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venerdì 28 giugno 2019

L’ateismo anche fra i teologi

COLPE INESCUSABILI DEI TEOLOGI


Ecco perché la colpa dei cattivi teologi è inescusabile. Hanno abusato del loro potere per traviare i credenti, e al solo scopo di non dover ammettere di "Aver perso la fede": si è mai vista una “teologia” che allontana da Dio? 
di Francesco Lamendola  

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Si possono perdonare le colpe involontarie e quelle a cui fanno seguito un profondo pentimento e un serio proposito di ravvedersi; le altre, no. Non sono perdonabili le colpe che nascono da una deliberata malizia e da una perfidia calcolata, i cui autori si vantano di ciò che hanno fatto e si aspettano di ricevere onori e vantaggi. Inoltre sono più gravi le colpe che investono la dimensione spirituale che quella materiale, perché, a parte il caso dell’omicidio e delle lesioni permanenti, le ferite inferte all’anima delle persone possono anche sanguinare per tutta la vita, mentre quelle inflitte al corpo, prima o poi si rimarginano. Inoltre, essendo invisibili all’esterno, le ferite inflitte all’anima sono anche più difficili da valutare nella loro effettiva gravità, in certi casi dalle stesse vittime. Vi sono cattiverie morali che feriscono così a fondo da spingere la vittima alla disperazione e talvolta al suicidio, ma ciò sfugge nella maggior parte dei casi all’occhio degli uomini e quindi anche alla loro giustizia. Soltanto Dio è a conoscenza di quanto male si possa fare al prossimo senza toccarlo neppure con un dito, solo insinuando nella sua mente e nel suo cuore pensieri distruttivi e calpestando deliberatamente ciò che vi è, per lui, di più sacro e vitale. Non giova obiettare che a chi fa il male non può essere addebitata una responsabilità aggiuntiva se la vittima era già fragile e sofferente per proprio conto, e quindi bastava una piccola spinta per causarle una ferita mortale. 

Non basta, perché la malignità dell’intenzione assume in sé la responsabilità di ogni possibile conseguenza. Se una persona violenta sferra un pugno al primo passante che incontra, e questi, malato di cuore, muore sul colpo, si tratta comunque, almeno sotto il profilo morale, di un omicidio volontario, perché se l’azione malvagia non ci fosse stata, nulla sarebbe accaduto e quel poveretto, benché malato di cuore, avrebbe potuto proseguire la sua vita e conservarsi all’affetto dei suoi cari, magari fino in tarda età. Per la stessa ragione, una persona incosciente e prepotente, che si mette al volante della propria auto in forte stato di ebbrezza, sa benissimo di esporre non solo se stessa, ma anche altre incolpevoli persone, a un gravissimo rischio: se travolge e uccide una mamma che attraversava la strada col suo bambino in braccio, è giusto addebitarle la responsabilità di un assassinio vero e proprio. E non c’è un Azzeccagarbugli al mondo che possa attenuare la sua colpa, perché l’ubriachezza non è un’attenuante, ma il frutto di un’azione libera e volontaria: quell’uomo poteva anche astenersi dal bere, così come poteva astenersi dal guidare l’automobile in stato di ubriachezza. Lo stesso ragionamento vale per il male morale. Chi commette una cattiveria ai danni di una persona particolarmente sensibile, le quale ne riporta un trauma che condizionerà tutta la sua vita, è ugualmente colpevole, sia che conoscesse sia che ignorasse la particolare indole della vittima. Una cattiveria è sempre e comunque una cattiveria; è come quando si spara a qualcuno: non fa differenza se il colpo va a segno o no, e se colpisce una parte vitale oppure no. Ciò che conta è l’intenzione, e l’intenzione era malvagia.

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Fare il male significa sapere che si fa il male! non sono perdonabili le colpe che nascono da una deliberata malizia e da una perfidia calcolata, i cui autori si vantano di ciò che hanno fatto e si aspettano di ricevere onori e vantaggi!

Abbiamo detto che vi sono delitti che non si vedono né saranno mai punti dalle leggi umane, perché i danni che provocano sono invisibili allo sguardo, essendo di natura puramente morale; nondimeno sono talvolta i peggiori che si possano commettere, e l’ignoranza delle conseguenze non vale ad attenuare la responsabilità di chi li compie. In realtà, fare il male significa sapere che si fa il male, cioè sapere che vi saranno delle conseguenze negative; se così non è, non si tratta di fare il male ma di agire senza coscienza di ciò che si fa, il che è profondamente diverso. Ma aver coscienza delle conseguenze del proprio agire, sia ben chiaro, comprende il fatto di sapere che una certa azione può avere certe conseguenze: l’uomo è un animale razionale, dotato di libero arbitrio e di senso morale, e sa benissimo che certe azioni possono avere certi effetti, perciò, se le compie, si assume la responsabilità di tutto quel che ne può derivare. Solo il bambino piccolo e l’alienato mentale ignorano le conseguenze di un determinato atto; solo per essi vale il principio della non intenzionalità. Un padre che dice a suo figlio una parola troppo dura e per una mancanza da poco, e inoltre la dice non per correggere un difetto del ragazzo ma per il gusto di umiliarlo e farlo sentire inadeguato, è responsabile di tutto quello che può avvenire. Non bisogna pensare solo a dei gesti clamorosi, come un tentativo di suicidio; possono esserci delle conseguenze invisibili, come una frattura interna, che segneranno negativamente la vita di quel ragazzo per il resto dei suoi giorni. Ebbene, quel padre inumano porta la responsabilità di tali conseguenze; anche se, è ovvio, nella vita delle persone e nel determinare il loro destino pesa una somma di cose che s’intrecciano in maniera inestricabile, per cui è impossibile decidere quanto abbia pesato un certo fatto e quanto un altro fatto, nel far sì che una certa persona abbia avuto una vita felice o infelice. Una persona vittimista avrà sempre e comunque la tendenza a scaricare sugli altri il peso dei propri fallimenti e anche, ovviamente, della propria infelicità; ciò non toglie che se qualcuno le ha inferto un male morale in maniera deliberata, quella persona ne è responsabile, ed è responsabile anche delle conseguenze di lungo periodo di un’azione apparentemente limitata nel tempo.

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L’oggetto della teologia è Dio: pertanto il teologo deve rendere conto direttamente a Lui di come ha condotto le sue ricerche e se esse sono state d’intralcio nel cammino di fede dei credenti e non, come avrebbero dovuto, di sostegno e d’aiuto. Si è mai vista una “teologia” che allontana i credenti da Dio?

Adesso parliamo del male morale che può fare un intellettuale attraverso le sue parole o le sue opere. La casistica è vastissima: ogni genere d’intellettuale, dal regista allo scrittore, dal pittore al drammaturgo, è in grado di entrare con forza nell’immaginario di tantissime persone e di esercitare un’influenza potente, a distanza, pur senza conoscere affatto quelle persone. Quest’ultima circostanza non attenua per nulla la sua responsabilità: egli sa che chi legge o ascolta o ammira le sue opere, ne verrà influenzato; pertanto, egli ha il dovere di non dire, o scrivere, o realizzare nulla che possa provocare intenzionalmente del male, proprio come farebbe se sapesse che il suo pubblico è formato dai suoi figli e dalle persone a lui più care. La responsabilità, poi, è massima quando si tratta di un pubblico di bambini, particolarmente suggestionabili e sprovvisti dei mezzi per porre una distanza critica fra sé e la cosa rappresentata. Bambini a parte, fra tutte le categorie d’intellettuali quella che svolge il ruolo più delicato è formata dai teologi. Tutti gli altri esercitano la loro intelligenza sulle manifestazioni dell’essere, loro invece hanno come oggetto di studio l’Essere in quanto tale. La teologia nasce come lo sforzo della ragione per chiarire, fin dove possibile, la fede: questo è il suo compito, questo è il suo statuto. Una teologia che tenda trappole alla fede, che scoraggi e metta in crisi i credenti, non si è mai vista fino al XX secolo, con il modernismo, e poi, in forme sempre più frequenti e invasive, a partire dall’epoca del Concilio Vaticano II. La cosa più grave è che i cattivi teologi, da quel momento in poi, hanno potuto avvalersi del sostegno della gerarchia ecclesiastica, sono stati onorati e riveriti: hanno trovato tutte le porte aperte per diffondere le loro esiziali teorie, seminando una messe incalcolabile di male morale. Cosa può esservi di peggio, per un credente, che imbattersi in un teologo che mina le basi della sua fede, che vi diffonde i germi dell’incredulità e sminuisce o ridicolizza aspetti fondamentali della vita morale cristiana? Eppure, proprio questo è accaduto e continua ad accadere: spettacolo orribile, questi cattivi teologi vengono lodati ed esaltati dai cattivi pastori, mentre i buoni teologi vengono calunniati ed emarginati. In pochi altri ambiti, come in questo, si può vedere alla luce del sole l’opera in atto del demonio. È demoniaca una situazione in cui coloro che dovrebbero proteggere la fede e custodire la Verità divina, forniscono sostegno e tributano ammirazione a quelli che agiscono in modo da indebolire, frantumare, colpire al cuore la fede dei credenti, e specialmente dei piccoli e dei semplici. Sarebbe meglio per loro che si legassero una macina da mulino al collo si precipitassero nel mare: sono parole terribili, che destano sgomento, eppure sono parole di Gesù Cristo. Quel Gesù che, secondo i cattivi pastori e i cattivi teologi, perdona sempre tutto e tutti, e di fronte al quale non è neppure necessario inginocchiarsi, mentre invece è cosa pia lodevole inginocchiarsi e prostrarsi fino a terra davanti agli esseri umani, e anche baciar loro le scarpe.

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Conosciamo molto bene l’obiezione che i cattivi teologi e i loro intrepidi difensori muoveranno al nostro discorso. A questo punto essi diranno di non aver mai avuto l’intenzione di fare del male, di provocare un danno alla fede dei credenti e di sospingere alcuni di essi nell’angoscia, nella sofferenza e nel male più grande di tutti, la perdita della fede; al contrario, diranno di non aver avuto altra cura e altra mira che quella di rendere la fede più semplice, più autentica, e di far sì che Dio e il Vangelo apparissero più “credibili” agli uomini del nostro tempo. Miserabile sofisma, che ha in se stesso l’evidenza della propria malizia infernale. Che vuol dire “rendere il Vangelo più credibile agli uomini del nostro tempo”, se non che il “nostro tempo” è tempo d’incredulità, e che, per dare “credibilità” al Vangelo, bisogna manipolarlo e stravolgerne il messaggio, sino a ridurlo alle misure della cultura moderna, che è intrinsecamente e irrimediabilmente anticristiana? Ma, obietteranno ancora quei signori, la teologia è pur sempre una scienza, e lo scienziato non ha obblighi di lealtà all’infuori di quelli che derivano dal condurre con competenza le proprie ricerche; in altre parole, risponde solo di fronte a essa. Ora, l’oggetto della teologia è Dio: pertanto il teologo deve rendere conto direttamente a Lui di come ha condotto le sue ricerche e se esse sono state d’intralcio nel cammino di fede dei credenti e non, come avrebbero dovuto, di sostegno e d’aiuto. Si è mai vista una “teologia” che allontana i credenti da Dio? Se ciò accade, allora siamo in presenza di una contro-teologia, cioè della teologia del diavolo. È il diavolo, infatti, che persegue l’obiettivo di allontanare le anime da Dio; tutti gli altri soggetti lo fanno incidentalmente, lui lo fa come scopo. Ne consegue che i cattivi teologi sono strumenti del diavolo, e, nei casi più gravi, dei servi perfettamente consapevoli, i quali hanno scelto di mettersi alla sequela del maligno per assecondare la loro ambizione.

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Una contro-teologia, cioè della teologia del diavolo! È demoniaca una situazione in cui coloro che dovrebbero proteggere la fede e custodire la Verità divina, forniscono sostegno e tributano ammirazione a quelli che agiscono in modo da indebolire, frantumare, colpire al cuore la fede dei credenti, e specialmente dei piccoli e dei semplici!

Ecco che ci stiamo avvicinando al cuore del problema. Un filosofo può giungere alla conclusione che tutto è male, che esistere è male e che il solo bene è non esistere; sarà poi questione della sua coscienza se divulgare tali idee fra i suoi simili, specie tenendo conto che la filosofia non è una scienza esatta e che esiste sempre la possibilità che sia lui a sbagliarsi. Getterà i semi dello sconforto, della tristezza e della disperazione nei suoi lettori, pur conoscendo che tale, almeno presso le persone più fragili, sarà l’effetto delle sue idee? O deciderà di tenere per sé quelle idee, per non aggiungere tristezza e dolore al carico, già pesante, del dolore universale? Questa, ripetiamo, saràuna questione della sua coscienza; noi abbiamo le idee chiare in proposito, tuttavia non ci sentiremmo d’imporre l’autocensura a chi, in buona fede, ritiene d’aver fatto delle scoperte che è giusto condividere coi suoi simili. Per la teologia, però, il caso è differente. La teologia somiglia alla filosofia nel metodo e anche nell’oggetto, in ultima analisi si tratta di conoscere il vero; però ne differisce profondamente nella prospettiva e negli scopi. La teologia nasce per sostenere la fede, per illuminare i punti oscuri della dottrina, per aiutare gli uomini a essere più saldi nel loro abbandono a Dio. Va da sé che il teologo deve essere un credente; se non crede in Dio, come può parlare della fede, come può illuminare la strada agli altri?  Ma proprio qui sta il problema. La cultura moderna nasce in opposizione a Dio e, specificamente, in opposizione a Cristo; è il frutto di un deliberato, satanico non serviam. Finché la fede è rimasta viva nel cuore della gente, l’irreligiosità e l’ateismo sono stati poco più di un gioco di società per pochi philosophes annoiati, tanto più che le menti più lucide hanno visto il pericolo e l’hanno denunciato, pur da un punto di vista anticristiano: L’ateismo è aristocratico, affermava per esempio Robespierre. Eppure, un po’ alla volta, l’ateismo si è diffuso, è diventato un fenomeno di massa: il suo strumento principale non è stato l’opera degli intellettuali illuministi, ma la rivoluzione industriale, che ha distrutto la famiglia contadina patriarcale e ha gettato milioni di persone nei quartieri degradati delle grandi città, a lavorare in fabbrica per dodici o quattordici ore al giorno, spogliati bruscamente di tutti i punti di riferimento tradizionali, e della religione in primo luogo.

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La teologia nasce come lo sforzo della ragione per chiarire, fin dove possibile, la fede: questo è il suo compito, questo è il suo statuto. Oggi però, questa neochiesa eretica con i suoi "Contro-teologi" hanno stravolto e falsificato il Vangelo, hanno fatto dire a Gesù Cristo ciò che Egli non si sarebbe mai sognato di dire!
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Ecco perché la colpa dei cattivi teologi è inescusabile

di Francesco Lamendola



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