ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 19 marzo 2020

Il Gran Mogol delle Giovani Marmotte

Passeggiate romane & interviste a Repubblica: il coronavirus secondo Bergoglio



Siamo arrivati al terzo mese di epidemia da Covid-19, anzi di pandemia, come ha formalmente dichiarato l’Organizzazione Mondiale della Salute. Forse proprio in virtù di questa dichiarazione negli ultimi giorni il Vescovo di Roma ha dedicato maggiore attenzione a questa emergenza. Nei primi due mesi gli interventi del pontefice sull’argomento erano stati pochissimi: il suo interesse restava focalizzato sui temi canonici dell’accoglienza dei migranti, sulla misericordia, sui mali del populismo.

Tuttavia, ormai è diventato impossibile ignorare l’esistenza del problema, anche a causa delle crescenti restrizioni alle libertà individuali. Ma anche per il fatto che prima le diocesi del Nord avevano deciso di sospendere la celebrazione delle Sante Messe e poi la stessa Conferenza Episcopale Italiana – che peraltro ha con il Vescovo di Roma un legame molto importante, evidentemente – aveva decretato la sospensione di ogni celebrazione liturgica in pubblico.

Così Jorge Mario Bergoglio ha cominciato a dedicare all’epidemia alcuni brevi interventi e negli scorsi giorni si è anche recato in pellegrinaggio presso Santa Maria Maggiore e la chiesa di san Marcello al Corso. Ma l’intervento magisteriale più importante è quello affidato al giornale del cuore, “La Repubblica”. Questa volta l’interlocutore non era il confidente di sempre, Eugenio Scalfari, ma il vaticanista Paolo Rodari.

Le considerazioni del pastore argentino sono estremamente interessanti. Esaminiamole punto per punto. La prima domanda dell’intervistatore verteva sul cosa avesse domandato quando è andato a pregare nelle due chiese romane. “Ho chiesto al Signore di fermare l’epidemia: Signore, fermala con la tua mano. Ho pregato per questo”. Una risposta laconica che esprime il sentimento e la speranza che ogni individuo nutre in questo momento. Nessuna invocazione speciale, nessuna consacrazione, nessun atto di affidamento.

La seconda domanda entrava nel vivo della situazione di incertezza, ansia, paura che milioni di persone stanno vivendo. Il successore di Pietro di fronte a questa tragedia afferma che “dobbiamo ritrovare la concretezza delle piccole cose, delle piccole attenzioni da avere verso chi ci sta vicino…”. Insomma, qualche parola buona, qualche carezza, qualche abbraccio. Cose che forse Sua Santità non sa che sono proibite dalle leggi draconiane in atto.

Il papa continua dicendo che spesso nelle nostre case c’è freddezza, non c’è comunicazione, ognuno si fa i fatti suoi e le persone “sembrano tanti monaci isolati l’uno dall’altro”. Come sempre, quando c’è da esprimere un concetto negativo, Begoglio ricorre alle metafore religiose. Non si capisce proprio perché le persone chine sui propri cellulari dovrebbero richiamare l’immagine di “monaci isolati l’uno dall’altro”. Ma si sa: il monachesimo, l’orazione, il silenzio non sono cose molto amate dalle parti di Santa Marta.

L’intervistatore passa quindi a toccare un argomento assai importante: il problema del lutto di chi ha perso qualcuno dei propri cari, il mistero del dolore, da sempre oggetto dell’attenzione della teologia e della spiritualità cristiana. Bergoglio evita di entrare nel merito e porta il suo discorso sul tema della consolazione. Bene, dice dentro di sé il lettore di buona volontà, finalmente si potrà leggere qualche richiamo a Dio e alla Fede, ma queste parole non compaiono. Bergoglio torna sul tema del comportamento con gli altri e fa esplicitamente riferimento ad un articolo (pubblicato sempre su “Repubblica”, naturalmente) di Fabio Fazio.

Il Bianco Vescovo non si attarda a citare il Vangelo, sant’Agostino o qualche Padre della Chiesa, ma punta tutto sul noto conduttore televisivo. Cosa ha scritto Fazio che tanto ha colpito il Santo Padre? “i nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri”. E bravo Fazio che l’ha brillantemente colto. Ma c’è un ulteriore declinazione che ha molto colpito il papa che lo rilancia alla grande: “è evidente che chi non paga le tasse non commette solo un reato, ma un delitto: se mancano posti letto e respiratori è anche colpa sua”. Una affermazione che Bergoglio sottoscrive in pieno.

A questo punto dell’intervista lo sconforto è al massimo, specialmente se il lettore è un medico. Come sarebbe bello che il papa riuscisse a comprendere che l’evasione fiscale – che per lui è uno dei pochissimi peccati rimasti – non c’entra nulla con la mancanza di respiratori. Come sarebbe bello se riuscisse a capire che questa situazione di emergenza è stata determinata da scelte politiche fatte negli anni scorsi che hanno tagliato miliardi di euro di risorse per la Sanità: posti letto, medici, infermieri. Scelte politiche sciagurate, non l’evasione fiscale di qualche commerciante che non fa lo scontrino.

Sarebbe bello se Bergoglio potesse o volesse capire tutto questo, così come il fatto che il diffondersi dell’epidemia dalla sua amata Cina al resto del mondo è anche conseguenza delle mancanze di controlli verso chi viaggia, in nome della globalizzazione, in nome dell’ideologia dello spostamento illimitato e incontrollato.

Ma ne dubitiamo, anche perché questa intervista si chiude senza alcun giudizio su ciò che sta accadendo, senza nessuna lettura del dolore o della morte in una visione di fede, senza dare alcun significato al male che un piccolissimo microbo ha scatenato, mettendo in crisi il mondo e la sua presunzione ipertecnologica. Sarebbe bastato citare Giobbe. Ha preferito citare Fazio. E l’intervista si chiude con un generico appello all’amore universale. Per tanto, non sarebbe stato necessario intervistare il papa. Sarebbe bastato il Gran Mogol delle Giovani Marmotte.

Paolo Gulisano
19 Marzo, 2020

https://www.ricognizioni.it/passeggiate-romane-interviste-a-repubblica-il-coronavirus-secondo-bergoglio/

Chiose e postille di padre Giocondo / 10


Valutazioni papali papali
Caro dottor Valli, già ho avuto modo di presentare a lei e ai suoi gentili lettori il superiore – o guardiano, come diciamo noi – della nostra comunità religiosa: padre Pacifico da Strangolagalli, [1] uomo quanto mai mite e misurato, il quale però, all’occorrenza, non rinuncia ad afferrare lo scudiscio per rimettere le cose al giusto posto.
Devo raccontare che da qualche giorno lo vedevo molto pensieroso e taciturno. «Avrà qualche preoccupazione particolare», dicevo tra me e me. Finché l’altro ieri, incrociandolo verso le nove del mattino lungo il grande corridoio che attraversa il nostro convento, ho sentito che andava bisbigliando: «Ridicoli, ridicoli, ridicoli!». Mi sono un po’ meravigliato della cosa, e ho pensato: «Mah… forse avrò capito male».
Verso mezzogiorno, incontrandolo più o meno nello stesso punto, ho sentito distintamente che andava ripetendo a denti stretti: «Buffoni, buffoni, buffoni!». Questa volta mi sono fermato a guardarlo mentre si allontanava, e ho pensato: «Povero padre Pacifico! Deve trattarsi di un problema veramente serio!».
E infine, verso le cinque del pomeriggio, ecco che lo incrocio di nuovo lungo lo stesso corridoio, e sento che sbotta di colpo: «Pagliacci, pagliacci, pagliacci!».
A questo punto lo inseguo, lo tocco per un braccio e gli dico: «Padre, mi scusi: [2] è tutto il giorno che lei va recitando queste strane litanie… Potrei sapere il motivo?».
Lui mi guarda, fa un bel sorriso, aspetta qualche secondo e poi mi dice: «Facciamo così: questa sera, dopo cena, ci riuniamo anche con gli atri due [padre Furio e padre Secondo], e così spiego a tutti di che cosa si tratta. Ok?».
«Ok, padre!».
E in effetti dopo cena, radunati al gran completo, ci ha svelato l’arcano.
Per mezzo di Duc in altum e di altri blog analoghi, lui stava seguendo minuto per minuto la questione relativa alla soppressione delle Messe e alla chiusura delle chiese, specie per la diocesi di Roma (dove vivono anche alcuni suoi familiari); e in particolare: 1) il decreto del cardinale vicario De Donatis del 12 marzo, che decideva la serrata generale degli edifici sacri, in sintonia con l’avvenuta chiusura della basilica di san Pietro e in linea con l’apposita nota del cardinale Bassetti, presidente della Cei; 2) il decreto del giorno successivo, ad opera dello stesso cardinale De Donatis, che annullava in parte la decisione del giorno precedente. Il tutto, con un mellifluo e penoso rimbalzo di responsabilità tra lui, semplice vicario, e l’effettivo vescovo della Città Eterna.
E fin qui il bravo padre Pacifico era riuscito a sopportare la cosa: tutti infatti, nel prendere una decisione, possiamo sbagliare, anche un sommo pontefice o il suo cardinale vicario. E a tal proposito debbo precisare che il nostro padre guardiano è sempre molto rispettoso nei confronti dell’autorità costituita, anche quando questa non meriterebbe forse molta deferenza, come avviene talvolta con il nostro ministro provinciale, padre Adolfo da Furore, [3] tendenzialmente arrogante e dispotico.
Ciò che invece l’aveva mandato su tutte le furie era stata la comparsa sul web, la sera stessa del 13 marzo – quando cioè il cardinale De Donatis aveva già emanato il suo secondo decreto –, di una incredibile lettera a firma di uno dei segretari personali di papa Bergoglio.
Questa missiva ha dell’incredibile sotto tutti i punti di vista: 1) per la forma, perché è composta da due parti chiaramente distinte tra loro: l’introduzione, dal tono molto didascalico; e il corpo vero e proprio, dal tono paternalistico-decisionale; 2) per la sostanza, perché non si era mai visto finora che il semplice segretario personale di un papa entrasse a nome proprio – diremmo, a gamba tesa – in una discussione così importante, che coinvolge cardinali e vescovi di Roma e non solo, per stabilire cosa bisogna fare e cosa no.
Essa in pratica diceva che, per non meritarsi gli stessi rimproveri di Gesù a Simon Pietro, era necessario mettersi di più a disposizione della gente, senza timore del virus, schierandosi dalla parte dei malati e degli operatori sanitari e lasciando aperte le chiese.
A questo punto padre Pacifico si è scatenato: «Questa lettera è l’ennesima dimostrazione dello stile subdolo e ipocrita di Bergoglio. Troppe volte egli lancia il sasso e nasconde la mano. L’ha fatto in questi anni, mimetizzandosi dietro i sinodi da lui indetti e pilotati. L’ha ripetuto a gennaio, pretendendo di dare ordini folli per mezzo di monsignor Georg. L’ha fatto di nuovo adesso, nascondendosi dietro un suo segretario completamente sconosciuto e ricattabile». E ancora: «Quando un superiore ecclesiastico prende una decisione che poi si rivela sbagliata, deve avere il coraggio di riconoscerlo davanti a tutti i suoi sudditi. Non è possibile che Bergoglio, nel dare certi ordini restrittivi, si nasconda dietro a Bassetti o a De Donatis o a un pinco pallino qualsiasi; e poi faccia il moralista dicendo che i preti non devono essere come don Abbondio; e faccia anche l’eroe andando a visitare due chiese di Roma, la sera del 15 marzo, con tanto di fotografo e cineoperatore al seguito, per chiedere la fine della pandemia; e completi il tutto con la solita intervista alla Repubblica, collaudato specchietto per allodole. In questo modo egli getta nel ridicolo sé stesso e i suoi collaboratori, noti e meno noti.
Questo dunque era il senso delle parole che padre Pacifico andava ripetendo tutto il giorno, con la sofferenza dipinta sul volto: «Ridicoli… buffoni… pagliacci…!».
E la sua conclusione non poteva essere più chiara e tagliente: «Ricordatevi di una cosa: nel fare le mie valutazioni papali papali, io ho usato il plurale perché sono il guardiano di una comunità di frati; altrimenti avrei usato volentieri il singolare!».
A capo chino e in assoluto silenzio, ci siamo diretti in chiesa per la recita di compieta, concludendo con la consueta antifona mariana, leggermente modificata: «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo – compreso il pericolo Bergoglio –, o Vergine gloriosa e benedetta».
Padre Giocondo da Mirabilandia
__________
[1]          Strangolagalli è in provincia di Frosinone.
[2]          Nel nostro ordine, ai superiori diamo ancora del lei.
[3]          Furore è un comune in provincia di Salerno.

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