ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 25 marzo 2020

Molti di noi lo hanno pensato

La missione profetica di Fatima non è conclusa


Cari amici di Duc in altum, mi ha scritto di nuovo la Monaca Guerriera. Questa volta si occupa del terzo segreto di Fatima, mettendolo in relazione ad alcuni fatti recenti. Affido lo scritto alla vostra riflessione e alle vostre valutazioni.
A.M.V. 

***
Credo non sia difficile riconoscere il papa della visione di Fatima in Francesco che cammina da solo per le strade deserte di Roma. Molti di noi lo hanno pensato, se lo sono domandato. In quale altro caso sarà possibile vedere il papa da solo “attraversare una grande città” così deserta? E ricordiamo sempre che se le profezie non sono necessarie per la fede, tuttavia abbiamo il dovere di non disprezzarle quando hanno ricevuto il sigillo della Chiesa, poiché sono un aiuto che il Cielo ci concede.
Nella grande abbondanza di interpretazioni, smentite, conferme e dubbi che da sempre hanno circondato la rivelazione del terzo segreto di Fatima, abbiamo il dovere di fermarci a considerare quelle parole di Benedetto XVI: “Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa” (viaggio apostolico in Portogallo, omelia, Santa Messa nella spianata del santuario di Fatima, 13 maggio 2010).
Se la missione profetica non è conclusa e “riguarda il futuro della Chiesa”, a quale epoca può riferirsi più della nostra, che vede coesistenti il “Santo Padre” e il “Vescovo vestito di bianco” della visione descritta dai pastorelli?
In proposito, perché non chiedere delucidazioni al cardinale Tarcisio Bertone circa il contenuto dei colloqui che ebbe con suor Lucia, e la motivazione di quei provvedimenti così severi? Perché nessuno poteva incontrare la suora o parlarle, mentre i presunti veggenti di altre apparizioni sono liberi di girare il mondo e di rilasciare testimonianze? Che cosa preoccupava così tanto la Chiesa mentre suo Lucia era in vita?
“Sull’ala del tempio porrà l’abominio della desolazione” (Dn 9,27); “Ora, dal tempo in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà eletto l’abominio della desolazione, ci saranno 1290 giorni” (Dn 12,11): siamo forse al momento profetato da Daniele? Non è difficile riconoscere nell’abominio della desolazione l’idolo della Pachamama venerato nella Città Santa e nella basilica di San Pietro, tempio cristiano per eccellenza, e nell’abolizione del Santo Sacrificio ciò che attualmente viviamo, ossia la cessazione del culto pubblico non solo nelle nazioni sparse nel mondo, ma proprio nel Vaticano, centro della cristianità e simbolo della Chiesa cattolica.
La Monaca Guerriera
Coronavirus, 50 preti morti. Bergoglio: «Pastori con l’odore di pecora, stanno in mezzo alla gente»
(Alessandro Fulloni, Corriere della Sera – 20 marzo 2020) Il numero è impressionante ed è questo: 50. Sono i preti morti da quando è esplosa l’emergenza Coronavirus. La conta dolente viene dal quotidiano Avvenireche riceve gli aggiornamenti da diocesi, parrocchie, familiari, fedeli. Giovedì è stata una giornata devastante: il Covid-19 ne ha uccisi otto. Nove se ne sono andati tra venerdì e sabato. Buona parte dei lutti è concentrata al Nord: a Bergamo, la «città martire» dove le salme vengono portate via dai camion dell’Esercito, sono quindici. Ma altri diciassette sono ricoverati e tra loro un paio stanno in Terapia intensiva. A Parma il Covid-19 ne ha stroncati sei, quattro a Piacenza e altrettanti a Lodi e Cremona. Il più giovane, don Sandro Brignone, 45 anni, era del Sud, di Salerno ed era parroco a Caggiano. Tantissimi i cinquantenni e i sessantenni. Le età dei caduti — uomini che ricordano molto le figure di quei preti in trincea che confortavano alpini, fanti e bersaglieri durante la Grande guerra o che esortavano i soldati ad aver fede, a restare in piedi e continuare a camminare per salvarsi durante la ritirata di Russia — spiegano che la maggior parte di questi sacerdoti era in attività. «Pastori con l’odore delle pecore», per riprendere le parole che Francesco ha ripetuto in questi giorni chiamando, per testimoniare loro la vicinanza, diocesi e parrocchie.
Reverendi «sempre in mezzo alla gente», scrive il quotidiano della Cei, che continuano a visitare malati e anziani, a benedire le salme in questi giorni drammatici in cui non è possibile neanche celebrare i funerali. Sono alle mense dei poveri o in aiuto ai senzatetto anche se ora le precauzioni, a partire da guanti e mascherine, sono altissime anche tra i religiosi. C’è persino chi, pur sofferenti in Terapia intensiva, se non ha un passo dalla morte, li ha sentiti sostenere i medici leggendo loro il Vangelo e la Bibbia.
Anche Avvenire è stato segnato direttamente dal flagello con la morte di don Paolo Camminati, 53 anni, apprezzato autore di molte riflessioni sulla pagina «giovani» del quotidiano: solo un mese fa il «Camo» — così chiamavano tutti questo prete appassionato della montagna e della chitarra che portava con sé a ogni Giornata mondiale della Gioventù — aveva presentato alla sua diocesi di Piacenza-Bobbio il progetto di una casa, in canonica, per i lavoratori precari, quelli che l’instabilità dei contratti lascia spesso senza dimora. Quelli che dallo scoppio dell’emergenza stanno lavorando magari nei supermarket aperti o nei reparti ospedalieri sotto pressione. Ma il «Camo» non ha potuto concretizzare il suo ultimo sogno: è morto sabato mattina, per complicanze sopraggiunte a causa del Covid-19.
Come decine di altre vittime del morbo, anche molti preti di Bergamo non hanno ricevuto funerali, seppelliti in attesa della Messa di suffragio quando la tempesta cesserà. Sul sito della diocesi cittadina — il cui vescovo Francesco Bechi ha ricevuto una telefonata dal Papa «dolorosamente colpito dal numero dei morti. Anche tra i sacerdoti» — compaiono tutti i loro nomi, uno dopo l’altro. L’elenco è lungo, è questo di seguito, e nel leggerlo tutto d’un fiato sembra quasi di recitare una preghiera: don Guglielmo Micheli, 86 anni, per 30 direttore della Casa dello Studente; don Adriano Locatelli, 71 anni, vicario parrocchiale a Palazzago, Paladina e Cologno; don Enzo Zoppetti, 88, don Francesco Perico, 91; don Gian Pietro Paganessi ,79; don Remo Luiselli, 81; don Gaetano Burini, 83; don Umberto Tombini, 83; don Giuseppe Berardelli, 72; don Giancarlo Nava, 70; don Silvano Sirtoli, 59 anni; don Tarcisio Casali, 82; monsignor Achille Belotti, 82; don Mariano Carrara, 72; monsignor Tarcisio Ferrari, 84.
Milano è straziata per la perdita di tre preti: don Luigi Giussani, 70 anni, vicario della parrocchia milanese di San Protaso, omonimo del fondatore di Comunione e Liberazione e tra i riferimenti del movimento in città (tanto da essere ribattezzato affettuosamente «Giussanello»), oltre che assistente spirituale degli studenti all’Università Statale, teologo e intellettuale finissimo. Scomparsi don Marco Barbetta, 82 anni, cappellano del Politecnico, e don Ezio Bisiello, 64 anni, a lungo parroco di Ronco Briantino, dopo aver svolto il suo ministero nel Varesotto, tra Somma Lombardo e Gallarate.
Con i suoi 104 anni il più anziano tra i falcidiati era il cremonese don Mario Cavalleri, bresciano, e suona davvero sgradevole accostare quelle frasi ascoltate spesso— «il Covid uccide soprattutto i vecchi» — alla storia di questo sacerdote di «trincea», per un trentennio inesauribile guida della «Casetta», realtà di accoglienza per poveri, tossicodipendenti e profughi. Sempre tra gli ultimi è stato don Franco Minardi, 94, direttore della Caritas diocesana piacentina. E tra i giovani è sempre stato don Domenico Gregorelli, 86, «il Prof», insegnante di storia ai licei Calini e Arnaldo di Brescia. A Cremona è morto un altro prete assai noto nel mondo della stampa, don Vincenzo Rini, 75, giornalista, per anni a capo della Federazione dei settimanali cattolici.
La lista è interminabile, comprende tanta Italia: molte delle storie sono tratteggiate anche in un accurato resoconto di Vatican News. In Trentino il Covid-19 ha ucciso un sacerdote anziano ma ancora dinamico come don Luigi Trottner, 86 anni, parroco di Campitello in Val di Fassa. Nella vicina diocesi di Bolzano-Bressanone si è spento don Salvatore Tonini, 84enne di origini trentine, collaboratore pastorale a Bolzano, vicino al Movimento dei Focolari. E ancora un lutto al Sud, quello di Antonio Di Stasio, 85, parroco ad Ariano Irpino, uno dei focolai in Campania. Era ancora in servizio. Anche lui, sì, in mezzo alla gente.
(Avvenire precisa che questo numero — i 50 preti morti — è assai impreciso, per difetto, e l’autore della Spoon River, Francesco Ognibene, osserva che «capitolo a parte è per missionari, suore, diaconi, personale delle Curie diocesane, responsabili di uffici e collaboratori; una contabilità di vittime tutta da ricostruire». Cinque saveriani sono morti nella casa madre a Parma, due orionini a Tortona, un comboniano a Milano, un monaco cistercense di origini eritree si è spento all’abbazia di Chiaravalle, nel Piacentino. Un nome valga per tutti coloro che non siamo qui riusciti a elencare: a Lecco è morto padre Remo Rota, missionario sacramentino, 77 anni, originario della Valle Imagna ma lecchese di adozione. Per 38 anni in Congo, di sé amava dire, con semplicità: «Ho fatto di tutto, spero di aver fatto bene anche il prete, con i miei difetti».)

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.