Ci penserà San Gennaro a fare giustizia
Il congresso dei Radicali nella basilica. Il proprietario, proprio al fine di dare anima e vita alla volontà di tanti benefattori e fedeli che hanno pregato e pagato per quella Basilica, ha il dovere morale e anche giuridico di risolvere il comodato d’uso.
«San Genna’, futtetenne» – che tradotto significa “San Gennaro, non te ne curare” – era una scritta che i napoletani diffusero in tutta la città e soprattutto sotto i dipinti e le statue raffiguranti il santo patrono, quando qualcuno a Roma “facette ’a bella pensata” di togliere a san Gennaro la memoria liturgica e degradarlo a memoria facoltativa. Sarebbe stato più elegante e dotto scrivere: «Non ragioniam di lor, ma guarda e passa» (Dante, Inferno III, 51). Ma il popolo napoletano, sanguigno e spontaneo, reagì trattando san Gennaro come uno di famiglia.
«San Juova’, futtetenne» potremmo dire oggi, venendo a conoscenza dei fatti che riguardano la Basilica di San Giovanni Maggiore nel centro storico di Napoli. È parrocchia. Ma i suoi locali – cioè l’aula basilicale stessa – è periodicamente usata per scopi ben diversi da quelli di una parrocchia.
Per la Solennità di Tutti i Santi e per la commemorazione di tutti i defunti sono in programma non celebrazioni eucaristiche – come sarebbe normale –, ma un congresso organizzato dal Partito radicale per promuovere tesi non solo opinabilissime dal punto di vista della ragionevolezza laica, ma soprattutto completamente disomogenee al culto divino.
Come è possibile che accada questo? La Basilica di San Giovanni, di proprietà della Diocesi di Napoli, è stata restaurata grazie all’interessamento fattivo di alcuni ingegneri. E a titolo di gratitudine la Diocesi ha ceduto l’uso della Basilica alla Fondazione Ingegneri Beni Culturali Arte e Tecnologia, senza nulla togliere alla destinazione primaria dell’immobile al culto e alle attività di una parrocchia.
Ma chi riceve in uso un bene ha l’obbligo morale e l’obbligo giuridico di usare della cosa in modo rispettoso alla finalità propria della cosa, senza stravolgere la destinazione che alla cosa è stata data non solo dall’attuale proprietario, ma anche da chi ha ideato e realizzato la cosa.
Ricordando questo principio di ragionevolezza pratica e di giustizia, non voglio dire che la Fondazione sia obbligata a fare periodici atti di ringraziamento nella Basilica per lo scampato naufragio di Costanza. La Basilica, infatti, secondo un’antica leggenda sarebbe stata eretta a partire dal 324 per volontà dell’imperatore Costantino come ringraziamento a Dio per aver salvato dal naufragio la figlia. La Basilica, oggi visibile, si poggia su una struttura paleocristiana, in parte scoperta, la quale a sua volta affonda sull’antico tempio pagano dedicato a Partenope, la sirena a cui i Cumani attribuivano la fondazione di Napoli e che sarebbe stata sepolta proprio in questo luogo.
Non si tratta di rispettare la volontà grata e munifica di Costantino o le credenze dei Cumani. Si tratta di dare anima e vita a volontà a noi molto prossime, dei nostri genitori, nonni e bisnonni.
Una sala polivalente e altamente funzionale non era certamente la destinazione che hanno immaginato le innumerevoli “povere vedove”, quando regalavano le loro due monete per la costruzione del magnifico altare marmoreo di Domenico Antonio Vaccaro o per l’abbellimento delle nove cappelle laterali.
Il concessionario, l’usuario, chi ha in comodato d’uso il bene non può farne quello che vuole. Gli abusi circa la destinazione del bene sono inadempienze e anche lesioni della fiducia tra le due parti, il proprietario concedente e l’usuario concessionario. Il proprietario, proprio al fine di dare anima e vita alla volontà di tanti benefattori e fedeli che hanno pregato e pagato per quella Basilica, ha il dovere morale e anche giuridico di risolvere il comodato d’uso.
Un rischio è reale: fra pochi giorni dopo la festa del “Capo”, cioè di san Gennaro, potremo ascoltare san Juova’, le povere vedove e gli altri benefattori che in coro alluccheranno: «Chi vo’ ’o male ’e chesta casa add’a crepa’ primma ca trase».
Sarà anche un rimedio radicale, non cristiano, ma sicuramente tutto napoletano.
Giorgio Maria Carbone
#SALVIAMOLECHIESE
Sepe non sfratta i Radicali dalla chiesa. Il don resiste
L'arcivescovo Sepe non annulla il Congresso dei Radicali nella basilica di San Giovanni a Napoli e chiede al parroco di sedersi al tavolo con la Fondazione che gestisce la chiesa. Ma don Salvatore non arretra: “Vado solo se la chiesa torna del tutto al culto. Basta profanazioni in basilica”. #salviamolechiese: scrivete alla Nuova BQ per sostenere il sacerdote.
- I LETTORI: "NOI STIAMO CON DON SALVATORE. LA CHIESA TORNI A DIO"
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La notizia data ieri dalla Nuova BQ sul Congresso del Partito Radicale nella chiesa di San Giovanni Maggiore a Napoli ha interessato - com’era prevedibile - i principali giornali locali e alcuni nazionali. Ad un interessamento della stampa però non sembra corrispondere al momento una presa di posizione ufficiale da parte dell’Arcivescovo partenopeo Crescenzio Sepe.
Dagli uffici di Largo Donnaregina ieri non sono usciti comunicati stampa ufficiali su una vicenda che rischia di creare non pochi imbarazzi all’entourage del cardinale che sta chiudendo il mandato ormai ventennale nella diocesi alle pendici del Vesuvio.
Ciò che desta stupore, infatti, è che a fronte della vasta eco che ha avuto la notizia della Bussola, non si sia provveduto a intervenire subito spegnendo sul nascere ogni tipo di polemica. Ad esempio, suggerendo alla fondazione degli ingegneri di Napoli di annullare l’affitto dell’antica basilica in vista del Congresso nazionale del partito che fu di Marco Pannella.
Invece sembra che il cardinale Sepe stia procedendo a passi felpati per accomodare tutto. Ieri non sono usciti comunicati stampa né prese di posizione, ma Sepe qualcosa l’ha comunque fatta. Ha chiamato ad esempio il sacerdote che ha la cura canonica della basilica di San Giovanni Maggiore e che dalle colonne della Bussolaha espresso tutta la sua amarezza per la condizione di ostaggio in una chiesa dove non è neppure libero di dire Messa.
Sepe ha cercato don Salvatore Giuliano per invitarlo a sedersi attorno a un tavolo assieme ai vertici della Fondazione degli ingegneri di Napoli che ha in comodato l’utilizzo della chiesa per eventi culturali e, è il caso di dirlo, anche di partito.
Si profila dunque una riunione a tre, tra il parroco, che ora celebra la domenica, la Fondazione, che occupa la chiesa negli altri giorni e il vescovo a fare da mediatore.
Nessuna cancellazione del congresso radicale, nessuno stralcio del concordato tra Chiesa e Fondazione. La strategia di Sepe sembra essere quella del “mettiamoci d’accordo”. Una soluzione che però non è quella che vuole il sacerdote che alla Nuova BQ dice: «Ho risposto a sua eccellenza che mi siederò al tavolo solo per sancire l’annullamento del concordato con la Fondazione, non per concordare un nuovo calendario di utilizzo della chiesa». Quella chiesa - fa sapere il sacerdote - deve tornare al culto e devono terminare gli utilizzi impropri a cui abbiamo assistito in questi anni e che con il Congresso del Partito Radicale che si svolgerà durante la Festività di tutti i Santi e dei defunti, hanno raggiunto il loro apice.
La Nuova BQ, che ha seguito per prima questa vicenda, sta dalla parte di don Salvatore e mette a disposizione la fortunata campagna #salviamolechiese per la causa. Scrivete a redazione@lanuovabq.itper sostenere don Salvatore, chiedere al vescovo Sepe di annullare immediatamente il congresso dei Radicali in chiesa e stralciare il concordato con la Fondazione che, come abbiamo visto, porta soltanto a un business che umilia il sacro.
Andrea Zambrano
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