Castel Sant’Angelo, Roma (foto Sabino Paciolla)
Uno dei monumenti più caratteristici e famosi di Roma è conosciuto col nome di “Castel Sant’Angelo”, un castello colossale che si eleva massiccio a pochi passi dalla Basilica di San Pietro e si affaccia sul fiume Tevere. L’attuale nome dell’edificio è relativamente recente, per secoli il monumento prese il nome dal suo ideatore e conosciuto come “Mole adriana” o “Mausoleo adriano”.  

Nato come monumento funebre l’edificio fu fatto costruire infatti dall’imperatore Adriano nel II secolo d.C. per ospitare la sua tomba e quelle dei suoi familiari. Nel V secolo, persa la funzione di sepolcro, venne utilizzato come fortezza per la difesa della città di Roma e iniziò a venir chiamato castellum.
Nel Medioevo il castello fu conteso da diverse famiglie (Castellum Crescentii fu il nome dato dalla famiglia Crescenzi che ebbe in mano il castello per circa un secolo); divenne infine roccaforte della famiglia romana degli Orsini, fino all’inizio del quattrocento, quando il castello divenne proprietà della Santa Sede grazie a Oddone Colonna, eletto papa nel 1417 con il nome di Martino V (primo papa Colonna). Nel Rinascimento, con papa Alessandro VI (Borgia) l’edificio verrà notevolmente ristrutturato e diventerà simbolo del potere papale a Roma.
Il monumento ha preso il suo attuale nome nel 590 quando la figura di San Michele arcangelo si legò in maniera indelebile alla sorte della città di Roma afflitta da una terribile epidemia. Nel novembre del 589, a causa delle forti piogge che si abbatterono su tutta la penisola con nubifragi e alluvioni, il fiume Tevere straripò in maniera eccezionale inondando gran parte della città e causando enormi danni. La disastrosa alluvione provocò l’innalzamento del livello del terreno della zona del Velabro (tra il Tevere e il Foro Romano, tra Campidoglio e Palatino) e fece crollare parte del ponte di Agrippa (oggi Ponte Sisto). I danni causati dall’inondazione furono ingenti. L’anno successivo, in seguito all’alluvione e alla piena teverina, la peste prese il sopravvento (secondo la leggenda a causa delle carcasse di animali rilasciate sulla campagna).
Dall’Egitto si diffuse in tutto l’impero bizantino la terribile pestis inguinaria che flagellò l’Occidente per più di duecento anni. Il flagello della peste causò numerosi morti, la popolazione fu decimata; la situazione fu così orribile che per paura del contagio molti cadaveri furono lasciati per le strade, provocando così l’aumento della diffusione della peste. In quello stesso anno, il 7 febbraio, la peste fece una vittima illustre: papa Pelagio II. A Pelagio succedette papa Gregorio I detto Magno, venerato come santo e dottore della Chiesa. Gregorio fu eletto il 3 settembre 590.
Interpretando alla luce della fede il flagello della peste come un castigo divino e una chiamata alla conversione, papa Gregorio Magno chiese ai romani di rivolgere lo sguardo al cielo ed implorare l’aiuto di Dio; il 29 agosto papa Gregorio esortò i fedeli ad innalzare preghiere e suppliche e chiese a tutti di pentirsi dei propri peccati.
«Cosa diremo degli avvenimenti terribili di cui siamo testimoni se non che sono preannunci dell’ira futura? Meditate dunque fratelli carissimi, con estrema attenzione a quel giorno, correggete la vostra vita, mutate i vostri costumi, sconfiggete con tutta la vostra forza le tentazioni del male, punite con le lacrime i peccati compiuti» (Omelia prima sui Vangeli, in Il Tempo di Natale nella Roma di Gregorio Magno, Acqua Pia Antica Marcia, Roma 2008, pp. 176-177).
Il papa organizzò una solenne processione “settiforme” (in sette cortei) per le strade della città; la processione che partendo da sette chiese romane arrivava alla basilica Vaticana. Gregorio volle che a guidare la processione fosse il quadro della Vergine conservato in Santa Maria Maggiore e dipinto dall’evangelista san Luca.
Secondo la tradizione, mentre Gregorio attraversava, alla testa della processione, il ponte che collegava l’area del Vaticano con il resto della città (chiamato allora “Ponte Elio” o “Ponte di Adriano”, oggi Ponte Sant’Angelo), ebbe la visione dell’Arcangelo Michele che, in cima alla Mole Adriana, rinfoderava la sua spada. La visione (che secondo alcune fonti fu condivisa da tutti i partecipanti alla processione) venne interpretata come un segno celeste preannunciante l’imminente fine dell’epidemia, cosa che effettivamente avvenne.
Prima dell’apparizione di San Michele, alcuni angeli scesero dal cielo e si posizionarono attorno al quadro della Vergine Maria recitando la preghiera: «Regina Cœli, laetare, Alleluja – Quia quem meruisti portare, Alleluia – Resurrexit sicut dixit, Alleluia!». Papa Gregorio, cadendo in ginocchio ed alzando gli occhi al cielo gridò: «Ora pro nobis Deum, alleluia!» La processione si concluse con un cantico di azioni di grazie, tra la gioia e l’esultanza dei fedeli. Secondo la tradizione da quel momento la peste smise di affliggere la città. La visione fu subito interpretata come un segno divino, un intervento del cielo per salvare la città dal terribile flagello della peste.
In ricordo di quel meraviglioso prodigio, la Mole Adriana prese il nome di “Castel Sant’Angelo”. Alcuni anni dopo fu eretta, sulla sommità dell’edificio, una statua dell’Arcangelo Michele con la spada (prima in marmo bianco, successivamente in bronzo). Ancora oggi all’interno del Museo si conserva una pietra con quelle che, secondo la tradizione, sarebbero le impronte dei piedi dell’Arcangelo.

PREGHIERA A SAN MICHELE ARCANGELO


Questa preghiera è stata composta nel 1884 da papa Leone XIII dopo la terribile visione dei demoni che si aggiravano per la città di Roma a perdizione delle anime. Così testimoniò il suo segretario mons. Rinaldo Angeli: «Egli aveva visto innumerevoli demoni, ridenti e trionfanti, riunirsi al di sopra di Roma, come un gregge di corvi, ed investire la Città con la loro presenza maledetta. Il papa aveva avuto l’intuito che occorreva pregare ardentemente San Michele di respingerli». Prima della Riforma liturgica del Concilio Vaticano II, alla fine di ogni Santa Messa il celebrante ed i fedeli si mettevano in ginocchio per recitare una preghiera alla Madonna e questa preghiera al Principe degli Angeli. Il Concilio Vaticano II decretò la soppressione della recita di queste preghiere dopo la Messa.

“San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia, contro le malvagità e le insidie del demonio sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi! E tu, Principe delle milizie celesti, con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime”.

papa Leone XIII
Nel 1994, il Papa san Giovanni Paolo II ebbe a dire, riguardo alla famosa preghiera a San Michele di Leone XIII:
“Anche se oggi questa preghiera non viene più recitata al termine della celebrazione eucaristica, invito tutti a non dimenticarla, ma a recitarla per ottenere di essere aiutati nella battaglia contro le forze delle tenebre e contro lo spirito di questo mondo”.

Guido Reni - San Michele Arcangelo
Guido Reni – San Michele Arcangelo


di Miguel Cuartero Samperi
(Pubblicato anche su testadelserprente)