ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 23 settembre 2019

Così parlò il Gran Maestro

Per chi suona la campanella. Tutti a scuola dal Gran Maestro   

          

L’uomo sarà felice solo quando avrà finalmente ucciso quel Cristianesimo che gli impedisce di essere uomo. Ma non sarà attraverso una persecuzione che si ucciderà il Cristianesimo, che semmai la persecuzione lo alimenta e lo rafforza. Sarà attraverso l’irreversibile trasformazione interna del Cristianesimo in umanesimo ateo con l’aiuto degli stessi cristiani, guidati da un concetto di carità che nulla avrà a che fare con il Vangelo.” (Ludwig Feuerbach, Essenza del Cristianesimo, 1841).
Serve un patto educativo globale per far maturare una nuova solidarietà universale e una società più accogliente, un nuovo umanesimo“. Così parlò il Gran Maestro? No, così parlò un tale che afferma di essere papa di una chiesa che si definisce cattolica.

Ergo, tutti i grandi e i piccini della terra (la lista degli invitati comprende “i rappresentanti delle principali Religioni, gli esponenti degli organismi internazionali e delle istituzioni umanitarie, scienziati e pensatori, economisti, educatori, sociologi e politici, artisti e sportivi“) sono ufficialmente convocati in Vaticano il prossimo maggio per sottoscrivere il Global compact on Education, oh yeah, e dialogare sul futuro del Pianeta (maiuscolo). Che dire, wow.
Il videomessaggio di Bergoglio apre l’anno scolastico riprendendo alla lettera l’auspicio umanista del bifido Conte per amplificarlo urbi et orbi (Sorry: all around the world), guarda tu la combinazione. Una manciata di giorni prima, infatti, nel prolisso quanto gramo discorso per la fiducia recitato alla Camera e spedito in ciclostile al Senato, il transpresidente del consiglio ex sovranista ex populista ex italiano aveva eletto a parola-chiave del suo programma autunno-inverno proprio il Nuovo Umanesimo, ovvero quell’”orizzonte ideale che mette al centro il primato della persona e i diritti” ovviamente in vista di una “società più giusta, solidale e inclusiva” e della realizzazione, nientemeno, che di un Green New Deal. Tutto all’insegna della Sobrietà dell’Uguaglianza e dell’Unità (maiuscole). Per inaugurare la nuova stagione riformatrice del governo del cambiamento (da se stesso), l’alter ego di se stesso aveva pensato bene di attingere alla migliore grammatica del pensiero unico di tradizione massonica, divenuto bibbia global-popolare del politicamente corretto.
E ora lo stesso identico pacchetto, nella stessa identica lingua corriva ormai definitivamente acquisita dal prelato collettivo, viene rilanciato dal vertice della neochiesa che si premura di declinarlo sul piano, decisivo, della educazione delle nuove generazioni “affinché l’educazione sia creatrice di pace, di giustizia, sia accoglienza tra tutti i popoli della famiglia umana nonché di dialogo tra le loro religioni“. Che meraviglia, anzi, how wonderful.
ALLE RADICI DELL’IRENISMO TRASVERSALE Appena il tempo, dunque, di metabolizzare la farsa di palazzo col il discorsetto programmatico del maggiordomo incaricato, che uno se ne ritrova citati pari pari i ritornelli nel magistero della chiesa che fu cristiana, finalmente convertita alla religione planetaria dell’Uomo fatto dio e di Soros il suo profeta. 
Par di capire che il ghost writer dei due oratori sia più o meno lo stesso: uno zampino deve avercelo messo tale Edgar Morin, pensatore francese di cui Conte si dichiara grande ammiratore e che guardacaso si aggirava per Roma quest’estate, anche dalle parti del vaticano; uno con la fissa dell’uomo nuovo, dell’educazione del futuro, del governo democratico mondiale, della terra casa comune e di molte altre belle cose in odore di loggia. Uno che va matto per la Laudato Sì, che riesce persino a definire un’enciclica epocale “per una nuova civiltà“. Commuove il tripudio di complimenti circolari tra giganti del pensiero contemporaneo, fratelli nella fede della nuova religione umanista, atea ed eco-planetaria. Fratelli, appunto. Fratelli di quella fraternité che vuol dire in buona sostanza, come ci spiegava monsignor Delassus, “la distruzione di tutte le barriere tra individui, famiglie, nazioni per lasciare il genere umano abbracciarsi in una Repubblica universale“. Del resto, le istruzioni dell’Alta Vendita lo dicevano: “Quello che noi dobbiamo domandare, quello che dobbiamo cercare e aspettare, come gli ebrei aspettano il Messia, è un Papa secondo i nostri bisogni“. La missione parrebbe compiuta. 
D’altra parte, si è scoperto che l’affettato carneade spuntato fuori dal cilindro con la qualifica di avvocato degli italiani, altro che outsider, altro che dilettante allo sbaraglio, non è che il prodotto di punta, pluriaccessoriato, uscito dal laboratorio politico del deep state ecclesiastico, “burattino” (così lo chiamava l’europoide Verhofstadt, mica noi) evidentemente designato fin dal principio della sua sfolgorante carriera a scongiurare ogni spinta sovranista e populista per convogliare un gregge recalcitrante nell’ovile di Bruxelles: pupillo del cardinale Achille Silvestrini – il longevissimo, potentissimo esponente della diplomazia vaticana, regista di quella mafia di San Gallo che ordì il golpe bergogliano – Conte è stato covato con amore nell’incubatrice del collegio Nazareth fondato dallo stesso Silvestrini e di cui l’attuale segretario di stato Pietro Parolin fu rettore. Lo avevamo lasciato tra i guastafeste sfasciasistema (interfaccia presentabile della brigata) e ce lo ritroviamo, come per incanto, a sguazzare nello stagno clericalprogressista dove galleggiano tutti i papaveri sempreverdi del vivaio democristiano, a partire dai vari capi di stato (in carica, emeriti, fu, candidati): da Mattarella a Napolitano a Ciampi a Scalfaro a Prodi, giusto per fare qualche nome. Un intreccio indissolubile di fratellanze altolocate.
GLOBAL COMPACT ON EDUCATION Da oggi quindi, che fortuna, possiamo dire di disporre di una summa teologica ufficiale – secondo un approccio olistico, direbbero lorsignori nella loro lingua esoterica – di quel pedagogismo globalista in salsa umanitaria che già da decenni pervade ogni piega del sistema scolastico ed educativo italiano, assicurando ai nativi in via di sostituzione un sicuro e confortevole stato di analfabetismo, funzionale alla pacifica instaurazione della nuova tirannide globale.  
Finalmente, il programma contro-culturale imposto alle masse a uso e consumo del Potere, è presentato nero su bianco come frutto maturo di una santa alleanza, sempre più fraterna, tra oligarchie laiciste e gerarchie ecclesiastiche. Nel nome di Greta e dell’ecologismo, di don Milani e dell’egualitarismo, di don Ciotti e della legalità, e delle altre icone sintetiche in predicato di beatificazione trasversale a cui vengono di volta in volta abbinati i dogmi portanti della religione unica umanitaria dalla implacabile vocazione fondamentalista (nel senso che tutti coloro che non vi si convertono sono ipso facto fuori dalla civiltà). 
In ogni caso, quale fosse il disegno da portare a termine e quali fossero i suoi artefici era chiaro anche prima del lancio in pompa magna del patto educativo globale. 
Ci rendiamo conto che non suona molto elegante dire che lo avevamo detto, ma di fatto lo avevamo proprio detto, e ripetuto, qui su Ricognizioni: la saldatura sempre più ermetica tra tecnocrazia e neochiesa per conquistare il monopolio della educazione, ovvero per abbattere ogni retaggio propriamente culturale (e spirituale) e imporre una rieducazione collettiva all’insegna della omologazione corriva e massificante, è il passaggio decisivo di una manovra tanto imponente quanto risolutiva, quanto passivamente subita da tutti coloro che in teoria dovrebbero opporvi qualche resistenza, vuoi per mestiere vuoi per vocazione. 
La convergenza delle parallele è stata possibile grazie a un’opera meticolosa di omogeneizzazione pilotata dei valori di riferimento: nel sistema di pseudo-valori artefatti, orecchiabili e a buon mercato propri della teologia onusiana e mondialista sono confluiti senza sforzo i cascami del cristianesimo contraffatto e così il tutto ha potuto assumere per tutti – senza distinzione di razza, lingua, sesso, credo politico o religioso – il volto rassicurante della cosa buona, giusta, moralmente edificante, apparentemente cristiana. Miracoli del dialogo e della condivisione.
Il Global compact on Education, non potevamo sperare in un nome più bello, è la copertina patinata di un lavoro certosino che parte da lontano, delle cui tappe abbiamo dato conto a più riprese su queste colonne mettendo insieme nel tempo tante tessere di un mosaico ben più articolato di ciò che appare a prima vista. Il timbro vaticano suggella e benedice un piano risalente di deculturazione profonda, di colonizzazione educativa gioiosamente autoinflitta che ha spazzato via la nostra cultura e un ethos millenario lasciando un vertiginoso vuoto pneumatico in cui attecchisce ogni ideologia. 
Facciamo dunque un piccolo collage di ciò che qua e là avevamo scritto e che ora, illuminato dal proclama di cui sopra, può offrire nuovi spunti di riflessione e, forse, magari, qualche stimolo alla resistenza.
LAVORI PREPARATORI: COVER BOYS, COVER GIRLS, ASSISTENTI E COLLABORATORI Nel parlare dell’operazione don Milani – imponente spiegamento di forze per il rilancio in grande stile di un idolo mai tramontato – spiegavamo come il teorico della scuola egualitaria (nel senso di votata a conseguire l’uniformità dell’ignoranza senza confini) fosse, in effetti, la figura dotata delle migliori referenze per diventare il simbolo della nuova missione “educativa” coerente con la strategia di demolizione culturale già inaugurata da decenni in sua memoria da schiere di maestri di fede giacobina: chierico rivoluzionario, pedagogo riformatore, intellettuale inquieto, utopista e trasgressivo, il prete di Barbiana è apparso subito il biscotto ideale da inzuppare nella brodaglia di pensieri e parole del repertorio mondialista d’avanguardia, cerniera perfetta tra il progressismo laicista e quello parareligioso, già attratti l’un l’altro da molte affinità elettive nonché strategicamente complementari. Ecco dunque che, nonostante il donmilanismo come metodo pedagogico abbia ispirato edificanti esperienze quali quella del Forteto, don Milani ha continuato e continua a rimbalzare trionfalmente in ogni ambiente, sacro e profano, per essere additato a modello dell’”educatore appassionato per una scuola aperta e inclusiva” (come da dichiarazione congiunta di Fedeli e di Bergoglio in occasione delle celebrazioni dell’anniversario della morte). E tutti lo celebrano suonando le stesse note dello stesso spartito, con l’accompagnamento sinfonico di un’orchestra mediatica sempre intonata al “la” della regia.
La coppia Fedeli/Bergoglio, apparsa così affiatata in diverse apparizioni pubbliche, è una bella raffigurazione plastica della sintonia tra due mondi distinti solo in apparenza. La straordinaria corrispondenza di amorosi sensi tra l’inquilino di Santa Marta e l’ex inquilina del MIUR, è confermata dalla loro esibizione letteraria a quattro mani, il cui titolo, tratto dal prontuario di formulette pedagogiche prêt à porter reperibili nelle fonti europee e di rimando in quelle autoctone (leggasi: buona scuola), è già tutto un programma: Imparare a imparare. Legati l’un l’altra da solida fede globalista oltre che da una non comune levatura culturale, i coautori si sono suddivisi il lavoro come si conviene e il primo ha sottoscritto il testo, la seconda la prefazione del capolavoro, affidato poi alla casa editrice Marcianum Press fondata dal patriarca emerito di Venezia, il ciellino Angelo Scola. Una grande famiglia, insomma, tutti fratelli in un’unica fede. 
Visto con il senno del poi, il libro di Bergoglio prefatto dalla Fedeli (uscito nel 2017) acquista un suo pregnante perché. Una sorta manuale di istruzioni per l’evento planetario in gestazione. Leggiamo dalla presentazione che “la centralità della scuola nella società è un fatto non irrilevante che papa Francesco ribadisce continuamente e questo non per fare di essa un luogo dove si accumulano saperi, ma un centro dove si sviluppano valori e verità di vita“. Di straordinaria profondità anche le allora riflessioni della insigne prefattrice che, felice abitatrice del mondo nuovo delle ministre e dei ministri, delle papesse e dei papi, afferma con tutta l’autorità che le compete: “Sono fermamente convinta che si debba e si possa rilanciare un patto educativo tra scuola, genitori e società. Un patto che metta al centro le studentesse e gli studenti, che riconosca e valorizzi (anche in termini economici) il ruolo fondamentale delle e dei docenti, un patto che sia fondato sulla consapevolezza che la formazione delle nuove generazioni è un investimento decisivo non solo per lo sviluppo personale delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, ma per il futuro dell’intero paese“. 
Abbiamo dato conto, in più circostanze, di come meriti, attitudini e potenzialità della signora Fedeli nel campo della Pubblica Istruzione evidentemente andassero ben oltre quelli ricompensabili banalmente con un ministero o la prefazione di un saggio papale. Appena conclusa la sua missione al governo, la senatrice munita di licenza media è stata voluta, fortemente voluta, dal presidente John Elkann al posto di Sergio Marchionne nel consiglio di amministrazione della Fondazione Agnelli, sebbene ostasse una causa di incompatibilità ai sensi della normativa sul conflitto di interessi. Troppo preziosa per lasciarsela scappare, la ministressa emerita diversamente istruita dallo sfavillante curriculum. Sappiamo infatti come la Fondazione Agnelli rivesta un ruolo fondamentalissimo in tema, come recita il sito, “di politiche scolastiche, evoluzione della didattica, formazione di docenti e dirigenti della scuola e della università e sistemi di valutazione dei singoli istituti“. E come tra l’altro ogni anno, attraverso il proprio osservatorio Eduscopio, compili le pagelle delle scuole, pubbliche e private, di ogni comune e provincia italiani, in modo che le classifiche orientino i flussi di materiale umano secondo le esigenze del mercato e dei suoi signori. 
Che il grande capitale privato abbia istituzionalmente una parte di tanto rilievo nella definizione della politica educativa dello Stato – ciò che dovrebbe afferire più di ogni altra materia al bene comune di una nazione – la dice molto lunga sull’obiettivo vero che i veri decisori, al di là delle passerelle dei governi pro tempore, perseguono con la loro opera di demolizione permanente.
In effetti abbiamo visto e illustrato come ci sia un motore immobile, schermato alla vista dei più, che regge le sorti della educazione e da decenni detta la linea agli esecutivi di tutti i colori: un gotha industrial-finanziario, formalmente esterno alle istituzioni ma ufficialmente acquattato sotto il loro ombrello, che mette a frutto risorse inesauribili per esercitare la più penetrante e risolutiva forma di dominio sulle masse da addomesticare all’esistenza e allo stato permanente di servitù: il dominio che consiste nell’impossessarsi dei cervelli in via di formazione. Come ci dice l’Europa, la parola d’ordine è “credere fortemente nel potenziale trasformativo dell’istruzione“. Lorsignori ci credono.
LA FABBRICA DEGLI SCOLARI L’officina in cui vengono elaborate le politiche educative eseguite dal MIUR e dall’intero apparato burocratico centrale e periferico fa capo a un think tank chiamato TreeLLLe (Life Long Learning), fondato nel 2001 da Umberto Agnelli e di cui la Fondazione Agnelli è ovviamente attore protagonista. Alla TreeLLLe, il cui telos (pardon, mission) è instaurare una “società dell’apprendimento permanente“, appartiene la créme dell’establishment italiano e straniero proveniente dal mondo della finanza e delle banche, dell’industria, della accademia, della comunicazione, dell’episcopato, dell’associazionismo e movimentismo ecclesiale (tutti compresi nella lista degli invitati al Global Compact on Education, of course). Attraverso “quaderni” periodici, il pensatoio formula e suggerisce ogni intervento riformatore (di fatto, è stato l’estensore occulto della “buona scuola”) e si avvale del contributo fondamentale degli enti di rilevamento nostrani e internazionali i quali, per mezzo di verifiche sistematiche sulle “competenze” e “abilità” degli studenti e sulla qualità delle offerte formative delle scuole, pilotano flussi di iscrizioni, finanziamenti, programmi, col chiaro intento di schiacciare l’apprendimento sull’orizzonte piatto e unidimensionale disegnato dalle logiche del mercato e del profitto e sui desolanti standard internazionali. Nel corpo proteiforme degli oracoli senza volto dai nomi arcani – INVALSI, OCSE, OCSE PISA, IEA, TIMSS, PIRLS e chi più ne ha più ne metta – dai vaticini inappellabili e intimidatori, sono incistate, manco a dirlo, strutture religiose, accademie curiali, movimenti ecclesiali. I gesuiti, come sempre, in prima linea. 
A ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, del fatto che tutti parlano lo stesso linguaggio e la torta è spartita tra chierici (e loro emissari) e laici, perché tra i poteri forti della tecnocrazia laico-massonica e il simulacro della chiesa che fu cattolica sussiste piena comunanza di intenti, di interessi, di obiettivi, di fede. E la partecipazione del sottosegretario di Stato Parolin al Bilderberg – giugno 2018 – è una bella cartolina, assai icastica, di questo paesaggio lunare.
È così che la scuola è invasa dagli “esperti. Perché, in attesa che anche i docenti delle materie fondamentali imparino il nuovo catechismo di ordinanza, ogni esperto insegna agli scolari un pezzo della nuova religione e tutti insieme collaborano alla catena di montaggio degli automi conformi, pacificati, obbedienti, apolidi, itineranti, chiamati a fornire manovalanza sempre fresca a servizio di una implacabile regia superiore. Tanti bravi “cittadini” della cosmopoli universale, perfettamente fungibili e perciò in via di rapida sostituzione e di progressiva autodistruzione, tarati sui criteri assorbenti dell’efficienza tecnico-economica.
Tanto è radicata l’idea distorta che la scuola debba essere un contenitore di distrazioni di massa ad alto contenuto ideologico, a scapito dell’apprendimento e del consolidamento delle conoscenze fondamentali, che persino il fu governo sovranista ha ritenuto di dare il proprio dirompente tributo alla costruzione sociale della superficialità come sistema e all’acquisizione generalizzata della paccottiglia pedagogica ecoglobalista. Lo ha fatto attraverso la riforma sulla (ri)educazione civica obbligatoria e belle trovate connesse, a dimostrazione del fatto che il virus del monopensiero ha contagiato anche quelli che a parole dicono di volerlo rifuggire, e li ha contagiati al punto da farli fieramente contribuire allo spappolamento seriale dei cervelli dei loro stessi figli.
Nell’era del totalitarismo demoplutocratico, trionfo della schiavitù consenziente, persino gli scioperi – storica e nobile arma dei deboli contro il potere – sono indetti e organizzati dal potere, in religioso ossequio alle agende degli organismi sovranazionali e con il concorso esterno dei media di regime, in un cortocircuito di senso indicativo dello stato di confusione generalizzata e di ebetudine diffusa. Lobotomizzati dalla propaganda, tenuti a digiuno di istruzione, i poveri ecocrociati restano appiccicati alla carta moschicida di qualche slogan farlocco e di qualche santino devozionale creato in laboratorio dai signori del discorso e si lasciano rastrellare a scuola, il loro luogo di lavoro, vittime inconsapevoli di aguzzini benpensanti e benparlanti. Nemmeno si lasciano sfiorare dal sospetto che uno sciopero promosso e sostenuto dall’intero apparato mediatico e istituzionale possa essere solo un grande spot a beneficio del potere assetato di potere. Piccoli schiavi crescono, a suon di Global Strike for Future, Climate Action Week, grete e gretini assortiti. Il neoministro Fioramonti, uno che ha imparato a imparare, e lo dimostra, incita gli scolari a marinare la scuola, accompagnato, ancora una volta, dal coro unanime dei suoi compagni di merendine, degli gnomi della burocrazia, dei Mattarella, dei Bergoglio, dei Soros e dei Morin. I “grandi” d’Italia e del mondo cantano tutti Laudato sì, mentre i loro camerieri in livrea, con pochette o con zucchetto, li nutrono e li ingrassano. E masse di umanoidi storditi, monocromi monofoni e unisex, danzano ebbri sulle macerie di una civiltà.
Parola d’ordine: nuovo umanesimo. Benvenuti nell’allevamento intensivo globale della gioventù ex italiana.
Elisabetta Frezza Settembre 23, 2019

Nella chiesa di Bergoglio, anche per gli aggettivi cristiani, arriva lo spoglio…


La Chiesa è intransigente sui princìpi, perché crede, ma è tollerante nella pratica, perché ama. I nemici della Chiesa sono invece tolleranti sui princìpi, perché non credono, ma intransigenti nella pratica, perché non amano (R. Garrigou-Lagrange)
Cominciamo subito con il chiarire che, quanto segue, non intende assumere il ruolo del professore di italiano e dunque non si intende correggere papa Francesco nel suo uso – e consumo – della lingua italiana… Tuttavia essendo stato proprio Bergoglio ad aver fatto una lezione di “grammatica cristiana” e ad averci offerto il tutto su di un piatto d’argento, riteniamo doveroso intervenire per salvare certi aggettivi dall’impietoso e –  regal-papale – abbattimento.
Questa mattina 23 settembre, vedi qui, papa Francesco ha ricevuto il Dicastero per la Comunicazione e, come da sua abitudine, tralascia il testo originale per comunicare agli Ospiti più liberamente: “dire quello che ho nel cuore “…. Prima di procedere è bene tenere a mente le parole di Benedetto XVI che, nel descrivere il compito del Papa, annienta subito questo modo arbitrario di “pensare” da parte di Bergoglio:
  • “Egli (il papa) non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo…” (Benedetto XVI – Omelia dalla Cattedra 7.5.2005)
Dire quel che “si ha nel cuore” è cosa lodevole, ma non per inventare qualcosa di nuovo. Se dovessimo togliere gli aggettivi dal Discorso di Benedetto XVI, che cosa rimarrebbe?
Vediamo così che nel Discorso ufficiale, consegnato da Bergoglio al Dicastero, non c’è nulla di ciò che ha detto a braccio ma è bene tenere a mente che – questo metodo di consegnare il testo ufficiale e poi parlare a braccio – sta ad intendere come deve essere interpretato, poi, il testo consegnato! Inoltre bisogna tenere a mente che i Gesuiti si ritengono da sempre MAESTRI ASSOLUTI… ma non ci addentreremo ora in questo.
Ecco il passaggio che deve far discutere, delle parole dette a braccio da papa Francesco, non spezzate il discorso, va letto integralmente:
  • Guardo questo Arcivescovo lituano qui davanti, e penso all’Emerito di Kaunas, che ora sarà fatto cardinale: quell’uomo, quanti anni in prigione ha passato? Con la testimonianza ha fatto tanto bene! Con il dolore… Sono i nostri martiri, quelli che danno vita alla Chiesa: non i nostri artisti, i nostri grandi predicatori, i nostri custodi della “vera e integra dottrina”… No, i martiri. Chiesa di martiri. E comunicare è questo: comunicare questa ricchezza grande che noi abbiamo. Questa è la seconda cosa.
  • La terza la prendo da quello che ho detto poco fa, che mi dà un po’ di allergia quando sento dire: “Questa è una cosa autenticamente cristiana”, “questo è veramente così”. Siamo caduti nella cultura degli aggettivi e degli avverbi, e abbiamo dimenticato la forza dei sostantivi. Il comunicatore deve far capire il peso della realtà dei sostantivi che riflettono la realtà delle persone. E questa è una missione del comunicare: comunicare con la realtà, senza edulcorare con gli aggettivi o con gli avverbi. “Questa è una cosa cristiana”: perché dire autenticamente cristiana? È cristiana! Il solo fatto del sostantivo “cristiano”, “sono di Cristo”, è forte: è un aggettivo sostantivato, sì, ma è un sostantivo. Passare dalla cultura dell’aggettivo alla teologia del sostantivo. E voi dovete comunicare così. “Come, tu conosci quella persona?” – “Ah, quella persona è così, così…”: subito l’aggettivo. Prima l’aggettivo, forse, poi, dopo, come è la persona. Questa cultura dell’aggettivo è entrata nella Chiesa e noi, tutti fratelli, dimentichiamo di essere fratelli per dire che questo è “così” fratello, quello è “nell’altro modo” fratello: prima l’aggettivo. La vostra comunicazione sia austera ma bella: la bellezza non è dell’arte rococò, la bellezza non ha bisogno di queste cose rococò; la bellezza si manifesta dallo stesso sostantivo, senza fragole sulla torta! Credo che questo dobbiamo impararlo.
Allora, intanto ci rincuora che il papa abbia detto: “Credo che…” sollevandoci, nella sostanza, da un obbligo vincolante… E’ bene tuttavia ragionare sulla gravità di questo modo di pensare.
Bergoglio afferma che i nostri martiri NON SONO “i nostri custodi della “vera e integra dottrina”…“, i nostri martiri non sarebbero così, per Bergoglio, neppure I GRANDI PREDICATORI (??) Per Bergoglio, i martiri sono coloro che (??? punti interrogativi perché di fatto non esplicita) sono stati in prigione… hanno comunicato la vita della Fede con la propria vita. E questo è vero, ma ciò che si vuole omettere è il SOGGETTO: per CHI?? In nome di CHI? Questo per papa Francesco è superfluo, a volte lo da per scontato e dunque non c’è bisogno di esplicitarlo. Ma ciò che sgomenta è la netta separazione dei “grandi PREDICATORI” della Fede, dei Confessori della Fede che, se morti per difendere la FEDE, non rientrerebbero nel concetto di MARTIRIO
Quando il Papa afferma: “E comunicare è questo: comunicare questa ricchezza grande che noi abbiamo…“, di quale ricchezza sta parlando? Lo accenna nel paragrafo dopo riportato integralmente. Per Bergoglio è sufficiente dirsi CRISTIANI E BASTA, capite dove sta arrivando? Alla eliminazione dell’aggettivo CATTOLICO…. infatti afferma: “Il solo fatto del sostantivo “cristiano”, “sono di Cristo”, è forte: è un aggettivo sostantivato, sì, ma è un sostantivo. Passare dalla cultura dell’aggettivo alla teologia del sostantivo...”
E’ vero che il solo sostantivo basterebbe, ma non sempre perché ci sono i CRISTIANI PROTESTANTI e quando Bergoglio dice: “E voi dovete comunicare così. “Come, tu conosci quella persona?” – “Ah, quella persona è così, così…”: subito l’aggettivo. Prima l’aggettivo, forse, poi, dopo, come è la persona. Questa cultura dell’aggettivo è entrata nella Chiesa e noi, tutti fratelli, dimentichiamo di essere fratelli..”, chi vi credete a chi allude? Agli aggettivi entrati nella storia della Chiesa ma non certo per colpa della Chiesa, come vorrebbe far credere. ELIMINARE IL TERMINE CATTOLICO E QUELLO DI PROTESTANTE sarebbe, per Bergoglio uno di quei muri da abbattere per facilitare l’ecumenismo…
Come possiamo essere certi di questa interpretazione? A parte i tanti editoriali nei quali abbiamo annotato il ricco florilegio di questo pontificato, ma leggiamo sempre da questo Discorso quanto segue:
  • “Questa è una cosa cristiana”: perché dire autenticamente cristiana? È cristiana! Il solo fatto del sostantivo “cristiano”, “sono di Cristo”, è forte: è un aggettivo sostantivato, sì, ma è un sostantivo.
Certo che basterebbe il sostantivo “cristiana”, ma come DISTINGUERSI DAL CRISTIANESIMO PROTESTANTE?? Eccola qui la soluzione di Bergoglio: eliminate gli aggettivi perché distinguono… e lo ha specificato quando ha detto: “Sono i nostri martiri, quelli che danno vita alla Chiesa: non …i nostri grandi predicatori, i nostri custodi della “vera e integra dottrina”… No, i martiri. Chiesa di martiri…”, ma se NON sono MORTI per difendere la VERA E INTEGRA DOTTRINA CATTOLICA, per cosa sarebbero morti? Per Bergoglio è sufficiente che sono morti “per Cristo”, punto.
Di quale “immagine di Cristo” parliamo?  NESSUNA: con questo magistero infatti, abbiamo UN SOLO DIO UNICO che deve andare bene a tutte le religioni, vedi qui, persino ai Musulmani… e allora perché non eliminare anche il Gesù Cristo CATTOLICO?? E così come il Dio di Bergoglio UNISCE tutte le religioni…. bisogna intervenire anche sul Cristo della Chiesa Cattolica perché DIVIDE… mentre quello di Bergoglio, unisce!
Senza più distinzione tra i martiri di oggi, ecco che siamo tutti accomunati da una MEDESIMA FEDE mentre, concetti o aggettivi utili a definire una dottrina, quali “autenticamente, veramente, integra, ecc…” SONO OSTACOLI… Togliendo quel “vera e integra” rimane DOTTRINA sì, ma di chi?? Di quale Chiesa? Di quale Credo, di quale Fede?
Forse prendemmo troppo sotto gamba quando Bergoglio, da poco eletto papa, affermò a Scalfari di non credere in un “Dio cattolico“…. nella sua decantata “furbizia”, vedi qui, ha preso in giro tutti. Vedete, il metodo gesuitico paga perché va a toccare la FORMAZIONE, la mentalità il pensiero e l’eretico gesuita Karl Rahner lo sapeva benissimo come bisognasse entrare nei seminari, per deformare il pensiero cattolico.
Concludiamo con alcuni esempi pratici:
ATTRIBUTO/AGGETTIVO
  • A come attributo, A come aggettivo
    SPAVALDO, TIMIDO, sovente SCHIVO.
    Mi dice sempre qualcosa in piu’,
    il gatto BIANCO l’hai perso tu?
Ma facciamo un altro esempio: aggettivi più usati per descrivere una poesia
lunga, breve, romantica, corta, bella, dialettale, brutta, famosa, lirica, ermetica, triste, moderna, epica, antica, satirica, allegra, bucolica, classica, difficile, latina, scritta, didascalica, facile, greca, rinascimentale, drammatica, storica…. Come sarebbe possibile valutare una poesia se… non si usasse almeno qualche aggettivo per darne motivazione?
Provate a togliere certi aggettivi dalle parole di San Paolo: “Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina.  Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie,  rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole.  Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero. ” (2Tim. 4, 1,5).
  • ed infine provate a togliere certi aggettivi anche da qui….
    “Il cattolicesimo, in ciò che gli è essenziale, non può ammettere né il più né il meno: «Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo»; o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: «Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome»; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina.
    (“AD BEATISSIMI APOSTOLORUM” di Papa Benedetto XV)

L’aggettivo MOTIVA e specifica, senza, rischiamo davvero quel CRISTIANESIMO ANONIMO di rahneriana ed infelice memoria

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