ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 2 marzo 2020

«Togliete la pietra!»

JAM FOETET - LAZZARO COME FIGURA DELLA GERARCHIA CONTEMPORANEA



La setta conciliare, al pari di tutti i movimenti ereticali, ha la presunzione di porsi come nuova rispetto alla Chiesa Cattolica, che essa significativamente addita come vecchia religione. Non a caso, per suscitare le ire dei novatori, è sufficiente mostrare un santino di Pio IX, un breviario tridentino col taglio in oro, la foto del card. Schuster col galero: alla condiscendenza iniziale con la quale il nostro interlocutore ci degnava della sua attenzione, è subentrata l’intransigenza fanatica e la condanna inappellabile: preconciliare. Ed è curioso che tutto quel che la Chiesa ha compiuto per secoli si concluda col Vaticano II, e che col Vaticano II inizi una nuova entità che - proprio perché nuova e quindi altra - non solo non difende amorevolmente l’eredità millenaria della Sposa di Cristo, ma anzi ne prende sdegnosamente le distanze, rimarcandone la propria estraneità. 

Ancora più significativo è che questo discrimen tra prima e dopo sia il marchio distintivo dell’ultimo Concilio Ecumenico: mai nella storia si è data una spaccatura radicale tra la Chiesa prima e dopo il Concilio di Nicea, tra prima e dopo il Lateranense IV, tra prima e dopo il Concilio di Costanza. Perché la Chiesa usciva dai Concili restaurata, ossia rimessa a nuovo, ringiovanita proprio in virtù dell’esser sempre se stessa, nella fedeltà al suo divino Fondatore. Anzi, sarebbe bastato il sospetto che qualcosa di diverso venisse introdotto, per costituire ipso facto un argomento di anatema. Nihil est innovandum, nisi quod traditum est. 

I tradizionalisti - ossia i Cattolici tout-court - denunciarono questa rivoluzione, trovando nei progressisti una orgogliosa rivendicazione di alterità rispetto alla vecchia religione. Gli unici, patetici sostenitori della continuità della Chiesa preconciliare nella setta postconciliare sono quanti, contro l’evidenza, si ostinano a pensare che sia possibile tenere insieme l’Exsurge Domine e le celebrazioni in onore di Lutero, la Mortalium animos e la Dignitatis humanae, Leone Magno e Paolo VI. Eppure come sarebbe inorridito Pio IX nel vedere Giovanni Paolo II ad Assisi o in Sinagoga, così inorridirebbe oggi Bergoglio se gli si ricordassero due righe del decreto Lamentabili. Per sua fortuna, quest’ultimo è attorniato da cortigiani che hanno provveduto a far sparire dal Vaticano qualsiasi pubblicazione cattolica precedente al 1958, e per non sentirsi quotidianamente schiacciato dall’ingombrante eredità anche solo artistica ed architettonica dei Sacri Palazzi, egli si è rintanato al motel Santa Marta, che gli si confà perfettamente nell’anonimato e nella provvisorietà di una pensione per il Clero. D’altra parte: ve lo vedete Bergoglio che fulmina la scomunica ai membri del Congresso americano che hanno legittimato l’aborto fino a un istante prima della nascita? E riuscite immaginare Leone XIII che si prosterna a baciare i piedi ai rappresentanti di un oscuro paese africano? Riuscite a pensare a San Pio X mentre assiste all’adorazione della pachamama nei Giardini Vaticani? Due mondi, due universi sideralmente opposti. E non per accidentali questioni di gusto o di stile, ma per sostanza. 

E parlando di sostanza, è impossibile concepire una qualsiasi continuità tra l’attività diplomatica di Pio XII nei confronti della comunità cattolica cinese e l’alleanza col regime comunista da parte del Vaticano di oggi. Una resa i cui termini sono taciuti e tenuti nascosti dalla Segreteria di Stato, mentre è in corso una sistematica denigrazione dell’unico Porporato che abbia pubblicamente denunciato la persecuzione dei fedeli e del Clero locale ad opera del governo di Pechino. Ultimo passo di quest’opera di discredito è la lettera con cui il Decano del Sacro Collegio ha attaccato il Cardinale Zen dinanzi ai suoi Confratelli e al mondo intero. Una cosa inaudita, che si aggiunge ad una congerie di altri episodi altrettanto inauditi e scandalosi propria di questo infaustissimo Pontificato. A condannare la quale è intervenuto mons. Carlo Maria Viganò con una toccante lettera di solidarietà al Cardinale cinese (qui). 

Abbiamo un Papa che attacca quotidianamente i Cattolici e blandisce i nemici di Dio; un Papa che promuove ecclesiastici indegni e perseguita Prelati che hanno l’unica colpa di non esser abbastanza accondiscendenti con i cambiamenti ch’egli impone; un Papa che riceve in udienza sodomiti concubinari ed elogia politici scandalosi, ma rifiuta di ricevere i Cardinali dei Dubia; un Papa che sconfessa il Patrono dell’Ordine di Malta e legittima la congiura dei suoi vertici; un Papa che astutamente provoca e induce al male, lasciando che siano altri suoi complici a compierlo col suo avvallo: dalla Comunione per gli adulteri di Amoris laetitia alle deroghe al Sacro Celibato e all’Ordinazione delle donne di Querida Amazonia. 

A ben vedere, questo atteggiamento surrettizio consente all’astuto tiranno di tenersi al riparo dall’accusa di aperta eresia, secondo la collaudata strategia dei modernisti. E stupisce che vi sia ancora chi, in questo coerente piano di demolizione della Chiesa, si ostina a giudicare i fatti presenti sulla base di un criterio palesemente inadeguato, valido in un epoca in cui gli eretici avevano almeno il coraggio di dichiarare i propri errori. 

Vien da chiedersi come la Chiesa Cattolica possa ancora considerarsi viva e presente fino alla fine dei tempi, secondo le promesse del Salvatore; come sia possibile scorgere la domina gentium nelle misere vesti dell’ancella, o addirittura negli sconci panni della meretrice. Il Cattolico sa e crede che la Chiesa è unita come Corpo Mistico a Cristo suo Capo, e che essa è destinata a risorgere e a vincere e a trionfare così come Nostro Signore è risorto e ha vinto e ha trionfato sulla morte, sul peccato e sul demonio. Ma egli sa anche che la Chiesa è fatta di santi e di peccatori, e che la sua Gerarchia può tanto affrontare il martirio e dar testimonianza a Dio, quanto rinnegarLo per farsi serva del mondo. 

Vi fu un tempo in cui i sacerdoti e i religiosi si esponevano al rischio di contagio, portando conforto spirituale e materiale agli appestati, e lo facevano in nome di quella Religione monolitica e di quella Fede granitica che assicurava loro l’aiuto e la protezione di Dio nelle situazioni più avverse. Oggi sentiamo parlare della Chiesa come di un ospedale da campo, ma appena la Provvidenza colpisce l’umanità ribelle con un’epidemia di modesta entità, i chierici dimenticano le loro belle parole e sbarrano le porte delle chiese, sospendono la celebrazione del Santo Sacrificio, vietano le Confessioni proprio quando maggiore è la loro necessità: non hanno paura di offendere la Maestà di Dio con le loro bestemmie e impurità, non esitano a negare i flagelli divini, ma tremano pavidi davanti ad un’influenza, salvo ostinarsi ad intimare alle autorità civili ad accogliere orde di clandestini in nome di un’accoglienza cui essi, farisaicamente, si sottraggono. 

Ma dov’è dunque la Gerarchia della Chiesa? Dove si cela, in quest’ora di tenebre? Perché essa è nel sepolcro e appare morta, al punto che noi stessi siamo tentati di dire, turandoci il naso: «Jam foetet». E quello che sentiamo salire da quel cadavere è il tanfo della decomposizione, la puzza della corruzione di un corpo che è stato abbandonato dal suo principio vitale. «Lazzaro è morto e Io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate» (Gv 11, 14). Il Signore ci insegna a riporre la nostra fiducia solo in Lui, e aspetta che noi Lo invochiamo, Lo supplichiamo di intervenire, ed anche allora ci lascia aspettare perché comprendiamo bene che solo Lui ci può soccorrere. E noi osiamo rammaricarci col Signore come fece la sorella di Lazzaro: «Signore, se Tu fossi stato qui...» (ib., 32) mentre la Tua Chiesa era assalita dai suoi nemici e la Gerarchia la abbandonava, essa non sarebbe in queste condizioni. 

Nella pericope di San Giovanni vediamo Nostro Signore che si commuove e piange, e ci ordina: «Togliete la pietra!» (ib., 39), affinché la tomba in cui giace Lazzaro sia aperta. Se fossi un commentatore medievale, vedrei in quella pietra la crisi dottrinale e morale della Chiesa, rimossa la quale il Salvatore può ordinare a gran voce: «Vieni fuori!» (ib., 43); e nelle bende che fasciano Lazzaro indicherei i vaniloqui del Concilio, i fatui discorsi di questi sessant’anni, le norme con cui è stato legato quel corpo, gli inganni dello pseudo-magistero di Ministri corrotti. 

«Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?» (ib., 40). Ecco: chiediamo al Signore di resuscitare la nostra Gerarchia, chiusa nel sepolcro dell’apostasia e dell’errore. Solo a quel punto essa sarà degna di seguire il proprio Capo sulla via regale della Passione e della Croce, meritando di trionfare con Lui nell’eternità.

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