Ma gli indigeni amazzonici sono già salvi?
Nei precedenti blog dedicati al prossimo sinodo dell’Amazzonia ho più volte espresso l’impressione fondata che i popoli amazzonici non sembrano bisognosi di salvezza. L’Instrumentum laboris e la grancassa mediatica ufficiale li presentano come già salvi, dato che è piuttosto la Chiesa ad aspettarsi la salvezza da loro più che il contrario. A cambiare, infatti, è chiamata la Chiesa e non l’Amazzonia. La Chiesa deve diventare “dal volto amazzonico”, non l’Amazzonia “dal volto cattolico”. La variabile indipendente è il contesto amazzonico e non la fede apostolica. Giustamente uno si chiede: ma allora perché in Amazzonia servono più preti al punto da ordinare anche dei viri probati sposati, come di recente ricordatoci da Andrea Tornielli? La domanda non è stupida: se il problema non è battezzare ma dialogare con quella cultura e farsi insegnare da loro come risolvere i problemi della Madre Terra, perché servono più preti?
Anche mediante queste curiose domande ci si rende sempre più conto che il prossimo sinodo toccherà non pochi contenuti dottrinali e perfino dogmatici della fede cattolica. Da qui il grande allarme e le iniziative di preghiera come quella prevista per il 5 ottobre a Roma. Uno di questi contenuti di primo livello è quello della “natura pura” e del rapporto tra natura e sopra-natura. Questioni teologiche formidabili su cui il sinodo si misurerà, nonostante molti credano che si tratterà solo di proteggere la biodivesità del “polmone verde della terra” e quella delle varie minoranze indigene.
Perché, quindi, la questione della “natura pura”? Se i popoli amazzonici non abbisognano di salvezza e di conversione vuol dire che la loro natura non è pura, ossia solo natura, ma è già grazia e, quindi, già salva o comunque ordinata ontologicamente alla salvezza. Da questo deriva che la vita di grazia è “dovuta” ad essi in virtù della loro natura, la quale è costitutivamente resa tale dalla grazia. Ne deriva anche che la grazia non è gratuita, ma in qualche modo dovuta a tutti in virtù della natura. Ecco che allora avrebbe un senso ritenere che i popoli amazzonici siano in qualche modo già salvi.
Certamente pochi pensano che il sinodo sull’Amazzonia abbia a che fare con cose così fondamentali che ritirano in ballo grandi nomi del passato come per esempio Henri de Lubac. Fu lui il primo a negare la possibilità di una “natura pura”. Lo fece nel suo famoso libro Surnaturel del 1946 e poi con il nuovo titolo Il mistero del soprannaturale nel 1965. Ricordiamo che Pio XII, nell’enciclica Humani generis del 1950 sulle “Opinioni false e pericolose per la dottrina cattolica”, pose in guardia dalla nuova teologia (nouvelle théologie) che metteva in pericolo la gratuità della grazia divina rispetto alla natura umana e dalle posizioni che “snaturano il concetto della gratuità dell’ordine soprannaturale, sostengono che Dio non può creare esseri intelligenti senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica”.
Su Henri de Lubac ci fu una complessa discussione. Il cardinale Siri, nel suo libro Getsemani del 1980 non ha dubbi che il teologo gesuita, negando la dottrina della natura pura, confonda il naturale e il soprannaturale, consideri l’ordine soprannaturale come debito alla natura, ed apra ad un antropocentrismo assoluto in quanto Dio rivelerebbe il Figlio nell’uomo. La salvezza sarebbe già contenuta nella natura umana. Se la discussione su de Lubac può considerarsi ancora aperta, quella su Karl Rahner no. Qui è infatti chiarissimo che gli uomini sono per natura già salvi e la distinzione tra naturale e soprannaturale sparisce. La natura dell’uomo consiste nell’essere collocato sempre dentro un contesto storico nel quale il soprannaturale è sempre presente. Lo Spirito è nel mondo, l’uomo è intimamente ordinato al soprannaturale presente nella sua esistenza previamente ordinato alla grazia, l’uomo è la capacità di ricevere la grazia presente nel contesto della sua esistenza. La natura non è mai pura, ma è sempre nell’ordine soprannaturale, anche se l’uomo è incredulo, ateo, fedele di altre religioni, peccatore …, e da essa l’uomo non può mai uscire. Se è così si comprende che la situazione storica ed esistenziale dei popoli amazzonici è già nella grazia soprannaturale e quei nostri fratelli sono già salvi.
La dottrina corretta a proposito di natura e sopra-natura ci viene spiegata con chiarezza da Mauro Gagliardi nel suo manuale di dogmatica cattolica La verità è sintetica (Cantagalli, Siena 2017). Nelle pagine 334 e successive, egli spiega che la grazia non si aggiunge alla natura e nemmeno questa la esige. L’uomo è stato creato religioso ma questa sua dimensione naturale può e non deve essere riempita dalla grazia: “Dio manifesta l’intenzione di donare la grazia alla natura e perciò già la predispone a riceverla, sebbene tale capacità passiva, o predisposizione, non sia in quanto tale grazia, ma natura”.
Molti elementi fanno ritenere che l’Instrumentum laboris del sinodo non si inserisca correttamente in questa visione del rapporto tra naturale e sopra-naturale ma esprima le deviazioni teologiche iniziate in de Lubac e conclusesi in Rahner.
http://www.lanuovabq.it/it/ma-gli-indigeni-amazzonici-sono-gia-salvi-1
Sangue, violazioni, sacrifici umani e cannibalismo alla base delle “civiltà” precolombine: «satanismo totale!» Ecco il panorama che trovarono gli spagnoli mossi da uno slancio missionario dopo aver cacciato l’invasore islamico dalla penisola iberica.
È in uscita in questi giorni il nuovo libro di Angela Pellicciari intitolato “Una storia unica. Da Zaragoza a Guadalupe” edito dalle edizioni Cantagalli di Siena. Autorevole storica del Rinascimento, docente di Storia della Chiesa ed esperta in rapporti tra massoneria e Chiesa Cattolica, con i suoi libri Angela Pellicciari ha più volte affrontato e demolito molte delle “leggende nere” riguardanti la storia della Chiesa. In questo nuovo libro si concentra sulla Spagna ed in particolare su due elementi cruciali della sua storia: la “reconquista” con la quale l’invasore islamico viene cacciato definitivamente dalla penisola iberica e la scoperta e colonizzazione del Nuovo Continente. In entrambe i casi, come documenta Pellicciari, è la fede di un popolo – guidato da re e regine santi – a riuscire vittorioso in imprese umanamente impossibili.
Da una parte la riconquista della libertà di fronte a un impero musulmano che soggiogò la penisola per diversi secoli. E tutto a partire da 300 uomini “rifugiati in una grotta” (la grotta di Covadonga in Asturias) dove la Madonna apparve per incoraggiare e promettere vittoria. Dall’Altra la conquista di un impero enorme, in una terra sconosciuta, da parte di un esercito – quello di Cortés – composto da soli 400 uomini. In entrambe i casi, in ambedue le gesta, lo scopo principale fu la difesa e la diffusione della fede cattolica. Gli spagnoli non scesero a patti, non si sedettero a tavola a dialogare con i mussulmani, ne tanto meno con gli aztechi, ma combatterono e uscirono vittoriosi. La regina Isabella – donna straordinaria e mossa da una profonda fede – proibì che nel Nuovo Mondo si sfruttassero le persone e i loro beni, e promosse l’invio di monaci e missionari per la fondazioni di chiese attorno alle quali fondare nuove città.
Più volte in questa “Storia unica” ritorna l’aiuto dal cielo, senza il quale le gesta degli spagnoli non avrebbero ottenuto i successi desiderati. La Vergine apparsa a Zaragoza a san Giacomo (Compostela) mostra un cenno di benevolenza e di assistenza che non si affievolirà nei secoli, fino alla Apparizione di Nostra Signora di Guadalupe in terra messicana. La stessa Guadalupe, il cui santuario fu «fondato da Alfonso XI di Castiglia in ringraziamento per la vittoria ottenuta nel 1340 contro i mori». Sarà proprio Santiago, l’apostolo missionario sepolto in Galizia, che verrà invocato dagli spagnoli come il “matamoros” (uccisore degli arabi) durante la dura guerra per la riconquista. Un appellativo che oggi è considerato “religiosamente scorretto” tanto da far arrossire persino il rettore della Basilica di Compostela, che ha messo un bel mazzo di fiori al posto dei “moros” sotto la statua di Santiago a cavallo mentre brandisce la spada. Un “Santiago mataflores”, per non offender nessuno.
Il libro sarà presentato mercoledì 25 settembre presso l’Hotel Adriatico di Montesilvano ma già è stato presentato radiofonicamente il 15 settembre a Radio Maria, dove Angela Pellicciari tiene, da diversi anni, delle lezioni di Storia della Chiesa (è possibile riascoltare la puntata sul sito di Radio Maria). Parlando dei popoli che abitavano il continente all’arrivo degli spagnoli, Pellicciari denuncia con durezza quel luogo comune che vede negli “indios” una civiltà giusta e fiorente, ingiustamente sterminata dal (sanguinario) invasore e colonizzatore spagnolo (e per giunta cristiano).
Come mai, si domanda Pellicciari, Cortés riesce a conquistare un impero immenso con soli 400 uomini? «Perché in questo impero le persone vivevano terrorizzate!» Sacrifici umani e cannibalismo erano all’ordine del giorno nella cultura azteca. Bisogna dunque capire come vivevano questi indios all’arrivo degli spagnoli. L’aspetto che accomuna la vita di questi popoli sono i sacrifici umani che avvengono a livello massivo; seguiti dal pasto di queste carni immolate ai vari demoni. Perché le loro divinità, le divinità che prevedono delle cose così terribili sono demoni, non c’è dubbio alcuno. I sacrifici umani erano il vero asse portante della cultura e della religione azteca, diffusi ovunque e praticati in ogni tempo dell’anno per onorare le diverse divinità del panteon politeista.
Pellicciari cita a questo riguardo un francescano di nome Bernardino di Sahagún che arriva in Messico nel 1529 e che insegna latino ai nobili atzechi («perché la Spagna appena arriva in America, subito fonda università, fonda collegi perché si rende conto che è fondamentale, non solo l’Evangelizzazione, ma anche la cultura, insegnare a leggere e a scrivere, insegnare a vivere civilmente»)
«Questo francescano Bernardino di Sahagún, che insegna latino ai figli dei nobili, studia la lingua náhuatl e scrive i 12 volumi della sua Historia general de las cosas de Nueva España (originariamente composta in náhuatl), racconta che l’anno azteco è diviso in 18 mesi di 20 giorni l’uno. Sahagún descrive come i sacrifici si svolgono a seconda dei mesi: nel primo mese “venivano sacrificati molti bambini”, nel secondo “uccidevano e scuoiavano molti schiavi e prigionieri”, nel terzo “uccidevano molti bambini” e “quelli che si erano vestiti con la pelle dei morti scuoiati il mese precedente, se li toglievano”» (perché alcuni dei sacrificati venivano scuoiati: i sacerdoti si vestivano con le loro pelli e con quel vestito ballavano, con quel vestito giravano per un mese). Juan de Zumárraga, primo arcivescovo del Messico, così scrive al Capitolo francescano di Tolosa: gli indios “hanno l’abitudine di sacrificare in questa Città del Messico ai suoi idoli più di 20.000 cuori umani”.
Quando si magnifica l’Amazzonia, bisogna sapere che questa era la condizione in cui si viveva; che non è la stessa cosa essere cristiani o essere pagani; che non tutte le culture, non tutte le religioni, sono sullo stesso piano! Assolutamente. Perché c’è solo un Signore, Dominus Iesus, Gesù Cristo che è Signore della Storia, e che libera! Perché, al contrario degli altri idoli satanici che vogliono sacrifici, Gesù è l’unico che sacrifica se stesso perché noi possiamo avere la vita. Il cristianesimo ribalta la realtà dei vari aspetti delle cosiddette religioni. E gli spagnoli si trovano davanti a questo panorama di satanismo totale… E qui la genialità, la fede di Isabella di Castilla, ma non solo di Isabella, perché è tutta la popolazione che ha combattuto per difendere la fede e la cultura romana. Per questo il continente, un continente immenso, si chiama “America Latina”: gli spagnoli sono riusciti a incorporare nel mondo greco-romano un continente immenso, di cui non si sapeva neanche l’esistenza.
Parole dure quelle di Pellicciari che arrivano proprio mentre la Chiesa Cattolica scalda i motori dell’imminente Sinodo dedicato proprio all’Amazzonia. Un Sinodo che, nel Documento Preparatorio, elogia la cultura e la civiltà dei popoli indigeni vittime delle violenze inaudite dell’invasore spagnolo (per cui si chiede ancora oggi perdono) che ha distrutto le civiltà precolombiane con la “complicità della Chiesa”.
di Miguel Cuartero Samperi
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.