ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 18 ottobre 2019

La nuova antropologia cattolica

Il Signore delle fedi (2 parte)

Lo spirito del mondo coincide con lo Spirito Santo? La Rivelazione cosa rivela? Dio o l’uomo? Il connubio tra il destino divino dell’uomo e il principe di questo mondo.
cabala
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IL SIGNORE DELLE FEDI (2 parte)
Una rivelazione per Dio: una fede per la ragione umana (lo spirito del mondo)
Una rivelazione per l’uomo: una fede per la coscienza umana (il Socrate di Gerusalemme)
Una rivelazione per il peccato: una fede per il destino divino dell’uomo (la salvezza anonima)

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Quando l’inizio dello scontro deve ammettere un paradosso come primo dato….
È possibile rintracciare una differenza pratica che intercorre tra le Chiese protestanti europee e le varie sette americane, soprattutto in alcuni stati del sud degli USA: l’Europa è ormai in un’epoca di post-apostasia; la chiese protestanti del nord Europa non rappresentano più nessuno. La Svezia fino a pochi anni fa riconosceva il luteranesimo come religione di stato, ma già nei decenni precedenti parlare di nazione cristiana era un eufemismo o un’illusione o forse neanche una cosa gradita. Non risulta un effetto simile in America, al di là delle mille contraddizioni americane e dei potentati massonici. Una parte del popolo americano è cristiano (per quanto non cattolico): l’americano medio dell’America profonda resta una persona religiosa e fervente cristiano secondo la setta protestante a cui appartiene. Ha un senso forte di peccato, di Giudizio. Ha un senso escatologico e cita l’Apocalisse in modo molto più spiccato del cattolico modernista, nostro vicino di casa. Se dovessimo confrontarlo sul piano morale con il cattolico medio europeo, scopriremmo che è molto più conservatore sui temi bioetici classici.
Per quale ragione? Non è possibile esaurire la questione. Non é mia intenzione farlo. Però sono convinto che un motivo sia da rintracciare nell’influsso – in Europa – della filosofia hegeliana all’interno del cristianesimo protestante prima e cattolico poi. La teologia hegeliana è l’essenza del modernismo cabalistico: la radice dell’evoluzionismo teologico e quindi dell’idea di “ammodernamento” morale al mondo contemporaneo, in termini di matrimonio o contraccezione o aborto, di sacerdozio femminile, ecc. 
È alla base dell’idea – che è la radice dell’apostasia – che lo spirito del mondo sia lo spirito di Dio. Ogni evento del mondo diventa, dunque, un evento direttamente voluto da Dio, ispirato dallo Spirito Santo. Credere questo, però, significa confondere permissione e volontà di Dio; e significa, altresì, misconoscere che nella storia agisce il Nemico e la sua semina, “tra” il grano.
Esattamente questo comporta la teologia hegeliana: l’idea di Dio come di una Coscienza assoluta che apprende di essere Dio, all’interno di un processo cosmico e storico, necessario e razionale. L’idea di Dio come indeterminazione originaria (il Dio come En Sof, l’Infinito della Cabala) che auto-determina se stessa attraverso un processo di auto-alienazione (la creazione del mondo) e di Sintesi: la storia politica, artistica, religiosa e soprattutto filosofica dell’umanità.
Hegel è convinto che il Cristianesimo sia la religione assoluta, perché attraverso il cristianesimo Dio raggiunge la consapevolezza di essere Trinità: Padre in quanto Indeterminazione, Figlio in quanto Antitesi fino alla morte, Spirito, in quanto Ragione del mondo. La storia del pensiero occidentale è allora la storia della Coscienza divina che raggiunge la consapevolezza razionale di Sé. La storia della filosofia diviene il senso stesso dell’autocoscienza progressiva di Dio. La storia del mondo è la storia di Dio. Lo Spirito del mondo non è altro che lo Spirito di Dio.
Se per i cristiani, Dio è morto in Croce il venerdì santo, per Hegel quel fatto ha solo valore simbolico, speculativo. La morte di Cristo non è altro che il momento ateo di Dio, che Dio stesso supera e concilia come Spirito. La verità dogmatica di Cristo come vero uomo e vero Dio è una verità universale di ogni uomo: anche la coscienza umana deve raggiungere – nella storia e nel mondo – la verità della sua essenza divina, parallelamente alla fenomenologia di Dio.
La Rivelazione allora, non è la rivelazione di Dio all’uomo, ma la Rivelazione che Dio compie di se stesso a se stesso, per mezzo del mondo, della storia e del pensiero razionale.
Questo è un punto decisivo.
Nel pensiero occidentale esistono infatti cinque concetti del termine Rivelazione.
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È chiaro che quello di Hegel differisce profondamente da quello cattolico o biblico in generale. La differenza sta nel termine a cui è riferita la rivelazione: se per il senso biblico, Dio rivela se stesso all’uomo, per Hegel Dio rivela se stesso …a se stesso!
Tuttavia, permane la comune idea che l’oggetto della rivelazione sia Dio.
È bene specificarlo per tre ragioni. Queste tre ragioni costituiscono i tre significati del concetto di rivelazione, oltre a quello hegeliano e a quello biblico. Per un totale, quindi, di cinque significati possibili.
Il primo utile è quello determinato in chiave atea da Feuerbach: questi interpreta la teologia hegeliana – e in generale la teologia biblica – come una antropologia mascherata, cioè come un modo inconscio per mezzo del quale la coscienza umana – creando Dio come proiezione di sé – vede se stessa, sviluppa la propria auto-coscienza di uomo. Il dato rivelatorio nasconde in realtà la rivelazione che l’uomo fa di stesso a se stesso, attraverso l’invenzione (necessaria) della religione. La religione, e quindi la rivelazione, altro non sono che il modo di raccontarsi, di vedersi allo specchio, da parte della coscienza umana. La rivelazione è propriamente la rivelazione che l’uomo fa di se stesso, a se stesso. Non però direttamente, ma negandosi prima in Dio e riaffermandosi poi in sè. Riappropriandosi in modo cosciente di quelle qualità umane che ha inconsciamente divinizzato e poi attribuito alla sua stessa invenzione: lo specchio/ Dio.
Il secondo significato degli ultimi tre è quello illuministico. Anche la tradizione illuministica relativizza il dato rivelatorio all’uomo. Non nel senso dialettico e ateo di Feuerbach, ma nel senso pedagogico e morale. L’illuminismo tedesco infatti identifica la rivelazione con l’educazione del genere umano. In senso socratico. L’uomo realizza pienamente se stesso e raggiunge l’età della ragione nel progresso della storia. La Rivelazione biblica non è altro che l’ausilio prezioso, rispetto ai popoli che hanno dovuto compiere un più arduo cammino di perfezione, senza la Rivelazione. Dio stesso non è altro che una sorta di pedagogo universale che guida gli uomini all’età adulta del progresso, della luce e della razionalità. Ovviamente l’età è l’illuminismo. Cristo è un grande maestro di morale. La redenzione non è neppure contemplata. E con essa qualsiasi connotato teologico del Vangelo.
Questi ultimi due significati, quello ateo-dialettico della sinistra hegeliana e quello precedente dell’illuminismo massonico hanno in comune di relativizzare unilateralmente il senso ultimo all’uomo. A partire da un presupposto. Il vero attore della storia non è Dio, ma l’uomo e la sua ragione. Non a caso Lessing riconosceva un identico scopo ai popoli non illuminati dalla rivelazione. Salvo una fatica maggiore nel progresso razionale. Il progresso razionale è il destino comune dell’umanità nella storia e sulla terra. La rivelazione è pedagogia. Educazione generale.
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Resta l’ultimo significato del concetto di rivelazione. Quello decisivo.
È bene notare che la tradizione illuministica – con la sua relativizzazione morale del Vangelo-  e quella atea – con la riconduzione della religione a creazione della coscienza umana – riducono la rivelazione al dato umano, allo scopo che l’uomo compia il suo destino sulla terra. Sono coerenti col dato umano e con la prospettiva umana: sia per ciò che concerne l’oggetto della rivelazionesia per ciò che concerne il fine. Il destino razionale dell’uomo sulla terra.
Nel quinto significato di rivelazione, invece, si conserva il soggetto della rivelazione come Dio; si conserva il destino ultraterreno dell’uomo; si modifica – però – l’oggetto della rivelazione. In Hegel e nella Bibbia, l’oggetto della rivelazione resta Dio. Per Hegel il fine è che Dio diventi Dio, in termini di auto-coscienza. Nella Bibbia il fine è che l’uomo conosca Dio e l’opera di Dio, in termini di creazione, signoria sulla storia, legge, peccato, colpa, redenzione, giudizio.
Nel quinto significato, che appartiene alla cattolicesimo attuale, il fine della rivelazione non è più Dio e la Sua opera. Non è più il peccato dell’uomo, la colpa, il Sacrificio sulla Croce, la redenzione costata – per Giustizia – il sangue di Cristo. Non è più il debito antico riscattato da Dio stesso, nella sua Incarnazione-Passione-Resurrezione. Ora, Dio si unisce a ogni uomo, cosicché ogni uomo può aspirare a Dio. È cristiano prima ancora di conoscere Cristo. È salvato prima ancora di essere battezzato, evangelizzato, redento. La Rivelazione biblica annuncia – adesso – quindi la fratellanza universale di tutti i santi. Il destino divino dell’umanità.
La Rivelazione annuncia allora una condizione addirittura maggiore a quella di Adamo.
Adamo poteva peccare. Infatti ha peccato. Ora gli uomini invece non possono più peccare, per la semplice ragione che il peccato non sussiste più. Né colpa, né giudizio.
In questo, trova piena convergenza la teologia hegeliana con l’antropologia cattolica moderna e il suo senso di rivelazione. Hegel determina lo spirito del mondo come quello di Dio, misconoscendo Satana come principe di questo mondo. Da Hegel dipende il fatto che persino l’opera dell’Anticristo può esser avallata come opera dello Spirito Santo. I segni stessi dell’apostasia saranno presentati e tutelati come opera dello Spirito Santo. L’Anticristo si affermerà in nome dello spirito santo, annunciando l’uomo divino.
La nuova antropologia cattolica conferma questa natura e questo destino dell’uomo, attribuendo alla rivelazione biblica questo scopo ultimo: l’uomo e il suo divino destino. Senza più peccato, colpa e giudizio.
di Pierluigi Pavone


Parte seconda: l’assedio che viene dalla terra
    https://www.sabinopaciolla.com/il-signore-delle-fedi-2-parte/

    Sperando che l’inculturazione del Vangelo non venga ridotta ad una ambigua fusione di elementi cristiani e pagani.

    “Quel campo si preoccupa che la legittima inculturazione venga ridotta a un’ambigua e confusa fusione di costumi cristiani e locali, con pochissima spiegazione razionale della teologia che sta dietro le prassi emergenti. Alcuni si chiedono se il risultato di un tale processo possa davvero essere il cristianesimo”.
    Così J.D. Flynn nel suo articolo pubblicato sul Catholic News Agency che vi presento nella mia traduzione.  
    Figura femminile amazzonica (foto: credit CNA)
    Figura femminile amazzonica (foto: credit CNA)
     In un “momento di spiritualità amazzonica” il 16 ottobre, in una chiesa in fondo alla strada da Piazza San Pietro, una donna ha raccontato la storia popolare amazzonica di un delfino rosa di fiume che ha sedotto una ragazza di villaggio.
    La storia, e la conversazione che ne è seguita, è un esempio toccante di questioni sollevate sul sinodo amazzonico del Vaticano, e sul significato degli appelli a “inculturare” il Vangelo.
    Era seduta su uno sgabello basso, su una stuoia di stoffa, nella corsia che conduce al santuario di Santa Maria in Traspontina, una chiesa carmelitana costruita cinque secoli fa. Dietro di lei sedevano due persone indigene. Tra loro c’era una figura lignea di donna incinta, ormai controversa, con ciotole intagliate piene d’acqua, pezzi di rete intrecciata e piccole statue scolpite.
    La versione del narratore dell’antica storia mitica in Amazzonia recita così:
    C’è un delfino rosa di fiume nel profondo dell’Amazzonia. Quando sente il suono dei tamburi, a volte emerge dall’acqua, per entrare nei villaggi e ballare con gli abitanti dei villaggi. Va sulla terra per sedurre le giovani donne dei villaggi.
    Per le giovani ragazze il delfino appare come un estraneo di bella presenza, uno straniero, un uomo bianco. A tutti gli altri sembra ancora un delfino.
    Alla fine, il misterioso straniero seduce una giovane donna del villaggio. In alcuni racconti, lei rimane incinta. In altre versioni, si innamora semplicemente. Ma in ogni caso, si ritrova costretta [ad andare al fiume] al fiume. È caduta sotto un incantesimo. Se l’incantesimo non può essere spezzato, a volte da uno sciamano locale, si getta nel fiume, e lì diventerà una sirena.
    Quando ha finito di raccontare la sua storia, la cantastorie ha chiesto a coloro che si sono riuniti in chiesa di condividere cosa ha significato per loro la storia.
    “Cosa significa per te?” non è la stessa domanda di “Cosa significa?” Entrambe le domande hanno ovviamente valore. E la tradizione mitica e folcloristica ha un posto in ogni cultura, in cui nuovi significati e idee possono emergere da vecchie storie.
    Tuttavia, i critici delle liturgie, delle cerimonie e dei rituali che circondano il Sinodo amazzonico dicono che questi eventi sono stati afflitti dall’ambiguità, da una sorta di soggettivismo postmoderno e dall’assenza dell’annuncio del Vangelo e del riferimento alla rivelazione sacra.
    Alcune di queste critiche sono iperboliche ed esagerate. E, infatti, gli eventi sinodali che esprimono la spiritualità amazzonica, compreso il controverso 4 ottobre dove sono stati piantati degli alberi alla presenza del Papa, hanno incluso letture delle scritture, ovviamente preghiere cattoliche, e riflessioni o predicazioni sul mistero salvifico di Gesù Cristo.
    Ma gli aspetti identificabili come cristiani dei rituali sono spesso avvenuti accanto a immagini e sculture non identificate, e con l’incorporazione di rituali di origine non chiara. Questo ha portato alla confusione.
    I giornalisti che si chiedono “Che cosa significa questo?” hanno sentito, in risposta, un’altra domanda: “Che cosa significa questo per voi?”
    Il 16 ottobre, in una conferenza stampa vaticana, un giornalista ha chiesto chiarezza sull’immagine scolpita, vista per la prima volta durante la cerimonia di piantagione degli alberi e in occasione di altri eventi legati al Sinodo. L’immagine era stata descritta da almeno un giornalista cattolico occidentale come la Vergine Maria e da Getty International come una dea pagana.
    Giacomo Costa, portavoce sinodale, ha detto che l’immagine non è la Vergine Maria, ma una figura femminile che rappresenta la vita. Paolo Ruffini, funzionario della comunicazione vaticana, ha detto che, secondo il suo punto di vista personale, l’immagine sembra quella di un albero, che è, ha detto, una sorta di “simbolo sacro”.
    Ruffini si è impegnato a saperne di più, ma ha offerto un indizio significativo che è diventato un tratto familiare al Sinodo amazzonico: “Sappiamo che alcune cose nella storia hanno molte interpretazioni”.
    Un giornalista che ha chiesto ai vescovi [chiarimenti] dell’immagine il 7 ottobre ha avuto una risposta più nebulosa.
    “Tutti abbiamo le nostre interpretazioni: la Vergine Maria, la Madre Terra…..probabilmente coloro che hanno usato questo simbolo hanno voluto riferirsi alla fertilità, alle donne, alla vita, la vita presente tra questi popoli amazzonici e l’Amazzonia è intesa essere piena di vita. Non credo sia necessario creare legami con la Vergine Maria o con un elemento pagano”, ha detto il vescovo David Martínez De Aguirre Guinea del Perù in una conferenza stampa vaticana.
    Tra i giornalisti, gli osservatori e le altre parti interessate che assistono al Sinodo, ci sono chiaramente due prospettive sull’immagine scolpita e sulla controversia che la circonda.
    Un campo sembra dire che questo tipo di ambiguità rappresenta il processo ordinario di inculturazione. Essi vedono nell’ambiguità la complicata realtà dell’annuncio del Vangelo in un contesto sconosciuto, e sono desiderosi di affermare punti di somiglianza tra la spiritualità amazzonica e il cristianesimo. Se un’immagine scolpita evidenzia questi punti, dicono, dovrebbe essere celebrata, anche se ogni domanda non avesse una risposta chiara. Essere eccessivamente dogmatici, suggeriscono, è una sorta di ostilità verso la buona volontà del Sinodo e dei suoi partecipanti.
    L’altro campo, quelli che di solito sono classificati come conservatori, sono più scettici. Hanno cominciato a chiedersi se i partecipanti al Sinodo abbiano riflettuto sui limiti dell’inculturazione, o sulle conseguenze dell’ambiguità su questioni che sembrano vicine al sincretismo religioso o addirittura al tacito consenso all’idolatria funzionale.
    Quel campo si preoccupa che la legittima inculturazione venga ridotta a un’ambigua e confusa fusione di costumi cristiani e locali, con pochissima spiegazione razionale della teologia che sta dietro le prassi emergenti. Alcuni si chiedono se il risultato di un tale processo possa davvero essere il cristianesimo.
    Gli osservatori più scettici dicono che la Chiesa cattolica insegna che la riflessione soggettiva deve essere integrata da un’analisi razionale e da una proclamazione coerente, specialmente nel contesto della pratica religiosa, dove il significato, fondamentalmente, deriva dalla rivelazione. Essi dicono che, mentre l’inculturazione è importante, la fusione confusa di simboli abituali e cristiani porta a rituali religiosi che possono essere interpretati solo soggettivamente.
    Mentre le linee [di pensiero] tra i vari seguaci delle fazioni sono chiare, non è chiaro quello che pensa la maggior parte dei partecipanti al Sinodo, in gran parte perché il flusso di informazioni al Sinodo amazzonico è strettamente controllato, e la comunicazione dell’ufficio stampa è sembrata per la maggior parte curata.
    Anche i partecipanti al Sinodo che hanno parlato di inculturazione, e delle polemiche che circondano l’immagine e gli eventi di spiritualità amazzonica, non lo hanno fatto con particolare profondità teologica.
    In una conferenza stampa del 12 ottobre, il vescovo ecuadoriano Rafael Cob García ha detto alla CNA che l’inculturazione è un processo, non è qualcosa che accade durante la notte.
    L’inculturazione richiede “cercare di entrare nel loro modo di pensare, e poi, dopo molto tempo, si può vedere ciò che è collegato al Vangelo”, ha aggiunto il vescovo brasiliano Adriano Ciocca Vasino.
    Questo viene fatto sempre, ha detto, “con riferimento a Cristo”.
    I vescovi non hanno commentato i risultati desiderati dell’inculturazione, o i principi che dovrebbero guidarla, o il modo per evitare che diventi sincretistica, o che comprometta l’evangelizzazione. La loro incapacità di farlo ha reso il campo degli scettici ancora più scettico.
    Ciò che i vescovi hanno spiegato è che l’inculturazione, comunque la intendano, richiede molto tempo.
    “Se si segue un lungo cammino, cercando di capire e rispettare, fino a comprendere l’anima della loro spiritualità, allora si ottengono risultati davvero interessanti”, ha detto Vasino. “Per capire, dobbiamo scavare a fondo”.
    I cattolici al Sinodo vaticano potrebbero presto riflettere di più sulla storia del delfino rosa.
    Si chiederanno se i padri sinodali siano stati attratti dall’idea dell’inculturazione senza vederne i pericoli. Si chiederanno se la Chiesa debba gettarsi in un fiume per capire come la storia di un delfino rosa rapace sia “legata al Vangelo”. Le risposte non sono ancora arrivate.

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