Non viviamo invano, valutiamo la prospettiva dell'eternità
L’austero ed efficace simbolo della cenere invita a riflettere sull’inconsistenza della vita e dei suoi progetti facendo riferimento al tema del peccato, che non soltanto si configura come disobbedienza alla legge di Dio, ma più e prima ancora come fallimento dell’umana attività e dei più profondi desideri del cuore. Il richiamo al passaggio della morte evoca anche l’appuntamento del giudizio invitando a valutare tutto nella prospettiva dell’eternità e del definitivo.
Con questa riflessione sul Mercoledì delle Ceneri, Antonio Suetta, vescovo di Sanremo-Ventimiglia inizia una collaborazione con la Nuova BQ che lo porterà a commentare per noi tutte le domeniche di Quaresima.
Per quanto lo si trovi segnato in agenda o lo si programmi con largo anticipo il giorno delle Ceneri, inizio solenne della Quaresima, sembra giungere sempre improvviso quasi a sorprenderci indaffarati e distratti. Non c’è da stupirsi, ciò accade non soltanto per dimenticanza o abitudine, ma per il messaggio stesso che in questo giorno risuona al cuore della sua sobria e incisiva liturgia: “Memento, homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris”.
Ricordati che devi morire. E non basta rispondere, un po’ scanzonati: “mo’ me lo segno”, secondo la famosa battuta del film “Non ci resta che piangere”, per attutire il richiamo fragoroso di un simile pro memoria.
Il segno della cenere è assai eloquente nel richiamare che l’uomo è stato tratto dal fango ed è quindi impastato di limite e di fragilità. Tale consapevolezza può condurre ad un’adeguata considerazione di se stessi come anche ad una profonda disperazione; cito, ad esempio, la angosciosa affermazione di Ettore Petrolini: “l’uomo è un pacco postale che la levatrice spedisce al becchino”.
La tradizione liturgica della Chiesa accompagna con la salutare considerazione della morte la sollecitudine con cui invita al pentimento e alla conversione, in quanto se è già tragicamente ridicola un’esistenza umana che si concepisca nell’autosufficienza rispetto alla propria origine e al mistero, è ancor più assurdo considerare il dramma del peccato come ribellione e disobbedienza da parte di chi è soltanto polvere e fango. Il richiamo al passaggio della morte evoca poi anche l’appuntamento del giudizio invitando a valutare tutto nella prospettiva dell’eternità e del definitivo.
In modo particolare l’austero ed efficace simbolo della cenere invita a riflettere sull’inconsistenza della vita e dei suoi progetti facendo riferimento al tema del peccato, che non soltanto si configura come disobbedienza alla legge di Dio, ma più e prima ancora come fallimento dell’umana attività e dei più profondi desideri del cuore. Nella sua più tipica accezione biblica infatti il termine peccato esprime l’idea di un bersaglio mancato ed è molto chiara la correlazione con l’idea che ogni uomo, esprimendo scelte e decidendo parole ed opere, tenda al conseguimento di un fine, genericamente riconosciuto come la felicità. Il peccato racconta di come l’uomo possa tristemente illudersi di realizzare la propria vita o di costruire un mondo pacificato e giusto nella pretesa di escludere il riferimento al Creatore dal proprio orizzonte esistenziale.
Così arriva la Quaresima a richiamarci alla penitenza, che, in primo luogo non significa sacrificio e rinuncia, ma “ritorno”: c’è un orientamento da ritarare e ci sono passi da recuperare affinché la vita non resti paralizzata nella deludente esperienza del bersaglio mancato e non persista nell’aridità e nella paura dell’inconsistenza.
“Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella. Invano vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare, voi che mangiate un pane di fatica: al suo prediletto egli lo darà nel sonno”. Il salmo 127 - testo quanto mai opportuno e significativo nel contesto dell’emergenza da epidemia del coronavirus - utilizzando l’immagine di chi vuole costruirsi una casa o della custodia della città (dimensioni personale e comunitaria) insiste con il ritornello dell’avverbio “invano”, che, nella lingua ebraica, ha la stessa radice della parola “sheol”, il termine utilizzato per indicare il regno dei morti, caratterizzato appunto dalla inconsistenza, per dire che ci può essere uno stile di vita, che, nella voracità di rincorrere traguardi di successo, si espone al rischio di perdere tutto.
È quanto lucidamente spiega un passaggio della Lettera agli Ebrei: "Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita" (2, 14-15). L’uomo, nella sua fragilità, è effettivamente esposto al rischio che tutto il suo impegno possa essere tradito dal peggiore degli inganni, indotto dall’Accusatore, e cioè di bastare a se stesso: l’epilogo di una vita del genere sarebbe proprio la morte, dalla quale si cerca di fuggire esorcizzandola e accumulando esperienze gratificanti nella penosa illusione di voltare le spalle a Colui che è la sorgente della vita.
Ecco qui la necessità del ritorno, della penitenza dunque, e, in tale contesto, anche delle opere/segno della penitenza, che la Quaresima propone: la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, la mortificazione e la carità fraterna nell’elemosina e nelle opere della misericordia. Concretamente significa gettare via una zavorra di vizi e “legami iniqui” (cfr. Is 58, 1-9) permettendo alla grazia di Dio di predisporre un cuore capace di ascolto, di docilità e di fedeltà.
È la bella esperienza del deserto, immagine tipica della Quaresima, che, attraverso il richiamo nuziale dell’alleanza, carica di entusiasmo e fa brillare di gioia, l’impegnativo lavorio spirituale, al quale seriamente invita questo tempo di penitenza: “Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2, 16).
Questo tempo santo ci invita ad accogliere ancora la verità di Dio, che anche ci accusa dei peccati non in vista della condanna, ma per spalancare la porta della salvezza, regalando alla vita nuovo slancio e vera fecondità in tutti gli ambiti (personale, familiare, ecclesiale e sociale), regalando alla vita una prospettiva autentica, entro la quale collocare opere, parole e pensieri e dalla quale attingere i veri criteri di giudizio su tutto.
Si parte dall’umile considerazione della cenere posta sul capo guardando alla sfolgorante esperienza di risurrezione che ci attende, come San Paolo esortava i cristiani di Colosse: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!” (Col 3, 1-3).
Antonio Suetta
https://lanuovabq.it/it/non-viviamo-invano-valutiamo-la-prospettiva-delleternita
I cattolici al tempo del coronavirus
Cari amici di Duc in altum, data la situazione in alcune regioni italiane, ho deciso, parafrasando L’amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez, di aprire un canale di comunicazione che ho chiamato I cattolici al tempo del coronavirus. Lo spazio è a vostra disposizione. Potete scrivermi utilizzando la mia pagina Facebook.
Lo spazio si apre con due testimonianze, una da Bologna e una da Milano.
A.M.V.
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Qui Bologna
Caro dottor Valli, sono un fedele cattolico bolognese e vorrei condividere con lei una riflessione in questo Mercoledì delle ceneri nel quale, per evitare la diffusione del coronavirus, mi è precluso di iniziare con devozione il tempo quaresimale con la Santa Messa e il rito delle ceneri. Certo, il cardinale arcivescovo Zuppi celebrerà in diretta tv dal santuario della Beata Vergine di San Luca, ma si tratterà dell’unica celebrazione in tutta la diocesi di Bologna e, naturalmente, a porte chiuse. Mi chiedo: possibile che il clero bolognese con così grande solerzia abbia deciso l’interruzione delle celebrazioni (temo anche di domenica prossima) adducendo il grande afflusso di fedeli nelle chiese? A parte le Messe con il catechismo a seguito, tutta questa frequentazione non mi pare di vederla, in effetti. Non sarebbe invece opportuno, in questo tempo nel quale il Padre Eterno ci ricorda con più vigore la caducità della vita terrena, prepararsi un tesoro per l’altra vita, quella eterna? E dare quindi occasione per confessarsi, pregare, digiunare e fare carità?
In questi giorni, essendo libero professionista, ho continuato a recarmi in studio, dato che le scadenze professionali non vengono meno nonostante il virus. Ebbene, come di consueto, mi sono recato in una storica mensa di via Indipendenza a Bologna, dove condivido per circa trenta minuti ogni giorno il posto a sedere in una sala gremita, con altre decine di persone. E se qualcuno contagiato fosse stato, a sua insaputa, tra gli avventori? Allo stesso modo, al supermercato o al centro commerciale non si sta forse a contatto con le persone per mezzora almeno? E in treno? E in autobus? Certo, sono luoghi che si frequentano per primaria necessità. Invece la chiesa no, là non ci si può fermare in gruppo per mezz’ora. Sì alle Messe feriali (tanto ci sono solo pochi vecchi) e alla frequentazione non in gruppo della chiesa che rimane aperta. Mi chiedo: oggi i nostri sacerdoti, a porte chiuse, celebreranno ugualmente per il popolo loro affidato o guarderanno in tv la Messa in diretta dell’arcivescovo?
Non sarebbe stato più opportuno creare occasioni di preghiera per invocare l’aiuto di Dio in questo tempo di prova garantendo il minor rischio possibile di contagio, magari aumentando il numero di celebrazioni, chiedendo ai fedeli di distribuirsi per categorie, limitando la durata dell’omelia (che spesso fra l’altro è occasione per esprimere concetti poco cattolici), evitando il vacuo segno della pace e la piaga della lagnosa musica liturgica contemporanea e limitandosi a pochi canti asciutti e solenni, così da ridurre i tempi di contatto?
D’altronde, quando nei paesi di campagna si svolge ancora qualche rara processione sono lustri che non si sentono più risuonare le parole “A peste, fame et bello libera nos domine!“. Affidarci a Dio nella prova è diventato segno di superstizione. Temo si creda sempre meno che, se si chiede con fede, Dio ci ascolta volentieri.
Grazie per la sua costante battaglia per la Verità.
Con sincera stima
Nicola Ruo
Bologna
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Qui Milano
Caro Valli, nella mia veste di sostituto sacrestano volontario ho avuto il privilegio di vivere in diretta il momento in cui è arrivata nella mia parrocchia, a Milano, alle ore 16 di domenica scorsa, la disposizione diocesana della sospensione immediata delle Sante Messe causa coronavirus. Una disposizione che, le dirò, ha destato in me forti perplessità per la sua burocratica asetticità.
Ma ciò che più mi ha colpito è stato il malcelato stato d’animo liberatorio che si è immediatamente dipinto sul volto del parroco. Ha presente quando, ai nostri tempi, arrivava in classe la notizia “La maestra è ammalata: niente lezione”? Ecco, precisamente così.
Dopo di che dal parroco e dai suoi collaboratori non è arrivata alcuna idea o iniziativa per compensare in qualche modo la privazione della Messa e dell’Eucaristia.
Ieri sera mi sono ritrovato con alcuni amici fidati per discutere della situazione (il nostro gruppetto si chiama La fronda, acronimo di Fedeli che Rimangono Obbedienti Nella Dottrina Autentica) e dal passaparola viene fuori che qui nella diocesi ambrosiana si stanno costituendo alcune sacche di resistenza. In particolare, ho appreso che in una parrocchia non lontana dalla mia ogni sera viene celebrata la Santa Messa, ed è ammessa la partecipazione di chi si trova presente.
Questa sera quindi anch’io farò in modo di trovarmi, casualmente, nella parrocchia di cui sopra, all’ora convenuta.
Ho un dubbio: posso diffondere la notizia? A rischio che a un certo punto la Messa diventi così affollata da provocarne l’abolizione per ordine delle autorità? Stasera chiederò al celebrante. Vero, d’altra parte, che “Prima charitas incipit ab ego“.
Un caro saluto.
Livio Maccabeo
Milano
di Giuliano Di Renzo
Con questo giorno la liturgia ci fa iniziare il cammino di penitenza, generosità di opere buone, abbandono dei nostri egoismi perché in cammino interiore col Signore giungiamo anche noi con Lui alla Resurrezione la mattina di Pasqua.
La liturgia non va intesa come rito che si ripete al modo di un ricordo, ma è un vissuto dello spirito nell’immedesimazione con Cristo immedesimatosi con noi.
La nostra umanità è la “gloria” del Verbo in mezzo a noi , è perciò la parola umana che assume il Verbo di Dio per dirsi a noi. Ed è così anche la Via nella quale camminare per entrare nell’intimità della famiglia divina.
Come Verbo Gesù è Verità, Visione e Vita, come Uomo è Via, Egli ci nutre di sé con la Ss.ma Eucarestia, con lo Spirito Santo che scaturisce dalle sue piaghe e dal suo costato squarciato ci lava, santifica e fa risorgere mediante segni materiali che sono i Sacramenti.
Il giorno delle Sacre Ceneri la Santa Chiesa ci invita a un cammino di penitenza che deve iniziare con atto di umiltà, che è mettersi davanti al Dio Santo.
Ciò permette a noi di avere la giusta conoscenza di noi stessi e della “bontà misericordiosa del nostro Dio che viene a visitarci dall’alto come Sole che sorge per rischiarare le nostre tenebre e portarci nel regno del suo Figlio diletto nel quale abbiamo la redenzione, la remissione dei nostri peccati” (cfr Lc 1,78-79 e Col 1,13-14).
Gesù è insieme redentore e salvezza, oggetto e contenuto della nostra fede, la Sapienza di Dio, il Mistero nascosto in Lui da prima di tutti i secoli (cfr San Paolo Apostolo. Ef 3,9) e rivelato oggi a noi mediante i suoi santi apostoli e profeti.
Al modo che Gesù si presentò a Giovanni per essere battezzato da lui come se fosse peccatore, così anche noi, che peccatori siamo veramente, procediamo accanto a Lui sulla via della penitenza e nel suo abbassamento per noi. Prendendo su di sé la croce della nostra umanità inferma Gesù assunse su di sé i nostri peccati e si offrì alla Giustizia offesa della Santità di Dio. Perché tale è Dio, Santità.
Non un essere tal quale che pertanto ci sentiamo autorizzati di snobbare, come si suol dire, figurandocelo come un super potente che ci sovrasta. Egli è invece splendore di Spirito di purissima luce, Spirito, che ha Santità quale sua infinita perfezione senza nei.
Gesù non si limitò a nascondere nella sua umanità lo splendore del suo essere Verbo di Dio, ma volle nascondere anche il fulgore della sua divina umanità e abbassarsi maggiormente penetrando entro il nefasto inferno della nostra morte.
Che non è un diventare semplice cadavere, ma l’Orco di esistenza di non-Vita.
La Morte come suppositum in natura intellettuale, direbbero i nostri scolastici, cioè come persona.
“Cristo Gesù, pur essendo di natura divina non ritenne gelosamente il suo essere Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo con divenire simile agli uomini. E apparso come uomo si fece obbediente. E addirittura obbediente sino alla morte. E alla morte di croce” (cfr San Paolo Apostolo. Fil 3,5-11).
Lo stare di Gesù nel mondo fu una corsa verso l’annientamento di sé come riconoscimento dell’assoluta grandezza e unicità di Dio. L’inverso di quel vero annientamento che fanno di noi il nostro orgoglio e le nostre passioni.
Che non è che allontanamento dalla Luce e disperdersi nell’infinito abisso di un nulla che non è il nulla, perché lo spirito non potrà mai essere assolutamente nulla, ma è vivere la sofferente esistenza della vita mancata e tradita.
Gesù scese dall’alto degli infiniti splendori di Dio sino agli inferi nascosti delle nostre coscienze per riscuoterci alla vita. Dio non ama per scherzo, ama con costanza sino all’estremo limite dell’amore, che è senza confini.
La Quaresima è un cammino di perseverante spirito di penitenza che ci fa ritrovare noi stessi, ci fa sentire come il figlio prodigo che il rimorso fa ritrovare se stesso e ci ricolloca nella limpida verità di riflesso della suprema Verità che noi siamo.
La Quaresima è dunque cammino di penitenza che ci richiama alla realtà del male che abbiamo assorbito come se fosse la vita, ci fa recuperare perciò la coscienza del peccato e della sua gravità essendo offesa a Dio altissimo che ci ha amato. Da qui deve sorgere in noi il profondo dolore che ci lava portandoci a riparare con umiltà e amore all’offesa che abbiamo fatta all’Amore.
La Quaresima è cammino di preghiera, la ripresa del colloquio del nostro cuore col cuore di Dio.
E’ tempo poi di opere buone, perché l’amore non è romanticismo e immaginazione, l’amore è moneta sonante di amore, dell’amore ne è indicazione e garanzia. Non è certo la fede del fideismo volontaristico di Lutero che non impegna il concreto della vita e si dispensa da spendere se stesso.
“Pecca fortiter sed firmiter crede”. Bello e molto comodo. Non per nulla cancellò il sacramento della riconciliazione dove occorre alla grazia il nostro sincero pentimento, proposito e seguito di buone opere. “Amor che a nulla amato amar perdona” (Dante. Inf. V,103), credo che nessuno che veramente ami avrà da ridire su questo principio.
Il giorno delle ceneri la Chiesa depone un poco di cenere sul nostro capo e ci ricorda la realtà della vita, la realtà dell’uomo sulla terra, lo invita all’umiltà che viene dalla verità e implicitamente gli ricorda senza fronzoli che la sua vita ha a che vedersela con Dio e che pur in mezzo a tanto rumore di cose egli è solo davanti al suo destino, destino che si definisce col suo rapporto personale con Dio.
Ricorda che in qualunque modo la giri la sua vita è solo nel suo stare con Dio, che è la Vita e della vita è la sorgente.
“Ricordati, uomo che sei polvere e polvere tornerai” (cfr Gen 3,19).
Ci viene ricordato che il corpo essendo stato tratto dalla terra a causa del peccato che lo ha infangato e corrotto verrà deposto e con la morte l’uomo e lasciato come una qualunque cosa inanimata.
Lo spirito non verrà meno, ma sconterà il suo peccato con la separazione dal suo corpo essendo stato da soffio dello Spirito di Dio.
Il corpo dunque riceve sussistenza di essere come corpo umano dall’atto di essere dello spirito che in tal modo lo associa nell’unità della persona al suo io personale.
“Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”, una persona (Gen 2,7).
Non per nulla Dio è Padre. Padre che sussiste come Padre, non solo nell’azione del generare. La fede che ci rivela il mistero della Ss.ma Trinità ci dice questo: il Padre esiste come tale perché sempre genera sempre il suo Verbo (cfr Sl 2,7) in un unico atto eterno, al modo che la mente genera il suo “verbum mentis”, il suo logos, la coscienza di sé, l’io personale.
La Quaresima è meditazione delle Sacre Scritture, biblioteca di opere con le quali il Signore disseta le nostre anime, illumina le nostre menti e riscalda i nostri cuori con la luce della sua Verità e rasserena con la sua speranza l’andare penoso della nostra vita.
Le Sacre Scritture – Bibbia è parola della quale ci serviamo per raccogliere in un insieme pratico gli iscritti di tutti gli autori sacri – oltre che letture di profonda meditazione offrono al gusto estetico piaceri di altissima poesia, nella quale mente e gusto un poco non si spaurano e fa dolce naufragare nel loro mare (cfr Giacomo Leopardi. L’infinito).
Dai testi sapienziali poi riceviamo indicazioni di divina e umana profonda saggezza.
La Bellezza è la gloria che rivela la Verità e la Verità è la luce nella quale s’invera la Bellezza.
La penitenza quaresimale non nulla a che fare con la tristezza essendo sostenuta dall’amore e vede la sua meta che è la Resurrezione.
“Poiché Cristo ha sofferto nella carne, anche voi armatevi degli stessi sentimenti…Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate esultare e gioire” (1 Pet 4,13).
Profezia avverata:
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