pubblica sicurezza che lavorano in giro per l’Italia presso i vari uffici per gli stranieri e per l’immigrazione? Quante volte è accaduto che degli africani abbiano dato in escandescenze e aggredito i poliziotti? Possibile che nessuno si domandi come mai, questi stessi soggetti, presso gli uffici di polizia dei loro Paesi si presenterebbero invece a testa bassa e parlando sommessamente sottovoce? Dinanzi a questi fatti, c’è forse qualcuno che intende giustificare … vabbé, potevano essere anche degli italiani! Se così fosse tiriamo allora fuori i dati statistici: quanti sono gli italiani che decidono di correre il rischio di aggredire i poliziotti direttamente dentro gli uffici di pubblica sicurezza? Perché un italiano, per esempio un affiliato a qualcuna delle nostre associazioni mafiose, può essere tranquillamente capace di freddare a colpi di pistola un poliziotto mentre rincasa dal proprio servizio, poiché ritenuto colpevole di fare indagini approfondite sui giri d’affari di certe cosche, ed è accaduto e pure in più occasioni. Però non sarà mai così idiota da aggredire i membri delle Forze dell’Ordine direttamente all’interno degli uffici di polizia, come invece hanno fatto più volte nel tempo certi soggetti provenienti da vari paesi del Continente africano, dimostrando tra l’altro — piaccia o meno alle anime belle —, una forma di idiozia così inaudita che, se sottoposti ad esami clinici, forse sarebbe emerso un encefalo piatto, oppure un gas vaporoso dentro la testa al posto della materia cerebrale.
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Anni fa, tre prostitute minorenni nigeriane, fermate dalla polizia hanno aggredito due poliziotti. Conoscendo le “regole” della magistratura del nostro Paese i due poliziotti si sono lasciati malmenare, sono stati rincorsi mentre tentavano di fuggire senza muovere dito, finendo infine in ospedale. Dei due poliziotti uno, poco più che trentenne, rimaneva invalido permanente perché gravemente ferito a un occhio che non fu possibile salvare. Eppure, quei due poliziotti, per quanto le tre minori fossero aggressive, avrebbero potuto tirare fuori i manganelli di gomma e metterle quiete con quattro manganellate. Perché, non l’hanno fatto? O forse qualcuno conosce poliziotti che, seppure aggrediti, si difenderebbero a manganellate da tre prostitute minorenni indiavolate come delle pantere nere, oltre che intoccabili proprio in virtù del fatto che godono del grande privilegio di avere la pelle nera? E adesso ci si ponga un’altra domanda: A quelle tre prostitute minori, nel loro Paese di origine, sarebbe mai passato per la mente di aggredire due poliziotti nigeriani?
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Detto questo domandiamo adesso, sempre alle anime belle: sarebbe possibile avere le statistiche delle prostitute italiane minorenni che hanno aggredito dei poliziotti e che hanno causato ad uno di essi la perdita della vista da un occhio? Perché le prostitute ce le abbiamo anche noi, ed anche minorenni, semmai è più facile che esercitino l’attività in qualche super attico del quartiere Parioli [cf. video, QUI], non invece per strada. Ma di prostitute minorenni che aggrediscono e che costringono alla fuga dei poliziotti che temono a difendersi — sapendo cosa farebbe loro il buon magistrato donna di Sinistra Democratica —, che li rincorrono e che infine ne accecano uno a un occhio … no, questo genere di prostitute, in Italia, piaccia o meno alle anime belle, noi non le abbiamo. Anche perché, le nostre gloriose e professionali prostitute, minorenni o maggiorenni che siano, sono intelligenti, non sono stupide come certe nigeriane, che si fanno sbattere sui marciapiedi dai loro uomini nullafacenti dopo essere state terrorizzate con ritivudù e minacce di altre strane magie. E non mi si venga a dire «Ma poverine, è la loro cultura». No, la cultura è quella di Aristotele, di Tito Lucrezio Caro, di Sant’Agostino, Sant’Anselmo d’Aosta e San Tommaso d’Aquino; è quella di Dante, di Petrarca e di Boccaccio; è anche quella di Marx, di Hegel e dei poeti maledetti Rimbaud e Verlaine. Ma non chiamatemi “cultura” quella di donne che spaventate con una bambolina con due spilli piantati sopra ed un osso di pollo morto, finiscono sulla strada a prostituirsi, perché se proprio vogliamo dargli un nome — politicamente scorretto quanto vogliamo — a essere proprio buoni dovremmo parlare di sub-cultura sub-umana.
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La cosa tragica è che le sinistre radical chicd’Europa, assieme ad una certa fetta di episcopato che rappresenta sempre di più i salotti ristretti di se stesso, non ciò che pensano e che soprattutto vivono in concreto i preti ed i fedeli cattolici, pare avere dato concretezza politica ed ecclesiale a quello straordinario inno al surrealismo ateo della canzone Image di John Lennon:
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Imagine there’s no heaven
It’s easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today…
It’s easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today…
Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace…
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace…
You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will be as one
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will be as one
Imagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world…
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world…
You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will live as one
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will live as one
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Immaginate
Immaginate che non ci sia alcun paradiso
Se ci provate è facile
Nessun inferno sotto di noi
Sopra di noi solo il cielo
Immaginate tutta le gente
Che vive solo per l’oggi
Se ci provate è facile
Nessun inferno sotto di noi
Sopra di noi solo il cielo
Immaginate tutta le gente
Che vive solo per l’oggi
Immaginate che non ci siano patrie
Non è difficile farlo
Nulla per cui uccidere o morire
Ed anche alcuna religione
Immaginate tutta la gente
Che vive la vita in pace
Non è difficile farlo
Nulla per cui uccidere o morire
Ed anche alcuna religione
Immaginate tutta la gente
Che vive la vita in pace
Si potrebbe dire che io sia un sognatore
Ma io non sono l’unico
Spero che un giorno vi unirete a noi
Ed il mondo sarà come un’unica entità
Ma io non sono l’unico
Spero che un giorno vi unirete a noi
Ed il mondo sarà come un’unica entità
Immaginate che non ci siano proprietà
Mi domando se si possa
Nessuna necessità di cupidigia o brama
Una fratellanza di uomini
Immaginate tutta le gente
Condividere tutto il mondo
Mi domando se si possa
Nessuna necessità di cupidigia o brama
Una fratellanza di uomini
Immaginate tutta le gente
Condividere tutto il mondo
Si potrebbe dire che io sia un sognatore
Ma io non sono l’unico
Spero che un giorno vi unirete a noi
Ed il mondo sarà come un’unica entità.
Ma io non sono l’unico
Spero che un giorno vi unirete a noi
Ed il mondo sarà come un’unica entità.
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Ciò di cui il multimilionario John Lennon si auspica la non esistenza, in realtà esiste, inclusa la demonizzata «proprietà». E lui, che ha lasciato un patrimonio ufficiale di circa trecentocinquanta milioni di euro, dovrebbe saperne qualche cosa della proprietà, se assieme a quel cobra imprenditoriale di Oko Ono non fosse stato un campione della più grottesca incoerenza … [cf. QUI].
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Non solo esistono patrie, ma con esse esistono anche relativi territori e confini, che all’occorrenza vanno protetti e difesi con tutti i loro abitanti. E se la pace nel mondo non esiste, è perché essa faceva parte di un’armonia perfetta che è stata corrotta dal peccato originale di Adamo ed Eva. È pertanto davvero diabolico che oggi, a rivendicare la pace, tra striscioni arcobaleno, con tutti gli annessi e connessi, siano proprio i sodomiti orgogliosi che mentre vi sto scrivendo queste righe stanno sfilando per le vie di Roma al grido di Peace and Love. Insomma, per invocare l’armonia della pace in nome di quel peccato contro natura annoverato tra i peccati che secondo l’espressione biblica «gridano vendetta al cospetto di Dio», occorre davvero un grande coraggio, ma soprattutto uno spirito alterato da colui che sin dalla notte dei tempi è il grande invertitore: Satana. Il tutto detto ed espresso liberamente senza badare alle vergognose empietà proferite in occasione dei vari Gay Pride da quel grande eretico del gesuita James Martin.
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Oltre alle patrie esistono i basilari principi della antropologia che attestano con rigore scientifico l’esistenza di diversi ceppi etnici, culture e influenze storiche e socio-politiche dissimili che determinano e condizionano comportamenti singoli e collettivi. Persino le situazioni geografico-climatiche rendono i popoli diversi a livello strutturale, incluse le diverse abitudini alimentari. È dunque presto detto che l’impianto comportamentale di un abitante di Stoccolma, il suo modo di rapportarsi con i propri simili e con la società in generale, il suo vivere, dormire, operare, alimentarsi e via dicendo, è del tutto diverso da quello di un italiano che vive nelle zone di Pachino, Porto Palo e Marzamemi, nella punta estrema della Sicilia sud orientale. Eppure, sulle carte di identità rilasciate dalla municipalità di Stoccolma e quelle rilasciate dai Comuni dei tre paesi siciliani dove l’Italia finisce, campeggia la scritta: Unione Europea. Questo vuol dire che si può partire dall’estremo Nord dell’Europa e giungere sino alla punta estrema della Sicilia che si trova su un parallelo geografico che è diciotto chilometri al di sotto di Tunisi, senza dover esibire il passaporto a nessuna frontiera, a meno che durante il percorso non si passi per i territori della Confederazione Elvetica, del Principato di Monaco, o del Principato di Liechtenstein. Volendo anche dal territorio dello Stato della Città del Vaticano, circondato da mura e da servizi di vigilanza, all’interno del quale non si può entrare e muoversi senza permesso, n’è prova il fatto che al suo interno non ci sono né rom, né barboni né venditori abusivi africani; non vi sono accampamenti nei giardini vaticani né roulotte di zingari nella piazza antistante al Palazzo del Governatorato … perché tutto ciò è sul territorio italiano, con la benedizione della Santa Sede, specializzata ormai da tempo a benedire di tutto e di più nei territori e nelle case altrui, ma non nel territorio proprio.
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L’europeo di Stoccolma e quello della punta estrema della Sicilia sud orientale, pur avendo sul documento d’identità la comune dicitura Unione Europea, sono delle figure antropologicamente antitetiche sotto tutti gli aspetti, influenzati e condizionati non solo da diverse storie, ma anche da diverse situazioni climatiche, ambientali e alimentari che incidono sul carattere e sulla sfera comportamentale. Esempio banale: quando la sera, nel periodo primaverile o autunnale, l’italiano che abita nella punta estrema delle Sicilia sud orientale, tra le 21 e le 22 si siede a tavola per cenare, a quell’ora, l’abitante di Stoccolma, è già a letto a dormire da due o tre ore, dopo avere cenato la sera tra le 17,30 e le 18, ad un orario nel quale, tra Napoli e Reggio di Calabria, si fa la merenda. E mentre l’abitante di Stoccolma dorme col piumino d’oca e forse anche col riscaldamento acceso, tra Napoli e Reggio di Calabria, in quei periodi primaverili e autunnali, si hanno già i condizionatori d’aria in funzione e si fanno i bagni al mare.
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La giustizia italiana in passato, specie in certe zone del nostro Paese, da una parte condannava, dall’altra tendeva a mitigare le pene per il cosiddetto delitto d’onore, riguardo il quale il Codice Penale recitava all’articolo 587:
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«Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella».
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Le disposizioni e le relative attenuanti previste per il cosiddetto delitto d’onore sono definitivamente abrogate solo nel 1981, con la legge n. 442 del 10 agosto.
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Ci si domandi invece perché questa forma di delitto, con relative attenuanti, non era invece prevista nei codici penali dei Paesi scandinavi. Non che in questi Paesi siano assenti quelli che nel linguaggio popolare italiano sono indicati come cornuti, ma semplicemente perché a livello socio-culturale, nei Paesi scandinavi, un tradimento o una relazione considerata illecita non aveva la portata che poteva avere nella società italiana sino a meno di quarant’anni fa, in particolare in certe zone del nostro Meridione. In compenso i Paesi scandinavi, pure se non vantano un tasso elevato di cornuti, detengono da sempre il più alto tasso di suicidi, specie in fascia d’età giovanile. Per quanto invece riguarda ammalati, anziani o persone variamente stanche di vivere, è entrata da tempo in vigore quella possibilità altamente civile e socialmente evoluta della eutanasia o del cosiddetto suicidio assistito. Questa, è una civiltà evoluta, quella scandinava. Mica quella italiana, dove sino a pochi decenni fa si davano le attenuanti ad un marito che perdendo ogni controllo su se stesso faceva secca la moglie colta in flagrante insieme all’amante. In ogni caso sia chiaro: con la globalizzazione ci siamo evoluti anche noi. Infatti oggi, se un marito calabrese o siciliano torna a casa e trova la moglie a letto con l’amante, per non apparire retró dinanzi a lei ed a lui, può darsi che esordisca dicendo: «Amore mio, che sorpresa! Hai organizzato uno scambio di coppie … unménage à trois a mia insaputa? Aspettate che adesso arrivo anch’io …».
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Il nostro è un Paese strano, originale. Noi italiani lo sappiamo e lo ammettiamo senza difficoltà alcuna. Infatti, chi come me agli inizi degli anni Novanta del Novecento era nella fascia d’età tra i venticinque ed i trent’anni, ricorda bene i barconi provenienti da alcuni ex Paesi comunisti, in particolare carichi soprattutto di albanesi e romeni. E tutti quanti ci dovremmo anche ricordare con qual genere di criminalità ci ritrovammo in casa, nel giro di breve tempo. Solo dopo scoprimmo che in molti di questi Paesi dell’ex blocco sovietico, alla caduta del Comunismo avevano aperte le galere e, non pochi tra i loro più pericolosi delinquenti, ce li ritrovammo in Italia. O nessuno ricorda le bande organizzate di albanesi, romeni, kosovari e via dicendo cantando, che depredarono le case di interi quartieri residenziali italiani?
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Nessuno ricorda, nelle zone delle ville sul Lago di Como, in quelle della Brianza, in quelle sui Colli Bolognesi, di Poggio Imperiale a Firenze e nelle campagne toscane, per seguire coi vari quartieri ultra residenziali di Roma, quante persone si ritrovarono con ladri in casa che in più occasioni si “divertirono” anche a tramortire di botte il padre e il figlio ed a stuprare la madre e la sorella minore? Sono fatti di cronaca e atti giudiziari che fanno parte della storia documentata del nostro Paese, non sono fiabe razziste e anti-immigrazioniste inventate da quelli della Lega Nord di ieri e di oggi. E si provi a chiedere, a qualche economista specializzato in mercato immobiliare, che cosa accadde nel corso di quegli anni Novanta, dopo la caduta del Muro di Berlino, con l’arrivo di certe ondate di gente nel nostro Paese, sotto la bandiera di falsi profughi che scappavano dalle macerie dei caduti regimi comunisti. Accadde in breve un vero e proprio crollo del mercato degli immobili di lusso. E così, persone che avevano acquistata una proprietà in certe zone agli inizi degli anni Ottanta, a fronte di quel problema e volendo ritornare a vivere in città per paura di furti e soprattutto di pericolose incursioni nelle ville da parte di bande di violenti, pochi anni dopo non riuscivano a rivenderle neppure alla metà di quanto le avevano pagate, perché molti volevano vendere, nessuno era però disposto a comprare, se non a prezzi stracciati.
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Se facciamo una ricerca negli archivi delle emeroteche, andando a leggere i giornali della Sinistraradical chic di allora, col figlio di Giorgio Napolitano che in quegli anni era studente di lusso alla scuola superiore Sant’Anna di Pisa, dove si dilettava a parlare di proletariato e di classe operaia, scopriremo che la colpa, non era delle bande dei ladri, nient’affatto! La colpa, praticamente, era dei ricconi borghesi che si facevano le ville di lusso sulla pelle dei loro poveri operai. Essendo però Napolitano junior coerente come John Lennon, veniamo a scoprire che oggi, in piena epoca di immigrazionismo sostenuto dai soliti noti in concorso con le odierne sacrestie, il rampollo se ne guarda bene dal favorire l’insediamento di bande di nigeriani nella esclusiva Capalbio, dov’egli è solito ritirarsi in vacanza assieme ai principali leaders della Sinistra radical chic.
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Se poi passiamo a una ricerca negli archivi giudiziari, scopriremo in essi, sempre conservati, i vecchi nastri delle registrazioni telefoniche fatte dai nostri investigatori, che si sono ritrovati dinanzi a colloqui incredibili: albanesi e romeni delinquenti e attivi come tali in Italia, che a dei loro connazionali in procinto di venire, o desiderosi di venire, spiegavano in tutta tranquillità che …
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«In Italia non funziona mica come funzionava da noi con Nicolai Ceaucescu. Se ti sorprendono a rubare, al massimo ti danno due anni, che poi non li sconti, perché per due anni, in carcere, non ti ci mettono nemmeno. Poi, i poliziotti italiani, non sono mica i nostri agenti della vecchia Securitate, che se ti prendevano t’ammazzavano dalle botte e poi ti facevano sparire. No, se in Italia un poliziotto di tocca, finisce lui in galera […] guarda, una volta, a me, mentre mi stavano portando dentro, appena arrivato al posto di polizia detti una testata sul muro, poi dissi che i poliziotti mi avevano picchiato dopo avermi portato dentro. Lo sai, che quei poliziotti sono finiti tutti e tre sotto processo?».
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Questo testo riportato è la traduzione giurata di una serie di registrazioni telefoniche messa agli atti durante un’inchiesta svolta dal Tribunale penale di Milano nel 1991 su bande organizzate di albanesi e romeni specializzate sul nostro territorio in furti e rapine.
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È superfluo a dirsi, ma lo diciamo lo stesso: delinquenti a parte, in Italia è giunto anche e soprattutto un prezioso esercito di lavoratori romeni e albanesi dotati di straordinarie capacità di lavoro e di grande manualità a livello tecnico. Certe grandi aziende edili bresciane, senza questi lavoratori avrebbero avuto serie difficoltà. Perché come i fatti purtroppo dimostrano, il giovane italiano, a quasi trent’anni, è capace ad andare in giro per l’Europa a fare lo studente Erasmus fuori corso da anni, ma a fare il muratore o il manovale non ci pensa proprio; e i primi a non volere che faccia un mestiere simile, sono i suoi genitori, costasse anche tenerselo a carico fino a quarant’anni. Sinceramente non ricordo di avere conosciuto italiani così operosi, laboriosi e instancabili come certi lavoratori romeni e albanesi. Come possiamo infatti dimenticare, sempre in quegli anni, i grandi imprenditori del Triveneto che si recavano direttamente in Romania e Albania per selezionare sia operai generici sia operai specializzati, non trovando in Italia giovani disposti a fare più certi lavori?
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L’Africa è un continente, come più volte ho spiegato e ribadito. Parlare quindi di africani è esattamente come parlare di quella entità complessa e sotto certi aspetti astratta che sono i cosiddetti europei. Un africano dell’Etiopia, con un africano della Costa d’Avorio, a livello sociale, culturale e antropologico ha da spartire ciò che un europeo della Grecia ha da spartire con un europeo della Finlandia. A parte il marchio dell’Unione Europea, cosa accomuna, sempre a livello sociale, culturale e antropologico, un lituano a un maltese? O un austriaco a uno spagnolo? E peraltro quale spagnolo, considerando che all’interno della Spagna vi sono zone e regioni che rivendicano culture proprie, del tutto distinte da quelle della entità geografica nazionale chiamata Spagna?
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Ricordo una discussione sulla entrata della Turchia in Europa. Facendo infine arrabbiare i due greci che erano presenti, affermai: «Ma la Turchia in Europa già ce l’abbiamo». E mentre alcuni mi domandavano se stessi scherzando risposi: «Dico sul serio. Se non abbiamo la Turchia nell’Unione Europea, abbiamo però i turchi, vale a dire i greci». Quando i diretti interessati si dichiararono offesi, replicai che, come italiano, non avevo difficoltà alcuna ad affermare che provenivo da uno dei popoli che a livello antropologico è uno tra i più “bastardi” esistenti a questo mondo, perché in Italia abbiamo avuto il passaggio di tutti i più disparati popoli d’Oriente e d’Occidente. Motivo per il quale oggi è possibile ritrovarsi di fronte a un sardo che, a livello morfologico, pare appena uscito dalla casba di un Paese arabo. Quindi ritrovarsi al tempo stesso dinanzi a un sardo da generazioni e generazioni che pare uscito invece da un negozio del centro di Oslo, perché è biondo, bianco di pelle, e con gli occhi celeste ghiaccio più di quanto potrebbe esserlo un norvegese.
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Ci sono più biondi dalla morfologia nord-europea a Palermo di quanti invece non ve siano a Torino. E siccome i palermitani hanno parecchio senso dell’umorismo, sono anche capaci a spiegarti … «Sai, le nostre nonne erano donne che si davano sempre da fare con tutti quelli che passavano dalle nostre parti!». Gli odierni greci hanno pertanto ben poco da urlare all’oltraggio, se qualcuno ricorda loro il semplice ed ovvio dato di fatto: gli attuali greci sono, per la gran parte, null’altro che turchi. Cinque secoli di dominazione turca — e che dominazione! — l’antica struttura morfologica greca, l’hanno distrutta e spazzata via del tutto. Poi, se gli attuali greci ritengono di rispecchiare quelli che sono i modelli delle statue dell’epoca classica, in tal caso, come dire: ci arrendiamo dinanzi all’evidenza dell’irreale. Purtroppo però, l’evidenza, ci dice e ci dimostra che certi tratti somatici tipici delle antiche popolazioni greche, non li ritroviamo negli attuali turco-greci, bensì negli abitanti di quella che fu la Magna Grecia: ad esempio nei calabresi della bassa Calabria, nei pugliesi delle zone del Salento, mentre nella vicina Bari predomina il carattere arabo; oppure nei siciliani di Siracusa, di Catania e dintorni, perché già nella vicina Ragusa il carattere somatico che predomina è quello arabo.
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Poi, se qualcuno fosse convinto che gli attuali egiziani siano gli autentici e puri discendenti dei padri dell’antico Egitto, le soluzioni sono due: o tacere, come a volte si tace con le persone non in grado di capire o non disposte a capire; oppure, se una persona non conosce ed è disposta e aperta a comprendere, si potrà spiegare che gli arabi hanno spazzato via ciò che nel VII secolo rimaneva della decaduta cultura degli egizi, compresa morfologia, tratti somatici e lingua. Quelli che noi chiamiamo egiziani, altro non sono che una popolazione araba che vive su un territorio geografico che fu a suo tempo la culla di quella cultura egizia oggi estinta in tutti i sensi. Pertanto, gli attuali egiziani, stanno a Ramses il grande e all’ultima regina Cleopatra, esattamente come un esquimese può stare ad un abitante del Madagascar, o come un attuale greco può stare ai tratti somatici immortalati nelle sculture di Skopas, Prassitele e Lisippo, o nei celebri bronzi rinvenuti non a caso nella calabra Magna Grecia, a Riace Marina, nel territorio della attuale provincia di Reggio di Calabria.
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Questo per ribadire e spiegare che dire africani,rivolgendosi con questa definizione agli abitanti di un intero continente, se non denota crassa ignoranza, perlomeno denota totale e involontaria mancanza di conoscenza.
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Nella variegata complessità del Continente africano, vi sono popolazioni che andrebbero tenute prudentemente a casa loro, impedendo a soggetti ad alto rischio di emigrare in Europa, perché la loro emigrazione può costituire ed essere solo fonte di grandi problemi, inclusi problemi di pubblica sicurezza. Ciò per tutta una serie di motivi che la vecchia Europa, con i propri sensi di colpa coloniali verso l’Africa, non osa neppure sospirare, ma costituiscono realtà non facilmente eludibili e tanto meno bollabili col marchio di razzismo e di razzista.
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Parleremo adesso in senso lato, senza specificare i Paesi e le loro popolazioni, evitando così inutili problemi da parte delle anime belle. Anzitutto partiamo dal concetto di democrazia: gli africani di certe popolazioni non la conoscono proprio. Le loro società sono radicalmente edificate su impianti di carattere tribale, ed al loro interno esiste un’autorità assoluta, con connotazioni spesso magiche, dalla quale promanano altre “legittime autorità” che esercitano le loro autorità di pertinenza in modo deciso, duro e severo. Gli africani nati e cresciuti in questi contesti socio-culturali e magico-tribali, anche se hanno il collegamento a internet e l’ultimo modello di smartphone, se inseriti in contesti sociali democratici come i nostri, risulteranno ben presto soggetti al di fuori di ogni possibile controllo; e una volta fuori controllo risulteranno aggressivi e mossi da una violenza caratterizzata anche da elementi di crudeltà. Sempre per dirla con esempi concreti: se uno di questi soggetti, in un pullman di linea o in un treno, si toglie le scarpe e appoggia i piedi sul sedile, diffondendo semmai pure un odore nauseabondo tra i passeggeri, il controllore di bordo non può dirgli, con un sorriso sulle labbra: «Signore, per favore, lei deve mettersi le scarpe e non tenere i piedi appoggiati sul sedile». Così facendo, il controllore di bordo darà di sé stesso l’immagine dell’uomo debole e non virile, che appartiene come tale a un sistema debole che non merita rispetto e meno che mai obbedienza. Pertanto, questo genere di africano non si curerà dell’invito a lui rivolto. Se poi, il controllore di bordo, ripeterà l’invito, è molto probabile che questi si alzi e aggredisca chi ha osato richiamarlo all’ordine senza dimostrare di avere né forza, ne virilità né autorità per farlo. Purtroppo, in casi simili e con soggetti simili, non si dovrebbe chiedere proprio niente, perché l’unico linguaggio che questo genere di persone intendono è il seguente: il controllore di bordo si avvicina, non proferisce parole, tira fuori una spranga di ferro e lo colpisce ripetutamente ai piedi. Poi fa fermare il mezzo all’autista, prende questo soggetto come un sacco di patate e lo getta fuori ferito, in mezzo alla strada. Questo è l’unico linguaggio che queste persone intendono, tutto il resto: le nostre regole democratiche, il nostro rispetto, la tutela della persona e della sua incolumità fisica, per loro è solo manifestazione di debolezza da parte di uomini che non meritano di essere considerati uomini perché privi di virilità e di determinazione.
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È quindi politica fallimentare, anzi suicida, quella di certa Europa portata avanti dalle anime belle che pensa, con le sue meravigliose regole democratiche improntate sull’ultra garantismo, di potere educare e formare col tempo delle persone che hanno delle radici molto profonde alle quali non intendono rinunciare, in modo particolare proprio quando si spostano da casa loro e si insediano in altri contesti socio-culturali. È infatti proprio nelle situazioni di immigrazione che questi soggetti rafforzano più che mai le loro radici e il loro tribalismo, ampliando all’occorrenza la loro aggressività e la loro violenza appena si trovano a vivere in una società paradossale nella quale il magistrato donna di Sinistra Democratica condanna, a due anni commutati nella sospensione dal servizio senza stipendio, un carabiniere che ha osato dare una sberla a un tunisino pluri-pregiudicato che dopo avere violato tre articoli del codice della strada gli ha sputato in faccia durante l’esercizio delle sue funzioni.
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Le anime belle dell’inno “siamo tutti fratelli”, o della canzone Image di John Lennon, hanno forse dimenticato tutti i bigliettai, i controllori dei mezzi pubblici, gli autisti di pullman che in Italia sono stati aggrediti e hanno riportato gravi lesioni, alcuni anche gravi danni permanenti? Sono consapevoli, le anime belle, che a Roma e Milano, se un controllore sale su un treno o su un pullman per il controllo dei biglietti ai passeggeri, appena vede facce di giovani africani salta oltre e non osa chieder loro il biglietto? Vi rendete conto a quali livelli di razzismo siamo giunti? I controllori, i biglietti, li chiedono solo ai bianchi. E questo è puro e semplice razzismo, o no?
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Altro discorso politicamente scorretto: nessuno si è mai accorto che vi sono alcuni gruppi etnici africani all’interno dei quali il lavoro è considerata cosa disdicevole per un uomo? Infatti, nel loro genere di sub-cultura a lavorare è solo la donna, compito dell’uomo è di comandare e di esercitare il meglio della sua maschia virilità. E che cosa accade quando questo genere di uomini giungono in Italia? Sono forse educati, formati al lavoro, stimolati dalla nostra meravigliosa società democratica a cambiare stile di vita, sempre tra il canto “Siamo tutti fratelli” e Image di John Lennon? No, gli uomini diventano seduta stante degli imprenditori del lavoro delle loro donne. E così, prese mogli e figlie, le mandano a battere per le nostre strade. È infatti cosa “culturalmente” molto più onorevole e soprattutto molto maschia far battere il marciapiede alla moglie e alle figlie, piuttosto che lavorare.
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Giungiamo adesso sul finire all’apoteosi della scorrettezza politica: quali sono gli africani dei vari Paesi di questo Continente che invece possono adattarsi, a volte anche bene, all’ambiente europeo in generale e forse a quello italiano in particolare? Ebbene: udite, udite! Perché adesso ve la sparo così grossa da meritare il leone d’oro alla carriera per la scorrettezza politica. Coloro che si adattano senza eccessive difficoltà, sono quegli africani provenienti da vari Paesi che appartengono al ceppo culturale cattolico e che per generazioni sono stati formati e catechizzati prima dai nostri missionari, poi dal loro clero autoctono. Infatti, attraverso la fede e la religione cristiana, hanno acquisita una forma e una dimensione di universalità e di universalismo che è tutta quanta peculiare al Cattolicesimo. Questo genere di africani, tramite il Cristianesimo, hanno acquisita, di conseguenza praticano e vivono, tutt’altra concezione di società, di famiglia, di rapporti tra uomo e donna, tra genitori e figli, tra loro e tra l’autorità costituita, civile o religiosa che sia. La loro radice culturale cristiana favorisce anzitutto il loro inserimento, rendendoli soggetti non problematici, o in ogni caso molto meno problematici.
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Se la correttezza politicanon fosse stata elevata a dogma supremo da quella stessa società civile e da certa politica nazionale ed europea che ride divertita e ironica sui dogmi di fede del Cattolicesimo — che peraltro nessuno di noi pretende d’imporre a chicchessia e tanto meno a colpi di leggi tassative, come invece i liberal-democratici hanno fatto col gender, l’omosessualismo, il matrimonio tra coppie dello stesso sesso, l’eutanasia e via dicendo … —, si dovrebbe avere il coraggio di dire che tutti quegli elementi di violenza, aggressività e crudeltà tribale, non sono posti in essere da africani che provengono da una cultura cristiana, ma da africani che provengono da sub-culture animiste, che sono legati a culti magico-tribali o che appartengono all’Islam. E nei Paesi africani, specie in alcuni, l’Islam ha una precisa caratteristica: tende a essere particolarmente radicalizzato, molto di più che nei Paesi arabi.
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Sempre proseguendo di estrema scorrettezza politica: le bande di nigeriani che hanno ormai impiantata una mafia pericolosissima dedita al mercato della prostituzione, allo spaccio di droga, al traffico di organi umani, con vari e pericolosi collegamenti a organizzazioni terroristiche di matrice islamica, per caso, risulta a qualcuno che siano dei nigeriani cattolici? Sono domande che bisognerebbe porsi, nell’ambito di studi, analisi e indagini serie, per esempio: quanti sono i maschi nigeriani di religione cattolica che portano le loro mogli e le loro figlie per strada a prostituirsi? Quanti sono i nigeriani cattolici che hanno compiuto stupri, aggressioni o atti di violenza anche in danno delle stesse forze dell’ordine? La Conferenza Episcopale Italiana ed i vari centri della Caritas, costituiti e diretti dall’apice delle anime belle, si sono mai domandati perché, a Lampedusa o varie zone di sbarco della Sicilia, dalla Nigeria giungevano per la quasi totalità animisti e musulmani? E come mai, ripetutamente, i pochi cattolici nigeriani che sono riusciti a imbarcarsi, hanno dichiarato e ribadito di avere fatto il viaggio con grande paura, perché più volte, quando certi soggetti hanno scoperto dei cristiani a bordo, hanno gettato in mare a morire uomini, donne e bambini? Possibile che la nostra società, libera ormai da tutti i generi di tabù, ne abbia creati a tal punto di nuovi sino ad impedire lo studio, l’analisi, la ricerca e il lucido esercizio del senso critico?
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Nello scorso mese di maggio, a Roma, mentre ero in un negozio per acquistare latte e pane, una mamma africana con tre bimbi, uno nel passeggino, gli altri due di quattro o cinque anni, vedendomi dalla vetrina ha mandato i piccoli dentro a salutarmi ed a chiedermi la benedizione. Il forno era pieno de romani de Roma, che sono rimasti sbalorditi quando i due bimbi, dopo che io gli imposi la mano destra sulla testa, si sono fatti il segno della croce e sono usciti sorridenti verso la mamma tutti contenti per avere ricevuta la benedizione dal prete. La madre mi ha sorriso e salutato con la mano da fuori, accennandomi un inchino con la testa. Sapete invece, sempre per le strade di Roma, quante volte è accaduto che mentre passavo sul marciapiede, qualche nordafricano abbia sputato a terra, oppure, due o tre ragazzoni neri, mi abbiamo volutamente urtato con una spallata passando in modo chiassoso? E posso garantire che non era affatto necessario domandare a questo genere di persone a quale ceppo socio sub-culturale appartenessero.
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Udite invece che cosa feci una volta: stavo camminando sul marciapiede e tre negroni poco più che ventenni sono venuti avanti in gruppo, della serie … o scendi dal marciapiede e ci fai passare o ti veniamo addosso. Capìto il tutto mi fermo e li guardo. Loro provano a sorridere con aria di sfida, ed io gli intimo: «Sentite bene, io sono un uomo di cinquant’anni passati e in questo Paese sono un’autorità religiosa riconosciuta dallo Stato» — ovviamente la sparai grossa, per darmi tutto il tono possibile e immaginabile — «quindi voi vi scansate e mi fate passare, anche perché siete voi ospiti in casa mia e non io ospite in casa vostra». Se quei trerottweiler mi fossero saltati addosso, che cosa mi poteva accadere? Ho detto non a caso rottweiler per un motivo preciso: se questo genere di cane, indubbiamente pericoloso, vede che tu rimani immobile e non avverte in te paura e l’adrenalina che ti si scioglie nel sangue, a meno che non sia un cane totalmente deformato e addestrato per il combattimento clandestino, capace quindi ad aggredire pure il suo stesso padrone, non ti attaccherà mai.
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A differenza di chi non ha da imparare da niente e da nessuno, io ho cercato di imparare anche dagli animali. In passato ho avuto un barboncino toy, lo presi che aveva un mese e mezzo ed ha vissuto una felice vita lunga quindici anni. Quando di anni ne aveva cinque fui costretto a darlo a mio fratello, perché a Roma vivevo in una casa sacerdotale internazionale e per quanto il cagnolino non disturbasse nessuno, il rettore, a giusta ragione, mi disse che permettendo a me di tenere una bestiola così amabile e ben educata, avrebbe creato comunque un precedente con gli altri preti, ed un giorno, altri, avrebbero potuto pretendere di tenere anch’essi animali domestici. Andò comunque a vivere nel contesto migliore, anche perché il figlio di mio fratello aveva anch’esso cinque anni e crebbero assieme. Una volta, mentre mio fratello si trovava nella sua casa di campagna nella bassa Maremma toscana, rimase raggelato nel vedere a distanza il piccolo barboncino che si era allontanato e se ne stava in mezzo a due enormi pastori maremmani, peraltro entrambi maschi. Temette che finisse sbranato. Quando a distanza lo chiamò sperando in bene, lui tornò con i due cani dietro. Poi avvennero altri episodi, diversi ma simili. Con lui, i cani di grossa taglia, maschi, stavano tranquilli. E ancora: una nostra familiare aveva due cani mezzi indemoniati che abbaiavano per ogni nonnulla, specie se sentivano anche e solo a distanza altri cani. Quando lui fu portato in casa loro, questi se ne stettero buoni senza emettere neppure mezzo abbaio. L’arcano fu svelato un giorno dal veterinario che disse a mio fratello: «La cosa è molto semplice, questo cagnolino è un capo branco. La taglia e le dimensioni sono del tutto irrilevanti. Gli altri cani, inclusi quelli di grossa taglia, avvertono, quindi gli riconoscono il ruolo del capobranco»… Ecco perché i tre negroni di cui narravo prima, che pure sembravano tre rottweiler, si scansarono e mi fecero passare sul marciapiede, sebbene io non sia propriamente un barboncino toy, ma il princìpio, sul piano dell’istinto animale, era esattamente quello. E noi umani, spesso, siamo molto più bestie delle bestie.
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Vedete, miei cari Lettori, con africani provenienti da vari Paesi di quel grande e complesso Continente, io ci ho vissuto assieme e con loro ho condiviso momenti molto importanti della mia preziosa vita sacerdotale. Sono stati loro, inclusi alcuni di essi che oggi sono Vescovi, ad insegnarmi come comportarmi con certe persone e in certe situazioni. Sono stati loro che mi hanno spiegato, in modo approfondito e dettagliato, che quando si ritrovano in Italia, pur paventando formale rispetto, sui nostri Vescovi e sui loro atteggiamenti ci ridono sopra. Un africano che aveva imparato particolarmente bene l’italiano, con tutte le sue più originali sfumature, persino con espressioni in romanesco, un giorno mi disse:
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«… ma voi, ai vostri Vescovi, poco prima che siano consacrati, per caso tagliate i coglioni? Sai, perché quando li vedo con quei sorrisini che neppure le nostre suore fanno, quando li sento parlare con quelle voci mielose, quando li vedo muoversi … mi domando se il presupposto per essere Vescovi in Europa sia quello di essere privi di virilità».
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Non è facile trovare un africano portato per certi studi speculativi, perché altre sono le doti che in linea di massima hanno, a partire dalle qualità pastorali. Lui invece molto portato lo era, ed al tempo stesso era anche portato per la diplomazia. A dire il vero, era un potenziale e autentico fuoriclasse. Tanto che, a sua completa insaputa, feci presente ad alcuni membri della curia romana che quel prete aveva la potenziale stoffa di un futuro Bernardin Gantin [cf. QUI]. A Roma se ne erano però già accorti e infatti lo volevano reclutare per indirizzarlo verso la diplomazia, ma lui si rifiutò categoricamente dicendo che voleva tornare nel proprio Paese. A me poi spiegò il motivo:
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«Io, come uomo africano e come prete, non potrei vivere e sopravvivere in mezzo a questa corte di donnette cattive, pettegole e … eccetera, eccetera».
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Da lui appresi l’elemento fondamentale che sfugge a molti alti prelati: per l’africano in generale, per alcune popolazioni in particolare, l’autorità è strettamente legata all’autorevolezza della persona. Autorità e autorevolezza, sono per loro inscindibili. E l’autorevolezza comporta tutta una serie di presupposti: dalla forza di carattere alla tempra particolarmente virile. Se mancano questi presupposti, per l’africano in generale e per alcune popolazioni in modo del tutto particolare, non può sussistere l’autorità, di conseguenza l’africano non ti presterà mai ascolto e meno che mai obbedienza. Trovandosi in certi contesti e con autorità non autorevoli — per esempio preti africani che si trovano a Roma per motivi di studio o per incarichi di vario genere —, fingeranno di ubbidire, ma appena voltate le spalle faranno ciò che vogliono e come meglio vogliono. E lo faranno anche con un senso di profondo disprezzo per l’autorità non autorevole, che quindi per loro non è un’autorità, bensì, come mi diceva un altro prete africano:
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«… null’altro che una maschera, proprio come le maschere che una volta portavano i nostri vecchi stregoni. Ecco, voi a Roma, in Vaticano, avete più stregoni mascherati di quanti mai ne abbiano avuti certe nostre popolazioni prima dell’arrivo dei Padri Bianchi che li convertirono al Cristianesimo».
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Certe cattoliche anime belle tendono a gridare “allo scandalo” dinanzi a talune espressioni che a loro dire non dovrebbero fuoriuscire dalla bocca di un prete. Pace all’anima loro, perché l’esempio che segue, a chiunque non si fermi all’apparenza della frase in sé, dirà molto, anzi chiarirà più o meno tutto. Il fatto: ero diaconotranseunte in procinto di ricevere da lì a breve la consacrazione sacerdotale. Un prete congolese, pur avendo dieci anni meno di me, ne aveva già dodici di sacerdozio. Provenendo da un contesto non metropolitano e neppure urbano, ma da una delle varie profonde province del Congo, tendeva a essere influenzato da certe condotte tipiche del suo contesto sociale. Quindi, senza volere, non essendo ancora io presbitero ma diacono, tendeva a trattarmi come se fossi stato un seminaretto. una sera, dopo cena, davanti ad altri due preti congolesi, gli dissi:
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«Cerca di non trattarmi come un ragazzino, ma non perché io sia più grande di te in età, non è questo il motivo. Il vero motivo è che, anche se sono bianco — e come dite dei bianchi scherzando tra di voi “puzzo di morto” —, devi sapere che io ce l’ho più grosso del tuo. Ho scelto di farmi eunuco per il Regno dei Cieli e rispetterò la castità per tutta la vita. Ma non dimenticare mai che provengo da un popolo di uomini virili che hanno fatto sospirare le donne di tutto il mondo. I più grandi seduttori della storia erano italiani, non congolesi, ricordatelo sempre».
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Per due settimane non mi rivolse parola e si teneva a distanza da me come fossi peste, anche perché, in modo tutt’altro che causale, il tutto glielo avevo detto volutamente dinanzi ad altri due suoi connazionali. Finché un giorno, mentre loro tre congolesi erano nella piscina che avevamo a disposizione nel parco assieme ad altri impianti sportivi, andai anch’io a fare il bagno. Passai davanti all’offeso che era al bordo della piscina e che mi ignorò del tutto, al ché gli dissi: «Devi portare i pantaloncini da bagno più lunghi». Stizzito e con gli occhi tinti di sangue mi disse: «Adesso non ti vanno bene nemmeno i miei pantaloncini da bagno?». Replicai: «No, vanno benissimo, è solo per un discorso di decenza: non vedi che ti esce fuori pendendo all’altezza delle ginocchia?». Detto questo gli mollai uno spintone e lo gettai in acqua. Mentre lui rideva, mi tuffai anch’io. Appena fui dentro, prima mi spinse la testa sott’acqua simulando il mio affogamento e urlando «lo ammazzo, lo ammazzo!», poi, quando riemersi, mi abbracciò e mi baciò. Due mesi dopo, alla mia consacrazione sacerdotale, erano presenti a concelebrare col Vescovo novantadue sacerdoti residenti a Roma. Quei tre congolesi mi chiesero la “concessione di un privilegio”: potermi imporre le mani per primi subito dopo il Vescovo. E così, colui al quale dissi «ce l’ho più grosso del tuo» e via dicendo, mi impose le mani per primo subito dopo il Vescovo.
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Detto questo: chi vuole fermarsi alle apparenti “battute volgari” e “non consone” a un prete, che lì si fermi e che li rimanga con tutta l’animo più scandalizzato che meglio preferisce. Invece, chi vuol capire ed è disposto a capire, che comprenda e, se vuole, faccia anche tesoro per sé stesso, di certe esperienze vissute, perché con gli abitanti del Continente africano in generale, con quelli di alcuni specifici Paesi e contesti socio-culturali in modo del tutto particolare, senza virilità, non si tratta. Per l’africano in generale, per certi ceppi di africani in modo del tutto particolare, lo spirito virile è la misura primaria con la quale loro misurano persone, popoli e situazioni, agendo poi di conseguenza, nel bene come nel male.
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Due preti africani, a Roma per motivi di studio, nella situazione qui descritta facevano quel che volevano e come volevano. Quando per la visita ad limina Apostolorum giunse il loro Vescovo, che alloggiò presso la casa sacerdotale dove noi vivevamo, notai in quei giorni un loro atteggiamento che mai avevo visto prima. Anzitutto, col loro Vescovo, parlavano sempre a voce sommessa, con lo sguardo basso e senza mai guardarlo in faccia. Solo il Vescovo, poteva parlare ad alta voce. Guardarlo poi diritto in faccia, sarebbe stata una mancanza di rispetto, perché solo i pari, si possono guardare tra di loro negli occhi. Verso di me e l’altro prete italiano presente in quella casa, questo Vescovo ebbe da subito un atteggiamento di istintiva e profonda simpatia. Volle che io lo accompagnassi per due volte in Vaticano, cosa che non mi chiese, ma che in modo molto amabile mi ordinò, perché un Vescovo in generale, un Vescovo anziano in modo particolare, a un prete non chiede, ordina. Motivo della simpatia verso di me e l’altro italiano? Dovuta a un fatto a dir poco per noi ovvio: quando giunse questo Vescovo di settant’anni, per salutarlo piegammo il ginocchio e gli baciammo la mano destra. Cosa che non fecero diversi amabili preti latinoamericani che invece gli batterono una pacca sulla spalla, col risultato che lui li fulminò con uno sguardo di fuoco e non li guardò più. Detto questo — perché molto altro vi sarebbe da narrare —, si può concludere solo dicendo: chi vuole intendere, che intenda. Anche se purtroppo, agli ammalati di ideologia, o della loro surreale idea di Africa e di africani, qualsiasi cosa che di reale e ragionevole si può dire, non serve a niente, perché in tal caso è la realtà che sbaglia, non le loro fantasie ideologiche.
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Ricordate quando il Cardinale Giacomo Biffi, negli anni Ottanta, facendo un discorso sul tema della immigrazione, osò dire che se l’Italia e l’Europa hanno bisogno di bravi lavoratori che sono contenti di fare — con tutte le giuste remunerazioni ad essi dovute e non certo sfruttati —, quel genere di lavori che purtroppo i nostri giovani non vogliono fare più, che sia favorita da certi Paesi orientali e africani la immigrazione di cattolici e di cristiani? Perché altrimenti, in caso contrario, accogliendo eserciti di musulmani, domani andremo incontro a gravi problemi [cf. QUI, QUI]. Qualcuno ricorda quali furono le reazioni scomposte sia delle anime belle della Sinistraradical chic, sia quelle dei cosiddetti “cattolici adulti”?
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Come possono essere gestite queste persone e situazioni, posto che ormai siamo di fatto in uno stato di ingestibilità? Anzitutto, a certi soggetti ad alto rischio, che sono oggettivamente tali perché antropologicamente e tribalmente violenti, quindi riluttanti a qualsiasi forma di integrazione, non dovrebbe essere permesso di mettere piede nei nostri Paesi, perché appena vi entrano si mutano in autentici pericoli per la collettività. E purtroppo, piaccia o non piaccia al nostro esercito di oniriche anime belle, queste persone possono essere gestite solo attraverso l’uso della coercizione più severa e del ricorso alla violenza. Mancando l’una e l’altra subentra nella loro ottica la debolezza, che vuol dire: di questo Paese, di queste persone, di questi agenti delle forze dell’ordine che non possono neppure sfiorarti di lontano, noi possiamo fare letteralmente tutto ciò che vogliamo.
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Torniamo all’esempio iniziale: l’aggressore del portantino al Policlinico Gemelli, una volta preso, andava portato dentro una caserma e poi gonfiato di botte come una zampogna; ovviamente senza recargli danni gravi, meno che mai danni permanenti, ma facendogli comunque sentire tutto il dolore delle percosse. Anche perché, percuotere la persona, vuol dire non solo punirla ma anche infliggerle una meritata umiliazione. Dopo essersi ripreso dalle percosse ricevute, andava processato e incarcerato. All’interno del carcere, avrebbe dovuto ricevere ordini ed ubbidire solo ad agenti di polizia penitenziaria rigorosamente donne. Alla prima mancanza di rispetto verso una di queste donne secondino, altra scarica di botte, ovviamente senza recargli danni gravi, meno che mai danni permanenti, ma facendogli comunque sentire tutto il dolore delle percosse. I pasti in carcere? Rigorosamente a base di carni di maiale. Pertanto: bucatini alla matriciana, porchetta, trippa e coratella di maiale. Invece, a soggetti affini, appartenenti a quei ceppi nei quali gli uomini non mangiano dolci e zuccheri perché credono che ciò limiti la potenza della loro virilità, che siano serviti piatti in agro-dolce, assieme a dolci di marzapane e cassate siciliane a volontà, ma soprattutto tiramisù, proprio considerando che costoro temono che i dolci tirinogiù. O forse qualche anima bella intende protestare presso qualche corte internazionale di giustizia per i piatti tipici della cucina romana o della pasticceria siciliana serviti in carcere a certi africani? O forse vogliamo mettere fuori legge la cucina romana perché nigeriani musulmani e appartenenti ad altri ceppi etnici magico-animisti decidono di delinquere in casa nostra e di finire nelle nostre carceri? Il delinquente in questione preso sin dall’inizio come esempio, è stato arrestato a Roma, mica a Riad. Se io commettessi un crimine a Riad e fossi incarcerato in Arabia Saudita, mica mi metterei a scalpitare od a lamentare la violazione dei diritti umani per il fatto che non mi darebbero i bucatini alla matriciana cucinati col guanciale di maiale! Altrimenti, se certi soggetti vogliono rivendicare il diritto ad avere certi cibi e a non averne altri, dovevano prendere a botte un portantino presso un policlinico della Mecca, mica un portantino presso un policlinico di Roma!
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Tanto per chiarirsi: la morale cattolica non proibisce che a un pericoloso aggressore sia impedita la possibilità di recare danno a chiunque, in particolare a persone indifese. Sia per ciò chiaro: chi difende la propria vita e quella degli altri, commettendo in casi estremi anche un omicidio, dove non era possibile difendere in altro modo l’incolumità propria e quella altrui, non commette un peccato, ma può compiere persino un atto eroico. La nostra morale ci insegna altresì che la legittima difesa non è semplicemente un diritto, in alcuni casi è un dovere, è un cristiano imperativo di coscienza, in particolare per chi è investito di quelle responsabilità che mirano alla tutela della vita degli altri. Tra costoro vanno inclusi anche i magistrati iper-garantisti di Sinistra Democratica che rimettono in libertà pericolosi violenti pluri-recidivi, ma al tempo stesso indagano sui Carabinieri per verificare se il violento aggressore si era veramente ferito da se stesso dando in escandescenze oppure se, uno dei militi preso a morsi e sputi, aveva osato metterlo tranquillo con un cazzotto.
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Da sempre la morale cattolica insegna che devono essere valutate e applicate tutte le condizioni nelle quali l’uso della forza sia non solo necessario, ma indispensabile, vale a dire l’unico praticabile e perseguibile. Se tutti i mezzi civili più ragionevoli e non violenti si riveleranno però non solo inefficaci, ma dovessero persino risultare dannosi sulle persone che dovrebbero essere poste in condizione di non nuocere, a quel punto, il ricorso alla violenza, non solo è legittimo, ma è l’unico praticabile, ed è del tutto doveroso.
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Anche al peggiore dei delinquenti deve essere riconosciuta anzitutto la dignità umana e tutte le migliori garanzie democratiche di difesa e di tutela, se però queste tutele e garanzie a favore del delinquente con comprovata attitudine recidiva a delinquere, implicano ch’esso si rafforzi nella propria pericolosità e aggressività, in tal caso bisogna ricorrere ad altri mezzi, altrettanto legittimi e opportuni. La legge e chi è chiamato ad applicarla ed amministrarla, deve infatti anzitutto evitare di correre il rischio che per tutelare al meglio il delinquente abituale e pericoloso si finisca col dimenticare — in questa nostra società schizofrenica e ormai completamente invertita —, la tutela dei deboli e degli innocenti dai suoi potenziali e gravi danni. Sino al punto di giungere al vero e proprio parossismo: dinanzi a un cittadino con regolare porto d’armi che dentro la propria abitazione, trovandosi dinanzi a tre ladri ha aperto il fuoco e ne ha ucciso uno, non è pensabile che il coro del politicamente corretto delle anime belle inneggi “povero rapinatore!”. Anziché valutare che quella persona, trovandosi di notte in casa con tre malviventi mentre sua moglie ed i suoi figli dormivano, per difendere anzitutto loro, quindi se stesso, non aveva molte altre soluzioni, anche perché, con tre ladri sorpresi di notte dentro una casa, semmai anche in un luogo isolato, c’è poco da ragionare per indurre i tre alla conversione e alla remissione dei loro peccati.
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In caso contrario, le anime belle della Sinistra radical chic, l’ampia fetta di episcopato che pare dargli corda con una ideologia socio-politica immigrazionista fallimentare e molto pericolosa, i magistrati di Sinistra Democratica che rimettono in libertà pluri-pregiudicati pericolosi e violenti, ma che però al tempo stesso sono capaci a condannare un carabiniere che ha reagito con una sberla ad uno sputo in faccia che gli è stato lanciato nell’esercizio delle sue pubbliche funzioni, di questo passo, tra il falso «Siamo tutti fratelli» e la surreale «Image» di John Lennon, ci porteranno entro pochi anni a situazioni di guerriglia urbana, con interi quartieri e città gestite da un genere di violenza originata da una malavita organizzata che mai abbiamo conosciuto con le mafie presenti sul nostro territorio nazionale. Infatti, qualsiasi persona ragionevole e realista alla quale fosse data eventuale possibilità di scegliere la propria esecuzione e quindi la propria morte, penso sceglierebbe di essere ammazzato dalla Camorra, dalla ‘ndragheta e da Cosa Nostra, ben pochi sceglierebbero di finire tra le mani dei criminali sanguinari, spietati e crudeli della Mafia Nigeriana.
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Tempo fa qualcuno — non ricordo il nome, ma non importa —, affermò che la Mafia non l’hanno inventata i nigeriani, ma gli italiani. Se questa persona così lacunosa anche in storia, si fosse documentata, anzitutto avrebbe appurato che la stessa parola Mafia non è italiana, ma è di origine araba. Detto questo: negli Stati Uniti d’America, la Mafia, non è stata importata e fatta conoscere dagli italiani, bensì dagli ebrei russi. Quella italiana, nota come Cosa Nostra, negli Stati Uniti d’America giunse circa un ventennio dopo e prese piede solo agli inizi degli anni Trenta, mentre gli ebrei russi, la loro mafia, l’avevano impiantata per primi in assoluto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.
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Questa è storia provata e documentata, i primi che la narrano sono proprio gli storici ebrei dotati delle migliori competenze scientifiche. Forse, nessun rabbino liberal di Buenos Aires, fuori come tale da qualsiasi genere di ortodossia ebraica — per meglio intendersi di queireformed che accettano di tutto e di più: aborto, eutanasia, matrimoni tra coppie dello stesso sesso e via dicendo —, non ha mai informato di tutto questo qualche illustre personaggio, durante i loro vari incontri inter-confessionali. Se invece questo illustre personaggio avesse frequentato studiosi ebrei seri e competenti, avrebbe scoperto che la “mafia ebraica”, detta Kosher Nostra, giunse e si impose per prima in assoluto trent’anni prima di quella italiana, detta Cosa Nostra.
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Dunque ci vada cauto, nel dare agli italiani dei primati che storicamente non hanno, quantunque la casupola del Quirinale e il governicchio del nostro Paese, dinanzi a quella dichiarazione offensiva non abbia chiesta alcuna rettifica e la presentazione delle scuse formali. Ciò a riprova che lo sfacelo e la decadenza è ormai totale, ed investe tutti i più disparati settori civili, politici e religiosi della nostra società ridotta a Image di John Lennon, mentre bande di nigeriani musulmani o magico-animisti, ingestibili e cosiddetti cazzuti, non esitano ad aggredire in modo violento dei liberi e innocui cittadini e dei membri delle Forze dell’Ordine. E se questi sono i fatti e questa è la realtà, qualche ideologo dell’aprite i porti, del costruite ponti e dell’abbattete i muri, non potrà che seguitare col dire, dinanzi ai fatti ed alla realtà: “Mi dispiace per i fatti e mi dispiace per la realtà, perché ciò che solo è vero e ciò che solo conta, è la mia surreale ideologia”.
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Beati i tempi del vecchio Sessantotto! Perlomeno all’epoca, i figli di papà contestatori, volevano mandarel’immaginazione al potere, oggi invece, al potere, ci hanno mandata la schizofrenia.
Ariel S. Levi di Gualdo
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dall’Isola di Patmos, 10 giugno 2019
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NOI SIAMO DALLA PARTE DELLE FORZE DELL’ORDINE CHE SERVONO IL NOSTRO PAESE, LE SOSTENIAMO MORALMENTE, PREGHIAMO PER I LORO UOMINI E LE LORO DONNE ED IL LORO COMPITO DIFFICILE, TALVOLTA PERSINO OGGETTO DI PROFONDA INGRATITUDINE DA PARTE DEI CITTADINI
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QUELLA DISTRUTTIVA IDEOLOGIA IMMIGRAZIONISTA CLERICO-POLITICA: ANGIOLETTI NIGERIANI IN ESCANDESCENZE A ROMA? IL RICORSOALL’USO DELLA VIOLENZA, PIÙ CHE LEGITTIMO È INDISPENSABILE DI FRONTE A CERTE SITUAZIONI E SOGGETTI
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