Appello per la Santa Comunione fuori della Messa
Cari amici di Duc in altum, vi propongo volentieri un contributo che mi è stato inviato da don Mauro Gagliardi. A fronte del divieto di celebrare Messe con concorso di popolo (decisione presa dalla Cei applicando in modo estensivo il decreto del presidente del Consiglio circa la sospensione delle cerimonie civili e religiose), don Mauro propone di venire incontro alle esigenze spirituali dei fedeli consentendo loro di ricevere la Santa Comunione al di fuori della Messa.
Don Mauro Gagliardi, sacerdote diocesano dal 1999, è professore ordinario di Teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e professore invitato presso la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino in Urbe (Angelicum).
A.M.V.
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I vescovi italiani hanno deciso di applicare in modo estensivo il decreto del presidente del Consiglio dei ministri dello scorso 8 marzo, secondo cui «sono sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri» (art. 2/v). I nostri vescovi citano, in una nota pubblicata lo stesso giorno, un’interpretazione del decreto, operata dal Governo stesso, secondo cui queste parole implicano il divieto totale, su tutto il territorio nazionale, della celebrazione della Santa Messa, tanto nei giorni festivi quanto in quelli feriali. Non pochi si sono chiesti se il Governo abbia il diritto di ingerirsi in modo così pesante nella vita interna della Chiesa, ma su questo aspetto non intendiamo qui soffermarci.
Con questa breve nota, si vuole solo prendere a cuore – con spirito pastorale – il desiderio soggettivo e soprattutto l’esigenza spirituale oggettiva di milioni di cattolici italiani, che si vedranno privati dell’Eucaristia come minimo fino al 3 aprile prossimo. Per quanto sarebbe auspicabile che la Cei rivedesse parzialmente le proprie disposizioni circa la celebrazione della Messa, ciò sembra al momento poco probabile. Si può, allora, suggerire rispettosamente ai nostri vescovi che, dopo aver accettato la sospensione della celebrazione pubblica della Santa Messa, ricordino anche che resta possibile ricevere la Santa Comunione.
Esiste, infatti, un libro liturgico, pubblicato dalla Santa Sede nel 1978, intitolato Rito della Comunione fuori della Messa e Culto liturgico. Nelle «Premesse», si ricorda che il modo normale di ricevere la Santa Comunione sia di farlo durante la Santa Messa. Ma subito si aggiunge: «I sacerdoti però non rifiutino di dare la Santa Comunione anche fuori della Messa ai fedeli che ne fanno richiesta. È bene anzi che a quanti sono impediti di partecipare alla celebrazione eucaristica della comunità, si porti con premura il cibo e il conforto dell’Eucaristia» (n. 14). Questo testo si riferisce di certo agli infermi e agli anziani, che non possono uscire di casa e quindi non possono partecipare alla Santa Messa. Ma applicare questa indicazione solo a tali persone sarebbe restrittivo ed errato. Lo stesso libro liturgico precisa, infatti, che «il luogo normale per la distribuzione della Santa Comunione fuori della Messa è la chiesa o l’oratorio in cui si celebra o si conserva abitualmente l’Eucaristia […]. Si può tuttavia distribuire la Santa Comunione anche in altri luoghi, ivi compreso le case private, in caso di malati …» (n. 18). Quindi, la Santa Comunione fuori della Messa non è riservata solo a coloro che non possono lasciare le loro case e quindi bisogna portare loro la Comunione a domicilio, ma deve essere disponibile a tutti coloro che, per ragioni non dipendenti dalla propria volontà, non possono partecipare alla Santa Messa e comunicare in essa. E questa è esattamente l’odierna situazione dei fedeli, che senza loro responsabilità sono privati sia della Celebrazione eucaristica sia della Santa Comunione.
Si deve dunque sperare che la Cei voglia emettere un nuovo comunicato, in cui si ricorda ai sacerdoti questa possibilità e anzi la si incoraggia, soprattutto per le domeniche, ma non solo. La Cei potrà anche dare indicazioni sulle modalità concrete per effettuare questa distribuzione, tenendo conto anche dell’indicazione secondo cui «la Santa Comunione fuori della Messa si può distribuire in qualsiasi giorno e in qualunque ora del giorno» (n. 23). Siccome in questa fase sono sconsigliate, se non addirittura proibite, le celebrazioni comunitarie, si tratterà di dare la Comunione, anche individualmente, ai fedeli che durante la giornata si presentassero al sacerdote per ricevere il Corpo di Cristo. Nei casi in cui si radunasse spontaneamente nello stesso momento un piccolo gruppetto di persone, si potrebbero comunque osservare facilmente le norme di profilassi indicate dal Governo (ad esempio il metro di distanza tra i fedeli). Se invece si trattasse di un singolo fedele, non vi sarebbe neanche bisogno di negargli la Comunione sulla lingua, se la desidera, dato che non vi sarebbero altri comunicanti a rischio di contagio. Il sacerdote si laverebbe bene le mani prima di dare a quel fedele la Comunione, così che ogni rischio decadrebbe.
In questi giorni, i sacerdoti avranno a disposizione più tempo del solito: essi non devono preparare l’omelia, non devono tenere classi di catechismo, né ricevere ragazzi in oratorio; quei sacerdoti che sono anche docenti, sono momentaneamente sollevati da tale compito. Il parroco e gli altri sacerdoti in cura d’anime hanno quindi maggiore disponibilità di tempo per accogliere generosamente coloro che anelano ricevere il Pane della vita. D’altro canto, anche in tempi di coronavirus, non si scaccerebbe un povero che bussasse alla porta della casa canonica per chiedere un tozzo di pane. Si possono allora mandare via quelli che bussano per ricevere l’unico Pane che davvero sfama l’uomo? È possibile organizzarsi con una certa facilità, per esempio affiggendo un avviso alle porte della chiesa, per indicare le fasce orarie in cui è possibile chiedere e ricevere la Santa Comunione. Anche questa generosità spirituale sarà un bel segno, di certo apprezzato dai fedeli, che potranno ancora una volta accorgersi dell’amore pastorale che i sacerdoti nutrono verso il gregge di Cristo.
Al di là di questi dettagli concreti, si tratta di allargare il nostro cuore di pastori. Noi sacerdoti continueremo a celebrare “privatamente” la Santa Messa ogni giorno ed a ricevere il Corpo e Sangue di Cristo. E i fedeli? Dovranno rimanere senza Comunione eucaristica fino al 3 aprile? Non dovremmo andare incontro al legittimo desiderio di tantissimi cattolici che giustamente anelano di ricevere Gesù eucaristico? Sebbene per attuare la possibilità qui ricordata non vi sia bisogno di alcun permesso specifico (soprattutto nei casi di Comunione ad un singolo fedele), sembra probabile che la maggioranza dei sacerdoti – per diversi motivi, emergenziali o ideologici – non accederà spontaneamente ad essa. Un’indicazione ufficiale della Cei in questo senso sarebbe pertanto provvidenziale. Confidiamo che i nostri vescovi vogliano operare proprio in questa direzione e di questo li preghiamo.
Don Mauro Gagliardi
“Ma regolare la sacra liturgia spetta unicamente alla Chiesa”
Cari amici di Duc in altum, mentre l’Italia intera, nel tentativo di contrastare l’avanzata del coronavirus, è stata dichiarata zona protetta, continua il dibattito circa la decisione della Conferenza episcopale italiana di sospendere la celebrazione delle Messe pubbliche. I vescovi hanno applicato in maniera restrittiva l’indicazione del governo? E, così facendo, hanno privato i fedeli del diritto di culto? E perché impedire ai fedeli di andare a Messa quando invece, per esempio, pur con alcune limitazioni, si può andare al bar e al ristorante?
In proposito ho chiesto un’opinione a Laura Sgrò, avvocato della Rota Romana e patrocinante presso la Corte d’appello dello Stato della Città del Vaticano.
A.M.V.
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«Come se il cristiano potesse esistere senza celebrare i misteri del Signore o i misteri del Signore si potessero celebrare senza la presenza del cristiano! Non sai dunque, satana, che il cristiano vive della celebrazione dei misteri e la celebrazione dei misteri del Signore si deve compiere alla presenza del cristiano, in modo che non possono sussistere separati l’uno dall’altro? Quando senti il nome di cristiano, sappi che si riunisce con i fratelli davanti al Signore e, quando senti parlare di riunioni, riconosci in essa il nome di cristiano» (Martire Felice).
Anno 303 d.c., regna l’imperatore Diocleziano.
Al tempo, Abitene era una città della provincia romana detta Africa proconsularis, nell’odierna Tunisia, situata, secondo un’indicazione di sant’Agostino, a sud ovest dell’antica Mambressa, oggi Medjez el–Bab, sul fiume Medjerda.
L’imperatore Diocleziano ordinò una persecuzione violenta nei confronti dei cristiani, stabilendo, tra le altre cose, che si “doveva proibire di celebrare i sacri riti e le santissime riunioni del Signore” (Atti dei Martiri, I).
Quarantanove cristiani ad Abitene decisero che a quel precetto dell’imperatore non si poteva obbedire.
“Sine dominico non possumus”. Così i martiri di Abitene si difesero: non si può, cioè, né essere né tanto meno vivere da cristiani senza riunirsi la domenica per celebrare l’Eucaristia. E morirono, pur di non rinnegare la loro fede nel Cristo risorto e non mancare all’incontro con Lui nella celebrazione eucaristica domenicale.
Anno 2020 d.c., regna la paura.
Il decreto della presidenza del Consiglio dei ministri dell’8 marzo, a causa dell’emergenza del coronavirus, sospende a livello preventivo, fino a venerdì 3 aprile, sull’intero territorio nazionale “le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”.
La Cei, dimentica del dettato del canone 838 del Codice di diritto canonico che sancisce che spetta «unicamente all’autorità della Chiesa» regolare la sacra liturgia, ritiene che l’interpretazione fornita dal governo includa rigorosamente le Sante Messe e le esequie tra le “cerimonie religiose”.
Ma il decreto non ha parlato di Santa Messa, l’interpretazione restrittiva l’ha fatta la Cei, che avrebbe ben potuto mantenerla in virtù del canone sopra citato, e dettare delle norme ad casum per contrastare la diffusione del coronavirus.
C’è, infatti, una distanza incommensurabile tra una precauzione, seppure dura ed estrema, e la negazione di un gesto.
La Messa è stata negata, infatti, non solo a chi ci va per costumanza decennale, ma anche a chi, sebbene sia stato lungamente latitante da tabernacoli e inginocchiatoi, adesso ha bisogno di questo inusuale e salvifico refrigerio.
La vita cristiana nasce dall’Eucarestia e dell’Eucarestia si nutre. Per questo la Santa Messa andava difesa, a qualunque costo.
Al tempo del coronavirus i martiri di Abitene l’avrebbero fatta franca.
Laura Sgrò
Continuo a non capire, con le misure prese dal Governo con decorrenza oggi 10 marzo, continueremo a poter fare la spesa nei negozi, nei centri commerciali e negli ipermercati, andare nei bar e nei ristoranti, ad usufruire dei relativi servizi forniti, mantenendo però la distanza di sicurezza, ma continueremo a non poter assistere alla santa messa. Posso andare in chiesa a pregare, ma non posso usufruire del “servizio” che in chiesa posso ricevere e che è costituito dalla santa messa, anche se mantengo la distanza di sicurezza da un altro fedele. Dunque, se ho ben capito, mi è consentito andare a pregare in chiesa, anche se all’ora della messa, nel caso il sacerdote la celebrasse, sarò invitato dallo stesso sacerdote ad uscire dalla chiesa? Come è mai possibile questo? Come è mai possibile che la Chiesa non abbia fatto obiezione? Del resto, proprio oggi Papa Francesco, nella sua omelia mattutina da Casa S. Marta, ha detto: “Preghiamo il Signore anche per i nostri sacerdoti, perché abbiano il coraggio di uscire e andare dagli ammalati, portando la forza della Parola di Dio e l’Eucarestia”. E allora, se sono invitati a portare l’Eucarestia ai malati, perché non la possono fare a colori che possono permettersi di andare in chiesa?
A tal proposito, riprendo un articolo di mons. Charles Pope, pubblicato sul National Catholic Register, in cui egli mostra la stessa incredulità. E ci spiega anche il perché.
Eccolo nella mia traduzione.
Le Scritture ci mettono in guardia da una minaccia gravissima per il nostro benessere spirituale, che è la paura della morte:
Ora, Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. (Ebrei 2, 14-15).
Eppure, ora, stiamo manifestando un attacco di panico quasi mondiale per un virus che, per quanto cattivo possa essere, non ha alcun potere di per sé stesso di “separarci dall’amore di Cristo” (Romani 8:35).
Si possono scusare i non credenti, che San Paolo descrive come “coloro che non hanno speranza” (1 Tessalonicesi 4:13), ma cosa dire dei vescovi e degli altri capi della Chiesa che hanno ceduto alle pressioni per cancellare le messe pubbliche mentre i bar e i ristoranti rimangono aperti (anche se in misura ridotta)? Cibo e bevande sono essenziali per la nostra sopravvivenza fisica, ma la Santa Eucaristia è ancora più essenziale per la nostra sopravvivenza spirituale: Davvero, davvero, vi dico, se non mangiate la carne e non bevete il sangue del Figlio dell’uomo, non avete vita in voi (Giovanni 6:53). E così ci troviamo di fronte a una profonda indignazione per la mancanza di disinfettanti per le mani e di maschere chirurgiche, ma troppo poca indignazione per gli stupefacenti limiti e il rifiuto assoluto di offrire i sacramenti ai fedeli di Dio.
Dove sono le nostre priorità? Siamo ossessionati da un virus, ma prestiamo poca attenzione alle pulsioni peccaminose che possono uccidere le nostre anime in eterno. Troppi pastori che per lungo tempo si sono rifiutati di delineare le esigenze di una degna accoglienza della Santa Comunione hanno improvvisamente scoperto un motivo per limitare l’accesso alla Santa Comunione a persone che, anche in modo molto remoto e solo potenziale, potrebbero incorrere in minacce fisiche alla loro salute.
Vi chiedo semplicemente: Ci stiamo specializzando nelle cose minori? La salute fisica ha il suo posto, ma anche quella spirituale – e il suo posto è molto più importante.
“Siate pronti ad abbandonare questa vita mortale piuttosto che le persone impegnate nelle vostre cure”, diceva San Carlo di Borromeo ai sacerdoti mentre la peste del 1576 travolgeva Milano. “Andate avanti tra gli appestati come per la vita, come per una ricompensa, anche se ci fosse una sola anima da conquistare a Cristo”.
Mi preoccupa il fatto che abbiamo perso il nostro coraggio e la nostra fede e subordinato le cose sante allo Stato in questa vicenda. Cancellare la messa mentre bar e ristoranti rimangono aperti durante il giorno è ottuso e sembra dimostrare una mancanza di determinazione da parte dei nostri leader. San Carlo Borromeo non si è accucciato durante l’epidemia di peste del suo tempo – è andato tra i fedeli e si è preso cura di loro come un sacerdote dovrebbe fare. Ha anche detto ai leader civili non credenti del suo tempo di riconoscere che la fede, il pentimento pubblico e il culto erano parti essenziali di ogni soluzione. Oggi abbiamo molto meno della peste e siamo troppo disposti a lasciare che un governo laico ci dica di annullare le nostre preghiere pubbliche.
Alcuni mi definiranno irresponsabile per aver chiesto la ripresa delle messe pubbliche e comunitarie. “La gente sta morendo”, diranno. Posso rispondere solo dicendo che le anime muoiono per paura e per l’ossessione mondana della morte. La morte arriverà a tutti noi, e probabilmente non per un coronavirus. La domanda più profonda e più importante è questa: Siete pronti a morire e ad affrontare il giudizio [di Dio]?
Prendiamo ragionevoli precauzioni. Lavatevi le mani; evitate di toccarvi il viso; rispettate che alcuni non vogliano stringere la mano proprio ora. Ma soprattutto, non abbiate paura e non pensiate che Dio non abbia più il controllo. Andate a Messa e abbiate fiducia in Dio! Ora è il momento della fede, non di un abbandono insensato della liturgia che rimane il nostro aiuto per la salvezza in un mondo intriso di peccato e di empietà. Corri a Dio! Non scappare da Lui e dai suoi sacramenti.
Signore, salvaci da preoccupazioni sciocche e senza fede! Dacci la salute. Ma, soprattutto, donaci una fede che non teme i semplici attacchi al corpo, ma ricordaci con sobrietà che gli attacchi all’anima sono molto più gravi di quanto il mondo pensi. Aiutaci ad essere più preoccupati per ciò che ti sta a cuore. I nostri corpi moriranno, ma le nostre anime resisteranno. Con la tua grazia possiamo tendere alle nostre anime affinché i nostri corpi possano un giorno risorgere alla gloria.
Di Sabino Paciolla
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