ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 29 marzo 2020

Al rintocco delle campane

PARLARE A NUORA PERCHÉ SUOCERA INTENDA - GLOSSE FACETE ALL’INTERVENTO DI DON ALBERTO SECCI



Ho avuto il piacere - e la soddisfazione - di ascoltare le infiammate parole di un bravissimo sacerdote, don Alberto Secci, della parrocchia di Santa Caterina a Vocogno (qui). Nel suo messaggio inviato in video (qui) egli ha ricordato il valore della Santa Messa, il ruolo del sacerdote che la celebra in persona Christi, non mancando di lanciare una frecciatina a chi enfatizza la comunionalità della liturgia attribuendo ai fedeli un ruolo che essi non hanno né possono avere. E ha giustamente ribadito che la Messa vale di per sé, a prescindere dalla actuosa participatio del popolo.



Nella sua calorosa perorazione, don Alberto ha anche redarguito quei fedeli che si lamentano del fatto che la pandemia abbia portato alla chiusura delle chiese e alla sospensione delle celebrazioni pubbliche. Mi è parso di cogliere un certo disappunto per l’accusa rivolta al Clero di aver abbandonato i fedeli, accusa ch’egli ha respinto, augurandosi che alla fine del flagello le chiese possano veder tutti i censori di oggi raccolti attorno all’altare. 

Anzitutto devo dire che mi è piaciuto il tono forte e virile, che i fedeli erano abituati ad avere nei loro buoni parroci fino a qualche decennio fa, quando i sacerdoti formati prima del Concilio erano ancora vivi e - nonostante gli adattamenti del rito riformato - avevano mantenuto la tempra di combattenti. 

Il secondo elemento che considero significativo è la perfetta ortodossia nell’esposizione della dottrina sulla Messa: pareva di sentir parlare un sacerdote degli anni Cinquanta. 

Il terzo elemento da evidenziare è la strigliata ai cattolici tradizionalisti, che va un po’ inquadrata per chi - forse all’oscuro delle composite dinamiche dell’ambiente della cosiddetta tradizione - si è magari sentito un po’ chiamato in causa. Mi par di capire che don Alberto si riferisse a quelli che io chiamo “gli zelatori del tempio”, ossia gli assidui frequentatori di Messe, Vespri e Benedizioni eucaristiche che col proprio comportamento sembrano esser più attenti ai fasti cerimoniali che non a ciò che essi esprimono. Penso agli azzimati giovanotti in età un po’ troppo avanzata per esser chierichetti, che compaiono nelle nostre sacristie con talare, fascia marezzata e cotta, e che subissano il povero sacerdote di riferimenti alle rubriche, lo rimproverano perché il manipolo non è dello stesso tessuto della pianeta, lo catechizzano - Trimeloni alla mano - sul lavadita e sul palliotto, sulla piegatura del manutergio e del purificatoio. Sono l’incubo dell’incauto parroco che, inizialmente felice di aver qualcuno che sappia servire la Messa secondo le rubriche del Messale tridentino, si ritrova tutti gli armadi della sacristia aperti, le logore pianete plicate riesumate dal fondo dei cassetti, l’arundine rispolverato dal cafarnao e - per le funzioni di Requiem - il catafalco col drappo nero, i teschi, le tibie e tutto. Tutte suppellettili venerande, per l’amor di Dio, ma che oggi paiono più appropriate a comunità numerose che non alla chiesina in cui il Vescovo permette la forma extraordinaria a domeniche alterne. Va da sé che le Messe lette, trasmesse in streaming, rappresentino per costoro una colossale sciagura difficilmente compensabile. E già immagino il sorriso sornione di tanti confratelli che tirano un sospiro di sollievo a poter celebrare senza tutta quella affettata cerimoniosità ch’è tanto aliena alla romanitas del rito cattolico quanto cara a chi non l’ha mai conosciuto quand’esso rappresentava la norma. Mi scuseranno quanti, notoriamente suscettibili, si sentiranno chiamati in causa: è proprio di loro che parlo, sì.

Ma ciò che ritengo più significativo nel discorso di don Alberto è stato quell’ammonimento indiretto - norui loquendo, ut intelligat socrus - ai reverendi che, a differenza del buon parroco, veleggiano verso ben altri lidi, e sostengono quel ch’egli giustamente condanna, ossia che l’Eucaristia - come la chiamano, guardandosi bene dall’usare il termine cattolico - è un’agape fraterna, nella quale si commemora - anzi: si fa memoria - dell’Ultima Cena di Cristo con gli Apostoli. 

Quei reverendi, riconoscibili per l’eloquio mellifluo e petulante à la Ravasi più che dall’anonimo vestiario con cui si mimetizzano, da sessant’anni ripetono il mantra ereticale appreso in Seminario o all’Istituto di Scienze Religiose, o peggio in qualche Ateneo romano; e se un fedele osa ricordar loro quel che don Alberto pacatamente afferma, s’indignano e iniziano a sbraitare che il Concilio, che la riforma, che i lefebvriani scismatici, attingendo a tutto il vieto repertorio mandato a memoria dalle dispense di qualche liturgista à la page. Proprio loro, i presbiteri che presiedono l’assemblea, che se ne stanno seduti alla sede mentre la volonterosa zitella occhialuta o la suora con velleità sacerdotali distribuiscono la Comunione nelle mani dei parrocchiani; loro, che cambiano le parole della Consacrazione, s’inventano collette e prefazi, improvvisano le preghiere dei fedeli, ed è già tanto se all’Elevazione fanno un cenno col capo invece di genuflettere. 

Penso che il confinamento di don Alberto sia iniziato con il Coronavirus, e che egli abbia quindi contezza di quel che avviene nelle parrocchie normali, dove credono che il conopeo sia un utensile di cucina, e il crotalo un rettile velenosissimo. Penso che sappia che i volumi della Liturgia delle Ore - come chiamano compuntamente il Breviario - rimangono a prender polvere su uno scaffale dell’ufficio parrocchiale; che se  un laico prova a recarsi in chiesa in un giorno feriale, fuori l’orario dell’unica celebrazione prevista, per chiedere la Comunione è scacciati con sdegno, non prima di esser stato redarguiti sul senso comunitario e la partecipazione e il vuoto devozionismo preconciliare. 

Penso che il buon sacerdote sia al corrente che in una comunità o in una cattedrale a nessuno viene in mente di celebrare tante Messe quanti sono i sacerdoti, ma tutti sgomitano per concelebrare un’unica Messa, al punto da esser più numerosi loro in presbiterio che i fedeli tra i banchi. Perché la deplorabile Messa privata, l’orribile Messa bassa, l’inaudita Messa sine populo è un retaggio dogmatista della vecchia religione: quella di don Alberto e di qualsiasi Cattolico. E se alla Messa non ci sono fedeli, molti non celebrano e si mettono ad aggiornare Facebook o fanno un salto in Curia.

L’ottimo don Secci sa bene che questo atteggiamento impiegatizio non contraddistingue solo il basso Clero, ma accomuna nella sciagura anche i Prelati, gli Officiali delle Romane Congregazioni, i Porporati di Santa Marta, i cortigiani del Satrapo. I quali fanno carte false per esser visti in refettorio, e per questo si preparano con il loro clergyman négligé, la croce nel taschino, la copia di Civiltà Cattolica e l’inserto di Avvenire sottobraccio, ben attenti a non dar la minima impressione di aver nulla in comune con il pretino della Fraternità San Pietro che per entrare nell’Aula Nervi deve lasciare al guardaroba il cappello romano, «altrimenti lui si arrabbia». Perché i sacerdoti come don Alberto sono proprio quelli che vengon fatti oggetto delle battute e dei cachinni alle udienze ad limina, che poi vediamo riportati dall’Osservatore Romano. 

Immagino quindi che, con l’aver voluto ammonire direttamente un uditorio di buoni Cattolici che sa benissimo che la Messa è valida e lecita ed efficace anche senza il sacrestano che risponde Et cum spiritu tuo, abbia mandato un implicito suggerimento ai molti, tanti, troppi confratelli che col Covid-19 hanno chiuso la chiesa e si sono visti tutta la serie di Game of Thrones - quando va bene su Netflix. 

Dalle loro case, connesse o meno che siano, i fedeli dei pochi sacerdoti come don Alberto si uniscono in spirito al Santo Sacrificio, al rintocco delle campane.

Copyright MMXX - Cesare Baronio

6 commenti:

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    1. Uomo senza nome, mi dice per favore in quale reparto è dell'Ospedale di Domodossola così che io possa conoscerla e trovare in questo modo la possibilità di entrare a dare i conforti cristiani al personale e ai poveri malati? Visto che sono tutti i giorni in questo ospedale?
      Ad ognuno il suo "lavoro", Lei faccia il medico e cerchi di farlo bene e non faccia il prete.
      Don Stefano Coggiola

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    2. La invito a NON attribuirmi cose che io non ho mai affermato!Non ho detto che lavoro all'ospedale di Domodossola( e/o Verbania)!Ho indicato quello perchè è vicino a Vocogno!Penso che lì, sia gli ammalati e non solo quelli ricoverati per problemi respiratori,che tutti gli operatori sanitari siano nelle stesse difficili condizioni in cui si trovano tutti coloro che lavora nel settore almeno in Lombardia e limitrofi!!Come diceva il mio vecchio parroco,i sacerdoti sono ottimi maestri nei rimproveri,ma pessimi studenti nel riceverli!Ribadisco che le mie osservazione non erano rivolte contro un sacerdote ma contro un discorso fatto troppo superficialmente e che mi ha particolarmente stupito che sia venuto da un sacerdote come Don Alberto Secci!Non essendo prete,posso serenamente affermare che i miei ps sono stati fatti con tono troppo acceso e in maniera ingiusta in quanto il sottoscritto non ha diritto di giudicare l'operato di un'altra persona,tanto meno quello di un sacerdote!E'mia prima premura eliminarli di conseguenza,permettendomi tuttavia una piccola osservazione al suo collega 09:24.Anche il sottoscritto ha una madre anziana,ma quando torna dal lavoro,deve evitare ogni tipo di contatto,perchè ogni giorno potrebbe risultare infetto!!Per concludere ognuno faccia il suo lavoro al meglio e per la maggior Gloria di Dio!

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  4. perché tanta acredine? non dirò a lei anonimo innominato cosa farò, ma certamente continuerò a guidare ogni giorno i fedeli a me affidati anche con richiami ad una sapienza non continuamente polemica sulla chiesa, in tempi difficili. guarda a caso anche in russia il patriarca ha detto di non andare in chiesa per il pericolo contagio...ciò non annulla la potenza del santo sacrificio della messa.
    mi permetta di dirle solo, se questo la tranquillizza, che se non darà l'8 x mille, continuerò se Dio vorrà a vivere del mio stipendio d'insegnante come da 31 anni. Ora mi permetta di assistere mia madre inferma di 92 anni. Grazie, don alberto.

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