Così Papa Francesco si è avvicinato alla Cina comunista
Papa Francesco marcia in direzione della Cina. Una questione geopolitica, che interessa però anche i rapporti tra cattolici e Repubblica popolare
Papa Francesco marcia in direzione della Cina. Una questione geopolitica, che interessa però anche i rapporti tra cattolici e Repubblica popolare
Il Papa, qualche giorno fa, ha evidenziato l'impegno del governo cinese per debellare il coronavirus. Il Papa, nel corso di questa settimana, ha incontrato il vicepresidente Usa Mike Pence, che si è recato in Vaticano anche per saldare un'alleanza, quella tra Chiesa e Stati Uniti, che può influire sull'assetto geopolitico globale.
Nella testa di Pence può circolare una domanda, che recita più o meno cosi: considerando l'assetto bipolare cui il mondo sembra andare incontro, da che parte starà la Chiesa cattolica? Con la Cina o con Washington? Il Papa, tornando dal Giappone e dalla Thailandia, ha aperto ad una storica visita apostolica nella Repubblica popolare cinese.
Il primo Papa gesuita della storia è riuscito anche in un'impresa diplomatica: contrarre un "accordo provvisorio" con la Cina, al fine di pacificare i rapporti tra i fedeli cattolici e lo Stato asiatico. Sono tutti passaggi sparsi di quella che, negli ambienti ecclesiastici, viene definita "questione cinese". La stessa che può essere parte integrante di un grande spartiacque storico dei prossimi decenni. L'avvicinamento del Vaticano al "dragone", per le alte sfere, costituisce un successo dichiarato. Gli emisferi conservatori sollevano critiche e preoccupazioni.
L'accordo provvisorio tra Santa Sede e Pechino
La firma sull'accordo provvisorio risale all'autunno del 2018. Le "parti" si sono concesse due anni per la verifica della tenuta del patto, che è rimasto celato. Nel senso che, allo stato attuale, non è possibile elencare con certezza quali siano i contenuti concordati. Semplicemente perché l'accordo non è pubblico. Conosciamo però alcune delle novità apportate. La deduzione aiuta molto. Due vescovi cinesi, dopo essere stati invitati, hanno presenziato al Sinodo sui Giovani. Non era mai accaduto prima. Il Papa, in questo anno e mezzo, ha ordinato nuovi vescovi e istituito nuove diocesi. Bergoglio ha anche riconosciuto 8 presuli, che erano stati selezionati tempo addietro dalle autorità cinesi. Si tratta di altre innovazioni rilevanti. Jorge Mario Bergoglio - questo è un punto discusso - dovrebbe essere il primo vescovo di Roma riconosciuto ufficialmente dal "dragone" in quanto vertice religioso e legittimo. Per quel che riguarda le comunicazioni ufficiali, il pontefice argentino, scrivendo al popolo cattolico cinese, ha dichiarato quanto segue nel settembre del 2019, qundi poco dopo l'ufficialità dell'accordo: "In questo contesto, la Santa Sede intende fare sino in fondo la parte che le compete, ma anche a voi, Vescovi, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici, spetta un ruolo importante: cercare insieme buoni candidati che siano in grado di assumere nella Chiesa il delicato e importante servizio episcopale". Prima di questa che è una conclusione, Papa Francesco aveva specificato: "Quello che c'è, è un dialogo sugli eventuali candidati, ma nomina Roma, nomina il Papa, questo è chiaro. E preghiamo per le sofferenze di alcuni che non capiscono o che hanno alle spalle tanti anni di clandestinità". Una precisazione resasi necessaria anche per via delle rimostranze di chi sostiene che il Vaticano, per nominare i vescovi, debba prima passare da un parere vincolante della Conferenza episcopale cinese, che dipenderebbe però dall'Associazione patriottica cattolica cinese, che è filogovernativa, dunque filocomunista. Esistono due tendenze interpretative: c'è il "fronte" di chi non fa che esaltare o comunque approvare il passo di avvicinamento della Santa Sede alla Repubblica popolare - un passo di avvicinamento che, nelle intenzioni, serve anche a ridurre la distanza tra il popolo cattolico e le istituzioni governative -, e quello di chi, in modo contrariato ed oppositivo, vede nell'accordo una svendita del cattolicesimo al regime comunista. Il secondo "fronte" è animato soprattutto dal cardinale Joseph Zen, che ha più volte manifestato avversioni e timori.
Il fronte del "no" all'accordo provvisorio e la lettera di Benedetto XVI
Zen non la pensa come la segreteria di Stato del Vaticano. Almeno non sulla "questione cinese". Zen, che insieme a John Tong Hon, è uno dei due porporati di Hong Kong (Hon è più progressista), è sicuro di come la Chiesa cattolica stia cedendo al comunismo. E vorrebbe, invece, aspettare la crisi storica dell'ideologia massimalista su cui si regge la Repubblica popolare, per far sì che i cattolici possano svolgere un ruolo centrale nella ricostruzione futura. La linea è questa: nessun accordo con Xi Jingping e i suoi fino al crollo del "regime". Zen, in maniera apparentemente diversa dal Vaticano, è ancora convinto dell'esistenza di una "Chiesa sotterranea" o "clandestina", che a Pechino non smetteranno mai di contrastare. Dall'altra parte della barricata, risiede la cosiddetta "Chiesa ufficiale". Zen ventila l'ipotesi "scisma": da una parte i cattolici sotterranei, dall'altra quelli adagiati sull'Assocazione patriottica cattolica. Quando due vescovi della Cina sono arrivati a Roma per il Sinodo sui giovani, Zen li ha invitati a tornare indietro, in quanto rappresentanti dell'esecutivo e non della Chiesa universale. Qualche virgolettato del cardinale di Hong Kong - riportato anche sul blog di Aldo Maria Valli - può essere utile a delinare meglio il ragionamento che c'è dietro: "Non si possono ingannare i comunisti. Invece così si tradisce il mondo intero. Si sospingono i fedeli su una strada sbagliata. Per un prete, firmare il documento, non è semplicemente firmare una dichiarazione. Quando firmate, accettate di essere membro di questa chiesa sotto la direzione del partito comunista. È terribile, terribile". La riflessione dell'ecclesiastico conservatore muove da una lettera che Benedetto XVI ha scritto nel 2007: "Sono consapevole delle gravi difficoltà, alle quali dovete far fronte nella suddetta situazione per mantenervi fedeli a Cristo, alla sua Chiesa e al Successore di Pietro. Ricordandovi che — come già affermava san Paolo — nessuna difficoltà può separarci dall'amore di Cristo, nutro la fiducia che saprete fare tutto il possibile, confidando nella grazia del Signore, per salvaguardare l'unità e la comunione ecclesiale anche a costo di grandi sacrifici". Joseph Ratzinger, secondo l'interpretazione di Zen, era disponibile persino ad assistere ad anni di sofferenze, pur di non vedere configurata una resa. E in effetti Benedetto XVI, in quella missiva, si era espresso così: "Alla luce di questi irrinunciabili principi, la soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime Autorità civili; nello stesso tempo, però, non è accettabile un'arrendevolezza alle medesime quando esse interferiscano indebitamente in materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa". La strategia di Jorge Mario Bergoglio e del "ministro degli Esteri" Pietro Parolin avrebbe oltrepassato il confine individuato dal papa emerito e da Giovanni Paolo II. A Benedetto XVI, poi, sarebbe stato sottoposto il medesimo "accordo provvisorio". Ma Ratzinger - ipotizza Zen - ha ricusato quello che Bergoglio ha invece sottoscritto. Vale la pena sottolineare come di questo ultimo assunto non siano però state presentate prove scritte. Zen - è questo è un elemento che non può essere omesso per delinare a pieno l'entità della partita - è spalleggiato dai tradizionalisti.
Il fronte del "sì" e la speranza di Papa Francesco
Da quando Jorge Mario Bergoglio ha nominato il cardinale Pietro Parolin al vertice della segreteria di Stato la Chiesa cattolica è tornata a svolgere un ruolo centrale all'interno delle dinamiche geopolitiche. Un diplomatico di carriera, da quelle parti della Santa Sede, non si vedeva da un po'. E il cardinale Pietro Parolin ha sempre difeso il Papa sull'"accordo provvisorio". La Cina, prima del settembre del 2018, non aveva mai concesso margini d'azione larghi a Roma. Il Vaticano, in linea di principio, non poteva condizionare le nomine vescovili, che erano di stretta competenza cinese. La posizione del "ministro degli Esteri" sulla "questione cinese" è riassumibile mediante una dichiarazione rilasciata a La Stampa nel febbraio del 2018: "Vi chiediamo, perciò, che nessuno si aggrappi allo spirito di contrapposizione per condannare il fratello o che utilizzi il passato come un pretesto per fomentare nuovi risentimenti e chiusure. Al contrario, auguriamo che ciascuno guardi con fiducia al futuro della Chiesa, al di là di ogni limite umano". Le strumentalizzazioni, insomma, non sono utili. E quella che va ricercata, anzitutto, è l'unità. Papa Francesco, alla scadenza dei due anni di verifica previsti sul patto, potrebbe davvero toccare il suolo cinese. Nessun pontefice ha mai potuto raccontare di essere stato in Cina da vescovo di Roma. Bergoglio è già stato il primo in grado di "sorvolarla". Ora il Santo Padre vorrebbe inserire Pechino nel calendario del 2020, ma non dipende solo dalla sua volontà. Xi Jinping dovrebbe voler facilitare il medesimo scenario. Altrimenti, con ogni probabilità, non se ne farà niente. Ma Jorge Mario Bergoglio - con la mentalità tipica di un missionario gesuita - potrebbe aver individuato nella Cina un prezioso alleato nello sviluppo del dialogo e del multilateralismo, che è la via diplomatica preferita dall'ex arcivescovo di Buenos Aires. Gli Stati Uniti sono impensieriti da questa prossimità? Possibile. La "dottrina Trump" non prevede di fiancheggiare istituzioni importanti della "civilità occidentale" che si adagiano su Pechino, anzi. Graham Allison, in un libro edito da Fazi, che è intitolato "Destinati alla Guerra", si è chiesto se Usa e Cina possano davvero evitare un conflitto bellico. Per Allison una guerra non è "inevitabile", ma rimane "possibile". E la "trappola" in cui i due colossi geopolitici rischiano di cadere, per il professore di Harvard, è quella di "Tucidide". Jorge Mario Bergoglio è il principale teorico di una "terza guerra mondiale", che l'umanità starebbe già combattendo, per quanto "a pezzi". Il Papa è convinto di come multilateralismo possa coadiuvare la risoluzione delle situazioni di crisi e dei focolai. Decrittare gli ostacoli posti sul cammino di una dialettica tesa alla pace, quindi, prevede pure la costruzione di "ponti" verso un attore geopolitico decisivo come quello cinese. Il Papa, con coerenza, tira dritto. E più di qualche commentatore, valutando il perché il Papa non abbia commentato le proteste di Hong Kong, ha riflettuto sul fatto che Bergoglio non volesse compromettere la disponibilità della Cina, che deve dare l'ok al primo, e per ora eventuale, viaggio apostolico di sempre.
Le "nuove misure restrittive" del governo cinese sulla libertà religiosa
Ma in Cina, dopo l'adozione delle norme derivanti dall'"accordo provvisorio", sono mutati i rapporti tra i cattolici e il Partito comunista? La domanda è legittima. Dall'abbattimento dei santuari cattolici alla continuazione del processo di "sicinizzazione": le cronache, di questi tempi, non riportato troppe aperture nei confronti di chi vorrebbe professare il culto cristiano-cattolicoì per quello che davvero è. Asia News è il principale portale italiano in cui è possibile apprendere notizie come quelle riguardanti le " nuove misure amministrative per i gruppi religiosi cinesi". Per approfondire al meglio la situazione odierna, è sufficiente citare testualmente una delle fattispecie che Pechino sta per adottare: "Le organizzazioni religiose devono diffondere i principi e le politiche del Partito comunista cinese, come pure le leggi nazionali, i regolamenti, le regole al personale religioso e ai cittadini religiosi, educando il personale religioso e i cittadini religiosi a sostenere la leadership del Partito comunista cinese, sostenendo il sistema socialista, aderendo e seguendo il sentiero del socialismo con caratteristiche cinesi…”. Le ragioni del cardinale Joseph Zen, leggendo questo articolo di legge, sembrano possedere solide basi. Joseph Ratzinger annotava nella missiva sopracitata: "Considerando « il disegno originario di Gesù », risulta evidente che la pretesa di alcuni organismi, voluti dallo Stato ed estranei alla struttura della Chiesa, di porsi al di sopra dei Vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiale, non corrisponde alla dottrina cattolica, secondo la quale la Chiesa è « apostolica », come ha ribadito anche il Concilio Vaticano II". Nessuno, quindi, può prendere decisioni che interessano la vita interna della Chiesa universale se non la Chiesa universale stessa, che risponde delle decisioni di un Papa. L'ultimo provvedimento cinese, d'altro canto, assomiglia molto ad un inasprimento del "regolamento" che è entrato in vigore nei primi mesi del 2018. Aspetti - questi - che possono essere conditi da una deliberazione legislativa che, salvo ripensamenti per ora non pervenuti, prescrive ancora che in Cina la Bibbia non possa essere acquistabile (e vendibile) via internet. Ma cos'è la "siciniazzione"? Federico Giuliani, in questo articolo per Inside Over, ha parlato dell'"essere impermeabili ai valori occidentali", rimarcando come "Dio", "Bibbia" e "Cristo" siano termini non più presenti sui libri destinati ai bambini cinesi. La "sicinizzazione", per farla breve, è un moto culturale - una sorta di piano programmatico - tramite cui Il Partito Comunista cinese cerca di allineare le dottrine religiose con la piattaforma politico-ideologica del maosimo. Fedeli sì, ma solo alla linea comunista.
La ferita aperta delle persecuzioni
Stando all'ultimo rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre sulle persecuzioni subite dai cattolici nel mondo, nel marzo del 2019, quindi qualche mese dopo la stipulazione dell'"accordo provvisorio", è accaduto qualcosa di considerevole: "Nella città di Guangzhou, funzionari pubblici hanno introdotto premi in denaro per coloro che forniscono informazioni in merito a chiese sotterranee e altri luoghi di culto “non ufficiali”. Chi procura informazioni utili riceve in cambio 100 yuan (€ 12,85), che possono diventare ben 10.000 yuan - circa due mesi di stipendio medio – per chi aiuta il governo ad identificare ed arrestare ministri e membri di gruppi religiosi non ufficiali". La "Chiesa sotterranea", quella composta da chi si rifiuta di aderire all'Associazione patriottica cattolica cinese, sarebbe sotto scacco. Che poi è quello che va denunciando il cardinale Zen, quando si dibatte dei risultati conseguiti dal patto stipulato tra la Repubblica popolare e il Vaticano. In questi ultimi mesi, alcuni ecclesiastici italiani si sono esibiti attraverso paragoni che altri consacrati del Belpaese reputano "insulti". Le "sardine" - certi gruppi progressisti ne sono persuasi - ricordano lo "spirito" dei "primi cristiani". Ecco, in realtà pare che i cattolici della Chiesa sotterranea cinese vivano una situazione più associabile a quella dei primi martiri del cristianesimo. Di nomi se ne potrebbero fare tanti. Basta, forse, rammentare qualcosa della parabola esistenziale del vescovo Stefano Li Side, che è deceduto all'inizio dell'estate del 2019, dopo essere arrivato alla soglia dei novantaquattro anni. Vatican News, nel pezzo di commiato, lo ha descritto così: "Uomo di preghiera, interamente dedito al servizio di Dio, mons. Li Side viveva in povertà e in profonda umiltà. Esortava sempre i fedeli a rispettare le leggi del Paese e ad aiutare i poveri. Anche nelle dolorose vicissitudini di diverso genere che hanno segnato la sua lunga vita, non si è mai lamentato, accettando ogni cosa come volontà del Signore". Mons. Li Side, che era un noto membro della "Chiesa sotterranea", è stato arrestato tre volte nel corso di un quarantennio, per poi. la quarta volta, essere sottoposto al regime domiciliare in quella che in gergo si chiamerebbe "casa del diavolo", ossia in un piccolo centro di montagna del tutto fuori mano. Ma non basta: sulla biografia del presule si legge anche di "lavori forzati".
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