ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 16 marzo 2020

Confiteor.. et non*

INTERVISTA AL VESCOVO CAMISASCA
“Noi tra morte, sconcerto e rinascita: Coronavirus, un richiamo di Dio”

«Dio non è all'origine del male, ma se ne serve per correggerci: il Coronavirus è un suo richiamo e quando sarà finito vivrò la Risurrezione col mio popolo». Il vescovo Camisasca tra video letterari, sgomento e Messe sospese: «Forse c'erano altre soluzioni, ma non abbiamo saputo trovarle. Tutto è precipitato velocemente, però la realtà dell'Eucarestia è condivisa da tutti». «Soffro per il Paese, per la mia Lombardia, per i malati, per i medici. Purtroppo si muore soli». La ripresa? «Sarà difficile e dolorosa, ma vedo una luce nelle famiglie in preghiera».




Fa capolino nelle chat prima di sera: sul divano o con alle spalle la libreria. Parla di letteratura, non di fede. Ma è un’escamotage: «Così parlo di Dio attraverso la letteratura, è un modo implicito per porci delle domande che a volte sono più importanti delle risposte perché stanno dentro la vita quotidiana». E’ la vita del vescovo di Reggio Emilia Massimo Camisasca al tempo del Coronavirus. Anche lui chiuso in casa, come tutti. Al termine della giornata raggiunge i fedeli della Diocesi con un breve video in cui legge poche righe di un libro sempre nuovo. Per fare compagnia a tutti, smarriti.

Come in un Decameron social purgato delle licenze boccaccesche, scorrono nei brani letti da Camisasca l’amicizia in Camus, la bellezza del creato nel Dottor Živago e la Madonna Sistina vista con gli occhi della moglie di Dostoevskij. Il tempo scorre lento come quando nei momenti di inattività forzata si riaffaccia il piacere immutabile della lettura, di cui Camisasca mostra di centellinare con gusto ogni singola e inaspettata parola come si fa a fine serata si fa col doppio malto d’annata. Ma fuori arrivano solo piccole consolazioni. Fuori il Coronavirus impazza e nella sua Reggio Emilia anche in questi giorni ha fatto morti. E’ qui che la Nuova BQ, tra un pagina di Pasternak, una poesia di Alda Merini e un saggio di Borgna, lo ha incontrato.


Come vive un vescovo ai tempi dei Coronavirus?
Vivo con profonda sofferenza. Innanzitutto, perché non mi è possibile celebrare con il mio popolo. Questa è la sofferenza più grande, perché sono convinto che l’Eucaristia sia il dono più importante che Dio abbia fatto all’uomo per il tempo che intercorre tra l’Ascensione e la Seconda Venuta di Cristo. Naturalmente rimane viva l’Eucaristia con i suoi frutti, che sono la fede, la Chiesa, la gioia, l’amicizia e la pace. E poi sofferenza per i malati, per i morti, per i loro famigliari e per la terribile prova cui sono sottoposti i medici e i paramedici. Sofferenza per la prova che tutto il Paese sta vivendo: i lavoratori, le imprese, e l’intera economia.

Tutti ripetono come un mantra: “Ce la faremo”. E’ così?
La ripresa sarà difficile e dolorosa, ma possibile. Vedo le luci: la fede del popolo risalta proprio in questo digiuno eucaristico. So di famiglie che si radunano a pregare; iniziative di educatori saggi che attraverso i social e le nuove tecnologie sono in contatto quotidiano con i loro ragazzi. La fede urge sempre alla creatività. Dobbiamo essere pazienti. Questa emergenza ci ha colti impreparati, ma da più parti vedo sbocciare iniziative lodevoli.

Non è che forse eravamo impreparati perché tutti concentrati sulla salute del corpo?
La crisi Coronavirus ha messo in luce la forte secolarizzazione che stiamo vivendo. Ma non è mai possibile disgiungere la cura del corpo dalla cura dell’anima, sapendo che il corpo è mortale e che verrà trasfigurato oltre la morte. Se noi abbiamo cura del corpo senza cura dell’anima, ci occupiamo di qualcosa che passa. Se abbiamo cura dell’anima, questa ci porta anche ad aver cura dei corpi. La Chiesa ha creato gli ospedali proprio perché ha sentito che non si potevano mai separare corpo e anima.

Ha detto che la sofferenza più grande è non celebrare Messa col suo popolo. Eppure, non si potevano trovare altre soluzioni (leggi qui la via polacca)? 
Raddoppiare o abbreviare le Messe, per esempio? 
Forse si poteva. Non abbiamo saputo trovarle. Noi vescovi, mi riferisco qui all’Emilia Romagna, ci siamo confrontati molto intensamente per lunghe ore. Non dimentichiamoci però la velocità con cui questa crisi è precipitata: siamo passati da una “semplice influenza” a fermare l’intera nazione. Tutto questo è avvenuto in meno di quindici giorni.


Ma forse non è stato spiegato adeguatamente…
Il succo della mia riflessione è contenuto nella seconda lettera che ho scritto alla mia Chiesa diocesana, nella quale mi sono posto le domande più radicali e ho risposto ad esse. Molti cristiani nel corso della storia – ho scritto in quella lettera – sono morti pur di vivere l’Eucaristia. Penso che questo debba essere chiaro per tutti. Qui però non si trattava di mettere in discussione la propria vita, ma quella degli altri, soprattutto di persone anziane e già segnate dalla malattia. Abbiamo ritenuto perciò che fosse un gesto di carità arrivare alle decisioni che poi abbiamo preso.

Ma i fedeli vivono la lontananza dai sacramenti come una privazione. Bisognerà farsene carico prima o poi…
Vorrei far arrivare questo: San Tommaso dice che nell’Eucarestia ci sono il Sacramento e la realtà. Il sacramento in questi giorni è celebrato dai sacerdoti, ma non è condiviso dai fedeli. Però la realtà dell’Eucarestia è condivisa da tutti: i suoi frutti sono condivisi da tutti. La natura stessa è generata ogni giorno dall’Eucarestia. Crediamo questo.

Che farà non appena sarà finito tutto questo?
Vivere la Risurrezione, cioè partecipare nella fede e nella gioia, con il mio popolo, alla grazia della rinascita. Anche se non coincidesse cronologicamente con la Pasqua.

Quali santi prega in questi giorni?
Soprattutto Maria, la Madre di Dio, Salute degli Infermi e Madre della Chiesa. Con lei san Giuseppe, da cui mi attendo molto e da cui ho sempre ricevuto molto. Poi naturalmente i Santi Patroni della mia Diocesi, e in particolare san Carlo.

E quali preghiere recita?
Prego con la Liturgia del giorno, con la Liturgia delle Ore, con il Santo Rosario. La celebrazione della Santa Messa, anche senza fedeli, mantiene intatto il suo valore. La celebrazione eucaristica, fosse anche di un solo sacerdote, è sempre per tutto il mondo e per tutti gli uomini. Il digiuno eucaristico cui siamo costretti sia dunque l’occasione per prendere coscienza del grande dono che riceviamo ogni volta che partecipiamo alla Messa e ci comunichiamo.

Ci si chiede se questo virus sia un castigo o no. Se cambiamo la parola e chiamiamo purificazione il castigo (che è il suo vero significato) assumerebbe un senso diverso?
Occorre essere molto precisi su questo tema. Nell’Antico Testamento gli autori dei testi sacri hanno letto molte volte gli avvenimenti della storia come castigo diretto di Dio per i peccati del popolo o dei singoli. Gesù ha corretto questa lettura, sia nelle parole rivolte al cieco nato (cf. Gv 9) sia nelle parole a commento della caduta della Torre di Siloe (Lc 13,1-5). Gesù ha chiarito che non c’è un rapporto diretto fra il male subito e la colpa commessa. Nello stesso tempo ha detto: se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo (Lc 13,3.5). In altre parole: Dio non è all’origine del male, ma si serve di esso per la correzione del suo popolo. In questo senso certamente anche il Coronavirus è un richiamo di Dio, a chi crede e a chi non crede, affinché il nostro sguardo e la nostra mente riconoscano Dio, il fine trascendente della nostra vita, ciò che è essenziale e ciò che è passeggero.


I cappellani faticano a svolgere il loro compito: i malati muoiono soli e senza famigliari. Che cosa prova di fronte a questo un vescovo che vive in una zona ad alta densità di contagio e di morte?
Ho chiesto a tutti i cappellani di essere il più possibile presenti, compatibilmente con le attenzioni richieste dalla malattia infettiva e dalle sale di terapia intensiva. Poter avere qualcuno che ti tiene la mano e che prega per te e con te nel momento del passaggio a Dio, è il supremo desiderio di ogni persona cosciente. Purtroppo, può esserci chiesto di morire soli.

Da lombardo, che cosa prova a vedere la sua terra ridotta in questo modo?
Nell’estremo dolore ho visto una Regione dotata di grande spirito e di grandi attrezzature sanitarie. Il lavoro svolto dalla Regione nei decenni passati ha creato una realtà all’avanguardia sotto l’aspetto tecnologico e sociale.

Ha paura di essere contagiato? Se fosse contagiato come l’affronterebbe?
Non ho paura. Naturalmente ho timore, ma se fossi contagiato resterei in casa, come sto già facendo. A meno che la malattia richiedesse un ricovero.

La pandemia ci sta aprendo a una nuova sensazione di costrizione fisica. Ci sentiamo prigionieri. C’è quasi un vago sentore di fine del mondo che disorienta.
Il senso di insicurezza e disorientamento che molti vivono, non senza ragione, in questi ultimi anni, hanno fatto pensare a taluni alla “fine del mondo”. Anche qui dobbiamo essere chiari. La fine della storia coinciderà con la Venuta di Cristo. Nessun evento può farci pensare all’imminenza o alla lontananza di tale Venuta. Dobbiamo essere sempre pronti.

Andrea Zambrano

-ORA E' TROPPO: LA POLIZIA IRROMPE A MESSA di Nico Spuntoni
-IL PAPA PREGA NELLA CHIESA DEL MIRACOLO
-LOMBARDI ABBANDONATI DA GOVERNO
 di Ruben Razzante


https://lanuovabq.it/it/noi-tra-morte-sconcerto-e-rinascita-coronavirus-un-richiamo-di-dio

*
Il cardinale che non conosce
l’Atto di Dolore

Atto di Dolore

Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati,
perché peccando ho meritato i Vostri castighi
e molto più perché ho offeso Voi, infinitamente buono
e degno di essere amato sopra ogni cosa.
Propongo con il Vostro santo aiuto di non offenderVi mai più
e di fuggire le occasioni prossime di peccato.
Signore, misericordia, perdonatemi.


Questa triste vicenda del “coronavirus” sta portando molti a riflettere e a porsi delle domande; tra i cattolici, una delle domande più frequenti è quella relativa al nesso che può esserci tra la diffusione della malattia e il castigo di Dio.
Diciamo che ci si pone la domanda, non che si afferma che in questo caso si tratterebbe di un castigo di Dio; ma questo non esclude che si possa veramente trattare di un castigo di Dio.
Certo è che solo Dio sa come stanno veramente le cose.

La nostra moderna concezione razionalista delle vicende della vita ha permesso di ipotizzare, in maniera più o meno interessata o strumentale, le cause più diverse della diffusione di questa brutta e letale influenza che degenera presto in polmonite. Quasi in maniera scontata si è perfino parlato di guerra batteriologica o di intervento dei “servizi segreti”. Nessuna meraviglia quindi se tanti cattolici, da loro punto di vista, abbiano pensato ad un castigo di Dio.


Meraviglia invece che un cardinale, Angelo Scola, già papabile e grande sostenitore dell’elezione di Bergoglio al Papato, dichiari in un’intervista a La Repubblica che sarebbe cattolicamente scorretto parlare di “castigo di Dio”.
Richiesto il suo parere, nell’intervista del 26 febbraio 2020, egli ha risposto:

«È una visione scorretta. Dio vuole il nostro bene, ci ama e ci è vicino. Il rapporto con lui è da persona a persona, è un rapporto di libertà. Certo, conosce e prevede gli avvenimenti ma non li determina. Quando gli chiedono se le diciotto persone morte sotto il crollo della torre di Siloe abbiano particolari colpe Gesù smonta la questione: “No, io vi dico, non erano più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme”. Per i cristiani Dio comunica attraverso le circostanze e i rapporti. Anche da questa circostanza potrà emergere un bene per noi. Fra i tanti insegnamenti la necessità di imparare a stare nella paura portandola a un livello razionale».

In questa risposta del cardinale ci sono due errori e due falsità.
Il primo errore sta nell’affermazione che si tratterebbe di una “visione scorretta”, cioè che cattolicamente sarebbe scorretto parlare di “castigo di Dio”. Evidentemente Scola non ha mai recitato l’Atto di Dolore, non ha mai chiesto al Signore di perdonarlo per i suoi peccati, per i quali ha meritato i Suoi castighi.

Il secondo errore sta nell’affermazione che il Signore non “determinerebbe” gli avvenimenti, ma si limiterebbe solo a conoscerli e a prevederli. Evidentemente Scola, dà prova che, non solo non conosce l’insegnamento cattolico, ma non conosce neanche l’insegnamento popolare che sa benissimo che in questo mondo “non si muove foglia che Dio non voglia”.

La prima falsità sta nella manipolazione del Vangelo (Lc. XIII, 1-5). Scola asserisce che le diciotto persone morte sotto il crollo della torre di Sìloe non avrebbero avuto colpe particolari e afferma che “Gesù smonta la questione” e cita: “No, io vi dico, non erano più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme”. Ora, il fatto che, come dice Nostro Signore, “…quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?” (Lc. XIII, 4), non significa che non avessero colpe, ma significa che avevano le stesse colpe di “tutti gli abitanti di Gerusalemme” e che quindi la punizione, il castigo, spettava loro al pari degli abitanti di Gerusalemme, come infatti avverrà per questi ultimi qualche decennio dopo (70 d. C). E questo è confermato dall’omissione nella citazione di Scola: “No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc. XIII, 3 e 5). Quindi, Nostro Signore conferma la colpa e il relativo castigo, anzi l’annuncia a tutti gli altri: “se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”.

La seconda falsità sta nella duplice affermazione: “Per i cristiani Dio comunica attraverso le circostanze e i rapporti. Anche da questa circostanza potrà emergere un bene per noi. Fra i tanti insegnamenti la necessità di imparare a stare nella paura portandola a un livello razionale”. E’ falso dare per scontato che “da questa circostanza”, con la quale “Dio comunica” con noi, “potrà emergere un bene per noi”, perché è solo Dio che può trarre un bene dal male, e non l’uomo, non noi! Ed è altresì falso sostenere che da “questa circostanza” possa derivare l’insegnamento di “imparare a stare nella paura portandola a un livello razionale”. Non si impara a stare nella paura “razionalizzandola”, semmai si impara a vincerla affidandosi alla misericordia di Dio; non è la razionalità che supera le nostre pulsioni, ma è la fede in Dio che ci aiuta a controllarle e a vincerle. Ma evidentemente Scola “non si fida della fede in Dio”, meno di quanto invece si fidi della ragione umana.

Per chiudere facciamo notare che nella stessa intervista, Scola avverte che la paura suscita la ricerca di un nemico a cui dare le colpe; il che ci sembra quantomeno improprio, perché nell’ottica del “castigo di Dio” il colpevole effettivamente c’è ed è l’uomo stesso col carico dei suoi peccati. Ma Scola questo non lo ricorda, perché a lui interessava soprattutto stabilire un parallelo: “un po’ quanto accade oggi anche rispetto alle migrazioni”; un parallelo paradossale, però, per due motivi: primo perché le migrazioni hanno dei responsabili, di cui si potrebbero fare – e si sono già fatti – nomi e cognomi: e secondo perché le migrazioni non hanno bisogno di suscitare paure, sono già paurose per se stesse: sono il veicolo col quale si vogliono annullare l’identità e la religione degli Europei per sostituirle con l’indifferentismo culturale e cultuale del Nuovo Ordine Mondiale. Ma Scola questo non può non saperlo, visto che è uno dei sostenitori di tale sovversione: o è cieco o è colpevole.

Ci si può solo chiedere: ma che cardinale è Scola? Di che cosa è “cardine”? Certo non della Chiesa di Cristo!





Islamici in preghiera davanti al Duomo di Milano
Scola era Arcivescovo della diocesi


di
 Belvecchio

http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV3424_Belvecchio_Cardinale_che_non_conosce_Atto_di_Dolore.html

CERVETERI. È GRAVE, INTERVENGANO VESCOVO, CEI E NUNZIO.

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il video che abbiamo postato poche ore fa su quanto accaduto questa mattina a Cerveteri, dove una messa in streaming e a porte aperte ha provocato l’incredibile – a mio parere, perché contro il buon senso – intervento della Polizia Locale che avrebbe forse fatto meglio a esercitare altrove le sue occhiute funzioni, ha fatto sì che l’avvocato Fabio Adernò ci scrivesse giustamente indignato. Anche perché non vedo perché la gente possa fare la fila al supermercato, dove certamente le possibilità di contatto ci sono, eccome, e non stare seduta all’aperto a tre metri di distanza dal prossimo. Follie del burocratismo italico. Buona lettura.

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Italian police interrupt Mass in Cerveteri District (Rome) that was being broadcast live on Facebook as there were people assembled outside praying in front of the Church.
297 utenti ne stanno parlando

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Caro Tosatti,
vede, avrei voluto tanto aver torto nell’aver sollevato la questione… e invece la realtà ha superato assai velocemente le mie previsioni, con buona pace della visione irenistica di molti benpensanti che ritengono che l’attuale sospensione delle libertà per motivi di pubblica sanità sia “cosa buona e giusta” (leggasi l’ottimo Marcello Veneziani stamane su La Verità).
La notizia che sia il Suo blog sia alcuni amici mi segnalano è scandalosa e allarmante: a Cerveteri (RM), entro i confini della Diocesi di Porto Santa Rufina, si interrompe in una chiesa all’inizio di una celebrazione di culto attuata con le dovute cautele igieniche (così com’è evidente dal video) in ottemperanza al DPCM ma con una evidente lesione del diritto di libertà di culto e libertà religiosa dei cittadini, tutelati dall’art. 19 cost. e dall’art. 405 c.p., che stabilisce «Chiunque impedisce o turba l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa, le quali si compiano con l’assistenza di un ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, è punito con la reclusione fino a due anni»
L’azione dei funzionari della Polizia locale è esuberante ogni margine stabilito dello stesso DPCM che, all’art. 2, lett. v, è esplicito nello stabilire che i luoghi di culto rimangono aperti con le dovute cautele; e ribadiamo che i luoghi di culto servono al culto pubblico, e non a quello privato ovvero domestico, per cui la loro apertura non può che importare un esercizio del culto stesso! Altrimenti non ha senso che stiano aperti.
Naturalmente non possiamo non constatare (e con profondo rammarico) quanto questo increscioso fatto verificatosi a Cerveteri sia – ahinoi – anche il frutto della confusione seguita alle disposizioni della CEI che abbiamo decisamente criticato (e che invece qualcuno ha inteso difendere oltre l’indifendibile, e verso le quali persino il Papa ha mosso alte perplessità, fino a stamattina) e che di fatto parrebbero legittimare, in via ipotetica ma scriteriata, un simile deprecabile comportamento che, lo ribadiamo, è e resta illegittimo da parte dello Stato.
Assistiamo, infatti, a dei funzionari di polizia locale che irrompono in un luogo di culto senza alcun riguardo (col berretto in testa) e turbano in modo brusco lo svolgimento della funzione imponendone l’immediata sospensione, facendo allontanare quei pochi fedeli che si trovavano lì.
Ciò è innanzitutto un reato gravissimo che infrange anche il vigente Accordo tra lo Stato e la Chiesa che all’art. 5, 2 stabilisce che «Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica.».
Oggettivamente non ricorre la fattispecie della “urgente necessità” nella circostanza per la quale un sacerdote sta celebrando una Messa e sul sagrato (che è parte integrante il luogo di culto ancorché ad esso “esterno”), alla distanza prevista e senza recar danno ad alcuno, vi si radunino alcune persone che partecipano spiritualmente con la preghiera personale, poiché detto comportamento è perfettamente in linea col libero e pacifico esercizio di libertà religiosa.
L’intervento della forza pubblica è esorbitante i margini della civiltà giuridica e del rispetto dei diritti soggettivi di libertà a cui tutela qui s’invoca accoratamente e assai rapidamente nelle sedi opportune (CEI, Diocesi di Porto Santa Rufina e Nunziatura Apostolica in Italia) una protesta e un intervento dell’Autorità Ecclesiastica competente perché rivendichi la propria indipendenza e sovranità e la propria libertà di espressione e di esercizio del diritto di libertà religiosa per sé e per i fedeli, poiché è intollerabile una simile ingerenza dello Stato in una materia sulla quale non ha competenza al di là dei limiti marcati dal diritto vigente (come ho già diffusamente avuto modo di osservare).
Con grata stima,

Fabio Adernò
15 Marzo 2020 Pubblicato da  29 Commenti --

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