ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 22 gennaio 2020

La ricerca dell’unico e vero Dio

LA VIA DELLA "VITA ATTIVA"


La via della vita attiva, ma "Al servizio di Dio". Accanto alla "Via del distacco radicale" c’è un’altra possibile via, sempre fondata sul distacco dal mondo, però senza cercare l’isolamento da esso è la "Via della vita attiva" 
di Francesco Lamendola  

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Abbiamo detto più volte che la vita terrena è un pellegrinaggio, nel quale non si deve mai scambiare ciò che è transitorio per ciò che è assoluto, il mezzo per il fine: la vita terrena essendo il mezzo e la vita eterna essendo il fine. Abbiamo anche detto che lo strumento fondamentale per liberarsi dalla funesta illusione prospettica che fa scambiare il mezzo per il fine, il transitorio per l’assoluto, è la liberazione dai lacci dell’io, ossia la lotta vittoriosa contro la pretesa di porre la propria coscienza al centro del mondo e di assumerla quale principio primo del reale. 

Ora, per spezzare i lacci dell’io, ciò che Schopenhauer indica con il termine di volontà, contrapposta alla rappresentazione (o contemplazione distaccata), la via più breve e apparentemente più semplice sembrerebbe quella di ritrarsi in disparte, di rifiutare tutto ciò che lega all’io, con le inseparabili compagne di quest’ultimo, la brama e la paura, e isolarsi in una vita di pura contemplazione. È la via del monaco, e particolarmente del monaco di clausura; la vita dell’eremita e del cenobita; la via degli antichi Padri del deserto e dei monaci del Monte Athos. È una via ammirevole, una via santa, una via per animi forti, capaci di puntare diritto all’essenziale, senza mai lasciarsi distrarre dalle sirene del piacere o del timore: cosa di per sé non facile, e ancor meno facile nella temperie culturale che si respira nella società moderna. La nostra considerazione e la nostra ammirazione per quanti scelgono questa via sono sconfinate: di fronte ad essi ci sentiamo molto, ma molti piccoli.

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La via del monaco? Accanto alla "Via del distacco radicale" c’è un’altra possibile via, sempre fondata sul distacco dal mondo, però senza cercare l’isolamento da esso è la "Via della vita attiva"!

Vi è, tuttavia, una obiezione che l’avvocato del diavolo potrebbe muovere a quel tipo di scelta: se tutti intraprendessero la via del distacco radicale e materiale dal mondo, che ne sarebbe del mondo stesso? Che ne sarebbe del matrimonio, delle famiglie, dei bambini, dell’educazione, del lavoro, delle istituzioni, delle leggi, di tutto ciò che rende possibile, e in una certa misura anche gradevole, la vita degli uomini in mezzo ai loro simili? O, quanto meno, che le imprime un certo ordine, una certa concordia, tenendo a bada le mille forze della dissoluzione che sono sempre in agguato, dentro e fuori dall’animo umano, per distruggere la civile convivenza e per trasformare la società in una foresta insanguinata di belve sempre pronte a saltare l’una alla gola dell’altra, per azzannarla e divorarla? La via del distacco è senza dubbio la via perfetta: non vi è alcun dubbio, peraltro, che il vero distacco è il distacco compassionevole, nel quale l’asceta, o il monaco, o l’eremita, dedicano tutto il loro tempo al servizio di Dio, pregandolo incessantemente perché assista e sostenga tutti quelli che sono rimasti avvinti ai lacci dell’io, e la vita dei quali è simile all’andare a tentoni di un cieco che si muove in un luogo a lui sconosciuto. E tuttavia, si potrebbe obiettare, senza con ciò sminuire in alcun modo l’efficacia della preghiera – la quale anzi, ne siamo convinti, è come un parafulmine che protegge l’umanità da calamità ancor peggiori di quelle che l’affliggono – che l’uomo è pur sempre una creatura socievole; e che pertanto il ritiro drastico dal mondo implica una sorta di menomazione della sua facoltà naturale ed essenziale, e si configura, perciò, almeno sotto un certo punto di vista, come qualcosa d’innaturale. Davvero Dio chiede agli uomini un tale sacrificio, una tale rinuncia? O, per dir meglio: davvero la chiede a tutti gli uomini, senza discriminare fra quelli che la sanno affrontare con lo spirito giusto, e quelli che, pur adattandovisi, ne soffrirebbero intimamente e perciò non sarebbero di vera utilità né a se stessi, né agli altri? La natura umana, anche questo è un concetto che abbiamo ribadito più e più volte, tende alla felicità.

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Il vero scopo e il vero significato della vita terrena è una preparazione all’eternità, e quindi una preparazione al distacco dal mondo: chi non si prepara mai al distacco, fatalmente vi si troverà impreparato!

Ora, se nella natura umana è inscritto come essenziale l’istinto della socialità, spezzare un tale istinto e calpestarne l’intimo bisogno equivale certamente a una forzatura, a una violenza, che, se può dare frutti straordinari in alcune anime elette, in altre non potrà mai mettere saldamente radici, e, anche se lo facesse, darebbe vita a una pianta contorta, ripiegata su se stessa, palesemente sofferente, ed ad una vita assai infelice. Una contro-obiezione è che l’uomo non potrà mai essere felice finché si ostina restar legato alle brame e alle paure dell’io e non compie il passo decisivo che già in questo pellegrinaggio terreno lo può trasformare da bruco in una meravigliosa farfalla. È un discorso ragionevole. Resta però il fatto che, per molti esseri umani, il distacco radicale dal mondo comporterebbe il sacrificio della loro natura più profonda; e inoltre resta l’obiezione che, se tutti scegliessero questa via, la società imploderebbe nel giro di pochi mesi, di pochi giorni. Se la via è perfetta, non può avere risultati disastrosi: dunque, è chiaro che questa via è perfetta, ma solo per una piccola minoranza di persone; mentre non lo è per tutte le altre. Resta la necessità di mettere a fuoco il vero scopo e il vero significato della vita terrena: una preparazione all’eternità, e quindi una preparazione al distacco dal mondo. Il distacco, alla fine della vita terrena, ci sarà comunque; e anche nel corso di essa, non vi è forse una serie continua di distacchi dalle persone care, dalle cose e dalle abitudini più dolci e amate? E dunque: non è forse cosa saggia, non è cosa umana, predisporre l’animo, mediante una sana disciplina, a vedere il distacco scelto volontariamente, giorno per giorno, non come la via del masochismo (come predica la cultura moderna; o della nevrosi, come insegna la psicanalisi) ma come la via della chiarificazione interiore e della fortificazione spirituale? Chi non si prepara mai al distacco, fatalmente si troverà impreparato quando giungerà: e non è un’amara ironia sapere che alla fine ci attende un’ardua prova, e non dedicare mai un po’ di tempo, concentrazione ed energia per imparare ad affrontarla?

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La preghiera è come un parafulmine che protegge l’umanità da calamità ancor peggiori di quelle che l’affliggono!

Accanto alla via del distacco radicale c’è dunque un’altra possibile via, sempre fondata sul distacco dal mondo, però senza cercare l’isolamento da esso: la via della vita attiva, spesa però nel costante servizio di Dio, cioè vissuta come se altro scopo non avesse – e in effetti non ha – che uniformarsi in tutto e per tutto alla volontà divina. È la via del guerriero o, per usare l’espressione della Bhagavad-Gita, la via del servizio devozionale, ossia del Karma-yoga, che non va inteso come sinonimo di sevizio sacerdotale, ma come sinonimo di servizio totale, di offerta totale di sé, pur rimanendo al proprio posto nella società: come moglie o marito, come padre o figlio,  come lavoratore o soldato, adottando, però, una prospettiva totalmente nuova rispetto a quella di prima: la prospettiva di chi ha compreso che Dio è l’Alfa e l’Omega di ogni cosa e che tutto ciò che si conforma a Lui, è buono, mentre tutto ciò che a Lui si ribella o resiste, non può essere che cattivo. Le due vie del distacco, la via del distacco radicale e quella della vita attiva, ma vissuta nella totale confidenza in Dio, sono bene illustrate nel quinto capitolo del Canto del Divino, parte del grandioso poema epico-religioso Mahabaratha. In esso il dio Krsna in persona fornisce al nobile Arjuna – uno dei fratelli Pandava, figlio del dio Indra -, nell’imminenza della battaglia di Kuruksetra, che durerà ben diciotto giorni, le istruzioni necessarie a vivere una vita attiva, e perfino ad affrontare uno scontro sanguinoso contro gente della sua stessa stirpe, senza mai perdere il distacco dalle cose terrene e restando intimamente unito a Lui, il Signore Supremo (da: La Bhagavad-Gita così com’è, traduzione di Bhaktivedanta Swami Prabhupada, The Bhaktivedanta Book Trust International, 1997, pp. 217-246):
1. Arjuma disse: Krsna, prima Tu mi chiedi di rinunciare all’azione, poi mi consigli di agire con devozione. Per favore, spiegami ora in modo definitivo quale delle due vie è la migliore.
2. Dio, la Persona Suprema, rispose: La rinuncia all’azione e l’azione devozionale conducono entrambe alla liberazione, ma tra le due l’azione devozionale è la migliore.
3. Chi non disdegna né desidera i frutti delle proprie attività è sempre situato nella rinuncia. O Arjuna dalle braccia potenti, tale persona, libera da ogni dualità, scioglie facilmente i legami della materia ed completamente liberata.
4. Soltanto l’ignorante sosterrà che il servizio devozionale [karma-yoga] è differente dallo studio analitico del modo materiale [sankhya]. I veri eruditi affermano che seguendo con serietà una di queste vie si ottiene il medesimo risultato.
5. La persona consapevole che il fine raggiunto con lo studio analitico può essere ottenuto anche col servizio devozionale, e perciò considera sullo stesso piano la via dello studio analitico e la via del servizio devozionale, vede le cose nella loro realtà.
6. La semplice rinuncia all’attività, senza l’impegno nel servizio di devozione al Signore, non può rendere felici. Una persona riflessiva, impegnata nel servizio devozionale, raggiunge invece il Supremo senza indugio.
7. L’uomo che agisce in devozione, l’anima pura, maestro dei sensi e della mente, è caro a tutti e tutti sono cari a lui. Sebbene sia sempre attivo, non è mai condizionato.
8-9. L’uomo situato in una coscienza divina, sebbene sia impegnato nel vedere, toccare, odorare, mangiare, spostarsi dormire e respirare, sa interiormente che in realtà non sta agendo affatto. Mentre parla, evacua, riceve, apre o chiude gli occhi è sempre consapevole che soltanto sensi materiali sono impegnati con i loro oggetti, mentre lui non ha alcun legame con queste azioni.
10. Chi compie il proprio dovere senza attaccamento, offrendo i frutti al Signore Supremo, non è toccato dal peccato, come la foglia del loto non è toccata dall’acqua.
11. Abbandonando ogni attaccamento, gli yogi agiscono col corpo, con la mente, con l’intelligenza e anche con i sensi al solo scopo di purificarsi.
12. L’anima fissa nella devozione raggiunge una pace perfetta perché offre a Me il risultato di tutte le sue attività, mentre una persona che non è unita col Divino, ed è avida dei frutti del proprio lavoro, rimane condizionata.
13. Quando l’essere incarnato domina la sua natura e con la mente rinuncia a ogni azione, risiede felicemente nella città dalle nove porte [il corpo materiale] senza compiere o causare alcuna azione.
14. L’anima incarnata, maestra della città del corpo, non genera alcuna attività, non indice gli altri ad agire né crea i frutti dell’azione. Tutto ciò è opera delle influenze della natura materiale.
15. Il Signore Supremo non è mai responsabile delle attività pie o colpevoli di qualcuno. Gli esseri incarnati, invece, rimangino confusi a causa dell’ignoranza che copre la loro vera conoscenza.
16. Ma quando si è illuminati dalla conoscenza, da cui l’ignoranza è distrutta, sarà questa conoscenza a rivelare ogni cosa, come il sole illumina ogni cosa durante il giorno.
17. Quando l’uomo ripone l’intelligenza, la mente, la fede nel Supremo, e trova in lui il proprio rifugio, si libera da ogni dubbio grazie alla conoscenza completa e così procede con passo sicuro sul sentiero della liberazione.
18. Illuminati dalla vera conoscenza, gli umili saggi vedono con occhio uguale il brahamana nobile ed erudito, la mucca, l’elefante, il cane e il mangiatore di cani [l’intoccabile].
19. Coloro che hanno la mente sempre equilibrata  ed equanime hanno già vinto la nascita e la morte. Infallibili come il Brahman, sono già situati nel Brahman.
20. La persona che non si rallegra nell’ottenere ciò che è piacevole e non si lamenta nel subire ciò che è spiacevole, che ha l’intelligenza fissa sull’anima, che non è mai confusa e conosce la scienza di Dio, è già situata nella Trascendenza.
21. Questa persona liberata non è attratta dal piacere materiale dei sensi, ma è sempre in estasi perché gode di un piacere interiore. Così la persona realizzata prova una felicità senza limiti perché si concentra sul Supremo.
22. La persona intelligente si tiene lontana dalle fonti della sofferenza, determinate dal contatto dei sensi con la materia. O figlio di Kunti, tali piaceri hanno un inizio e una fine, perciò l’uomo saggio non se ne compiace.
23. Colui che prima di lasciare il corpo impara a tollerare le spinte dei sensi materiali e a frenare l’impulso del desiderio e della collera è ben situato ed è felice anche in questo mondo.
24. Colui che gode di una felicità interiore, che è attivo e gioisce all’interno di sé e il cui scopo è interiore, è veramente il mistico perfetto. È liberato nel Supremo e alla fine raggiungerà il Supremo.
25. Coloro che hanno superato la dualità che nasce dal dubbio, che volgono la mente verso l’interno, che agiscono sempre per il bene di tutti gli esseri e sono liberi da ogni colpa, raggiungono la liberazione nel Supremo.
26. Coloro che sono liberi dalla collera e dai desideri materiali, che sono spiritualmente realizzati, che hanno il controllo di sé e si sforzano costantemente di raggiungere la perfezione, sono scuri di ottenere la liberazione nel Supremo in un futuro molto prossimo.
27-28. Chiudendosi agli oggetti esterni dei sensi, tenendo gli occhi e lo sguardo fisso tra le sopraciglia, sospendendo l’aria inspirata e l’aria espirata all’interno delle narici e controllando così la mente, i sensi e l’intelligenza, lo spiritualista che aspira alla liberazione si svincola dal desiderio, dalla paura e dalla collera. Chi rimane sempre in questa condizione è certamente liberato.
29. Sapendo che Io sono il beneficiario supremo di tutti i sacrifici e di tutte le austerità, il Signore Supremo di tutti i pianeti e di tutti gli esseri celesti, l’amico e il benefattore di tutti gli esseri viventi, la persona pienamente cosciente di Me trova sollievo alle miserie materiali e ottiene la pace.

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La spiritualità è l’orientamento dell’anima verso il divino; e benché naturalmente esista  una specifica spiritualità cristiana, vi è pure una spiritualità generale che trascende i singoli ambiti religiosi e avvicina a Dio tutte le anime che Lo cercano con purezza di cuore!

La via della vita attiva, ma al servizio di Dio 
di Francesco Lamendola
  
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