Una lettrice ci ha scritto per raccontarci quanto è accaduto in un paese dell’Italia centrale in seguito
alla decisione di chiudere un monastero di suore di clausura. Non pensate a barricate erette in nome della fede.
Lo sconcerto della lettrice viene dal fatto che i manifestanti sono si sono rivelati degne pecorelle
dei pastori della chiesa inginocchiata davanti a Pachamama.
alla decisione di chiudere un monastero di suore di clausura. Non pensate a barricate erette in nome della fede.
Lo sconcerto della lettrice viene dal fatto che i manifestanti sono si sono rivelati degne pecorelle
dei pastori della chiesa inginocchiata davanti a Pachamama.
Capita anche nei piccoli centri, paesi minuscoli intatti nella loro amabile fissità che guai a smuoverla, venga giù tutto. Così, quando hanno cominciato a circolare voci sulla chiusura dell’antico monastero dove uno sbiadito affresco di Chiara d’Assisi fa capolino fra le mura un tempo mal riassestate dell’annessa chiesa antica di qualche secolo, sono iniziate le proteste. Raccolte di firme e petizioni, ovviamente con risultato zero, hanno poi accresciuto l’indignazione, tanto che giunto il giorno del saluto alle monache sloggiate di là dopo centinaia di anni, causa di riorganizzazioni a accorpamenti ordinati dall’alto (non certo dei cieli), un gruppo di cittadini inviperiti, con tanto di cartelli di protesta, inveisce contro il “povero” vescovo scomodatosi a venire in loco per celebrare la messa di commiato. Ma che dire?
Che tristezza. I cittadini indispettiti si lagnano trovando questo argomento: “Povero paese con una bella struttura che andrà in rovina… Cosa ne farete del convento?”. Argomento la cui non eccessiva spiritualità è sottolineata dal fatto che qualcuno vaneggia con uscite del tipo: “Ma a che serve la clausura?”.
Mamma mia, mi cadono le braccia e mi viene da piangere constatando che nello stranimento generale a nessuno viene in mente quanto grave sarà l’assenza di quelle donne consacrate a Gesù morto in Croce, cui hanno donato la giovinezza e consegnata la vita intera. Quanto triste sarà non poter più affidar loro le pene segrete e le richieste di preghiere perché esse sì che parlano meglio al loro Sposo e sanno come convincerLo. E quanto doloroso non sentirle più cantare le Lodi e le preghiere dei Vespri e immaginarle nella loro contemplazione che nella modernità pare non serva più. Altro che mura e improbabili destinazioni…
Ma, meraviglia maggiore, il pensiero pare non sfiorare nemmeno l’impacciato vescovo il quale, dall’improvviso luogo elevato da cui ascolta, non sa che pesci pigliare e si giustifica dicendo che non dipende da lui e che non può reggersi un convento con sole tre o quattro monache. Per sua fortuna, gli viene in soccorso lo scorrere del tempo e così, scoccata l’ora della messa, può rifugiarsi in chiesa. I “manifestanti” preoccupati per la sorte “della bella struttura” e dubbiosi sull’utilità della clausura, naturalmente, rimangono fuori perché della fede e del sacro forse non sanno che farsene.
Così, monsignor vescovo, durante l’omelia ha buon gioco nel sostenere che la gente là fuori sbaglia e che la dimostrazione sta nel fatto che non è entrata a pregare perché, in ultima analisi, manca la fede: la fede, dice monsignore, non c’è più. E continua con questa tiritera aggiungendo che oltre alla fede mancano le vocazioni e nessuno si fa più né prete, né monaca.
Eccellenza, lei si lamenta che non c’è più la fede, ma ha dimenticato che la fede bisogna alimentarla. E lei crede che si alimenti prostrandosi davanti alle pachamame e portandole a spasso in processione? O chiedendo scusa perché qualche buon cristiano le ha tolte dalla chiesa che profanavano e le ha scaraventate nel Tevere? No, Eccellenza. Non è così che si guadagnano le anime a Cristo. Faccia un bell’esame di coscienza e poi, nel caso, riprenda il discorso e continui coi lamenti. Eccellenza, è il tempo dell’apostasia, ma apostati non si nasce, si diventa. (A.S.)
Redazione Ottobre 30, 2019
Omelia di un sacerdote compreso il suo pensiero sul sinodo (da ascoltare)
Enzina Pasquali
Dostoevskij, ovvero “lo svelamento tremendo dei possibili abissi in cui può scendere la coscienza dell’uomo”
di Elisa Brighenti
Del grande scrittore russo, si dovrebbe parlare in poesia, evitando le dissertazioni. Perché i suoi scritti creano nel lettore il timore della soggezione, una soggezione profonda che è madre di un silenzio mistico, il silenzio protetto, reso in omaggio a quei protagonisti, tutti figli della malattia, tutti genialmente maledetti e visitati dalla sventura. Si entra nel terreno dell’osservazione religiosa. Dissertare vorrebbe dire giudicare, ma il giudizio in circostanze che appartengono alla visione dello spirito, porterebbe ad una deturpazione e ad uno stravolgimento dei contenuti. I personaggi non devono essere appresi in un contesto narrativo, Dostoevskji non mette a disposizione canoni specifici per la comprensione dei protagonisti, perché il tessuto del racconto è la storia della coscienza, che è più forte dell’esercizio della conoscenza di coglierne i significati. Leggendo, ci vengono incontro pensieri reconditi, quelli che non confesseremmo a nessun amico. I pensieri della coscienza criminale, quelli cioè della coscienza della colpa. Basti pensare per contrasto alla prosa virtuosa di Proust nella Recherche o alla lirica aristocratica di Goethe, dal Werther alle Affinità elettive. Gli accenti e le intonazioni di questi accompagnano una produzione lineare e confortevole, in cui le audacie psicologiche dei personaggi non sono che squisitezze che incantano il lettore e che, se lo trafiggono, non arriveranno mai ad ucciderlo. Le confessioni dei protagonisti arricchiscono una trama borghese, fredda e superba. La mortificazione cristiana invece, propria del romanziere russo, è più di un’indagine, più della spiegazione del vissuto dei personaggi. E’ una terribile ammissione di colpevolezza, è lo svelamento tremendo dei possibili abissi in cui può scendere la coscienza dell’uomo. E qui l’intersezione con il ruolo fondamentale della malattia è immediata. La malattia sovrana, l’epilessia, che conobbe un aggravarsi in seguito alla condanna a 4 anni di lavori forzato in Siberia. Egli ne scrisse direttamente, o la traspose nei personaggi di Smerdjakov, del principe Myskin nell’Idiota, o il nichilista Kirillov nei Demoni. E sempre appare come suggerimento esterno, principio propulsore di una evoluzione personale diretta verso la disinibizione dalla paralisi. I momenti che precedono lo scatenarsi dell’impulso malato sono gli stessi in cui il genio creativo di Dostoevskij raggiunge la massima espressione. L’epilessia assume la nota distintiva della malattia sacra, inevitabile nella tragedia e guida per il suo superamento , allo stesso tempo. In altre parole, segna la storia di un uomo proiettato in alto, che ci vuole dire che certe conquiste spirituali non sono prescindibili dalla malattia, dalla follia e dal crimine spirituale. I grandi malati sono dei nuovi crocifissi, sono le vittime offerte all’umanità per la sua stessa elevazione, perché amplifichi la capacità di sentire e conoscere, perché giunga alla più alta salute.
https://www.sabinopaciolla.com/dostoevskij-ovvero-lo-svelamento-tremendo-dei-possibili-abissi-in-cui-puo-scendere-la-coscienza-delluomo/
di Ines Murzaku
Il 15 ottobre, la Chiesa ha celebrato la festa di una grande donna-mistica, Santa Teresa di Ávila (1515-1582), suora carmelitana e dottore della Chiesa. Santa Teresa è nota per le sue esperienze mistiche, le lotte spirituali e la preghiera contemplativa. Era una santa attiva e contemplativa allo stesso tempo, una santa che sapeva riformare la Chiesa senza deformare la dottrina. Santa Teresa è nota per aver evangelizzato con zelo missionario, finezza e fervore come ha spiegato Papa Benedetto XVI nel suo messaggio al Vescovo di Avila del 16 luglio 2012:
Possiamo dire che ai suoi tempi la Santa ha evangelizzato senza mezzi termini, con ardore instancabile, con metodi estranei all’inerzia e con espressioni piene di luce. Il suo esempio mantiene tutta la sua freschezza al crocevia del nostro tempo.
Le parole di santa Teresa e il suo modo di evangelizzare sono state dirette, “cementando Cristo come pietra angolare” e fulcro della missione evangelizzatrice della Chiesa. Le parole di Papa Benedetto XVI sull’evangelizzazione e di Santa Teresa di Ávila sono un’audace boccata d’aria fresca in questo ottobre 2019, proclamato da Papa Francesco come il Mese Missionario Straordinario che celebra il centenario della Lettera Apostolica Maximum Illud di Papa Benedetto XV del 1919. Il documento inizia con il mandato di Gesù ai suoi discepoli di “Andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo a tutta la creazione” (Mc 16,15). Chiese di superare i confini nazionali e di testimoniare, con spirito profetico e audacia evangelica, la volontà salvifica di Dio attraverso la missione universale della Chiesa.
Nel suo discorso del 3 giugno 2017, rivolto ai partecipanti all’Assemblea delle Pontificie Opere Missionarie che Papa Francesco ha ricevuto in udienza, ha chiesto a tutta la Chiesa di dedicare il mese di ottobre dell’anno 2019 a questo scopo [missione], poiché in quell’anno celebreremo il centenario della Lettera Apostolica Maximum Illud di Papa Benedetto XV del 1919:
Nello spirito dell’insegnamento del Beato Paolo VI, mi auguro che la celebrazione del centenario di Maximum Illud, nel mese di ottobre 2019, sia un momento favorevole alla preghiera, testimone di molti santi e martiri della missione, di riflessione biblica e teologica, di catechesi e carità missionaria per contribuire ad evangelizzare, prima di tutto, la Chiesa, affinché, avendo riscoperto la freschezza e lo zelo del primo amore per il Signore crocifisso e risorto, possa evangelizzare il mondo con credibilità ed efficacia evangelica.
Purtroppo, fino ad ora, l’attenzione di questo ottobre è stata distolta dal Mese Missionario Straordinario, poiché ottobre è stato inghiottito dalle polemiche sul Sinodo pan-amazzonico, sui viri probati, sull’ordinazione delle donne al diaconato, sui raids finanziari in Vaticano, sulla controversia di Eugenio Scalfari e sulle dimissioni del Comandante vaticano della Gendarmeria vaticana. Ma ciò che ha maggiormente distolto l’attenzione da questo Mese Missionario Straordinario di ottobre e dall’appello battesimale di tutti i cristiani ad evangelizzare è stata la celebrazione della controversa Misa por la Tierra Sin Males(Messa per una Terra senza Mali), che è sembrata una combinazione di riti pagano-sincretici tenuti su suoli sacri – presso la Chiesa di Santa Maria in Traspontina in Via della Conciliazione 14, vicino alla Basilica di San Pietro. È interessante notare che questa chiesa particolare appartiene ai Carmelitani, e in passato ha avuto un convento carmelitano adiacente. Questo convento era la residenza ufficiale dei Priori Carmelitani, dove si svolgeva la maggior parte dei capitoli generali dell’Ordine Carmelitano. In questa cornice, oltre al rito indigeno con le figurine lignee allineate in dubbia teologia, nella Chiesa di Santa Maria in Traspontina c’erano anche i manifesti con le immagini dell’attivista ambientale e sociale Francisco Alves Mendes Filho, altrimenti noto come Chico Mendes, proclamato dal governo brasiliano patrono dell’ambiente brasiliano, brutalmente assassinato nel 1988.
Si può solo immaginare cosa direbbero le carmelitane come Santa Teresa d’Ávila, la Patrona delle Missioni, o Santa Teresa di Lisieux, riguardo alla chiesa carmelitana di Santa Maria in Traspontina che ospitava un rituale di inculturazione liturgico-culturale, che veniva celebrato sul suolo sacro con un tabernacolo e alla presenza del Santo Sacramento. Ci si interroga sullo spostamento dell’attenzione dal Mese Missionario Straordinario proclamato da Papa Francesco. Possono le celebrazioni indigene, prive di Cristo e prive di connotazione biblica e teologica, evangelizzare e nutrire spiritualmente la gente dell’Amazzonia o di altre regioni? Guardate la cerimonia che si tiene nella chiesa carmelitana di Santa Maria in Traspontina e giudicate se questa è l’evangelizzazione che Papa Francesco intendeva fare per il Mese Missionario Straordinario.
Ciò che viene messo in mostra dentro e fuori la Chiesa carmelitana di Santa Maria in Traspontina è stato un rito autoctono che ha profanato il sacro, minando a sua volta l’efficacia e la credibilità dell’evangelizzazione. L’evangelizzazione cattolica è cristocentrica; quando Cristo non è presente, allora ci si chiede cosa sia e chi sia al centro. Qual era lo scopo – se non del tutto – di tutti i rituali sincretici organizzati all’interno e all’esterno della storica chiesa carmelitana? “Non lo so, ho semplicemente offerto ospitalità”, ha detto il parroco, il carmelitano p. Massimo Brogi, ai media. Questa evangelizzazione è andata male, proprio nel mese in cui dobbiamo concentrarci sul potere dell’autentica missione? Sì, e la ricerca lo dimostra.
“Ogni uomo e ogni donna è una missione; questa è la ragione della nostra vita su questa terra” – questo è stato il messaggio di Papa Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale 2018. È davvero una linea potente e memorabile, pronunciata dal Santo Padre, che significa molto per ogni uomo e donna, vecchi e giovani, chiamati in modo speciale alle missioni, seguendo le orme del prototipo missionario – Gesù. Missione e sé stessi sono un’unità, non possono essere compresi separatamente l’uno dall’altro. Questo modo di pensare alle missioni non è una novità per Francesco. All’inizio del suo pontificato, nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium del 2013, Papa Francesco ha detto che vedeva la missione e l’essere cristiano come due facce della stessa medaglia che, di conseguenza, per il cristiano significa vivere radicalmente e profondamente il Vangelo in missione:
Io sono una missione su questa terra; per questo sono qui in questo mondo. Dobbiamo considerarci come suggellati, persino marchiati, da questa missione di portare luce, benedire, portare la vita, elevare, guarire e liberare. Intorno a noi cominciamo a vedere infermieri con l’anima, insegnanti con l’anima, politici con l’anima, persone che hanno scelto di stare profondamente con gli altri e per gli altri. Ma una volta separato il nostro lavoro dalla nostra vita privata, tutto diventa grigio e noi cercheremo sempre di riconoscere o affermare i nostri bisogni. Smettiamo di essere un popolo.
Il 22 ottobre, diverse copie di una statua di donna nuda, conosciuta come la dea amazzonica della fertilità “Pachamama”, che si trovavano all’interno della Chiesa di Santa Maria Carmelitana a Traspontina, sono state prese e gettate nel fiume Tevere. Anche in questo caso si è trattato di un atto teso a distogliere l’attenzione su entrambi i fronti: dagli idoli, che non hanno nulla a che vedere con la fede cristiana, ma anche dall’ottobre 2019: il Mese Missionario Straordinario. Per quanto riguarda la prima distrazione dell’attenzione, si dovrebbe riflettere sulle parole profetiche di un grande pontefice romano, San Gregorio Magno (540-604), proveniente da una nobile famiglia romana, che amava la sua città e i suoi edifici. San Gregorio Magno è passato alla storia come riformatore ed evangelizzatore degli Angeli. Nel 597 scrisse una lettera all’abate Mellito, che stava per raggiungere sant’Agostino di Canterbury in missione in Inghilterra. Nella lettera, parlava di idoli, o meglio, dalla nostra prospettiva attuale, della distruzione degli idoli:
Di’ ad Agostino che non deve distruggere i templi degli dei, ma piuttosto gli idoli all’interno di quei templi. Lascia che lui, dopo che li abbia purificati con l’acqua santa, collochi al suo interno altari e reliquie dei santi. Infatti, se questi templi sono ben costruiti, dovrebbero essere convertiti dall’adorazione dei demoni al servizio del vero Dio. Così, vedendo che i loro luoghi di culto non vengono distrutti, il popolo scaccia l’errore dal loro cuore e si reca in luoghi familiari e a loro cari nel riconoscimento e nel culto del vero Dio.
Ebbene, la chiesa carmelitana di Santa Maria in Traspontina è un tempio di Dio, e dei santi carmelitani, e in modo particolare delle due Teresa: Santa Teresa d’Ávila e Santa Teresa di Lisieux dichiarata da Papa Pio XI nel 1927 come compatrona delle missioni con San Francesco Saverio. Santa Teresa di Lisieux, madre spirituale delle missioni e dei missionari, può aiutare a riportare l’attenzione su ciò che conta: la missione e l’evangelizzazione. Possiamo sperare che i nostri sforzi in missione raggiungano ciò che Santa Teresa di Lisieux ha scritto in La storia di un’anima: L’autobiografia di Santa Teresa di Lisieux: “quel faro luminoso” – Cristo che secondo Maximum Illud “converte un popolo particolare dalla superstizione alla sapienza divina del cristianesimo”. Questa luce della missione che cementa Cristo come pietra angolare e alla quale tutti siamo chiamati – non l’oscurità dell’essere impantanati nel sincretismo – dovrebbe essere al centro della nostra attenzione durante il resto di questo Mese Missionario Straordinario.
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