Avvenire e Famiglia Cristiana brindano: ci siamo liberati di Salvini
La sinistra è pronta a festeggiare l'esecutivo M5S-Pd: "Al Viminale non ci sarà più Salvini che faceva propaganda elettorale e inveleniva l'Italia"
La sinistra è pronta a festeggiare l'esecutivo M5S-Pd: "Al Viminale non ci sarà più Salvini che faceva propaganda elettorale e inveleniva l'Italia"
Applausi, urla, sorrisi e spumanti stappati: la sinistra festeggia così la nascita del governo giallorosso, partorito questa mattina al Quirinale tra strette di mano e occhiolini.
Molti i partecipanti al giubilo per l'incoronamento di un esecutivo che certamente non ha ottenuto alcun consenso da parte del popolo italiano tramite le elezioni, ma che ha preso vita al termine di accordi e trattative tra due parti il cui denominatore comune - fino a pochi giorni fa - era quello dell'insulto reciproco.
L'eroina nominata dai festeggianti giallorossi è quella di Luciana Lamorgese, nuovo ministro dell'Interno. Parole al miele nei suoi confronti sono state spese da Avvenire: "È un volto di donna che disegna con più nettezza i lineamenti del secondo Governo della XVIII Legislatura repubblicana"."Piace e convince"
"Lo stile del precedente inquilino del Viminale (Matteo Salvini, ndr) ha così "segnato" i quindici mesi del Conte Primo che la nomina limpida e "tecnica" di Lamorgese alla guida dell’Interno assume un potente significato politico". Come poteva mancare la frecciatina al leader della Lega? E infatti eccola che arriva puntuale da Avvenire, quotidiano dei vescovi: il Viminale ora verrà guidato da "una 'servitrice dello Stato' di lungo corso, una signora prefetto che non ha simboli di partito da esibire al bavero o comizi quotidiani da tenere, e che le divise è abituata a lasciarle agli uomini e alle donne che ha coordinato con stile ed efficacia per tutta la sua vita professionale e di cui ora sarà alta responsabile politica". La de-partitizzazione appare come un disintossicazione "che può far davvero bene a un Paese eccitato da una continua campagna elettoral-propagandistica e che, invece, ha bisogno di più pacatezza, di più verità, di più giustizia, di rigore eguale per tutti (ministri compresi) e di serenità".
E poi c'è Famiglia cristiana che - dopo essersi resa protagonista della vergognosa prima pagina contro l'ex ministro dell'Interno - indica il punto di forza dei giallorossi: "L'essersi liberato di Salvini, della Lega e della sua Bestia". Anche da parte del settimanale non mancano gli elogi per la Lamorgese: "Figura di 'civil servant' esemplare per esperienza e competenza. Il prefetto riporterà il Viminale ai suoi compiti, che sono quelli di garantire ordine e sicurezza laddove ce n’è veramente bisogno". E poi viene elencata una sfilza di azioni attribuita negativamente a Salvini e che ora non verrà più ripetuta: "Utilizzare il Viminale come strumento di propaganda elettorale a colpi di tweet e post in vista delle prossime elezioni, invelenire il Paese con l’odio verso migranti, rom e altri poveri disgraziati utili solo per gonfiare la pancia del Paese e a costituire da “nemico” per alimentare la macchina del consenso".
Il post dell'onorevole leghista su Pd-Bibbiano scatena la bufera
Nell'accostare il Pd ai fatti di Bibbiano, in un post pubblicato su Facebook, l'onorevole Flavio Di Muro ha scatenato una bufera politica, ma a difenderlo è il commissario provinciale della Lega, Alessandro Piana
Nell'accostare il Pd ai fatti di Bibbiano, in un post pubblicato su Facebook, l'onorevole Flavio Di Muro ha scatenato una bufera politica, ma a difenderlo è il commissario provinciale della Lega, Alessandro Piana
"Ministro per la famiglia al Pd, saranno contenti a Bibbiano". È un post che ha scatenato un caso politico, quello pubblicato sulla propria bacheca Facebook dal deputato leghista, Flavio Di Muro, di Ventimiglia, in provincia di Imperia.
Molti gli attacchi allegati come commento allo stesso post, col Pd che naturalmente non ha gradito l'accostamento ai fatti di Bibbiano.
"È vergognosa questa vostra strumentalizzazione di gravi fatti di cronaca, che non c'entrano nulla con il Pd - afferma Annalisa - per screditare gli avversari politici. Evidentemente non siete in grado di contestarli nel merito". A bilanciare i commenti contrari, c'è quello di Concetta, che scrive: "Ma scusate, quando Di Maio dice che non vuole fare un partito con quelli di Bibbiano e si sa, che si riferisce ai pidioti nessuno dice niente e solo perché un deputato, per adesso, è diventato di opposizione, bisogna contestarlo e metterlo a palo per una frase? Andate a cagher".
A tenere le parti di Di Muro è il commissario provinciale imperiese della Lega (nonché consigliere regionale ligure), Alessandro Piana: "Il post pubblicato dal nostro deputato ligure Flavio Di Muro non è senz'altro lesivo della reputazione del Pd e e quindi non appare diffamatorio - afferma -. Riguardo i gravissimi fatti di Bibbiano e le persone su cui indaga la Procura, invece, aspettiamo l'esito del procedimento giudiziario. In ogni caso, i 'democratici' non possono mettere il bavaglio alle opinioni. La libertà di espressione è un diritto inviolabile ed è sacra".
E aggiunge: "A questo punto, ci aspettiamo che i dirigenti del Pd querelino ministri, viceministri e parlamentari del M5s, che in particolare sui fatti di Bibbiano hanno rilasciato dichiarazioni gravi nei confronti dei loro nuovi amici di Governo. Ovviamente, credo che questo non succederà. Perché metterebbe a repentaglio la vita già breve dell'alleanza giallo-rossa e vanificherebbe la vergognosa spartizione delle poltrone, avvenuta senza nessun rispetto della volontà popolare dei liguri e degli italiani".
Camaleconte
La storia segreta dell’irresistibile ascesa del Conte Zelig – Il ‘CAMALECONTE’ può, come Di Maio, essere interprete ed esecutore di spartiti anche opposti. E’ un Di Maio 2, nel momento in cui Di Maio non viene creduto più. Del resto ne ha fatta di strada, il devoto di Padre Pio. Partito da Volturara Apula, a Roma ha costruito un network trasversale di relazioni che spazia tra il mondo dei giuristi-gran commis dello Stato e il Vaticano.
Siamo nei giorni di mezza estate del 2018, quando il governo italiano vanta di aver ottenuto un grande successo in Europa nella ripartizione solidale dei migranti — successo che ovviamente non esiste, come poi dimostreranno altre gravi crisi umanitarie nella gestione di flussi migratori. Fabio Martini coglie quel dettaglio, che tanto dice su un uomo che si sente arrivato e si gonfia il petto, e lo racconta sulla «Stampa».
Oppure, altro episodio rivelatore: il 15 dicembre 2018, dopo una normalissima udienza privata al cospetto di papa Francesco, il premier si autocelebra in un post su Facebook che racconta l’evento. Conte scrive: «Questa mattina ho incontrato Papa Francesco», ma si concede frasi fuori tono: «abbiamo richiamato il rispettivo impegno», «ciascuno nell’ambito delle proprie competenze», «ci siamo confrontati».
Come se — forse con la benedizione di padre Pio, di cui è devotissimo, o dei suoi antichi professori cattolici a Villa Nazareth — il presidente del Consiglio si sentisse in fondo, ormai, un primus inter pares, o addirittura cominciasse a persuadersi di essere uno statista. Una sensazione che alcuni media pomperanno, per la verità, in maniera non innocente; contribuendo a costruire l’immagine di un Conte ormai sulla rampa di lancio politica anche dentro il Movimento, dopo l’accordo con l’Unione europea sulla manovra il 19 dicembre 2018.
Ma è uno spin messo in giro abilmente dalla comunicazione ufficiale del Movimento: Conte come il vero, futuro strumento di Davide Casaleggio, mentre Di Battista sarebbe l’arma letale per la campagna elettorale euro-populista alle elezioni europee; con tanti saluti a Luigi Di Maio, la cui immagine viene giudicata ormai troppo appannata. In quell’occasione Conte, in un’intervista al «Corriere della Sera», mostra l’altra faccia del conflitto che incarna: non quella sovranista ma quella dell’uomo del presunto dialogo.
Le domande gliene offrono comoda occasione, e lui è ben lieto di recitare la parte, dopo un accordo con l’Unione europea che è costato 4 miliardi di tagli agli investimenti nella manovra: «Questo [un’uscita dal sistema della moneta unica] non è né sarà mai un obiettivo politico di questo governo. Ma attraversare una procedura di infrazione che avrebbe messo sotto controllo i conti dell’Italia per sette anni, inutile negarlo, avrebbe avuto un costo politico molto elevato, e forse non del tutto prevedibile». Anche nel momento in cui in tanti sembrano volerlo far sembrare più un esecutore di Sergio Mattarella che di Salvini-Casaleggio, Conte invia un messaggio che non dispiace ai sovranisti, con quel «non del tutto prevedibile».
Passa anche questo messaggio: oggi è andata così, ma domani non possiamo saperlo. Nell’ipotesi, che a Conte viene fatta balenare via via (non importa se reale o lunare), di poter diventare lui — non Salvini o altri — l’ago della bilancia della stagione populista. E infatti, di lì a poco, il Movimento tenterà l’alleanza europea con i gilet gialli: non proprio dei moderati istituzionali, ma una rivolta piena di elementi gruppettari, e segnata anche dal mito della Frexit, l’uscita della Francia dall’Unione europea.
Insomma, Conte può, come Di Maio, essere interprete ed esecutore di spartiti anche opposti. È un Di Maio 2.0 nel momento in cui Di Maio non viene creduto più. Del resto ne ha fatta di strada, il devoto di padre Pio. Partito da Volturara Appula, a Roma ha costruito un network trasversale di relazioni che spazia tra il mondo dei giuristi-grand commis dello Stato e il Vaticano. Quando il suo nome viene ufficiosamente fatto pervenire sul tavolo di Sergio Mattarella da Di Maio e Salvini, a maggio del 2018, si avviano discreti sondaggi, non solo da parte del consigliere Ugo Zampetti, per avere qualche notizia in più su questo giurista, che il capo dello Stato non conosce personalmente.
Si attiva un informale giro di pareri, nessuno dei quali si rivelerà negativo. Viene tenuto in considerazione Giacinto Della Cananea, un altro giurista (allievo di Sabino Cassese) che Di Maio aveva nominato capo di una strana entità, il Comitato per valutare la compatibilità del programma M5S con i programmi degli altri partiti. I commenti provenienti dal mondo di influenti giuristi romani pervengono a , figlio del presidente della Repubblica e docente di Diritto amministrativo a Siena, oltre che condirettore del master in management della Pubblica amministrazione alla Luiss di Roma (dove anche Conte tiene corsi). I rapporti accademici di questo avvocato pugliese sono, insomma, ben coltivati.
Chi ha ricevuto il biglietto d’invito alla «Conferenza annuale sul diritto dell’energia. La strategia energetica nazionale: governance e strumenti di attuazione», avrà visto questa lista di relatori: Giuseppe Conte, appunto, Luigi Carbone, consigliere di Stato, Giulio Napolitano, professore di Diritto amministrativo a Tor Vergata e, a presiedere la giornata (all’Auditorium di via Veneto), proprio Bernardo Giorgio Mattarella.
Insomma, Conte ha un profilo pacato e ben inserito, che in quelle giornate resta in piedi e si fa preferire a quello del rumoroso Giulio Sapelli, così pronto a comunicare alle agenzie di stampa di essere in pista, e anzi, lì lì per spiccare il volo verso Palazzo Chigi. Quel che più conta in questi casi, Conte non attiva veti di nessuno sulla sua figura. E talmente poco noto e silente che non fa rumore, si muove abbastanza in sordina, non è osteggiato da influenti colleghi giuristi del Palazzo.
Mario Calabresi, all’epoca direttore di «Repubblica», osserva che è singolarissima la circostanza di un uomo che arriva sulla soglia di Palazzo Chigi senza che nessuno abbia mai sentito il suo tono di voce, o sappia se è in grado di parlare in pubblico. Conte però sa eseguire. E non è uno con la cattiva fama di voler strafare. L’esecuzione potrebbe aver trovato il suo uomo. Una capacità che, forse, è stata affinata fin da ragazzo tra le felpate stanze di Villa Nazareth, il collegio cattolico che aiuta i giovani studenti di famiglie non abbienti a mantenersi (anche Conte ci ha studiato, ma da non residente all’interno della struttura; per essere residenti bisognava che in famiglia entrasse un solo stipendio).
Villa Nazareth — fondata nel dopoguerra da monsignor Domenico Tardini, che dopo la morte darà il nome alla Fondazione che gestisce l’istituto — è un luogo simbolo del cattolicesimo democratico italiano. Dietro i suoi cancelli, andando a ritroso, sono transitati negli anni, come professori o come ospiti, Sergio Mattarella, Romano Prodi, Oscar Luigi Scalfaro, fino ad Aldo Moro.
Il porporato di peso che tiene d’occhio nella sua prima formazione lo studente Conte è , ma nel corso degli anni si fa sempre più stretto il rapporto di affetto di Conte verso monsignor Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. Un uomo che in più di una occasione — a Roma come a Washington, e all’ambasciata presso la Santa Sede — Luigi Di Maio ha incontrato e consultato, spesso nella massima riservatezza, nel processo di avvicinamento del Movimento cinque stelle alle stanze vaticane, e al governo.
In quella fase, a metà maggio 2018, non sono in pochi, anche nel mondo cattolico romano delle più diverse ispirazioni — non solo quindi nel cattolicesimo democratico di Villa Nazareth —, a interessarsi a quel Movimento così plasmabile, malleabile, apparentemente romanizzabile. Così potenzialmente utile per tramandare l’eterna struttura, immutata, del potere temporale e spirituale della romanità.
Certo — lo vedremo in seguito — è assai diverso il cattolicesimo di Parolin da quello, poniamo, del cardinale Raymond Burke, l’ultraconservatore amico di Steve Bannon, l’ex strategist alla Casa Bianca anche lui di casa sia 0ltretevere che nella politica italiana post-4 marzo, e in particolare nel Movimento cinque stelle con cui, come sappiamo, Bannon ha dichiarato di aver avuto diversi incontri.
Ecco, quale Vaticano sta vincendo con l’insediamento del governo guidato dal premier Giuseppe Conte? Il Vaticano di Parolin o quello di Burke? Chi prevale nel conflitto — che da allora diventerà endemico di questa stagione italiana —, il Conte teorico del sovranismo, allineato agli interessi di Salvini e Casaleggio, o il Conte apprezzato nell’ambiente dei giuristi romani, e nel Vaticano moderato e più «politico», il Conte che a dicembre del 2018 porta a casa — certamente incoraggiato e quasi guidato dalla presidenza della Repubblica — il negoziato con l’Europa per evitare la procedura d’infrazione, che a un certo punto il suo governo era sembrato quasi cercare?
La figura del premier dell’esecuzione riassume, in sé, tutta l’ambiguità di questo biennio, le ombre e i poteri che si addensano e circondano l’esecuzione, e il fatto che molti — segmenti istituzionali, o pezzi di centrosinistra siano ancora convinti, o a volte semplicemente fiduciosi, di poter disarticolare il Movimento, e usarlo, assimilarlo, ricondurlo nelle spire sempre avvolgenti della romanità. E tuttavia, di nuovo: l’esecuzione è esecuzione di cosa, e per conto di chi? Il fine ultimo, l’endgame di questo intreccio così appassionante di storie e relazioni, umane e politiche, resta controverso.
Sebbene il governo Lega-Movimento, e la pulsione estremista-sovranista, appaiano resistenti e tenaci, nell’autunno-inverno del 2018-2019, degli spread, del degrado dei rapporti dell’Italia con l’Unione europea e degli editti dei Cinque stelle contro i giornali. Una cosa è certa: non tutto cambia, nel «governo del cambiamento». Molti poteri sono all’opera per resistere immutati, cambiare tutto per non cambiare nulla o, al limite, staccare il Movimento dalla Lega. Altri vogliono invece una sterzata brusca, sovranista e anti-euro, che ha vissuto uno dei suoi momenti fatali in una notte della Repubblica.
Fonte: https://www.dagospia.com
DI JACOPO IACOBONI DAL LIBRO “L’ESECUZIONE”
dagospia.com
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