ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 10 gennaio 2020

La resa senza condizioni

Crepaldi e la verità: una normalità che fa notizia

Ormai basta poco nella Chiesa per attirare l’attenzione del web e della stampa: basta dire qualcosa di normale e persino di ovvio. L'arcivescovo Crepaldi ha stigmatizzato i numerosi attacchi al cristianesimo di questi ultimi giorni. E i giornali si sono scatenati. La domanda da porsi, quindi, non è tanto perché abbia parlato il vescovo Crepaldi, ma perché non abbiano parlato gli altri.

Ormai basta poco nella Chiesa per attirare l’attenzione del web e della stampa: basta dire qualcosa di normale e persino di ovvio. Una cosa di questo genere è successa a Trieste il giorno dell’Epifania.


Breve antefatto del poema: a Roma un manifesto – poi ritirato – presentava un Cristo pedofilo. Una immagine diffusa da Roberto Saviano faceva vedere San Giuseppe che estraeva dall’utero di Maria a gambe aperte il Bambino Gesù. Dacia Maraini aveva scritto che se Gesù fosse venuto al mondo oggi sarebbe una “Sardina”. Poi c’erano stati gli incendi dei presepi in varie chiese, i danneggiamenti e le profanazioni. Questo il prologo, il poema inizia quando nel tempio triestino di Sant’Antonio Taumaturgo, al Porto Rosso, davanti allo spettacolare canale fatto aprire dalla regina Maria Teresa, il vescovo Giampaolo Crepaldi scende all’ambone e tiene la sua omelia.

Dopo aver ricordato e onorato le verità salvifiche rivelate da Dio all’uomo nell’Epifania con al centro la regalità e signoria del Bambino venerato dai Magi, il vescovo dice che queste verità hanno subito un’“attacco senza precedenti” verificatosi “durante le feste natalizie” che “è andato dispiegandosi in varie forme volgari e blasfeme”: dalla “identificazione della persona [di Cristo] con l’essere gay, pedofilo e “sardina”, fino a più sofisticate interpretazioni dei testi scritturistici che lo hanno privato della natura divina”, da parte di “intellettuali liberal convinti di essere i depositari di non si sa quale arcana verità”, “sempre loro e sempre quelli, ogni anno a spararla più grossa, spacciando patacche cristologiche in nome del progresso”.

D’un colpo queste parole così schiette sono rimbalzate su Facebook, giornali laici come Il Gazzettino, Il Giornale, Libero le hanno riprese e commentare, insieme a tanti blog e agenzie di informazione. Se Il Giornale dice che “Monsignor Crepaldi si è distinto per essere uno dei pochi consacrati a rispondere agli attacchi subiti dai fedeli in queste settimane”, nel suo Blog Aldo Maria Valli parla di lui come “un vescovo che non si nasconde”.

Ricordiamo che il 13 giugno 2019, l’arcivescovo Crepaldi, in un’altra famosa omelia, aveva fortemente criticato il gay pride FVG tenutosi in quei giorni aTriete: “Questo nostro incontro di preghiera vuole riparare le offese che sono state fatte a Dio e al popolo cristiano sabato 8 giugno nella nostra Città di Trieste durante la manifestazione denominata “Pride FVG”. Soprattutto con cartelli allusivi alle preghiere del Padre nostro e della Salve Regina si è colpito al cuore il nucleo più prezioso della nostra fede nel Cristo Signore e la nostra devozione alla Vergine Maria. Al di là dei linguaggi volgari utilizzati, è bene rimarcare un punto: quello che voleva essere un evento di lotta contro le discriminazioni, si è tradotto in un evento discriminatorio contro il popolo cristiano”.

I riflettori si sono puntati sull’ambone dove mons. Crepaldi teneva l’omelia dell’Epifania, e non invece su tutti gli altri vescovi italiani da cui non è venuta una parola sui tragici fatti. Nemmeno se Netflix programma un film con Gesù gay i vescovi si espongono? Fare le cose normali nella Chiesa di oggi diventa una notizia. È talmente strano che un vescovo dica queste cose da essere certamente vero e buono quanto egli dice.

La domanda da porsi, quindi, non è tanto perché abbia parlato il vescovo Crepaldi, ma perché non abbiano parlato gli altri. Una prima risposta è che probabilmente non vogliono fastidi: bandiere tricolori sotto il vescovado, articoli di condanna per intolleranza sui quotidiani locali, accuse di insensibilità pastorale, critiche di medievalismo. Oggi si dice che bisogna di tenere aperte le porte con tutti perché nessuno si senta escluso dall’amore materno della Chiesa. Di fatto, però, a sentirsi esclusi sono proprio i fedeli che non vengono protetti nelle cose in cui credono. Crepaldi ha difeso le verità della fede e della morale e, così facendo, ha difeso il popolo cattolico, dato che la Chiesa non è un raggruppamento qualunquista e indifferente alla verità delle cose.  

Evitare fastidi non vuol dire solo evitare noie personali, ma anche evitare impedimenti pastorali all’annuncio. Un fattore oggi immobilizzante un vescovo è che senza una presa di posizione della Conferenza episcopale regionale egli non si avventura a dire nulla di proprio. Un altro impedimento è che non si deve anteporre nulla al dialogo, nemmeno il rispetto per “le cose supreme” in cui la Chiesa crede e che deve custodire e difendere come un deposito prezioso. Nulla può fermare il dialogo dato che qualsiasi verità deve emergere da esso e non precederlo. Un terzo impedimento è che niente deve danneggiare l’idillica conciliazione col mondo. Si tende a stare zitti o semmai a denunciare le cose che anche Repubblica, il TG1 o Fabio Fazio denunciano. Questo però significa la resa senza condizioni. E senza applausi, perché il mondo, quando ti sei inginocchiato, non ti applaude, ma passa oltre sulla sua strada.


Stefano Fontana
https://lanuovabq.it/it/crepaldi-e-la-verita-una-normalita-che-fa-notizia

RVC E LA DISNEY. UN SUPEREROE GAY CI MANCAVA PROPRIO…


Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Romana Vulneratus Curia (RVC) ha letto una notizia che è circolata un poco, ma che non è stata messa nel dovuto rilievo dai mass media. Invece RVC pensa che sia importante, e soprattutto, un’ulteriori fonte di amara – quanto amara – ironia…Buona lettura.

§§§

Caro Tosatti, leggo sul quotidiano spagnolo -La Razon- del 4 gennaio 2020 una interessante ed “educativa” informazione. La casa produttrice di giocattoli MARVEL, divisione supereroi di Disney, produrrà e venderà un supereroe gay.
Era ora! Chissà come i gay depressi, isolati e discriminati, ora si sentiranno più valorizzati, più forti.
Il caso Barilla in Italia ha insegnato che se si vende un prodotto per la famiglia – Mulino Bianco – si viene boicottati.
Se la famiglia “tradizionale” (ohimè!) non viene sostituita dalla famiglia arcobaleno, si chiudono i battenti.
Se si insiste a vendere una Barbie che non sia anche lesbica, idem.
La Razon lascia intendere (con prudenza) che tra poco vedremo anche film di fantascienza e, perché no, del terrore, con personaggi gay.
E’ evidente no? Rispecchiano la maggioranza dei cittadini del pianeta, che non lo sanno, ma sono potenzialmente gay e vanno aiutati a scoprirlo.
Io mi domando  quando faranno anche qualche film tipo Don Camillo e Peppone, gay della bassa padana?
Oppure rifaranno film da duri tipo “Die Hard” dove i due protagonisti si amano.
O  si può immaginare il mostro di Frankenstein che si innamora, corrisposto, dello scienziato?
Ma pensate a un film tipo – Per Un Pugno di Dollari – dove il gringo (Clint Eastwood) se la fa con Ramon (GianMariaVolontè) invece di farlo fuori?
Altro che la famiglia dei cartoni di Disney dove non ci sono madri e padri, ma solo zii e nipoti! Tempi passati, i tempi devono evolvere, i personaggi e le storie devono evolvere, come deve evolvere la dottrina della chiesa cattolica.
Chiesa che in questa materia, non mi pare abbia molto da imparare da Disney. No?
Marco Tosatti
Onora il padre e la madre, e se puoi vai a vedere il film:

 “Una canzone per mio padre

                          
Onora il padre e la madre.

I padri sono sotto attacco. Anche gli uomini in generale, ma se hanno osato diventare padri non c’è salvezza. Il padre deve essere perfetto. Se si azzarda a uscire dalla più algida perfezione un criminale.
La seconda tragedia è che il concetto di perfezione è opinabile, per qualcuno un padre
che insegni a giocare a calcio è il minimo sindacale, per altri un’insopportabile intrusione.

La perfezione è l’incubo della nostra epoca. È sotto attacco il diritto dei bambini di nascere, posso farlo solo perfetti, concepiti in maniera perfetta, in una situazione economica perfetta, con una salute perfetta.
Fortunatamente non è ancora possibile la diagnosi prenatale di miopia e tendenza
all’obesità: altrimenti sarebbe una strage.

Ancora peggio è andata per i genitori. La psicologia ha insegnato a pretendere genitori perfetti in grado di garantire una scintillante felicità in ogni istante.
Questa pretesa delirante ha trasformato le prime due generazioni di tutta la storia d’Europa senza guerre e senza fame in fiocchi di neve sempre in necessità di cura psicologica, che si sciolgono al primo vento o al primo sole che osino essere impietosi.

Dei due quello messo di gran lunga peggio è il padre.
L’ultimo mezzo secolo è stata un’aggressione al padre. Il principio di autorità paterna è stato ritenuto criminale. Le narrazioni e in particolare quelle cinematografiche si sono alternate a presentare padri padroni nel migliore dei casi insopportabili nel più frequente ripugnanti.
L’unico padre buono è quello morto, per esempio quello di Harry Potter, perché l’unico padre accettabile e quello perfetto, e dato che la perfezione solo ai morti può essere concessa, è impossibile un padre perfetto vivo, cioè vero.

Oltre al padre crudele, oltre al padre stupratore abbiamo il padre stupido. La cinematografia negli ultimi cinquant’anni si è sbizzarrita e figure maschili ridicole: Omer Simpson regna su tutti.

Il quarto Comandamento recita: onora il padre e la madre. Oggi non è più molto di moda. Gli psicanalisti ci assicurano che i nostri genitori sono sempre colpevoli, mamma però è femmina e qualche volta le tocca il ruolo di vittima. Papà è maschio e non c’è salvezza.
Onorare ha due significati: il primo è rendere onore, il secondo, molto più potente, ancestrale e granitico, ha il senso di onorare un debito.
Se siamo vivi, vuol dire che qualcosa di giusto papà e mamma devono averlo fatto. Sicuramente non sono stati perfetti, forse sono stati un disastro, ma noi siamo vivi grazie a loro e se noi non onoriamo il debito, tutta la nostra mente si azzoppa perché
vuol dire che la vita che ci hanno dato non ha valore, cioè che noi non abbiamo valore.
Se la mia vita ha valore, hanno valore padre e madre che me l’hanno data.
Se continuo ad aggredire chi mi ha dato la vita, il messaggio che arriva al mio subconscio è che la mia vita non ha valore, e quindi io non ho valore.

Questa continua aggressione giustifica la perdita di identità, la situazione mentale che con un italiano di plastica oggi dannatamente di moda si chiama crollo dell’autostima
In un italiano più decente le parole sarebbero senso di incompletezza e incastro a vita in un’adolescenza cronica, spesso proclamata anche nel linguaggio.
Sono un ragazzo di 45 anni. Me questi quando diventano uomini e donne? Non hanno onorato padre e madre? Mai.
L’adolescenza cronica è caratterizzata da un’unica dannata parola, fragilità, che rintocca come una campana a morto. Fragili come statuette di vetro, come fiocchetti di neve, come infissi mal assemblati, quelli che ti restano in mano tutte le volte che cerchi di aprire una finestra.

I 10  Comandamenti non hanno solo la funzione di aprire al credente la via del paradiso: ci spiegano anche come non procuriamo l’inferno in terra.
Nel momento in cui noi non onoriamo padre e madre, perdiamo il senso alla nostra identità, ci scomponiamo nell’insicurezza. Nella dannata, insopportabile, onnipresente fragilità.




Quindi onorate il padre e la madre e se non avete niente di meglio da fare segnalo che sta uscendo nelle sale il film Una canzone per mio padre, il primo film che osa affrontare il tema del valore della paternità imperfetta.  Il film osa mostrare un padre imperfetto, per usare un eufemismo.
In effetti il padre mostrato è francamente disfunzionale, sempre per restare sugli eufemismi, ma il film osa affermare che un padre imperfetto è meglio della tragica mancanza di identità che nasce dalla mancanza di un padre.
Il padre protagonista segue la linea standard degli esseri umani: la stragrande maggioranza di noi quando siamo frustrati facciamo e diciamo cose stupide cattive. A questo si aggiunga la liceità che la nostra società concede ai comportamenti di abuso di alcol o altro.
Veramente non sappiamo che rendono un uomo una belva? Ci spiegano che deve far parte della libertà umana poter distruggere la propria mente e la propria anima con alcol e droghe, peccato che questo presupponga la perdita di libertà di qualcun altro a non essere brutalizzato, perché l’enorme quantitativo di brutalità che succedono all’interno delle famiglie arrivano per l’alcol e per le droghe.
In effetti più che imperfetto questo padre è disastroso. Alla violenza fisica si associa quella verbale.
Eppure è il padre: lui che ha portato la sua vita sul posto di lavoro perché il figlio potesse avere un tetto sulla testa qualcosa nel piatto. Quindi c’è un debito da onorare.

Il secondo punto fondamentale del film è il valore del dolore. La nostra epoca odia il dolore, siamo anatroccoli terrorizzati, immersi negli analgesici, e comunque c’è sempre l’eutanasia. Il dolore è orribile, questo è innegabile, com’è orribile passare attraverso il fuoco, ma può essere l’unica strada per salire.
Il padre si ammala, una delle tante patologie favorite dall’alcolismo, ed è proprio nel
dolore nella sua malattia che finalmente la sua anima si libera e ritrova il figlio.

Il terzo tema nel film è il perdono: senza il perdono la nostra vita resta annegata nell’astio, negata nel risentimento. Non perdonare vuol dire vivere abbracciati a un nido di calabroni. Il figlio perdona il padre. Il figlio onora il padre. Finalmente la sua anima si ritrova intatta e piena di fede in se stessa e lui riesce a scrivere la sua magnifica canzone.
Ritroviamo il padre. L’essere umano viene al mondo con una sola competenza: un pianto disperato che attira su di lui l’attenzione di mamma, che lo nutre con le sue mammelle. Anche altre specie hanno mammelle, tutti i mammiferi.
Il nostro neonato è l’unico che piange. Il suo pianto è rumoroso, perfora i timpani, traversa i muri.
Nessun cucciolo piange: si attirerebbe addosso i predatori. Perché noi lo facciamo? Perché il nostro cervello ancestrale sa che i predatori non possono avvicinarsi a noi perché nostro padre ci protegge con la sua potenza, ci protegge dai predatori, dalla fame, dalla paura.
Onoriamo il debito.

Quindi andate a vedere questo film, a meno che non abbiate di meglio da fare:
mettere al mondo un figlio, proteggerlo, lottare per lui, oppure andare a ringraziare  padre e madre di avervi proiettato nel mondo. Se però tutte queste attività vi lasciano due ore libere, andate a vedere Canzone per il padre.

PS Per quanto riguarda la frustrazione non è un caso se nel cattolicesimo tra i peccati che gridano vendetta a Dio ci sia non dare la giusta mercede: un uomo che è padre non può non avere il danaro sufficiente alla sua famiglia per trasmettere la sua famiglia soffrirà nella miseria e perché aumenta il rischio che la frustrazione renda il padre un cattivo padre.
Non oso scrivere quali sono gli altri tre peccati che gridano vendetta a Dio, perché potrei incorrere nelle ire della mozione del senato contro l’odio.

di Silvana De Mari



Pubblicato il 23 novembre 2019 sul sito dell'Autrice



APPENDICE NOSTRO








Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.