ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 11 novembre 2019

La faccia nascosta della luna

Il ritorno in campo del cardinale Ruini. Su Amazzonia, preti sposati, rischio di scisma, allontanamento da Dio

Il penultimo intervento in campo aperto del cardinale Camillo Ruini su una questione cruciale dibattuta in un sinodo risale al 2014, durante il primo dei due sinodi sulla famiglia. La questione era la comunione ai divorziati risposati.
Era il 13 ottobre e Ruini si pronunciò contro. Il suo commento fu ripubblicato in un libro che raccoglieva gli interventi di altri quattro cardinali, anch’essi contrari all’opzione a cui papa Francesco avrebbe dato infine confusamente il via libera, nell’esortazione apostolica post-sinodale “Amoris laetitia”.
Da quell’ottobre del 2014, Ruini, che oggi ha 88 anni e guidò la Chiesa italiana durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, si chiuse in un prolungato silenzio, sulle questioni di Chiesa più controverse.
Ma quali fossero, a suo giudizio, le questioni capitali per la Chiesa e per il mondo, non era un mistero. Nel 2016 diede alle stampe un libro dal titolo: “C’è un dopo? La morte e la speranza”, nel quale parlava di aldilà, di vita eterna, di risurrezione dei morti, di inferno e di paradiso, insomma, degli ultimi articoli del “Credo”, come già aveva parlato dei primi articoli della professione di fede nel suo libro precedente, del 2012, dal titolo: “Intervista su Dio”.
Inutile dire che questo primato dato alla questione di Dio, nell’interpretare la crisi odierna del mondo e della Chiesa, accomuna il cardinale Ruini al papa emerito Benedetto XVI.
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La novità di questi giorni è che Ruini ha rotto il silenzio ed è tornato a pronunciarsi sulle questioni più controverse nella Chiesa, da ultimo nel sinodo sull’Amazzonia dello scorso ottobre.
L’ha fatto in questa intervista al “Corriere della Sera” del 3 novembre:
L’intervista ha avuto in Italia una fortissima risonanza. Incredibilmente, però, è stata ripresa e discussa nei giorni successivi solo per le battute iniziali dedicate dal cardinale – sollecitato dall’intervistatore – alla situazione politica, al ruolo dei cattolici, al giudizio su Matteo Salvini, il leader del più votato dei partiti italiani, la Lega.
È bastata, infatti, l’equanime e prudentissima apertura di credito data da Ruini a Salvini per far piovere sul cardinale una tempesta di critiche dall’ala sinistra del mondo cattolico italiano, sia da vescovi come Nunzio Galantino e Domenico Mogavero, sia da parlamentari cattolici del Partito democratico come Stefano Ceccanti e Franco Monaco, sia da veterani dello “spirito del Concilio” come Enzo Bianchi e Raniero La Valle, sia dallo stesso capo dello Stato in carica, Sergio Mattarella.
Ma, appunto, solo di politica si è parlato, per giorni e giorni. E non di ciò che il cardinale Ruini ha detto nella parte centrale e finale dell’intervista.
Questa che segue è esattamente la faccia nascosta della luna. Sono le nitide parole dedicate dal cardinale alle vere questioni che oggi assillano e dividono la Chiesa. Quelle parole che è bene che tutti conoscano, non solo in Italia.
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“È UNA SCELTA SBAGLIATA. E SPERO E PREGO CHE IL PAPA NON LA CONFERMI”
(Dall’intervista di Camillo Ruini al “Corriere della Sera” del 3 novembre 2019)
D. – Il sinodo sull’Amazzonia potrebbe consentire ai diaconi sposati di diventare preti. L’impressione è che possa essere il grimaldello per far saltare l’obbligo del celibato. O no?
R. – In Amazzonia, e anche in altre parti del mondo, c’è una grave carenza di sacerdoti, e le comunità cristiane rimangono spesso prive della messa. È comprensibile che vi sia una spinta a ordinare sacerdoti dei diaconi sposati, e in questo senso si è orientato a maggioranza il sinodo. A mio parere, però, si tratta di una scelta sbagliata. E spero e prego che il papa, nella prossima esortazione apostolica post-sinodale, non la confermi.
D. – Perché sbagliata?
R. – Le ragioni principali sono due. Il celibato dei sacerdoti è un grande segno di dedizione totale a Dio e al servizio dei fratelli, specialmente in un contesto erotizzato come l’attuale. Rinunciarvi, sia pure eccezionalmente, sarebbe un cedimento allo spirito del mondo, che cerca sempre di penetrare nella Chiesa, e che difficilmente si arresterebbe ai casi eccezionali come l’Amazzonia. E poi oggi il matrimonio è profondamente in crisi: i sacerdoti sposati e le loro consorti sarebbero esposti agli effetti di questa crisi, e la loro condizione umana e spirituale non potrebbe non risentirne.
D. – Sta dicendo che un prete divorziato sarebbe un guaio?
R. – È così.
D. – Cosa si può fare allora per combattere il calo delle vocazioni? Per riempire i seminari? E anche le chiese, spesso disertate dai fedeli?
R. – A tutti questi interrogativi la risposta decisiva è una sola: noi cristiani, e in particolare noi sacerdoti e religiosi, dobbiamo essere più vicini a Dio nella nostra vita, condurre una vita più santa, e domandare tutto questo a Dio nella preghiera. Senza stancarci.
D. – Papa Francesco è attaccato sia da coloro – come i vescovi tedeschi – che lo vorrebbero più riformatore, sia da coloro – come i vescovi nordamericani – che lo vorrebbero più conservatore. C’è il rischio di uno scisma?
R. – Non lo penso, e spero di no con tutto il cuore. L’unità della Chiesa è un bene fondamentale, e noi vescovi, in unione con il papa, dobbiamo esserne i primi fautori.
D. – Lei come giudica l’attuale pontificato? Sbaglia chi definisce Francesco un papa “di sinistra”, se non “populista”?
R. – Gesù Cristo ha detto: non giudicate, per non essere giudicati. Tanto meno io posso giudicare Francesco, che è il mio papa, a cui devo rispetto, ubbidienza e amore. In questo spirito, posso rispondere che papa Francesco ha messo i poveri al centro del suo pontificato; e ricordo che anche san Giovanni Paolo II, molto diverso da lui, ribadiva di continuo l’amore preferenziale per i poveri.
D. – Il papa emerito Ratzinger ha affermato che la crisi dell’Europa è antropologica: l’uomo non sa più chi è. Lei è d’accordo?
R. – Sì. Il principale motivo per cui non sappiamo più chi siamo è che non crediamo più di essere fatti a immagine di Dio. La conseguenza è che non abbiamo più la nostra identità, rispetto al resto della natura.
D. – Lei ha scritto un libro sull’aldilà: “C’è un dopo? La morte e la speranza”. Come se lo immagina?
R. – Ho 88 anni, e anche per questo all’aldilà penso ogni giorno, soprattutto nella preghiera. Immaginarlo è impossibile, se non per quello che ce ne ha detto Gesù Cristo: saremo per sempre con Lui e con Dio Padre, insieme ai nostri fratelli. Vivere già adesso il rapporto con Dio è il modo per pregustare la gioia che ci attende e che supera ogni nostro desiderio.
D. – Ha mai qualche dubbio sull’immortalità dell’anima e sulla resurrezione della carne?
R. – Fino a Kant, l’immortalità dell’anima era l’idea prevalente tra i filosofi; il vero scandalo del cristianesimo è la resurrezione dei morti. Non i dubbi, ma più precisamente le tentazioni contro la fede nella salvezza futura mi hanno sempre accompagnato e affaticato. A vincerle aiuta la teologia, ma molto di più aiuta la preghiera. E ci confortano i segni che dall’aldilà talora arrivano.
D. – Quali segni?
R. – Pensi alle tante guarigioni dovute all’intercessione di padre Pio. E anche a quelle – lo so per certo – dovute a san Giovanni Paolo II.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 11 nov  
Ruini, Mattarella e gli esegeti del Quirinale
di Gaetano Quagliariello.
Il cardinale Ruini non ha mai negato la rilevanza storica dei “democratici”. Ha piuttosto fotografato l’avvento di un nuovo contesto nel quale chi ritiene che al centro delle opzioni politiche debba esserci la concezione dell’uomo, che la prima ecologia sia quella umana, che la difesa della libertà passi anche dal recupero di una identità culturale che appartiene a credenti e non credenti, non può essere tacciato di integralismo: si limita a contrapporre una visione laica a un’altra visione laica di segno opposto che è stata egemone nel ‘900 e oggi, semplicemente, non lo è più perché non ha compreso le linee di frattura del nuovo mondo. Se oggi, nel mutato contesto, questa corrente “antropologica” del cattolicesimo riuscirà nell’obiettivo di dare a uno schieramento politico (il centrodestra) un imprinting culturale adeguato ad affrontare le grandi sfide del nuovo secolo, potrà incidere assai più in profondità di quanto non possa fare una corrente “democratica” sempre più incline ad assecondare lo spirito del tempo
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La storia del cattolicesimo politico italiano è storia complessa. Lo è stata sin dalle sue origini, perché lo Stato unitario è nato contro la Chiesa e ha portato con sé il non expedit. Lo è stata dopo il secondo conflitto mondiale, quando la guerra fredda portò il partito cattolico a tramutarsi in un mondo composito, nel quale anime molto diverse erano tenute insieme dalla pregiudiziale anticomunista. Complicata quella storia lo è tuttora e diventa addirittura inintellegibile se si pretende di interpretare la politica di oggi con le categorie del “mondo di ieri”.
Questa premessa serve a orientarsi dinanzi all’ampio dibattito suscitato dall’intervista del cardinale Camillo Ruini. E in particolare dinanzi al maldestro tentativo di alcuni commentatori di leggere il discorso pronunciato dal presidente Mattarella in ricordo di Benigno Zaccagnini come risposta alle parole dell’ex presidente della Cei sulla crescente irrilevanza del “cattolicesimo democratico”.
L’equivoco di fondo di questo tentativo sta nel ritenere l’intera storia del cattolicesimo politico italiano racchiusa nella parabola del cattolicesimo democratico che, invece, del grande mare popolare prima e democristiano poi fu una corrente importante ma certamente non esclusiva. Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi, Aldo Moro – i tre personaggi eminenti citati dal presidente Mattarella – sono certamente tre democratici, ma non possono essere posti in continuità fra loro e tantomeno con Zaccagnini.
Basterà ricordare, a questo proposito, l’”operazione Sturzo” che mirava a creare uno schieramento antagonista alla sinistra e che non a caso porta il nome del sacerdote siciliano che l’avrebbe dovuta guidare; basterà ricordare come l’egemonia catto-democratica nella Dc si determinò, dopo il 1953, proprio attraverso la liquidazione di De Gasperi; basterà ricordare come lo stesso Moro, che fra i tre fu senz’altro il più prossimo alle posizioni del cattolicesimo democratico, pur ritenendo in una certa fase l’alleanza con i comunisti una premessa necessaria per rafforzare le basi comuni del sistema, puntasse in prospettiva al suo superamento e alla collocazione su posizioni alternative rispetto al Pci e alla sinistra.
Insomma: identificare in queste grandi figure tre diverse esperienze storiche accomunate dall’attenzione alla centralità dell’uomo, come probabilmente ha inteso fare Mattarella, è un conto. Tracciare, invece, una linea di continuità tra Sturzo, De Gasperi, Moro e Zaccagnini sotto il vessillo catto-dem, come vorrebbe qualche esegeta, è operazione ancor più ardita di quella compiuta nei vecchi cortei del ’68 animati in nome di Marx, Lenin, Stalin e Mao TseTung!
La verità è che, indipendentemente dal fatto che si condividano o meno le loro posizioni, i cattolici democratici sono stati non rilevanti ma rilevantissimi nella storia d’Italia. E di certo il cardinale Ruini lo sa. Dopo la fine dell’esperienza degasperiana essi sono riusciti per lunghe fasi a egemonizzare il mondo Dc e a spendere per un’alleanza con la sinistra il peso di un voto popolare che era invece prevalentemente di destra. Ciò che tuttavia il cardinale coglie con altrettanta lucidità è che questa rilevanza è andata fortemente scemando: non tanto per la contingenza delle dinamiche politiche ed elettorali, quanto per un cambio di paradigma che con l’avvento del terzo millennio ha portato la questione sociale a cedere il passo alla grande sfida antropologica.
E’ la sfida intorno all’uomo a reclamare oggi la presenza dei cristiani in politica. E se in questo campo il cattolicesimo democratico cede allo Zeitgeist, aderendo alle posizioni di quel grande partito radicale di massa che già preconizzò Pier Paolo Pasolini e che ha ormai fagocitato la sinistra, sarà sempre più evidente che esso non ha più niente da dire. Né questa progressiva irrilevanza può essere arginata sostituendo i temi sociali con l’emergenza ecologica: la difesa dell’ambiente è importante, ma essa non può essere scissa dalla centralità dell’uomo e del diritto naturale.
Il cardinale Ruini, d’altro canto, non ha mai negato la rilevanza storica dei “democratici”. Ha piuttosto fotografato l’avvento di un nuovo contesto nel quale chi ritiene che al centro delle opzioni politiche debba esserci la concezione dell’uomo, che la prima ecologia sia quella umana, che la difesa della libertà passi anche dal recupero di una identità culturale che appartiene a credenti e non credenti, non può essere tacciato di integralismo: si limita a contrapporre una visione laica a un’altra visione laica di segno opposto che è stata egemone nel ‘900 e oggi, semplicemente, non lo è più perché non ha compreso le linee di frattura del nuovo mondo.
Se oggi, nel mutato contesto, questa corrente “antropologica” del cattolicesimo riuscirà nell’obiettivo di dare a uno schieramento politico (il centrodestra) un imprinting culturale adeguato ad affrontare le grandi sfide del nuovo secolo, potrà incidere assai più in profondità di quanto non possa fare una corrente “democratica” sempre più incline ad assecondare lo spirito del tempo.
Tratto da La Verità
fonte: l’Occidentale 
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