ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 18 luglio 2019

Come nelle barzellette

Il signor parroco ha dato di matto


C’erano un inglese, un italiano e un francese… Come nelle barzellette e nelle scelte dei vescovi (la comicità ha raggiunto ormai livelli analoghi) anche la selezione del mio libro per l’estate ha preso avvio da una terna. Una terna clericale, signore e signori.

Pensavo, innanzitutto, all’anonimo prete allo sbando e alcolista ritratto da Graham Greene nell’eccezionale Il potere e la gloria: sulla scena di un Messico che ha vissuto la guerra dei Cristeros, la fede cattolica è vietata, ai sacerdoti s’impone moglie e apostasia, il “whisky priest” (espressione coniata dallo stesso Greene), peccatore profondo, non dimentica i suoi doveri trovando una via di riscatto umano e sacerdotale, quasi di santità. In seconda battuta pensavo al vecchio don Antonio nel Diario di un parroco di campagna di Nicola Lisi: dipinto di visioni poetiche così distanti dall’angoscia bernanosiana. Alla fine, tuttavia, ho puntato sul modesto, sciatto, tentennante, un po’ nevrotico don Benianimo. Perché il protagonista del recente Il signor parroco ha dato di matto di Jean Mercier raffigura proprio il modello che ci hanno messo davanti negli ultimi decenni.
L’autore si spegneva un anno fa, il 19 luglio, a 54 anni. Giornalista, protagonista di un non insolito percorso intellettuale e spirituale che dall’anglicanesimo e dal protestantesimo liberale lo ha riconvertito al cattolicesimo, era caporedattore e vaticanista del settimanale “La Vie”. Testata e firma di palese impronta, enfatizzeremmo noi, cattocomunista.
Però il Mercier era un estimatore di Papa Benedetto XVI e il vivace romanzetto merita davvero una lettura, soprattutto se affrontata con la mente aperta di chi sa valutare la religiosità odierna con disincanto e senso critico, senza papolatrie e idolatrie conciliari; con la saggezza che conosce come, dopo il Superconcilio, è andata a finire l’avventura: cioè, a dire eufemisticamente, niente affatto bene. Si riesce perfino a ridere in modo grosso e grasso, di pagina in pagina, constatando a che piani sotterranei ha potuto portare la scala santa del cattolicesimo, in che pandemonio si sono cacciate le parrocchie, per soprassedere sui signori curati. Ridere per non piangere, a volte.
La storia di Monsieur le curé fait sa crise, con il titolo francese che mette in risalto quella parolina (“crisi”) sulla quale l’edizione italiana ha preferito soprassedere, è infatti questa: il cinquantenne abbé Benjamin Bucquoy, che si definirebbe pure un tradizionalista-conservatore, giunge a un cosiddetto punto di non ritorno. Quando è troppo è troppo, così inizia la trama. È stufo, stanco, esaurito. Volete chiamarla, come va di moda adesso, sindrome da “burnout”? Fate pure.
Il risultato è che non ce la fa più. Gli impegni sono eccessivi, opprimenti e riguardano di tutto tranne che le mansioni principali e specifiche di un consacrato. Seminaristi e vocazioni non ce ne stanno. A Messa vanno sempre in pochi. La Confessione non interessa più e vandali profanano il confessionale. Anche Cristo sembra passato di moda. Le parrocchiane parlano e sparlano, dietro un atteggiamento caritatevole e di falsa misericordia si disprezzano a vicenda. I fedeli firmatari di una petizione lo criticano. Alcuni lo vogliono tirare a destra, altri lo spingono a sinistra. Il Vescovo se ne frega di lui e delle sue chiacchiere, si preoccupa soltanto della politica. Quando poi il reverendo si accorge che il suo posto preferito dove esercitare il sacro ministero, la nomina e l’incarico dei suoi sogni, insomma la docenza in seminario che meriterebbe per gli studi biblici va a un confratello e non a lui… Ah, maledizione!
La goccia che fa traboccare il vaso. Con il coraggio fisico e la tempra ascetica che lo contraddistinguono, il parroco vede come soluzione il darsela a gambe. Scappa, scompare. Che fine avrà fatto? Nessuno pensa di rivolgersi alla trasmissione “Chi l’ha visto?”. Invece cominciano a circolare le solite voci. Pettegolezzi, maldicenze, calunnie, sentito dire: sarà fuggito con un donna (o magari un uomo, chissà), sarà in clinica psichiatrica, sarà rinchiuso in convento, sarà morto, sarà, sarà, sarà. Il giornaletto locale ci marcia. Naturalmente in seguito don Beniamino viene rintracciato, il finale sarà originale, nel mezzo la comunità ha avuto occasione di interrogarsi sulla fedeltà quotidiana all’impegno evangelico e il lettore di divertirsi in qualche maniera.
Il racconto è snello, intrigante. Qualcuno si è spinto a battezzarlo “un nuovo don Camillo” e come tattica promozionale funziona. Sembra qui, però, descrizione abbastanza farlocca, distante dall’esatto e nemmeno tanto rispettosa della cara memoria guareschiana. L’umorismo non manca, certo, ma in una prospettiva largamente diversa da quella dell’acuto scrittore della Bassa, capace di mettere insieme situazioni concrete e invenzioni creative, personaggi unici e aneddoti, vicende simpatiche e riflessioni serie con impareggiabile semplicità e genio artistico (per ulteriori informazioni, citofonare Alessandro Gnocchi).
In Jean Mercier è praticamente il verismo a prendere il sopravvento. Il suo, in fondo, è giornalismo mascherato da narrativa, inchiesta travestita da satira, cronaca con innesti fittizi, realismo drammatico su quello che tutti conoscono ma non tutti riconoscono, neo-neorealismo che si fa (piuttosto involontariamente) ironico. A intrattenere è un esistente zeppo di bizzarrie parrocchiali: stravaganze, eccentricità, estrosità, capricci. A catturare è una presente, tangibile confusione, incertezza, disorganizzazione, baraonda. A suscitare identificazione è un effettivo, attuale disorientamento che si trova a parole stampate nel volumetto come a parole viventi all’ombra del proprio campanile. Se non vale più la pena starci male e disperarsi, allora si può (si deve) riderne.
Léon Bertoletti Luglio 18, 2019
Berlinguer e Moro “esempi” per il Vescovo di Palermo

Un tempo i Vescovi si preoccupavano delle anime e della loro salvezza. Oggi invece parlano di politica e di immanenza.
Giunge conferma da Palermo, dove in occasione della festa dedicata alla Patrona, Santa Rosalia, mons. Corrado Lorefice (nella foto, su licenza Creative Commons) ha parlato ai fedeli di tempi «segnati dall’inquietudine e dall’emergenza» non per la generale perdita della fede, non per la secolarizzazione rampante, non per il laicismo imperante, non per la morte portata da aborto ed eutanasia, non per la nuova schiavitù degli uteri in affitto e della fecondazione in vitro, non per i cristiani perseguitati in ogni angolo del mondo, bensì per un generico riferimento ad un vago «sistema economico planetario che schiaccia i poveri e ferisce la natura» e per l’«esclusione del diverso, dell’altro».
In questo crescendo programmatico più simile ad un comizio della «Festa dell’Unità» che ad un’omelia, il presule ha proposto la stessa figura della Patrona come esempio di chi seppe «opporsi ad interessi di classe» in un’inedita, impensabile ed improbabile riedizione marxista, distonica per tempi e contenuti all’esempio lasciato dalla Santa in pieno Medioevo, nonché condotta ad innaturale apoteosi con la citazione non di testimoni della fede, bensì di Enrico Berlinguer e di Aldo Moro, politici proposti come modelli in quanto “campione” della «responsabilità etica» il primo contro la «politica delle invettive e degli insulti» e paladino del «cambiamento profondo» e dei «tempi nuovi» il secondo contro «storture e ingiustizie». Cancellato qualsiasi riferimento al trascendente (peraltro non rintracciabile nell’allora Partito Comunista, né nel cosiddetto “compromesso storico”), mons. Lorefice vi ha preferito riproporre l’orizzonte ristretto di una politica tutta immanente, già bocciata peraltro dalla Storia.
Eppure, a suo dire, «quanto avremmo bisogno nella nostra nazione e nella nostra città di donne e di uomini che sentano la politica così!». Ciò ch’è certo è che, di contro, nella Chiesa non v’è alcun bisogno di Vescovi, che propongano la fede così.

1 commento:

  1. Che strano...è la stessa opinione che ha un certo Don Minutella,sospeso e scomunicato due volte(non ho capito perchè due volte, boh!anche in queste cose questa chiesa bizzarra dimostra di aver idee confuse)che si è trovato ed è tuttora da solo a combattere la "giusta battaglia"senza avere il benchè minimo sostegno da parte di coloro che affermano le stesse cose...che cos'è che non sta funzionando in quelli che vogliono restare cattolici,se invece di unirsi si fanno guerra l'un l'altro???

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