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venerdì 8 novembre 2019

Il “naturalismo politico”

LA CRISI
Cattolici & politica, il dramma è la fede in crisi

Se tanti uomini di Chiesa oggi si appiattiscono sui problemi politici è perché è in crisi la loro fede. Però è anche vero che, affrontando primariamente i temi politici, si perde anche la fede, volendo partire dall’uomo si modifica la nostra visone di Dio e la fede in Lui. Entrando direttamente in politica, senza la fede, si ha come un’ondata di ritorno che corrompe anche la fede.


Nell’editoriale di ieri il direttore Cascioli ha lamentato – anche con le parole del cardinale Sarah – l’appiattimento della Chiesa sui temi sociali e politici. Anziché parlare di Dio, la Chiesa oggi parla solo dell’uomo. E talvolta, aggiungiamo noi, dice ancora meno di questo. Cascioli porta molti esempi tratti dalla cronaca recente, a cui se ne potrebbero aggiungere molti altri. Va però osservato che è vero anche il contrario di quanto sottolinea il direttore.


La prima questione è la fede e se tanti uomini di Chiesa oggi si appiattiscono sui problemi politici è perché è in crisi la loro fede. Però è anche vero che, affrontando primariamente i temi politici, si perde anche la fede, volendo partire dall’uomo si modifica la nostra visone di Dio e la fede in Lui. Entrando direttamente in politica, senza la fede, si ha come un’ondata di ritorno che corrompe anche la fede. I cattolici si scoprono pluralisti nelle loro scelte politiche e poi va a finire che si ritrovano pluralisti anche nei principi di fede e di morale. Certo, facciamo scelte diverse e contraddittorie sul piano politico perché abbiamo perso l’unità di fede, ma è anche vero che abbiamo perso l’unità di fede perché facciamo scelte contraddittorie sul piano politico. Come possiamo essere relativisti in politica e non anche di riflesso nella fede?

Oggi si dice che la politica ha una sua indipendenza dalla religione, che il mondo ha la sua maturità che come tale deve essere accettata per non scadere in forme di proselitismo o di occupazione ideologica del potere, che la società ha i suoi processi che la fede non deve investire dall’alto o dal di fuori, ma intendersi essa stressa come uno di questi processi in dialogo con tutti gli altri. Simili posizioni – oggi diffusissime – negano che l’attività sociale e politica abbia un nesso essenziale con la fede cattolica. Negano cioè che non possano realizzare se stesse se tagliano i rapporti con la religione. In questo modo negano che la natura abbia un bisogno essenziale della grazia, rompono l’unità tra il fedele e il cittadino, perdono di vista la coerenza della vita cristiana.

Se sono possibili scelte politiche diverse e contraddittorie vuol dire che l’attività sociale e politica rifiuta un fondamento trascendente di tipo morale e religioso, e questo vuol dire che l’unità di fede e di morale è considerata inutile per la vita, come una “scelta” individuale e non come una conoscenza di un ordine delle cose. Si avrà una scissione tra la ragione e la fede, sicché se non si danno verità di ragione pubblica in cui i cattolici devono ritrovarsi, allora significa che è possibile non solo credere in una cosa e farne un’altra ma anche credere in cose diverse. Ma allora che autorevolezza, che rigore, che assolutezza avrà quella fede? Se dalla medesima fede derivano prassi diverse e incoerenti, quella fede perderà di consistenza oggettiva e diventerà una semplice scelta individuale. Se i cattolici possono indifferentemente agire sia a favore che contro l’aborto, ne deriva un indebolimento della loro stessa fede, privata di un fondamento assoluto e ridotta all’opinabile.  

Il magistero della Chiesa ha per molto tempo chiamato questo atteggiamento con il nome di “naturalismo politico” e da sempre lo ha considerato il principale nemico della fede cattolica. Il naturalismo politico induce a considerare la politica senza riferimento alla religione. Induce a parlare prima di politica e poi di religione. Induce a parlare solo di politica. Come stanno facendo - secondo le condivisibili osservazioni di Cascioli – molti Pastori oggi. Questo atteggiamento del naturalismo politico è una prassi che produce i suoi effetti negativi non solo nella pratica ma anche nella conservazione della fede, che ne viene danneggiata, deformata e infine distrutta. Negando il ruolo pubblico della fede cattolica, e quindi il suo ruolo essenzialmente indispensabile per una buona vita politica, parlando della politica senza parlare mai di Dio, non danneggia solo la politica ma destruttura la stessa fede. Abitua all’irrilevanza della fede, si pensa che esistano luoghi in cui Dio non c’entra, ma pensare che ci siano luoghi in cui Dio non c’entra significa modificare la visione di Dio, significa avere un’altra fede.

Il naturalismo politico dice che è possibile una politica senza Dio, quindi dice che il naturale non ha bisogno del soprannaturale, quindi dice che il soprannaturale è dettato e prodotto dal naturale, quindi dice che esiste solo il naturale e alla fine perde di vista anche il naturale stesso, perché per legittimarlo dovrebbe ricorrere ad un principio ad esso superiore. Se si parla prima di tutto e solo dell’immanente, allora vuol dire che si pensa che il trascendente stia nell’immanente. Come potrebbero, pensieri come questi, convivere con una fede salda circa la priorità del trascendente sull’immanente e la sovranità di Dio sul mondo e la storia?

Stefano Fontana

https://lanuovabq.it/it/cattolici-politica-il-dramma-e-la-fede-in-crisi

Ma guarda un po’: atei che rimpiangono Dio

Se soltanto pochi anni fa sembrava che l’aggressivo movimento dei “nuovi atei”, guidato da un saggista come  Christopher Hitchens e un biologo come Richard Dawkins, avesse nelle sue mani il futuro, oggi  la situazione è molto diversa e ci sono atei che incominciano a interrogarsi. In una società in cui uomini e donne vivono la propria vita sotto cieli vuoti e si aspettano di essere riciclati anziché risuscitati, non essendoci una solida base morale condivisa, come è possibile vivere insieme? E quale futuro ci aspetta?
Se un ateo come Hitchens sosteneva che la religione avvelena tutto, ecco che Douglas Murray, a sua volta ateo, suona l’allarme sul vuoto subentrato al crollo prima del cristianesimo e poi delle ideologie.  Autore di The Strange Death of Europe e ora tornato in libreria con The Madness of Crowds, Murray constata che “in pubblico e in privato, le persone si comportano in modi sempre più irrazionali, febbrili, simili a branchi”. Un ritorno al tribalismo che è appunto il risultato della mancanza di grandi narrazioni in cui credere. “Tuttavia la natura detesta il vuoto. E le persone nelle ricche democrazie occidentali non potevano semplicemente rimanere le prime nella storia a non avere alcuna spiegazione su quello che stiamo facendo qui e nessuna storia con cui dare uno scopo alla propria vita”.
Murray, riferisce Jonathon Van Maren, che ha avuto l’autore ospite del suo Van Maren Show, “è convinto che il progetto ateo sia senza speranza”. In mancanza di una visione e di una risposta sulle grandi questioni, “potremmo essere costretti a riconoscere che il ritorno alla fede è la migliore opzione disponibile”.
“C’è una possibilità molto reale – osserva Murray –  che anche il nostro moderno concetto di diritti umani, che si basa su fondamenta giudeo-cristiane, sia destinato a sopravvivere al cristianesimo solo per pochi anni. Tagliata fuori dalla fonte, la nostra concezione dei diritti umani può impoverirsi e morire molto rapidamente, lasciandoci a trafficare in un’oscurità fitta e impenetrabile”.
Abolite le basi cristiane, la società può sgretolarsi, come già stiamo vedendo. Non essendoci più nulla che ci tiene insieme, la prospettiva è il conflitto tribale.
“Molti atei ottimisti – osserva Van Maren – hanno creduto che una volta detronizzato ed eliminato Dio avremmo potuto vivere finalmente da adulti e andare avanti con il progetto utopico di creare una società basata sulla fiducia in noi stessi”. Sfortunatamente questi scettici, che “erano scettici su tutto tranne che sulla bontà dell’umanità”, hanno sbagliato previsione.
È proprio il senso di vuoto e di fallimento che sta portando “alcuni importanti atei ad ammettere a malincuore che forse il cristianesimo era più necessario di quanto pensassero”. Lo stesso Richard Dawkins, che nel 2015 sosteneva che i bambini dovrebbero essere protetti dalle opinioni religiose dei loro genitori, soltanto tre anni dopo ha messo in luce il rischio che la “benevola religione cristiana” potrebbe essere sostituita da qualcosa di decisamente meno benevolo. E altri atei e agnostici, da Bill Maher ad Ayaan Hirsi Ali, hanno fatto eco alle preoccupazioni di Dawkins. Un cambiamento radicale che dovrebbe interpellare anche i cristiani.
La fine della religione, che fino a pochi anni fa era il suo obiettivo dichiarato, sarebbe in realtà qualcosa di terribile, ammette ora Dawkinss, perché “darebbe alla gente la licenza di fare cose davvero brutte”. Infatti, “le persone possono sentirsi libere di fare cose cattive quando avvertono che Dio non le sta più osservando”.
“Che sia irrazionale o no, purtroppo sembra plausibile che, se qualcuno crede sinceramente in un Dio che giudica ogni sua mossa, è probabile che questo qualcuno sia buono”, ha confessato a malincuore Dawkins nel suo ultimo libro, Outgrowing God.
Non che Dawkins sia diventato credente. Però, scrive Van Maren, come molti altri intellettuali atei si sta rendendo conto che la fede in Dio rende spesso le persone migliori e il mondo più vivibile.
Aldo Maria Valli

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