Vi faccio un indovinello: qual è quell’atto che pur non essendo naturale è “ecologico”? È semplice: il coito interrotto! Un atto che seppure non inquini l’ambiente, “inquina” parecchio l’anima e l’amore sponsale.
Il Messaggero di ieri (qui) riporta la notizia secondo la quale S.E. Michel Aupetit, arcivescovo di Parigi, nel suo libro “Humanae Vitae, una prophetie” avrebbe distinto l’utilizzo del profilattico dal cosiddetto coitus interrupts «spezzando una lancia» in favore del secondo, in base al fatto che questo sarebbe più «ecologico», seppure più «difficoltoso» – dice la notizia riportata anche da Il Sussidiario (qui).
Senza entrare nel merito del pensiero del Vescovo, che non viene riportato in toto dalla notizia, approfittiamo di questa occasione per fare un po’ di chiarezza sull’argomento.
Moralmente parlando, quello che si compie col profilattico e quello che si compie con il coito interrotto è sempre il medesimo atto contraccettivo; quello che proprio Humanae Vitae definisce come «azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione» (HV n.14).
L’atto sessuale ha come finalità intrinseca la trasmissione della vita. Tutto ciò che “deforma” in qualche modo l’atto sessuale è intrinsecamente immorale perché priva volontariamente la sessualità del bene al quale è essenzialmente finalizzata, ovvero la procreazione. Esistono molti metodi contraccettivi, anzi direi che c’è l’imbarazzo della scelta: pillola, profilattico, IUD, sterilizzazione.. e anche il coito interrotto. Alcuni di questi, oltre all’aspetto contraccettivo, hanno l’ulteriore aggravante degli effetti antinidatori – anche se spesso nemmeno a livello scientifico ciò viene chiarito come dovrebbe (G.Brambilla, Quello che i ginecologi non dicono). Ma tutti, alla base, hanno la medesima volontà contraccettiva, indipendentemente dalle circostanze, ovvero il materiale di cui sono fatti, la durata dell’utilizzo e il fatto che siano artificiali o meno.
Il coito interrotto è, a tutti gli effetti, un atto contraccettivo e, dunque, è moralmente illecito (oltre che peccato grave). La caratteristica “ecologica” non incide sulla moralità dell’atto. Se così fosse, cioè se il problema del profilattico fosse legato al materiale di cui è al suo smaltimento, allora, a rigor di logica, laddove le ditte farmaceutiche cominciassero a produrre profilattici biodegradabili non ci sarebbe nessun problema ad utilizzarli.
Evidentemente non è così. Usare il profilattico è sbagliato quanto praticare il coito interrotto, sebbene il primo sia fatto di lattice e quindi “artificiale” e il secondo non richieda ausili artificiali e dunque sia “naturale”.
Già, perché ciò che è naturale, in termini morali, non lo è in quanto non artificiale, ma in quanto rispettoso della natura di un atto. È qui l’inghippo che fa considerare erroneamente il coito interrotto un “metodo naturale”, al pari dei veri metodi naturali di regolazione della fertilità e lo fa ritenere lecito talvolta anche tra cattolici. Per “natura” intendiamo l’essenza di una cosa (“ciò che è”) in quanto ordinata al proprio fine. Moralmente parlando, il male si definisce come privazione di bene, cioè come assenza di un bene dovuto. E questa relazione di “doverosità del bene” è data dal fine, cioè ciò a cui è ordinato l’atto. Nel caso dell’atto sessuale, il fine o natura, appunto, è la procreazione.
Questo non significa che il rapporto sessuale abbia un unico fine. Esso è l’espressione di una previa unione affettiva e spirituale: l’uomo e la donna, oltre ad essere chiamati a trasmettere la vita, sono chiamati alla comunione, alla donazione di sé per amore; tanto che in HV si parla di significato unitivo e procreativo dell’atto sessuale (HV n.12). È bene, comunque, chiarire che la finalità della generazione possiede una incontestabile superiorità ontologica: l’esistenza di un nuovo essere umano, a cui è finalizzato l’atto sessuale supera gli altri beni, che sono importanti, ma secondari rispetto all’esistenza. I problemi cominciano quando si compie l’atto sessuale, cercando questi beni secondari e negando quello essenziale. Una volontà orientata in questo senso opererebbe un rovesciamento dell’ordine dei valori. Nella misura in cui positivamente si vuole un atto sessuale chiuso alla vita, si vuole la “privazione” del più grande bene cui esso è diretto e, in quanto privazione di un bene dovuto, costituisce un male.
Ma non è finita qui. C’è un’altra affermazione che mi ha lasciata alquanto perplessa: il riferimento alla responsabilità. Secondo quanto riportato da Liberation (qui), il coito interrotto renderebbe più “responsabili” i mariti. E dove sarebbe la responsabilità in un atto che, non solo svilisce la sessualità ed espone l’uomo a eiaculazione precoce per ansia e la donna a frigidità (A. Bompiani (ed.), Sessualità e procreazione responsabile: antropologia, etica e cultura, vol. II), ma in quanto atto contraccettivo va esattamente nella direzione opposta di quella procreazione responsabile di cui parla HV? Cosa vuol dire essere responsabili nell’ambito della procreazione? È il fatto di accollarsi l’eventuale “errore” nella “tempistica” del coito interrotto, che poi porta la gravidanza, a responsabilizzare gli uomini? Direi proprio di no.
La responsabilità umana riguarda l’uomo nella sua totalità e si caratterizza per la sua proposizione di valori normativi e obbliganti. Infatti, secondo l’enciclica: «L’esercizio responsabile della paternità implica che i coniugi riconoscano i propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta gerarchia dei valori. Nel compito di trasmettere la vita, essi non sono quindi liberi di procedere a proprio arbitrio, come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma, al contrario, devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti, e manifestata dall’insegnamento costante della Chiesa» (HV n.10). La vera procreazione responsabile costituisce una pedagogia della virtù, chiamando in causa la castità, alla quale gli sposi sono costantemente chiamati e grazie alla quale possono realizzare una donazione reciproca completa. Invece, la contraccezione – e dunque anche il coito interrotto – rende l’atto sessuale una menzogna: afferma una totalità che in realtà non si realizza, escludendo dal dono della propria persona una dimensione della stessa.
Ecco perché in Evangelium Vitae si afferma che: «La legge morale obbliga [gli sposi] in ogni caso a governare le tendenze dell’istinto e delle passioni e a rispettare le leggi biologiche iscritte nella loro persona. Proprio tale rispetto rende legittimo, a servizio della responsabilità nel procreare, il ricorso ai metodi naturali di regolazione della fertilità» (EV, n. 97). Infatti, avere volontariamente rapporti sessuali nei giorni infertili, alla luce della conoscenza dei meccanismi fisiologici (come nei metodi naturali di regolazione della fertilità), non contraddice in sé la finalità (quindi il bene) iscritto nella natura dell’atto, in quanto l’atto sessuale resta, per quel che dipende dalle persone coinvolte, identico a ogni altro atto potenzialmente fecondo.
Certo, questa scelta presuppone coraggio, sia in chi la pratica sia in chi la propone. Non perché i metodi naturali di regolazione della fertilità non “funzionino” come spesso si sente dire. Quanto a “sicurezza” l’Organizzazione Mondiale della Sanità (tutto fuorchè un organismo cattolico!) riconosce loro un’efficacia del 97,8% (World Health Organization, A perspective multicentre trial of the ovulation method of natural family planning. II: the effectiveness phase). Il coraggio sta, piuttosto, nell’“alzare l’asticella” del proprio amore sponsale fino a vivere l’astinenza dal rapporto coniugale, laddove vi fossero motivi gravi per farlo, l’astinenza periodica e quindi la capacità di autodominio della propria tendenza sessuale al fine di renderla veramente e solamente espressiva dell’amore coniugale e dell’autodonazione delle persone, come era solito spiegare il card. Carlo Caffarra.
Ma se di coppie che vivono virtuosamente la sessualità – a cominciare dall’espressione più grande della castità coniugale, ovvero l’accoglienza generosa di una famiglia numerosa – ce ne sono ancora, c’è tra i sacerdoti chi ha ancora il coraggio di proporre la bellezza della radicalità di questo insegnamento?
Di sicuro, «se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19, 40).
di Giorgia Brambilla
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