Coronavirus (foto: AP)
Mentre anche dalle nostre parti si comincia a fare i conti con l’epidemia e tutti si ritrovano a confrontarsi con la debolezza umana di fronte al più invisibile microbo (mentre una famosa canzone tedesca recita “la natura è così buona, perché noi uomini invece no”… epigona degli epigoni dei cantori del Buon Selvaggio illuminista-romantico), nella Chiesa tedesca sta avvenendo un piccolo terremoto senza che molti ne prendano grande nota.

Dopo che il Cardinal Marx ha annunciato di non essere disponibile per un nuovo periodo in carica come presidente della Conferenza Episcopale Tedesca (DBK) “per motivi di anzianità” (al termine del periodo in carica avrebbe 72 anni), ora anche il gesuita Langendörfer, uno dei più strenui sostenitori del Cammino Sinodale in Germania, annuncia di voler lasciare l’importante carica di segretario della stessa DBK, carica che riveste dal 1996, per lasciare il compito a una persona più giovane, volentieri donna e non necessariamente ordinata. Anche se già la Conferenza Episcopale Nordica (Scandinavia e Islanda) ha per segretaria una monaca, Anna Marika Kaschner, questo in Germania sarebbe un unicum nei 172 anni di storia della conferenza episcopale.
Ad ogni modo non si hanno altri dettagli sui motivi di questo vero e proprio terremoto. Ma sembra di vedersi aprire uno spiraglio di speranza per la minoranza ortodossa cattolica. Forse la maggioranza “progressista” ha un po’ esagerato nella sua sicumera, dando per certo l’appoggio del Papa prima ancora di averlo, e chi finora era stato a guardare rattristato la deriva della Chiesa Cattolica tedesca ha compreso di dover fare un passo avanti per evitarne la totale protestantizzazione. Dio voglia che sia così.
Nel contempo, si capisce, continuano su numerose riviste diocesane gli articoli a sostegno dei temi caratteristici del Cammino Sinodale, per esempio la benedizione in chiesa di coppie omosessuali e la revisione della morale sessuale cattolica. Ne è un esempio lampante “Bene”, rivista mensile dell’arcidiocesi di Essen diretta dal vescovo Franz-Josef Overbeck, noto per le sue posizioni ultraprogressiste, che nell’ultimo numero (qui), in un unico articolo, riesce a mettere insieme: il dipendente della diocesi di Essen che da 16 anni è sposato con un uomo (errore: solo da pochi anni è possibile in Germania il matrimonio omosessuale, prima era una cosiddetta “Eingetragene Lebenspartnerschaft”, ovvero una convivenza registrata da notaio) e sogna la benedizione in chiesa, mentre lui nel 2004 aveva dovuto ricorrere alla benedizione di un pastore protestante in un ristorante; il fondatore di un “centro di consulenza sessuale” a Duisburg che lamenta la triste condizione dei poveri cattolici che non vanno da un prete ma da lui a sfogarsi raccontando delle loro difficoltà a quadrare il cerchio, ovvero a combinare la morale sessuale cattolica con la loro vita reale (convivenza prematrimoniale, nuova convivenza dopo un divorzio, omosessualità) – e io che vivo in Germania mi domando come sia possibile che esistano ancora giovani cattolici che sentono rimorsi di coscienza all’idea di non attendere fino al matrimonio con il sesso. Io non ne conosco uno, la convivenza prematrimoniale è standard assoluto e non c’è un prete che metta a tema il perché valga la pena aspettare…; infine last but not least, Ansgar Wucherpfennig, sacerdote professore di teologia e dal 2014 rettore dell’Università Teologica Gesuita di Sankt Georgen a Francoforte sul Meno, che all’inizio dell’anno accademico 2018 non aveva ricevuto il nihil obstat del Vaticano per continuare la sua attività, dopo essersi espresso più volte anche per iscritto in aperto contrasto con la dottrina cattolica. Era stato invitato a ritrattare, non l’aveva fatto ed era stato reinserito in carica dopo la pressione esercitata da diversi organi e vescovi cattolici tedeschi. Anche in questo articolo Wucherpfennig ripete la nota e arcinota teoria della Chiesa rimasta indietro di 40 anni che deve aggiornarsi su tutti i temi relativi a (omo)sessualità e famiglia – con una pervicacia che meriterebbe ben altri meritevoli obiettivi.
E mentre la Chiesa cattolica continua ad autodistruggersi come una maionese impazzita, succede in Germania quello che doveva succedere: il 26 febbraio scorso la Corte costituzionale tedesca ha accolto il ricorso di associazioni a favore dell’eutanasia e di malati gravi contro il divieto di eutanasia attiva, sancito dall’art. 217 del Codice Penale che prevedeva pene fino a 3 anni di detenzione per chi procurasse eutanasia come attività regolare (cioè in modo organizzato, con o senza intenzione di guadagno). Qualche giorno prima la stampa aveva riferito che più della metà dell’opinione pubblica tedesca interpellata aveva confermato di essere a favore di una morte “autodeterminata” e di non ritenere giusto che Stato e medici si “immischiassero” in questa questione di pura libertà individuale.
Ora tutti, la Chiesa evangelica, quella Cattolica, i medici palliativisti, le associazioni per la vita, stanno protestando. Ma la falla è aperta e si è fatto un passo avanti in una direzione che proprio in Germania, un Paese traumatizzato dai programmi eutanasici promossi dai nazisti contro anziani, deboli e malati mentali, sembrava impossibile. Ma non è questa una conseguenza logica della vita senza Dio? I nazisti erano fieramente pagani e anticristiani e ritenevano degna di essere vissuta solo la vita sana, forte, capace di lottare e portare avanti la purezza della razza destinata a dominare il mondo. Oggi, sempre più, tra aborto, selezione prenatale e eutanasia, siamo esattamente allo stesso punto: la vita che non reca in sé la scintilla divina, la vita che non è specchio di un amore infinito non può più essere degna di essere vissuta in sé. Ecco che allora, come ha detto un prelato tedesco, non siamo più destinati a morire mano nella mano con un altro, ma per mano di un altro. Un altro che – quando saremo troppo malati, troppo pesanti da curare, troppo cari, troppo soli – ci dirà e ci suggerirà gentilmente, misericordiosamente, che è meglio togliere il disturbo.

di Alessandra Carboni Riehn