Papa Francesco nel suo discorso alla Curia Romana ha, tra le altre cose, di nuovo parlato di “rigidità” nella Chiesa. Un atteggiamento che, secondo il Papa, nasce dalla paura del cambiamento e “finisce per disseminare di paletti e di ostacoli il terreno del bene comune, facendolo diventare un campo minato di incomunicabilità e di odio. Ricordiamo sempre che dietro ogni rigidità giace qualche squilibrio.”
Rilanciando il discorso del pontefice sulla sua pagina Facebook, un noto “ex-gay” cattolico americano, Joseph Sciambra, lo ha commentato così:
“Già. Se non avessi mai incontrato alcuni cosiddetti preti ‘rigidi’ emarginati, forse avrei seguito i consigli delle loro controparti più gentili ed indulgenti – di conseguenza, sarei morto di AIDS o sarei HIV positivo con una bassa carica virale e ‘sposato’ con il mio terzo marito”
Nello stesso post ha riproposto un suo articolo in merito, del 2016, che ci è sembrato meritevole di essere letto.
Ve lo propongo nella mia traduzione.
Annarosa Rossetto
“E mi chiedo: perché tanta rigidità? E mi chiedo: come mai tanta rigidità? Scava, scava, questa rigidità nasconde sempre qualcosa: insicurezza, a volte persino altro… La rigidità è difensiva. L’amore vero non è rigido. ” – Papa Francesco
Quando sono tornato con curiosità alla religione della mia giovinezza, dopo aver trascorso più di un decennio come un “gay” dichiarato e orgoglioso, sono tornato alla Chiesa da uomo sanguinante, a pezzi e ferito. Da adolescente, sono diventato “gay” dopo un’educazione totalmente inefficace nella Chiesa cattolica degli anni ’70 e primi anni ’80, dove sono stato costantemente incoraggiato a seguire la mia coscienza interiore; una coscienza che non si era mai formata, nemmeno in modo rudimentale. In effetti, per lo più, mi era stato ripetutamente insegnato che la coscienza era importante solo per come trattiamo gli altri, con un’enfasi, ai tempi delle superiori, sulle questioni di giustizia sociale e della capacità all’interno del Cristianesimo di influenzare e cambiare le iniziative politiche globali grazie alla teologia della liberazione. Quanto alle nostre decisioni morali personali, dipendeva interamente da noi. Di fatto, ci veniva chiesto di formare una serie di nostri imperativi morali basati su sentimenti e reazioni personali verso determinate situazioni. Sebbene la Chiesa avesse promulgato determinati principi, la nostra fedeltà individuale a quegli ideali era sempre soggetta alla nostra coscienza. Ci veniva detto che la nostra coscienza avrebbe reagito positivamente verso il bene; nel mio caso, mi ero sempre sentito bene con una irrefrenabile attrazione sessuale per altri uomini, quindi questo era una cosa buona per me. Più tardi, fui informato da un prete molto confuso e combattuto, ma tristemente ben intenzionato, che poiché ero nato “gay”, una vita attiva di omosessualità non sarebbe mai stata considerata peccaminosa perché Dio mi aveva creato con questa inclinazione. La mia unica responsabilità morale era quella di comportarmiin modo sicuro per proteggere , nell’era dell’AIDS, la salute fisica mia e degli altri.
È stato con questa formazione confusa che mi sono avventurato nel mondo sconosciuto dell’omosessualità maschile. Lì ho scoperto una serie di dottrine che non erano mai ambigue o aperte all’interpretazione individuale, ma erano radicate nel nostro codice genetico e in una storia nascosta di accettazione ed esaltazione gay nella Chiesa. L’allora vigente slancio istituzionale centralizzato verso il conservatorismo all’interno della Chiesa cattolica, poi rappresentato dalla manifesta intransigenza di Papa Giovanni Paolo II, era una negazione dei veri insegnamenti di Cristo incentrati sull’inclusione e la tolleranza. Per un po’ ho sottoscritto questa interpretazione del cristianesimo, ma lentamente ho iniziato ad abbandonare Cristo e questa religione dell’Io poiché Gesù non mi è più sembrato niente di speciale. Era solo un altro maestro di una lunga serie di pensatori illuminati; un pantheon che includeva Buddha, Gandhi, e Harvey Milk. Erano semplicemente esempi di umanità perfetta, non un qualche tipo di rivelazione divina.
Per i successivi dieci anni, ho trascorso innumerevoli ore a scrivere e riscrivere il mio decalogo personale; in generale, queste regole cambiavano quando cambiavano la mia vita e le mie relazioni. All’inizio, ero piuttosto severo con me stesso riguardo a ciò che avrei fatto o non avrei fatto. Quando ho lasciato l’omosessualità nel 1999, praticamente non c’era più nulla che io considerassi vietato.
Seguire in modo assolutista la mia luce interiore sembrava avermi spinto sempre più avanti e più lontano nell’oscurità. Quando mi ero completamente perso ed ero rimasto con poche o nessuna opzione, ho inspiegabilmente deciso di tornare al cattolicesimo. Miracolosamente nel mio caso, i primi due libri che ho aperto nel mio viaggio verso la Verità sono stati la Bibbia e il Catechismo della Chiesa Cattolica. Nella Bibbia fui subito attratto dalla compassione e dal chiaro e conciso ordine dato alla pubblica peccatrice Maria Maddalena; nel Catechismo mi sono subito rivolto alla sezione sull’omosessualità che era ugualmente succinta.
L’incertezza della mia vita fino a quel momento, l’orrore di aver dovuto guardare giovani uomini morire e i traumi insiti in un’esistenza ribelle, in qualche modo mi avevano lasciato denudato e aperto ad un modo di vita molto più disciplinato e rigido di quello che avrei preso in considerazione prima. Quello che volevo dalla Chiesa e dai suoi ministri era la stessa misericordia mostrata da Cristo ai peccatori e le direttive indiscutibili espresse nel Catechismo. Sperando oltre ogni speranza, sono tornato in un confessionale per la prima volta da quando ero al ginnasio cattolico. Ho pregato per un sacerdote premuroso e sincero che mi offrisse l’assoluzione e una qualche indicazione. Non ho avuto né l’una né l’altra. Invece, mi fu consigliato di tornare nel mondo senza scopo da cui ero appena sfuggito; perché, dopo tutto, ero nato gay e nonostante le difficoltà, avevo fatto il meglio che potevo. Adesso avrei dovuto semplicemente continuare a provare.
In quello stesso tempo stavo anche tentando di tornare alla Liturgia della Chiesa. Nel complesso, era tutto come me lo ricordavo dagli anni ’70: un bombardamento incessante di chitarre strimpellanti e brani stucchevoli dei St. Louis Jesuits (gruppo di musica religiosa anni ‘70 nato in una università dei Gesuiti, n.d.t.), le prediche erano completamente dimenticabili e si concentravano su aneddoti insignificanti e storie semi-umoristiche che non avevano assolutamente nulla a che fare con il Vangelo, ma che semplicemente ribadivano che praticamente tutto quello per cui Cristo era vissuto e morto erano una serie di banalità vuote riassumibili in atteggiamenti progressisti verso l’inclusione e la tolleranza; in altre parole, qualsiasi tipo di credenza in un’autorità morale era segno di bigottismo e mancanza di carità. Per quanto riguarda la Liturgia dell’Eucaristia, mi è venuta in mente una “Messa cosmica” all’aperto a cui una volta ho partecipato a Berkeley con il sacerdote apostata Matthew Fox. In quell’occasione, Fox aveva “consacrato” pagnotte di pane, sparpagliate poi tra i vari fedeli seduti su coperte; dopo averne mangiato generosamente, parlando ad alta voce, abbiamo raccolto gli avanzi scuotendo le briciole nell’erba. Anni dopo, seduto ora in una chiesa cattolica, avevo visto lo stesso livello di riverenza e rispetto.
Per quanto potevo vedere, non c’era niente nella Chiesa cattolica per me: nessuna guida, nessuna legge, nessuna sacralità. Proprio mentre stavo per arrendermi, ho scoperto casualmente che a diverse miglia di distanza in una città vicina veniva celebrata la Messa in Latino. Ero disperato e non avevo niente da perdere – così sono andato. Non avevo idea di ciò cui avrei partecipato, pensavo fosse semplicemente la Messa con cui ero cresciuto, ma detta in Latino. Eppure, sono stato immediatamente colpito dalla semplicità e dalla bellezza della Messa, dalla mancanza di distrazioni. Anche se non avevo idea di cosa si stesse dicendo, ero profondamente consapevole dei dettagli, in particolare della posizione del sacerdote che si rivolgeva verso l’altare così come facevano i fedeli; cosicché le nostre preghiere collettive si focalizzavano esclusivamente su Dio, non erano perse in un avanti e indietro tra il sacerdote come punto focale e la gente nei banchi. Progressivamente mi sentivo come se fossi stato travolto e poi non riuscivo più ad alzare lo sguardo perché i miei sentimenti erano troppo intensi e la vicinanza di Cristo era diventata travolgente.
In poco tempo feci conoscenza del parroco di questa parrocchia ed era un uomo immensamente gentile e paziente. Oltre ad essere il sacerdote da cui andavo a confessarmi era anche il mio direttore spirituale. In questa veste era modello del Signore sia nella sua misericordia nei miei confronti sia nella guida che mi offriva. Il nostro punto di partenza erano sempre la Scrittura e il Catechismo. E, lungi dal percepire la posizione della Chiesa, e la scelta del linguaggio, riguardo all’omosessualità come eccessivamente severa o di condanna, esse erano incredibilmente liberanti poiché le aspettative (su di me) di Dio e le norme erano articolate e trasmesse con chiarezza. Non avevo bisogno di una sensibilità speciale, non avevo bisogno di essere coccolato, e non avevo bisogno di accompagnamento. Ciò di cui avevo bisogno era la verità. Dopodiché, quello che alla fine decidevo di fare con quella Verità – dipendeva interamente da me. E, nel mio caso, poiché mi ero schiantato in modo devastante mentre me ne ero andato per conto mio, ero disposto ad accettare la Verità.
Anche se capisco in qualche modo ciò che Papa Francesco sta cercando di esprimere riguardo alla Messa in Latino e a coloro che vi partecipano, perché ho sperimentato un certo sgradevole esclusivismo e un atteggiamento giudicante piuttosto gretto tra alcuni parrocchiani, ma, per la maggior parte, i fedeli, e ancora più importante, i sacerdoti che celebrano la Messa in Latino lo fanno con una solida devozione verso l’ortodossia liturgica che si manifesta anche in una stessa fiducia negli insegnamenti della Chiesa sull’omosessualità. Al contrario, la mia esperienza è stata che la sciatteria e la sperimentazione liturgiche sono anche indicatori di indifferenza dottrinale. Ciò che il Santo Padre forse non capisce è che la durezza e talvolta l’inevitabile perversità della vita moderna, e l’effetto devastante che questo ha sulle anime, spesso lasciano gli esseri umani nostri simili incredibilmente feriti e senza speranza. Per queste persone la Chiesa è spesso un faro di pacato buon senso, di salvaguardia della Tradizione, di assoluti morali, di sacralità e di Verità. Mentre quelle Verità non sono certamente esclusive della Messa in Latino, la certezza di trovarle non alterate là dove c’è anche la Messa Tridentina, di solito è una conclusione attendibile. E per coloro che hanno trascorso tutta la loro vita cercando senza sosta e non trovando nulla, siamo stanchi di cercare. Per altri, come me, la presenza di rigidità nella Chiesa non è offensiva, ma il motivo per cui abbiamo scelto il Cattolicesimo.
Di Annarosa Rossetto
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